Corrado Simioni e i segreti dell’ipnotismo

Corrado Simioni con l’abbé Pierre e Giovanni Paolo II

Corrado Simioni, chi era costui? La vita di questo personaggio rimanda alla storia dei cruciali e cruenti anni Settanta, quelli in cui si decise il destino di un’Italia che stava cercando, senza riuscirvi, di allentare i propri vincoli di nazione a sovranità limitata. Secondo alcuni testimoni dell’epoca, Simioni è stato il vero cervello politico delle Brigate rosse: dalla fine del 1974 – anno in cui vengono arrestati Renato Curcio e Alberto Franceschini – fino ai primi anni Ottanta, quando le Br vengono infine smantellate e distrutte. Una distruzione che lascerà illeso proprio Simioni, che continuerà a vivere indisturbato nella sua Francia, dove si era stabilito nel 1976, fino alla morte, avvenuta nel 2008.

La figura di Simioni segna la discontinuità tra le prime Br, quelle “guerrigliere” e sostanzialmente incruente di Curcio e Franceschini, e quelle sanguinarie e atlantiche di Mario Moretti e di Giovanni Senzani. Per questo, per capire questa discontinuità, è necessario ripartire da alcuni post che pubblicai anni fa su questo blog: Il sequestro Sossi: quando le Br non erano ancora atlantiche, e le tre puntate di Come le Br diventarono atlantiche[1].

Nei predetti brani, avevo riprodotto il capitolo 7 del libro Sovranità limitata – Storia dell’eversione atlantica in Italia, pubblicato nel 1991 dai fratelli Antonio e Gianni Cipriani. In esso, tra le altre cose, si parlava di un certo “Rocco”, un ex parà che era riuscito a infiltrarsi nelle Br: esperto di armi ed esplosivi e “perfetto conoscitore della tecnica di sparare alle gambe. Il ritratto del brigatista atlantico”.

Su questo particolare c’è da dire che a partire dal 2004, anno di pubblicazione del libro Che cosa sono le Br, scritto a quattro mani da Giovanni Fasanella e Alberto Franceschini, al misterioso “Rocco” è stato dato finalmente un nome e un cognome: si tratta di Francesco Marra, ed è venuto fuori che costui si infiltrò nelle Br per conto dell’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno[2].

Ma torniamo a Simioni. Come ha notato a suo tempo Fasanella, questo personaggio è una miniera di sorprese. Non sarà inutile ripercorrerne quindi, almeno sommariamente, la biografia. A tale scopo, ho deciso di privilegiare la ricostruzione fornita da Alberto Franceschini. Il perché è presto detto: Franceschini è uno dei pochi brigatisti di rango che non abbia stretto patti, più o meno occulti, con lo Stato ed è uno dei meno coinvolti a livello personale nelle vicende narrate, essendo uscito di scena già nel 1974, quando venne arrestato dagli uomini del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.

Una sintesi della narrazione di Franceschini è disponibile qui.

Corrado Simioni: tra i fondatori delle Brigate rosse

Scrive l’ex pubblico ministero Pietro Calogero, che ha a lungo indagato l’eversione sia di destra che di sinistra, nel suo libro Terrore rosso:

“Approfondendo le indagini sulle origini di Potere Operaio e Autonomia, avevo scoperto contatti tra alcuni esponenti di queste organizzazioni e un gruppo di persone che nel 1969-70 avevano militato nel Collettivo Politico Metropolitano. Nel 1970 il Collettivo si scisse per divergenze sulle modalità di attuazione del processo rivoluzionario: Renato Curcio, Mario Moretti e Alberto Franceschini fondarono le Brigate Rosse, gli altri esponenti del Collettivo, Corrado Simioni, Duccio Berio e Vanni Mulinaris, sparirono”[3].

Un’immagine d’epoca dell’allora pubblico ministero Pietro Calogero

In questa ricostruzione mi sembra che ci siano due inesattezze. La prima è che il Collettivo si scisse. In realtà, il Cpm si sciolse, per decisione comune dei suoi membri, per dare luogo a Sinistra proletaria, che era la facciata legale di quelle che poi si chiameranno le Brigate rosse. Tutto ciò, avvenne nell’agosto 1970 al convegno di Pecorile, vicino Reggio Emilia[4].

E Moretti non è stato tra i fondatori delle Br: era andato via dal Collettivo nella primavera precedente. Se ne era andato per andare a operare nella rete clandestina che Simioni stava costruendo in quei mesi. Questo disse all’epoca Margherita Cagol (la moglie di Renato Curcio) ad Alberto Franceschini. Franceschini descrive Moretti come “un uomo di Simioni”. E Moretti, dopo essersi eclissato, torna nelle Brigate rosse un anno dopo, nel marzo-aprile del 1971.

È interessante anche notare l’interpretazione che nel suo libro Franceschini fornisce del motivo del ritorno di Moretti: era stato Simioni a dirgli di tornare perché aveva bisogno di una quinta colonna dentro l’organizzazione[5].

Dunque c’è stato un periodo brevissimo in cui Simioni ha fatto parte delle Brigate rosse, anche se ancora non si chiamavano così: tra l’agosto e il novembre del 1970. In quel periodo lavorò alla costituzione della rete clandestina, conosciuta tra gli addetti ai lavori come la rete delle “zie rosse”, o Superclan.

