Vincenzo Vinciguerra: La regola dell’inganno

LA REGOLA DELL’INGANNO

Di Vincenzo Vinciguerra

Come e perché nasce il Movimento sociale italiano?

Nel mese di dicembre del 1946 i plotoni di esecuzione fucilavano ancora fascisti condannati dalle Corti di assise straordinarie ma, miracolosamente, in quel mese si costituisce a Roma un gruppo politico che si richiama alla Repubblica sociale italiana, che ne rivendica addirittura l’eredità ideale, politica, etica, che pochi mesi più tardi si trasformerà in partito politico subito definito, da allora ad oggi, neofascista.

In realtà, come la documentazione storica dimostra, il Movimento sociale italiano nasce nell’ambito di un’operazione politica dell’antifascismo cattolico e finanziario, avallata dai servizi segreti americani.

Duplice l’obbiettivo perseguito da Democrazia cristiana, Vaticano, Confindustria, servizi segreti americani: frenare l’afflusso dei reduci della Repubblica sociale italiana verso i partiti di sinistra, in particolare il Partito comunista italiano, e contribuire alla riunificazione all’interno delle Forze armate che si erano divise fra il Regno del Sud e la Repubblica sociale italiana.

L’antifascismo politico cattolico, quello clericale, quello industriale e finanziario, nonché gli Alleati avevano già, in Italia, un nemico interno rappresentato da Pci: potevano costituire un secondo nemico, questa volta di stampo neofascista?

La storia dice di no.

Come il simbolo del Movimento sociale italiano riproduce quello del Movimento sociale francese da cui trae parte della struttura organizzativa e, soprattutto, la finalità, di origine transalpina è anche la visione politica e storica del partito, che interpreta la costituzione della Repubblica sociale italiana (e i francesi quella della Repubblica di Vichy) con la teoria dello scudo e della spada.

Ovvero, gli italiani non si divisero l’8 settembre 1943 fra Regno del Sud e Repubblica sociale italiana ma rimasero sostanzialmente uniti per fare fronte al nemico tedesco dinanzi al quale si divisero solo formalmente per ragioni tattiche: gli uni combattendo a fianco degli Alleati sotto le insegne sabaude, gli altri frenando e sabotando l’impegno militare germanico sotto i fasci littori di Benito Mussolini.

Nello sforzo di distinguersi dai fascisti, i missini inventano l’esistenza di una “Salò tricolore” contrapposta alla “Salò nera”, facendo confluire nella prima i buoni italiani non ideologicamente schierati che vivono nei territori della Repubblica del Nord, adoperandosi per trovare un accordo con le formazioni partigiane autonome, monarchiche, liberali e democristiane in attesa che la guerra finisca, e relegando i fascisti nello schieramento che identifica il fascismo con l’Italia e si batte a fianco dei tedeschi.

Non a caso nelle sedi del Msi le uniche foto esposte sono quelle di Benito Mussolini, Junio Valerio Borghese e Rodolfo Graziani, gli altri, iniziando da Alessandro Pavolini, segretario del Partito fascista repubblicano, sono rimossi dalla memoria storica dei missini.

E la guerra civile? Colpa esclusiva dei comunisti, che con proditorie uccisioni di esponenti fascisti e attacchi alle truppe tedesche hanno innescato quella spirale di rappresaglie che ha travolto migliaia di italiani.

Il tentativo della dirigenza missina di presentarsi come l’altra faccia della Resistenza, lo “scudo” contro il nemico teutonico, fallisce perché per raccogliere i voti della propria base la deve ingannare fingendosi fascista, coerente con gli ideali della Repubblica dell’onore, ostentando saluti romani e fedeltà parolaia ad un passato che di fatto ha già ripudiato.

Oculata fu, da parte dei burattinai, la scelta dei dirigenti del Msi: Pino Romualdi, a disposizione dei servizi segreti americani fin dal 1944; Biagio Pace, informatore della struttura clandestina dei carabinieri dall’8 settembre 1943 al 6 giugno 1944; Arturo Michelini, che non aveva mai aderito alla Rsi; Augusto De Marsanich, funzionario del Banco di Roma, inviato dalla direzione della banca a Milano, quindi aderente per obbligo alla Rsi; Giorgio Almirante, mai processato per collaborazionismo in forza, evidentemente al decreto dell’agosto 1945 che garantiva l’impunità a coloro che avevano condotto il doppio gioco durante la Repubblica sociale italiana.

Il Movimento sociale italiano non ha mai rappresentato la continuità con il fascismo repubblicano subito tradito da Pino Romualdi, quando nel mese di luglio del 1946, sul giornale dei Fasci di azione rivoluzionaria, finanziati dai servizi segreti americani, dettò la strategia che il futuro partito e le organizzazioni collaterali avrebbero adottato per l’intero dopoguerra: porsi all’avanguardia nella lotta contro il comunismo per riconquistare i favori della borghesia.

Benito Mussolini, nel corso di un ultimo incontro con un giornalista gli aveva detto: “la rovina dell’Italia è stata la sua borghesia” e, sempre lui, aveva invitato i fascisti a confluire, a guerra conclusa, nel Partito socialista di unità proletaria di Pietro Nenni, all’epoca antiborghese, anticapitalista, anticlericale.

Di quale continuità con il fascismo repubblicano parliamo?

Se eredità del fascismo la dirigenza missina ha fatta propria è quella del fascismo “legge e ordine” di Dino Grandi e dei “traditori” del 25 luglio 1943, per i quali il fascismo a quel punto rappresentava la “fazione” da sacrificare per salvare la Nazione.

È giunta l’ora di farla finita con il fascismo e i fascisti che caduti dinanzi al cancello di una villa a Giulino di Mezzegra e sulla piazza di Dongo il 28 aprile 1945, appartengono alla storia e non alla cronaca politica attuale.

Quello che io ho definito tanti anni fa il “polo occulto” della politica italiana ha adottato l’inganno come regola, inganno reso possibile da avversari politici che hanno posto sempre l’accento sulle manifestazioni esteriori e non sulla politica del Msi.

È giunto il momento di denunciare la truffa e presentarli per quelli che sono: borgatari romani di destra che oggi, al governo, fanno l’esatto contrario di quello che avevano promesso nelle campagne elettorali.

Conviene dire la verità anche agli antifascisti perché se ora i fascisti sono al governo vuol dire che loro sono dei falliti che hanno governato per decenni per farsi poi sconfiggere dai loro nemici.

Non è così. Lo sappiamo.

L’antifascismo ha vinto anche con il Msi che, come si è vantato Giulio Caradonna, ha trasformato i giovani giacobini della Rsi in ragazzi di destra.

E destra e fascismo sono contrapposti.

Il compito assegnato dall’antifascismo, nel mese di dicembre del 1946, è stato quindi assolto e il premio alla fine è arrivato.

Oggi i missini si chiamano “Fratelli d’Italia” ma ricordiamoci che anche Caino era un fratello.

 

Opera, 20 febbraio 2023

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