Vincenzo Vinciguerra: L’abbaglio

L’ABBAGLIO

Di Vincenzo Vinciguerra

Lo abbiamo scritto anni fa, forse una decina, in un documento pubblicato su Internet che, purtroppo, non è stato considerato come avrebbe dovuto.

Il 1974 non è stato l’anno del terrore nazi-fascista, con buona pace del Partito comunista sul cui organo di stampa si scomodavano le stragi di Sant’Anna di Stazzema e Marzabotto, ma quella della fase finale di uno scontro durissimo fra centri di potere anche – e non solo – come dirà Paolo Emilio Taviani per “il controllo di Gladio”.

Nell’ambito di questa guerra interna il bersaglio primo è stato Paolo Emilio Taviani, allora ministro degli Interni.

Forse, è giunto il momento di chiedersi a quale centro di potere facessero capo Pino Rauti e Ordine nuovo, perché sul terreno ad agire sono stati proprio gli ordinovisti, gli stessi che Paolo Emilio Taviani aveva preso di mira nel 1973.

Si è creduto, anche in sede giudiziaria e non soltanto storica, che il nemico di Ordine nuovo sia stato il sostituto procuratore della Repubblica di Roma, Vittorio Occorsio, che, come rappresentante della pubblica accusa, aveva chiesto ed ottenuto le condanne a carico di esponenti e militanti di Ordine nuovo nel processo che si era concluso a Roma nel mese di novembre del 1973.

Questa “verità” imposta dagli stessi ordinovisti dopo l’uccisione del magistrato avvenuta a Roma, il 10 luglio 1976, non è altro che una menzogna che ha nascosto sempre le reali motivazioni della sua eliminazione fisica.

La verità è un’altra.

Non era stato il pubblico ministero Vittorio Occorsio a determinare lo scioglimento del Movimento politico Ordine nuovo perché aveva sì chiesto ed ottenuto le condanne ma non era in suo potere mettere fuori legge il Mpon dopo la sentenza di primo grado.

La legge Scelba, difatti, imponeva lo scioglimento di un’organizzazione ritenuta eversiva dopo il passaggio in giudicato della sentenza, cioè dopo che si era pronunciata la Corte di Cassazione.

A compiere un atto di forza contro gli ordinovisti fu il ministro degli Interni, Paolo Emilio Taviani, che subito dopo la sentenza di condanna degli esponenti e dei militanti del Mpon, convinse i suoi colleghi del Consiglio dei ministri ad emettere il decreto di scioglimento del gruppo. Ad un collega che gli chiese “è un atto dovuto?”, Taviani rispose “no, è un atto politico”.

Taviani sapeva che il Movimento politico Ordine nuovo era solo la parte di un centro di potere che egli intendeva colpire e al quale, certamente, attribuiva, fra le altre cose, il progetto di omicidio di Mariano Rumor messo in atto, il 17 maggio 1973, da Gianfranco Bertoli, confidente del Sid, dinanzi alla Questura di Milano.

La prima risposta, sul terreno, a Paolo Emilio Taviani giunge il 30 aprile 1974, con un attentato a Davona contro lo stabile di via Paleocapa, dove risiedeva il senatore democristiano Franco Varaldo, a lui fedelissimo.

Forse, anche la strage di piazza della Loggia a Brescia, fra le sue finalità, aveva quella di dare una risposta al ministro degli Interni da sempre vicinissimo al Movimento sociale italiano e all’estrema destra poi divenuto suo avversario.

Taviani non la prende bene. Scioglie la divisione Affari riservati e manda il prefetto Umberto Federico D’Amato a dirigere la polizia di frontiera, che ha competenza anche sulle stazioni ferroviarie.

È stata abile la regia della strage dell’Italicus del 4 agosto 1974 che vede Giorgio Almirante recarsi dal capo della polizia preannunciando con 15 giorni di anticipo che ci sarà un attentato ad un treno in partenza da Roma.

L’informazione si rivela sostanzialmente esatta. La vigilanza speciale nelle stazioni ferroviarie viene, però, revocata il 2 agosto, e due giorni dopo avviene l’attentato al treno “Italicus” partito dalla stazione Tiburtina di Roma.

Se Umberto Federico D’Amato era stato destituito per non aver evitato la strage di Brescia, per coerenza ora dovrebbero dimettersi il ministro degli Interni, Paolo Emilio Taviani, e il capo della polizia che questa seconda strage non l’avevano evitata benché preavvertiti a tempo.

I due rimangono al loro posto.

Nel mese di novembre del 1974, le trattative per la formazione del nuovo governo si avviano a conclusione e, il 9 novembre 1974, a Savona è compiuto un attentato contro il palazzo della Provincia; il 12 novembre, si verifica un altro attentato ai danni, questa volta, della scuola media “Bartolomeo Guidobono”; il 16 novembre, si cerca la strage con un attentato contro il viadotto dell’Acquabuona evitata per l’intervento di un cittadino che blocca il treno in arrivo a 20 metri dal luogo dell’esplosione; lo stesso giorno, è fatto un attentato a Savona in via dello Sperone, in centro città; il 20 novembre, un ordigno fatto esplodere, alle 17.24, nel vano scale di un edificio in via Giacchero, uccide Fanny Dallari, di 2 anni e ferisce altre 14 persone; il 23 novembre, a Varazze (Savona), è fatta esplodere una Fiat 600 sotto i piloni dell’autostrada, nei pressi di una caserma dei carabinieri e, nel pomeriggio, alle 16.55, viene compiuto un secondo attentato sull’autostrada Torino-Savona.

Lo stesso giorno, a Roma, è formato il nuovo governo presieduto da Aldo Moro.

Non entrano nel governo Paolo Emilio Taviani e Mario Tanassi, mentre per Giulio Andreotti scatta il veto delle Forze armate, mai più revocato, sulla sua permanenza alla guida del ministero della Difesa.

La carriera politica di Mario Tanassi finisce quel giorno e anche quella di Paolo Emilio Taviani, che se ne assume la responsabilità per non aver accettato di passare dagli Interni al Bilancio con l’interim per altri ministeri.

Quale che sia la verità, Aldo Moro ritiene di doverlo escludere dalla guida del ministero degli Interni. E anche per Paolo Emilio Taviani ha termine la vita politica attiva.

La campagna di attentati a Savona si ferma perché non ha più ragione di proseguire.

Il nemico, pertanto, per gli ordinovisti – fra i cui militanti andavano cercati gli esecutori materiali degli attentati a Savona – era Paolo Emilio Taviani, non il giudice Vittorio Occorsio.

Nel mio ricordo personale, la prima critica da me ascoltata nei confronti del magistrato risale all’estate del 1975 quando, a Madrid, Stefano Delle Chiaie mi disse che gli avevano riferito che Occorsio era particolarmente accanito contro il nostro ambiente politico.

Fino a quel giorno non avevo mai ascoltato critiche né, tantomeno, propositi di vendetta nei confronti del magistrato.

Si può, quindi, affermare con ragionevole certezza che il giudice Vittorio Occorsio è stato ucciso per indagini che svolgeva nel 1975, non per aver chiesto ed ottenuto le condanne di esponenti di esponenti e militanti di Ordine nuovo.

Il suo omicidio è stato rivendicato con motivazioni disinformanti per occultare le reali finalità di un’azione che dal mese di novembre del 1973 aveva visto gli ordinovisti e i loro mandanti accanirsi contro il ministro degli Interni, Paolo Emilio Taviani, e mai contro il magistrato.

Lo dicono i fatti.

 

Opera, 20 ottobre 2022.

Paolo Emilio Taviani

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