Perché si arrivò alla rottura tra il gruppo di Curcio e quello di Simioni?

Afferma Franceschini:

“Il problema è che la struttura clandestina formalmente era dell’organizzazione; ma in realtà era gestita esclusivamente da lui [Simioni], per cui quella era la sua rete, legata indissolubilmente a lui. E noi dovevamo accettare che lui fosse il deus ex machina…Il rapporto era squilibrato: noi eravamo corretti e riferivamo a Corrado tutto quello che facevamo; lui, no”[6].

Inoltre, Simioni propugnava un feroce terrorismo selettivo, a suon di omicidi. Curcio e Franceschini, da questo punto di vista erano molto più blandi: teorizzavano una “propaganda armata” che prendesse a bersaglio i nemici della classe operaia in modo simbolico, senza uccidere.

Di fatto, si trattava di qualche sequestro-lampo di odiati capi del personale delle fabbriche e dell’incendio di qualche garage.

La causa scatenante della rottura fu la comunicazione, avvenuta solo a cose fatte, del fallito attentato all’ambasciata statunitense di Atene del 2 settembre 1970, attentato organizzato da Simioni. Costui, non aveva detto nulla a Curcio e a Franceschini. Lo aveva detto invece, in gran segreto, a Margherita Cagol, alla quale aveva addirittura proposto di prendere parte all’attentato, ingiungendole però di non dire nulla al marito.

In quell’occasione, i due attentatori, tra cui l’italiana Maria Elena Angeloni, morirono per l’esplosione anticipata dell’esplosivo.

La rottura venne formalizzata nell’ottobre-novembre del 1970. In quel periodo, Curcio e Franceschini vollero incontrare Giorgio Pietrostefani e Oreste Scalzone, rappresentanti rispettivamente di Lotta Continua e di Potere Operaio, per metterli in guardia contro Simioni e contro il proposito di quest’ultimo di infiltrare le loro organizzazioni. Curcio arrivò addirittura a definire Simioni come un agente della Cia[7].

Corrado Simioni agente provocatore?

Junio Valerio Borghese

Prima di rompere definitivamente con Curcio e Franceschini, Simioni aveva proposto loro – così racconta Franceschini – di effettuare due attentati: uno ai danni del “principe nero” Junio Valerio Borghese, e un altro ai danni di due generali americani della NATO.

Ma perché coinvolgere le nascenti Brigate rosse in due attentati di questo tipo, che oltretutto avrebbero richiesto una capacità militare assolutamente fuori della portata di soggetti come Curcio e Franceschini? Se Simioni disponeva di killer all’altezza del compito, perché non effettuò questi attentati per conto proprio?

Evidentemente, perché la sua idea era quella di fare in modo che nella testa delle persone, gli uomini della sinistra rivoluzionaria venissero associati al suo cruento “terrorismo selettivo”, tanto è vero che Simioni, a detta di Franceschini, “disse esplicitamente che lo scopo dell’attentato a Borghese doveva essere quello di far ricadere la colpa su Lotta Continua”[8].

Colpire e far ricadere la colpa su un gruppo della sinistra: Il modus operandi tipico di un agente provocatore.

Infiltrare i gruppi rivoluzionari senza essere individuati

“Infiltreremo tutti i gruppi della sinistra per indurli a innalzare il livello dello scontro”: questo disse apertamente Simioni a Franceschini nel 1970.

E così fu: dopo l’arresto di Curcio e Franceschini, avvenuto l’8 settembre 1974, Mario Moretti, uomo di Simioni, si ritrova la strada spianata per gestire a modo suo le Brigate rosse. Con lui ci sono Maurizio Ferrari e Prospero Gallinari, anch’essi provenienti dal Superclan di Simioni.

Nel biennio 1975-76 si verifica l’azzeramento delle vecchie Brigate rosse e inizia il nuovo corso voluto dagli uomini di Simioni, quello degli “anni di piombo” e della violenza sanguinaria che avrà il suo culmine con il sequestro e l’omicidio di Aldo Moro.

Sulle “nuove” Br di Moretti è interessante il parere espresso a suo tempo dal generale Gianadelio Maletti, uno dei capi dei servizi segreti italiani a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta:

“Nell’estate del 1975…avemmo sentore di un tentativo di riorganizzazione e di rilancio…sotto forma di un gruppo ancora più segreto e clandestino, e costituito da persone insospettabili, anche per censo e cultura, e con programmi più cruenti…Questa nuova organizzazione partiva con il proposito esplicito di sparare, anche se non ancora di uccidere…Arruolavano terroristi da tutte le parti, e i mandanti restavano nell’ombra, ma non direi che si potessero definire di sinistra”[9].

Commentano i due giornalisti Antonio e Gianni Cipriani, autori del libro Sovranità limitata:

“Le parole del generale sembravano proprio riferirsi a qualcosa che somiglia come una goccia d’acqua al misterioso e discusso Superclan, la strana struttura che aveva come punto di riferimento la scuola di lingua Hyperion di Parigi”[10]. Superclan e Hyperion, il cui dominus era appunto Corrado Simioni.

