I sette re dell’Apocalisse sono i Cesari

 

Quando è stata scritta l’Apocalisse?

Al riguardo, l’autore ha lasciato un’indicazione cronologica importante, a condizione che tale indicazione venga contestualizzata correttamente, il che però non avviene quasi mai.

Nel capitolo 17 dell’Apocalisse il veggente di Patmos descrive la fiera “che ha le sette teste e le dieci corna…Qui occorre l’intelletto che ha sapienza. Le sette teste sono sette monti, sui quali siede la donna, e sono sette re. Di questi, cinque sono caduti, uno esiste, l’altro non ancora è venuto, e quando verrà deve rimanere poco tempo…” (grassetti miei).

Naturalmente, bisogna tenere presente che la bestia dalle sette teste è la stessa del capitolo 13: la bestia che viene “dal mare”.

Dunque, nel momento in cui Giovanni scrive l’Apocalisse, uno dei sette re (il sesto) è vivo e regna. Ma chi sono questi sette re?

Penso che per rispondere a questa domanda bisogna partire da quello che per me è un punto fermo e cioè da quanto a suo tempo sostenuto dall’illustre esegeta mons. Salvatore Garofalo in una nota in calce alla sua edizione della Bibbia[1]:

La fiera rappresenta l’impero romano, simbolo delle forze avverse al Cristo, ed è il principale strumento del dragone” (grassetti miei).

Se questo è vero, se cioè la bestia che viene dal mare rappresenta l’impero romano, allora i “re” di cui parla Giovanni nel capitolo 17 sono gli imperatori, i Cesari.

Ma per capire quale sia il Cesare regnante nel momento in cui Giovanni scrive l’Apocalisse bisogna stabilire il momento in cui inizia la serie dei Cesari, ed è qui che spesso gli studiosi travisano l’indicazione di Giovanni.

Uno studioso che non ha travisato tale indicazione è il preterista americano Kenneth Gentry, il quale ha fatto notare che, secondo la tradizione storiografica più autorevole, il primo dei Cesari è Giulio Cesare. Quindi, a partire da Giulio Cesare, possiamo individuare i sette “re” menzionati da Giovanni:

  1. Giulio Cesare
  2. Cesare Augusto
  3. Tiberio
  4. Caligola
  5. Claudio
  6. Nerone
  7. Galba.

Chiosa al riguardo Gentry:

“Flavio Giuseppe, l’ebreo contemporaneo di Giovanni, fa notare che Giulio Cesare fu il primo imperatore di Roma e che egli venne seguito in successione da Augusto, Tiberio, Caio (Caligola), Claudio e Nerone (Antichità giudaiche 18; 19). Apprendiamo questo anche da altri contemporanei prossimi a Giovanni, incluso il Libro di Esdra (capitoli 11 e 12), e gli Oracoli sibillini (libri 5 e 8); la cristiana Lettera di Barnaba (capitolo 4). Lo storico Svetonio conferma questa impostazione solo poco tempo dopo nella sua famosa opera, Le vite dei dodici Cesari – il cui elenco inizia con Giulio Cesare. Constatiamo la stessa cronologia anche nello scrittore romano Dione Cassio (Storia romana 5)”[2].

Il sesto Cesare della serie è dunque Nerone, il quale regnò dal 54 al 68. A succedergli fu Galba, che in effetti regnò per poco tempo: precisamente dal giugno del 68 al gennaio del 69.

Da questo punto di vista, risulta quindi errata la usuale datazione seguita dalla maggioranza degli studiosi, che ascrive la stesura dell’Apocalisse all’epoca di Domiziano: costui infatti fu solo il dodicesimo Cesare, non il sesto (quello che “esiste” quando Giovanni parla con l’angelo).

Come abbiamo detto, mons. Garofalo identifica la bestia che viene dal mare con l’impero romano, e questo esclude alla radice l’errore – comune a tanti esegeti – di identificare il mostro apocalittico con l’Anticristo escatologico. Però poi Garofalo identifica – erroneamente, a mio giudizio – i sette “re” menzionati da Giovanni con sette “imperi”. Ecco cosa scrive mons. Garofalo:

Sette re, cioè imperi: di Augusto, Tiberio, Caligola, Nerone, Domiziano (quello che esiste al tempo dell’autore)”[3].

Questa osservazione mi sembra doppiamente erronea: in primis, perché fa violenza al testo. Giovanni infatti parla di “re” e non di “imperi”. E secondariamente perché nel conteggio di Garofalo, il re che “esiste al tempo dell’autore” risulta essere il quinto, e non il sesto, come invece afferma esplicitamente Giovanni.

In terzo luogo, non vi sono “imperi” romani ma una serie di imperatori di un unico impero romano, a cui corrisponde una sola bestia che “viene dal mare”, sia pure fornita di sette teste.

C’è anche un’altra interpretazione possibile della serie dei sette “re” menzionati nel capitolo 17 dell’Apocalisse, ed è l’interpretazione dello storico ed esegeta George Edmundson, un’interpretazione di cui sono venuto a conoscenza leggendo il libro Redating the New Testament (“Ridatare il Nuovo Testamento”) di John Arthur Thomas Robinson. Ecco come Robinson riporta la spiegazione di Edmundson:

“Egli [Edmundson] prende le parole “cinque sono caduti” … per implicare che ‘In ognuno di questi cinque casi vi è stata una morte violenta. Augusto e Tiberio non possono essere descritti come “caduti”, anche se i loro regni rientravano nella visuale del Veggente. I cinque sono Claudio, che adottò Nerone come figlio ed erede, Nerone stesso, Galba, Otone e Vitellio. “Uno è sul trono” significa l’uomo investito per il momento del potere imperiale, Domiziano, che fa le funzioni di Imperatore, quello che mise al bando lo scrittore’”[4].

Questa spiegazione mi sembra ingegnosa ma non credibile. E questo, secondo me, perché l’espressione “cinque sono caduti” non implica necessariamente una morte violenta. Può invece voler dire che gli imperatori romani, in quanto fatti oggetto di un’empia venerazione religiosa (il famoso culto imperiale) erano, dal punto di vista di Giovanni, degli idoli destinati fatalmente a “cadere” al momento della loro morte.

Quindi, in conclusione, risulta confermata la giustezza della datazione dell’Apocalisse all’epoca di Nerone, come sostengono i preteristi. Se questo è vero, e io penso che lo sia, allora l’oggetto della profezia apocalittica torna ad essere quello perso di vista dalla maggioranza degli studiosi: la caduta di Gerusalemme e del suo Tempio avvenuta nel 70 del primo secolo.

[1] La Sacra Bibbia, tradotta dai testi originali e commentata a cura e sotto la direzione di mons. Salvatore Garofalo, Marietti, Casale Monferrato 1966, p. 469.

[2] Kenneth Gentry, Navigating the Book of Revelation, Fountain Inn 2010, p. 21.

[3] La Sacra Bibbia, op. cit., p. 474.

[4] John Arthur Thomas Robinson, Redating the New Testament, London 1977, p. 250.

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