La Babilonia dell’Apocalisse è Gerusalemme, non Roma

Assedio di Gerusalemme (70) - Wikipedia

Chi mi conosce sa quanto stimo mons. Francesco Spadafora: ho letto (e talvolta riletto) quasi tutti i suoi libri e lo considero uno degli esegeti più grandi del Novecento. Su un punto però, il solo peraltro, non me la sento di far mia la sua opinione: quando identifica la Babilonia dell’Apocalisse con Roma[1].

In realtà, mai, ripeto, mai nel corso della sua storia, Roma ha sperimentato una distruzione totale e definitiva come quella che viene descritta nell’Apocalisse (e nella Guerra Giudaica di Flavio Giuseppe). Anche perché, se ci si pone nell’ottica della Provvidenza, Roma, ad un certo punto della sua storia, è diventata cristiana.

E infatti, né negli anni 68-69 del primo secolo, durante le violenze e le devastazioni, pur terribili, susseguenti alla morte di Nerone, né, tantomeno, all’epoca delle invasioni barbariche, in particolare quando Roma venne saccheggiata dai visigoti di Alarico, la città eterna subì un annientamento equiparabile a quello descritto nel Libro Profetico del Nuovo Testamento. Nel caso dei visigoti, S. Agostino fece notare che Alarico diede ordine ai suoi di risparmiare le chiese e coloro che in esse si erano rifugiati. Lo ricorda anche Wikipedia.

Alla catastrofe descritta dall’Apocalisse si attaglia invece perfettamente la distruzione di Gerusalemme e del suo Tempio ad opera dei Romani nel 70 d.C.

Per questo, ritengo che abbiano ragione gli esegeti preteristi (Russell, Terry, Tresmontant, Gentry) a identificare “Babilonia” con Gerusalemme.

A proposito dei preteristi: da quando ho letto alcuni dei loro libri ho incominciato a vedere l’Apocalisse con altri occhi. Nei giorni scorsi, ad esempio, mi è capitato di pensare insistentemente ai versetti 11, 15-17 (grassetti miei):

“E il settimo angelo suonò la tromba. E vi furono voci grandi nel cielo, che dicevano: «È avvenuto il regno sul mondo del Signore nostro e del suo Cristo, e regnerà per i secoli dei secoli». E i ventiquattro anziani seduti davanti a Dio sui loro troni si prostrarono sulle loro facce e adorarono Dio dicendo: «Ti ringraziamo, o Signore Dio, dominatore universale. Colui che è e che era, perché hai preso la potenza tua grande e regnasti…»”.

Almeno apparentemente, si tratta di uno di quei passi oscuri dell’Apocalisse di cui parla S. Agostino. Però il brano in questione diventa molto meno oscuro se lo si legge alla luce dei versetti del vangelo di Marco 8, 38-9, 1 (grassetti miei):

“«Se uno si vergognerà di me e delle mie parole in seno a questa generazione adultera e peccatrice, il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui quando verrà nella gloria di suo Padre con gli angeli santi». E diceva loro: «In verità vi dico: vi sono alcuni tra i qui presenti che non gusteranno la morte prima d’aver visto il regno di Dio venuto con potenza»”.

Marco 9, 1 riguarda chiaramente la fine di Gerusalemme: il regno di Dio è venuto “con potenza” non quando Roma è stata saccheggiata dai barbari ma quando Gerusalemme è stata annichilita dai Romani.

Analogamente, il versetto dell’Apocalisse 1, 7 — “Ecco, viene con le nubi, e lo vedrà ogni occhio e quanti lo hanno trafitto, e gemeranno su di lui tutte le tribù della terra; sì, amen” – che gli escatologisti proiettano indebitamente alla fine del mondo, trova la sua spiegazione naturale come adempimento della promessa-minaccia rivolta da Gesù al sommo sacerdote, quella riportata da Marco nei versetti 14, 61-62:

“Egli però taceva e non rispose nulla. Il sommo sacerdote lo interrogò di nuovo: «Tu sei il Messia, il Figlio del Benedetto?». Gesù disse: «Io lo sono! E vedrete il Figlio dell’uomo sedere a destra della Potenza e venire con le nubi del cielo»”.

L’adempimento di queste parole si ebbe appunto quando i Romani distrussero Gerusalemme e incendiarono il suo Tempio.

Allo stesso modo, l’apertura del sesto sigillo descritta dall’Apocalisse nei versetti 6, 12-17 – dove si menziona il “giorno grande dell’ira” dell’agnello – andrebbe letta alla luce del discorso “escatologico” di Gesù riportato dai vangeli sinottici, quando Gesù parla della “venuta del Figlio dell’uomo”, venuta che secondo Spadafora si riferisce esclusivamente alla fine di Gerusalemme e non alla fine del mondo.

Non a caso, secondo il preterista James Stuart Russell, la chiave per capire l’Apocalisse sta proprio nel discorso “escatologico” di Gesù.

Ma c’è di più. Leggiamo cosa scrive Giovanni nell’Apocalisse nei versetti 6, 7-8:

“E quando aprì il quarto sigillo, udii la voce del quarto vivente che diceva: «Vieni!». E vidi: ed ecco un cavallo verdastro, e il cavaliere ha nome «la Morte»; e l’Ade lo seguiva. E fu dato ad essi potere sulla quarta parte della terra per uccidere di spada, di fame, di peste e mediante le fiere della terra”.

A questo proposito, il preterista Milton Terry fa notare che questi versetti sono una reminiscenza di Ezechiele 14, 21:

“Poiché così dice il Signore Jahve: «Quando, allo stesso modo, scaglierò su Gerusalemme i miei quattro castighi: spada, fame, bestie feroci e peste per sterminare da essa uomini e animali»”.

Chiosa Terry: “L’opera di distruzione per la quale questi personaggi spaventosi [i quattro cavalieri dell’Apocalisse] sono inviati viene attuata mediante la spada, la fame, la peste e le bestie feroci. Questi non sono altro che i “quattro severi giudizi” di Jahve, mediante i quali egli minacciò Gerusalemme attraverso il ministero di Ezechiele”[2].

Quindi, la Babilonia dell’Apocalisse subisce esattamente gli stessi castighi minacciati a suo tempo da Ezechiele contro Gerusalemme. E questa non può essere una semplice coincidenza.

Ma allora, se davvero “Babilonia” è Gerusalemme, se la profezia principale dell’Apocalisse riguarda la sua distruzione, risulta confermato anche l’altro argomento dei preteristi, secondo i quali l’Apocalisse non è stata scritta sotto Domiziano, negli anni Novanta del primo secolo dell’era cristiana, ma circa un trentennio prima, quando era ancora vivo Nerone.

Per ora mi fermo qui, non prima di aver fatto un’ultima considerazione: il preterista Jay Rogers ha scritto che “il preterismo è un’ermeneutica e non una dottrina”[3]. Tale affermazione mi ha ricordato quella del prof. Faurisson quando ha scritto che il revisionismo “è un metodo e non un’ideologia”. Purtroppo, i preteristi sono ignorati dall’industria culturale proprio come i revisionisti ne sono osteggiati.

 

 

[1] DIZIONARIO BIBLICO diretto da Francesco Spadafora, Editrice Studium, Roma 1963, voce “Apocalisse”, p. 36.

[2] Milton Terry, The Apocalypse of John: A Preterist Commentary on the Book of Revelation, Chesnee, South Carolina, 2021, p. 89.

[3] Ivi, p. 299, in: Appendix 3, Why I Am a Preterist.

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