Ma Simioni non infiltrò solo le Brigate rosse. Sempre secondo Franceschini, costui infiltrò anche Lotta Continua con altri due suoi seguaci: Diego e Marianto[11].

Non basta. Secondo lo storico Egidio Ceccato era probabilmente una pedina di Simioni anche l’ambiguo Italo Saugo. Saugo, che a detta di Franceschini era “di famiglia fascista”, introduce il delatore Marco Pisetta sia nei Gap (Gruppi di azione partigiana) di Giangiacomo Feltrinelli che nelle Brigate rosse, e presenta l’infiltrato “Gunter” alle Br. Il risultato fu che sia le Brigate rosse che i Gap vennero falcidiati dalle “rivelazioni” di Pisetta. Mentre Feltrinelli morì a Segrate in circostanze che la magistratura si affrettò a definire come “accidentali”.

Riassumendo: Feltrinelli muore, Margherita Cagol muore e Curcio e Franceschini finiscono in galera. Ecco quindi che, tra il 1972 (anno della morte di Feltrinelli) e il 1976 (anno del definitivo arresto di Curcio) finiscono eliminati o fuori gioco tutti i rivoluzionari incompatibili con il terrorismo propugnato da Corrado Simioni.

A questo punto non possiamo omettere di ricordare che lo storico Ceccato è anche arrivato, con argomenti interessanti, a identificare “Gunter” con il neofascista Berardino Andreola. Secondo Ceccato, fu proprio Andreola/Gunter a predisporre la trappola del traliccio di Segrate in cui morì Feltrinelli (manomettendo l’orologio che Feltrinelli avrebbe dovuto utilizzare come timer). Per i particolari della sinistra vicenda rimando al libro di Ceccato pubblicato nel 2018 e intitolato Giangiacomo Feltrinelli. Un omicidio politico. Ma sull’editore milanese torneremo più avanti.

Franceschini riferisce poi una confidenza fattagli da Prospero Gallinari: Simioni aveva una rete di infiltrati anche nei sindacati[12]. Quello stesso Gallinari che, dopo la sua evasione da Treviso nel gennaio del 1977, entra nell’esecutivo delle Br e diventa il braccio destro di Moretti.

Quindi, alla vigilia del sequestro Moro, Simioni aveva, da Parigi – dove si era trasferito nel 1976 – il pieno controllo delle Brigate rosse.

Corrado Simioni nell’opinione di chi lo ha conosciuto (e di chi ha indagato su di lui)

Alberto Franceschini non è stato il solo a nutrire sospetti sulla figura di Simioni e a maturare un’opinione pesantemente negativa nei suoi riguardi.

Due erano le caratteristiche di Simioni che suscitavano sospetti nei suoi interlocutori appartenenti all’area “rivoluzionaria”: le sue amicizie altolocate e la disponibilità di ingenti somme finanziarie, che non si capiva da dove venissero.

Abbiamo visto il giudizio che su di lui espresse Renato Curcio: “un agente della Cia”.

Un’opinione analoga la maturarono anche esponenti di altre due formazioni dell’estrema sinistra: Lotta Continua e ad Avanguardia Operaia.

Il giornalista Silvano De Prospo e l’ex giudice Rosario Priore riferiscono nel loro libro Chi manovrava le Brigate rosse? che queste due formazioni effettuarono delle inchieste sul conto di Simioni. Addirittura, nella casa di Simioni fu effettuata una “perquisizione proletaria” da parte di Lotta Continua: “Si diceva che fosse una persona dal passato ambiguo, legato all’intelligence americana, e che fosse stato addestrato in una base americana in Francia”[13].

Su Corrado Simioni vi sono poi due appunti redatti da militanti di Avanguardia Operaia. Nel primo c’è scritto:

“Nel ’66-67 [Simioni] è leader dei centri Rousseau (centri di educazione laica e progressiva riservata a bambini di famiglie che si possono permettere di pagare rette salate). Ne è anche il finanziatore (non si sa da dove arrivino i soldi)”[14].

Il secondo recita quanto segue: “lavora alla Mondadori. Era un pezzo grosso. A livello di Curcio – esperto, preparato, quarant’anni. NB: espulso come poliziotto, probabilmente è del SID”[15].

Questi due appunti facevano parte dell’archivio di controinformazione di Avanguardia Operaia di Milano rinvenuto nel 1985 in un abbaino di viale Bligny.

Ma la cosa interessante è che sul conto di Simioni giunsero a conclusione analoghe anche esponenti politici dalle vedute molto meno estremistiche: intendo riferirmi ai socialisti milanesi che Simioni frequentava agli inizi degli anni Sessanta. Perché Simioni iniziò la sua carriera politica proprio nel Psi.

A tale riguardo fece scalpore una dichiarazione rilasciata a suo tempo da Bettino Craxi e che lo storico, anche lui socialista, Massimo Pini rievoca nel modo seguente:

“Bettino Craxi, che sapeva di essere nel mirino del terrorismo, aveva lanciato fin dal 1980 l’ipotesi del «grande vecchio»: «Bisognerebbe andare indietro con la memoria, ripensare a quei personaggi che avevano cominciato a fare politica con noi, che avevano mostrato di avere qualità, doti politiche, e che poi all’improvviso sono scomparsi…Ci sarà pure chi invece ha continuato nella clandestinità, magari oggi starà a Parigi, a lavorare per il partito armato…». Sembrava il ritratto di Corrado Simioni, il quale aveva militato, autonomista come Craxi, nella Gioventù Socialista. Trasferitosi a Parigi, Simioni vi aveva fondato l’istituto di lingue Hyperion, considerato dal giudice Carlo Mastelloni il centro ipersegreto del terrorismo”[16].

La sede parigina dell’Hyperion

A tale proposito, bisogna ricordare che Simioni venne espulso dal partito nel 1965 per “indegnità morale”. Non si era mai capito bene che cosa avesse fatto di preciso. Lo ha svelato infine due anni fa Paolo Corallo, figlio di Salvatore Corallo, l’uomo che cacciò Simioni dal partito. Lo ha raccontato al giornalista Giovanni Fasanella che ha riportato la sua storia nel libro Il puzzle Moro:

“La storia è questa. A cavallo tra la fine dei Cinquanta e l’inizio dei Sessanta, all’interno del Psi milanese si era formato un «gruppo socialista strano» che agiva quasi come un corpo separato e di cui faceva parte anche l’«inglese» [Simioni]. Un gruppo analogo, tra l’altro, si era costituito anche all’interno del Psi padovano, su iniziativa di Toni Negri. La cosa puzzava. E nel clima un po’ paranoico dell’epoca, al partito subito pensarono che ci fosse di mezzo un servizio segreto straniero: per credenze popolari, allora non poteva essere che la Cia. Salvatore Corallo voleva vederci chiaro. Sapeva che Simioni era amico di un giovane di belle speranze che si chiamava Bettino Craxi, con cui faceva coppia fissa. Ma, di Bettino, Corallo si fidava ciecamente. Gliene parlò, e lui si offrì di aiutarlo a scoprire che cosa fosse quel «gruppo socialista strano». I sospettati avevano una loro associazione in piazza della Scala. Craxi, con il carattere irruente che già allora ne faceva un politico votato all’azione, preparò il suo piano. Una sera, disse ad alcuni compagni di invitare a cena «quelli della Scala», per tenerli lontano dall’appartamento in cui erano soliti riunirsi. Mentre gli altri gozzovigliavano, lui con un piede di porco forzò la serratura della loro sede incustodita. Entrò, prese tutti i documenti che trovò nei cassetti e li portò a Corallo. Il quale, dopo averli esaminati, giunse alla conclusione che i suoi sospetti erano fondati: Simioni era un «agente della Cia» o, comunque, di servizi segreti anglo-americani. E lo cacciò dal partito, senza spiegarne pubblicamente il vero motivo, per evitare imbarazzi”[17].

Questa non fu l’unica volta che Salvatore Corallo si occupò di Simioni. Quindici anni dopo, nel 1980, Corallo, che nel frattempo era passato dal Partito Socialista al Partito Comunista, ed era diventato senatore, così si espresse in qualità di membro della Commissione Moro quando venne audito il generale Santovito:

“Ogni tanto, viene fuori questo nome [quello di Simioni]. Però, tutte le volte che proviamo a chiedere qualche informazione sul personaggio, risulta che su di esso non si sa nulla. Abbiamo saputo che tramite costui giunsero le fideiussioni all’Hyperion, ma mi permetto di dire che trovo sorprendente che sia la Polizia, che i Carabinieri, che i Servizi, su questo personaggio non abbiano mai approfondito le indagini, benché questo nome risulti fin dagli albori dell’organizzazione delle BR, nel senso che il «Circolo milanese» lo vide tra i suoi soci fondatori e benché il suo nome sia ricomparso in occasione dell’indagine sull’Hyperion. Però, ripeto, non risulta che si sia mai cercato di accertare quale ruolo egli abbia svolto. Le devo dire che la cosa sta diventando talmente sorprendente che sta balenando in me un sospetto: che, in realtà, non l’abbiate mai inquisito perché è un vostro uomo!”[18].

Anche la testimonianza del socialista Silvano Larini, amico e collaboratore di Craxi, resa ai magistrati della Procura di Milano nel marzo 1993 è assai significativa:

“All’università conosco tutti quelli che iniziano a fare politica negli anni Cinquanta: conosco Craxi, i fratelli Spazzali e Corrado Simioni, il quale aveva una serie di capacità che lo rendevano fin da quel periodo un leader carismatico. Ricordo che quando si scoprì che a Parigi l’istituto Hyperion aveva tra i suoi dirigenti anche Corrado Simioni, io, parlando con Craxi, dissi che Simioni era il vero capo delle Brigate rosse”[19].

Su Corrado Simioni si è espresso anche l’ex presidente della Commissione stragi Giovanni Pellegrino:

Io sono convinto che nella biografia di questo personaggio ci sia gran parte della storia oscura delle Brigate rosse. Cosa di cui erano convinti anche il generale Maletti, che era uno dei capi del servizio segreto italiano a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, e il generale Dalla Chiesa… Maletti ha sempre pensato che dopo l’arresto di Curcio e Franceschini, nel 1974, le Br si siano riorganizzate… «sotto forma di un gruppo ancora più segreto e clandestino, e costituito da persone insospettabili, anche per censo e cultura, e con programmi più concreti». Dalla Chiesa, nella sua audizione nella Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Moro, ritenne di poter identificare quel gruppo nell’Hyperion di Parigi”[20].

Ed ecco cosa disse Dalla Chiesa nella sua audizione del febbraio 1982 davanti alla Commissione Moro:

“Il fatto è che non abbiamo molta collaborazione da parte francese e lo ha potuto sperimentare anche il dottor Calogero. […] Il Mulinaris era uno al quale Moretti faceva capo spesso e non solo ad Udine ma anche a Parigi […] per l’Hyperion avremmo bisogno di una collaborazione attiva da parte della gendarmeria francese, degli organi di sicurezza francesi, cosa che non hanno alcuna intenzione di fare”[21]. Secondo Dalla Chiesa, Simioni era “un’intelligenza a monte delle Brigate rosse”[22]. Sulla mancata collaborazione delle autorità francesi con gli inquirenti italiani ritorneremo nel prossimo paragrafo.

Il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa

Vanni Mulinaris era uno dei fedelissimi di Corrado Simioni, prima in Italia nel Superclan e poi a Parigi, nella scuola di lingue Hyperion. Dell’Hyperion, parlarono al giudice Carlo Mastelloni i pentiti delle Brigate rosse Michele Galati e Antonio Savasta. Sull’Hyperion, Mastelloni la pensava come Dalla Chiesa: si trattava del cervello politico delle Brigate rosse.

Moretti, preoccupato dal fatto che il magistrato Pietro Calogero, negli sviluppi della sua inchiesta sul terrorismo rosso, era arrivato all’Hyperion, riferì a Galati che “quelli sono i nostri compagni di riferimento a Parigi”[23].

Quanto a Savasta, Moretti lo mise al corrente del fatto che “esisteva una struttura di coordinamento dell’organizzazione con sede a Parigi…E, infine, gli fece i nomi delle tre persone, «vecchi amici suoi», che coordinavano quella struttura: Corrado Simioni, Duccio Berio e Vanni Mulinaris…Inoltre Moretti gli disse che Hyperion era «direttamente e intrinsecamente» collegato a quella struttura. E che Mulinaris era il responsabile di una rete internazionale di assistenza a diverse organizzazioni di guerriglia, europee e mediorientali, tra cui Raf, Olp, Ira e Eta”[24].

Corrado Simioni e il sequestro Moro

Su questa vicenda cruciale lascio la parola al giudice Carlo Mastelloni che, in una lettera inviata al giornale la Repubblica nel luglio 1991, scrisse:

Due momenti centrali dell’esperienza brigatista sono stati gestiti in modo “separato”, clandestino agli stessi militanti e a molti dirigenti. Si è autorizzati, in via ipotetica, a coerentemente connetterli. Si tratta dei rapporti internazionali e del sequestro Moro. In entrambe le vicende compaiono pochissimi militanti: sempre Mario Moretti, sempre Laura Braghetti e, attraverso essa o direttamente, sempre Prospero Gallinari. E allora non è stravagante ricordare che il Nucleo Storico ha sempre ricondotto una concezione elitaria di tal fatta della lotta rivoluzionaria alla pregressa militanza in quei pochi mesi, nel 1970, di Moretti e Gallinari nel Superclan – struttura che voleva infiltrarsi nelle Br per diventarne la testa – e che diffidenze verso Gallinari e Moretti avevano origine proprio da questo loro passato. Se ci fosse stato, nei pressi o lontano dalla prigione di Moro in via Montalcini, un quarto uomo, magari con una sicurezza strategica superiore, nessuno dell’organizzazione l’avrebbe mai saputo”[25].

Chiosano al riguardo i due giornalisti Antonio e Gianni Cipriani:

“In questa lettera Mastelloni lascerà intendere, per vie deduttive, che il quarto uomo è un esponente del vecchio Superclan, struttura che nel periodo del sequestro Moro era attiva dietro la facciata della scuola Hyperion, il centro parigino indicato in una nota dell’Ucigos, da poco declassificata, come sede della Cia e tra i cui fondatori ci sarebbe padre Felix Morlion, uomo dei servizi segreti internazionali in attività in Italia fin dal 1943”[26].

Un altro utile tassello ci viene fornito dall’ex pubblico ministero Pietro Calogero:

Di molto sospetto c’è ancora da ricordare che in viale Angelico e in via Nicotera a Roma furono aperte, durante i 55 giorni del sequestro Moro, due sedi della stessa scuola di lingue, dove alloggiavano due noti esponenti di essa: Corrado Simioni nella prima e Duccio Berio nella seconda. Ma questa è una scoperta che i miei colleghi fecero più tardi. Rimango convinto che se fosse stato possibile proseguire le indagini avremmo potuto ottenere risultati notevoli. E che la pista sui collegamenti internazionali e sulla presumibile copertura istituzionale (a fini strumentali) del terrorismo rosso fosse buona non era una convinzione solo mia, ma anche dei funzionari di polizia francesi, che avevano lavorato lealmente con De Sena per quasi un anno”[27].

Luigi De Sena era all’epoca il dirigente della Squadra Mobile di Roma con cui aveva collaborato Calogero. Ma sulle protezioni di cui godette Hyperion torneremo nel prossimo paragrafo.

Molto interessante, sempre in relazione al caso Moro, è un’osservazione di Alberto Franceschini:

“Il fatto incredibile è che tutti i brigatisti della generazione morettiana ripetevano la stessa storia, come se avessero mandato a memoria una velina: si preoccupavano di spostare al dopo Moro l’inizio dei rapporti internazionali”[28].

Alberto Franceschini

A quanto pare, la “scuola di lingue” Hyperion non doveva essere accostata in nessun modo all’”affaire” Moro.

Innocente Salvoni, sodale di Simioni all’Hyperion, apparve tra le venti foto dei segnalati dal Ministero degli Interni il giorno dopo l’agguato di via Fani. Antonio e Gianni Cipriani ricordarono che il suo nome comparve anche in un rapporto riservatissimo dei carabinieri, datato 1 aprile 1978:

“Riconosciute da un cameriere del bar tabacchi di via Igea in Roma, due persone, entrate nel locale il mattino del 16 marzo, somiglianti ai noti Bonisoli e Salvoni, le cui foto sono apparse sui quotidiani del giorno dopo”.

Bonisoli, anche per quel riconoscimento, venne rinviato a giudizio; su Salvoni invece nessuna inchiesta. Tra la pubblicazione della foto e la nota riservata dei carabinieri era giunto a Roma d’urgenza l’abbé Pierre, uno dei protettori parigini di Simioni, e aveva avuto un lungo colloquio privato con uno dei segretari di Benigno Zaccagnini, allora segretario della Democrazia Cristiana[29].

Pietro Calogero e l’impossibilità di indagare sull’Hyperion

Calogero nel suo libro sul terrorismo rosso racconta di essersi messo sulle tracce di Simioni e dei suoi uomini e di essersi trovato però di fronte a un muro impenetrabile. All’inizio, il magistrato era rimasto incuriosito dal fatto che – dopo il 1970 – Simioni, Berio e Mulinaris sembravano essere spariti dalla circolazione. Ma diamo la parola a Calogero e seguiamo il filo della sua narrazione:

“Cercai qualche informazione su queste figure di primo piano…sospettando che non avessero abbandonato l’idea della lotta armata ma che avessero solo scelto una strada diversa. Mi trovai però di fronte al buio più completo. Questa totale mancanza di tracce su di loro, come avessero troncato i legami con tutto quel che stava loro intorno, accrebbe i miei sospetti. La svolta avvenne con un colpo di fortuna. In una conversazione casuale con un conoscente mi giunse una traccia: Vanni Mulinaris era a Parigi e aveva un impiego presso la scuola di lingue Hyperion. Cercai di verificare se avesse davvero abbandonato l’idea della lotta armata. Partendo da quella esile traccia diedi incarico a un funzionario di pubblica sicurezza con cui avevo già avuto modo di lavorare a Treviso e di cui mi fidavo completamente, il commissario Luigi De Sena, allora dirigente della Squadra Mobile di Roma, di indagare su Hyperion. Sospettavo che potesse essere un punto di riferimento anche per uomini delle Br e di Autonomia. Riuscii ad ottenere che De Sena venisse accreditato presso i Renseignements généraux, l’omologo francese dell’Ucigos, il dipartimento che già negli anni Settanta si occupava delle operazioni di polizia di prevenzione. Dalle intercettazioni telefoniche sull’utenza Hyperion emerse che la scuola di lingue aveva anche un’altra sede, in una villa alla periferia di Rouen, in Normandia. Però quando De Sena e gli uomini dei Renseignements généraux tentarono di intercettare anche quell’utenza, si trovarono davanti a una cortina di ferro. I telefoni non erano intercettabili, e un triplice anello concentrico di sensori molto sofisticati rendeva impossibile l’avvicinamento alla villa per effettuare intercettazioni ambientali. Era chiaro che Hyperion era la struttura superprotetta di un servizio di informazioni di carattere internazionale, con compiti di supervisione e di controllo su gruppi che praticavano la lotta armata”[30].

A questo punto l’intervistatrice (Silvia Giralucci) chiede a Calogero:

Intende dire la Cia?”. E Calogero risponde:

“Verosimilmente. Era uno scenario nuovo e inaspettato, tanto che i funzionari del Renseignements généraux fecero presente che, per poter proseguire le indagini, era necessario chiedere l’autorizzazione del ministro dell’Interno francese, che era all’oscuro di quella struttura segreta. L’autorizzazione arrivò, e la sede parigina riservò altre sorprese. Le intercettazioni telefoniche permisero di individuare una terza sede di Hyperion a Bruxelles. Una missione di De Sena con i colleghi francesi in Belgio – dove ebbero la collaborazione degli uomini dei servizi segreti – portò a individuare l’esistenza di una quarta scuola di lingue Hyperion, a Londra. Mandai De Sena, assieme al commissario Ansoino Andreassi della Digos della Questura di Roma, a indagare nella capitale britannica. Le notizie in loro possesso erano però scarse, non sapevano neppure l’indirizzo di questa sede londinese di Hyperion. Chiesero aiuto ai colleghi di Scotland Yard, a cui comunicarono acquisizioni e ipotesi investigative. Erano passati appena due giorni dal loro arrivo a Londra quando, verso sera, De Sena mi chiamò molto agitato dall’albergo: rientrando aveva trovato la stanza completamente a soqquadro. Non era stato asportato nulla. Non c’erano dubbi sul fatto che si fosse trattato di un avvertimento dell’ufficio di polizia londinese, che evidentemente non intendeva collaborare. Dissi a De Sena che il rischio era troppo alto, e abbandonammo il troncone britannico dell’indagine[31].

A questo punto l’intervistatrice domanda:

Però restavano gli altri. Come andò a finire?”. Ed ecco la risposta di Calogero:

Appena poche settimane dopo una fuga di notizie, probabilmente orchestrata dai servizi segreti italiani, portò alla fine delle indagini su Hyperion. Accadde che dopo il 7 aprile, al momento di decidere sulla formalizzazione dell’istruttoria, il troncone dell’inchiesta riguardante Autonomia come organizzazione nazionale fu da me trasferito a Roma. E a Roma purtroppo cadde il segreto. Il 24 aprile 1979 il «Corriere della Sera» pubblicò un dettagliato articolo a firma di Paolo Graldi dal titolo Secondo i servizi segreti era a Parigi il quartier generale delle Brigate Rosse. la sera stessa, durante la trasmissione Notturno dall’Italia della Rai, la notizia venne ripresa: si parlava di collegamenti anche in altre città europee e, contestualmente, si faceva il nome di Toni Negri, oltre a quelli di Simioni, Mulinaris e Berio. La fuga di notizie ebbe conseguenze serie. Dopo pochi giorni i colleghi dei Renseignements généraux comunicarono ai funzionari di polizia romani che l’inopportuna fuga di notizie li poneva in forte imbarazzo, per cui interrompevano ogni collaborazione. Poiché un organo di polizia non poteva compiere indagini all’estero se non tramite l’Interpol o in collaborazione con la polizia locale, anche gli uomini della Questura di Roma si videro costretti a sospendere ogni attività”[32].

Da questa descrizione emerge come Simioni e i suoi sodali godessero della protezione dei servizi segreti di almeno tre paesi: Italia, Francia, e Inghilterra.

Ma sugli uomini di Hyperion emerse all’epoca un ulteriore, significativo, dettaglio: alcuni dei collaboratori dell’istituto risultarono impegnati in Italia, a partire dal 1976, nella diffusione di abbonamenti di due riviste: Ordine pubblico e Nuova polizia e riforma dello Stato, e in un secondo momento anche del Bollettino finanziario[33].

Corrado Simioni e Luigi Cavallo: somiglianze e analogie

Leggendo i libri che parlano di Simioni mi sono posto una domanda: c’erano rapporti tra Corrado Simioni e Luigi Cavallo? Perché, curiosamente, entrambi ebbero una loro organizzazione clandestina e supersegreta. Entrambi, Simioni e Cavallo si erano proposti di infiltrare le Brigate rosse con dei propri uomini. Simioni chiamava la sua organizzazione “la Ditta”. E Cavallo chiamava la sua organizzazione allo stesso modo: “la Ditta”.

Ma esaminiamo più da vicino le somiglianze tra i due personaggi.

Luigi Cavallo fu uno stretto collaboratore di un anticomunista fanatico e bellicoso come Edgardo Sogno. A Cavallo dedicò a suo tempo un libro Alberto Papuzzi, libro che aveva l’eloquente titolo de “Il provocatore”.

Cavallo negli anni Cinquanta raccoglieva questionari al fine di schedare militanti di sinistra[34].

Ma anche Simioni, quando ancora non aveva rotto con Curcio e Franceschini, all’epoca delle “zie rosse”, schedava i propri militanti, i quali erano tenuti a compilare delle schede biografiche[35].

Cavallo, verso la fine degli anni Sessanta, s’infiltrò in varie organizzazioni della sinistra extraparlamentare[36].

E, come abbiamo visto, anche Simioni si infiltrò in varie organizzazioni della sinistra extraparlamentare.

Cavallo, in un documento stilato nel 1969, dichiarava di progettare un organismo che “sarà organizzato e retto in base ai principi della più stretta clandestinità (compartimenti stagni, ecc.) e non potrà mai in alcun modo, coinvolgere responsabilità dirette o indirette della Ditta”[37].

Ma anche i membri del Superclan di Simioni osservavano una rigida compartimentazione e la massima segretezza (e chiamavano l’organizzazione “la Ditta”, così come chiameranno “La Ditta” i membri delle Brigate rosse guidate da Mario Moretti)[38].

I rapporti di Cavallo con le Brigate rosse finirono nel mirino dei magistrati. Il libro di De Prospo e Priore ci ragguaglia sul fatto che nel 1977 i magistrati milanesi Alessandrini e Lombardi aprirono un’istruttoria in merito:

In particolare, alcuni volantini di rivendicazione rilasciati dalle BR sarebbero risultati, agli occhi dei giudici milanesi, identici ad alcuni scritti di Cavallo…Sempre secondo i giudici milanesi, l’organizzazione di Cavallo avrebbe avuto a disposizione un campo di addestramento di duecentomila metri quadrati in Liguria, a Deiva Marina, per la formazione di uomini da infiltrare nelle BR”[39].

E abbiamo visto come anche Simioni riuscì a infiltrare nelle Brigate rosse almeno tre suoi uomini: Moretti, Ferrari e Gallinari.

L’organizzazione Pace e Libertà, alla cui fondazione negli anni Cinquanta partecipò anche Luigi Cavallo, era finanziata dall’USIS (United States Information Service) e dalla CIA[40].

Ma anche Simioni, subito dopo essere stato espulso dal Psi, collaborò con l’USIS[41]. L’ex partigiano Luciano Della Mea, proprio a proposito di questo, ricorda: “Mi disse che faceva l’insegnante, che era fuori della politica e che si occupava di certi campi, non so se di vacanze o educativi, i cui criteri di gestione e forse di finanziamento erano americani. C’era di mezzo l’USIS”[42].

E, quanto alla CIA, abbiamo visto come una nota dell’Ucigos considerasse l’Hyperion una sua emanazione.

Luigi Cavallo, secondo Giovanni Fasanella, era molto legato al “giro socialista” di piazza della Scala[43].

E abbiamo visto che Simioni fu espulso dal partito proprio per aver capeggiato quel gruppo.

Ma non basta:

“In Germania, Cavallo seguiva anche le attività di un’emittente radiofonica finanziata dai servizi anglo-americani, Radio Free Europe, con sede a Monaco di Baviera.

E proprio lì andò a lavorare per qualche tempo Corrado Simioni, subito dopo l’espulsione dal Psi e prima del suo rientro a Milano per fondare «Superclan» e Brigate rosse”[44].

Ufficialmente, Cavallo e Simioni non hanno mai avuto rapporti. Eppure, mi sembra molto difficile sostenere che non si siano conosciuti. In ogni caso, tutto quello che è emerso, di questi due personaggi, sembra ricondurre a un terzo personaggio. L’anticomunista fanatico menzionato in precedenza: Edgardo Sogno.

Ulteriori coincidenze inquietanti

Dal libro, più volte citato, di De Prospo e Priore, apprendiamo che nella primavera del 1970 Simioni organizzò un incontro tra Margherita Cagol e Roberto Dotti, il quale lavorava alla Martini e Rossi ed era il direttore della Terrazza Martini di Milano:

“Simioni in quell’occasione disse a Mara: ‘Se c’è bisogno di soldi, di aiuto o per qualunque problema, per qualsiasi urgente necessità, lui è un nostro importante punto di riferimento, ti devi rivolgere a lui’”[45].

Ed era a questo Dotti che la Cagol consegnò i questionari compilati dagli aspiranti brigatisti[46].

Quello che la Cagol ancora non sapeva (lo avrebbe scoperto qualche anno più tardi insieme ad Alberto Franceschini) è che Dotti era un amico di Edgardo Sogno. Più precisamente, era un dirigente dell’organizzazione anticomunista Pace e Libertà, capeggiata da Edgardo Sogno e Luigi Cavallo.

Edgardo Sogno con Reagan

Ma Roberto Dotti non era il solo legame di Simioni che portava a Sogno. Nel settembre del 1970, una riunione del direttivo di “Sinistra Proletaria” ebbe luogo in Liguria, a casa di Savina Longhi, che venne presentata da Simioni a Curcio e a Franceschini come “ex segretaria di Manlio Brosio alla NATO” e come “sua segretaria personale”[47].

Apprendiamo inoltre, dal libro di De Prospo e di Priore, che Savina Longhi “era stata a Parigi già nel 1967 come collaboratrice di Brosio, all’epoca console d’Italia, e già allora era munita di un NOS (Nulla osta di sicurezza) di elevato grado nell’ambito del segretariato della NATO, che le dava accesso a materiale, informazioni e documenti segreti o riservati[48].

Manlio Brosio fu segretario generale della NATO dal 1964 al 1971. Ed era amico di Edgardo Sogno, il quale proprio nel 1970, all’epoca in cui Margherita Cagol conobbe Dotti, stava organizzando i suoi Comitati di Resistenza Democratica (CRD) che “rientravano in un suo progetto di attività anticomunista da realizzarsi su due piani: uno ufficiale, classicamente propagandistico, con giornali, manifesti e convegni che avevano la funzione di attaccare il PCI da destra; un altro occulto, che avrebbe portato un attacco al partito da sinistra”[49].

Un altro particolare significativo riguardante Simioni e il livello elitario e atlantico delle sue conoscenze concerne il manuale sull’uso degli esplosivi e delle armi preparato all’epoca dalle Brigate rosse. Questo manuale venne consegnato agli inizi del 1972 ai responsabili dell’addestramento dei nuovi militanti. Il manuale era stato ricalcato su un altro manuale, predisposto dalla NATO e in dotazione alle forze armate. Secondo i fratelli Cipriani, era stato introdotto nelle Br circa un anno prima della sua diffusione dal “superclandestino” Corrado Simioni, che aveva sostenuto di esserne riuscito a venirne in possesso tramite il suo giro di amicizie[50].

Quindi, secondo i Cipriani, Simioni aveva introdotto il manuale nelle Brigate rosse un anno prima che venisse diffuso nelle forze armate! Del materiale fornito da Simioni i brigatisti si limitarono a fare un riassunto.

Tutto fa pensare, a proposito di personaggi come Simioni (e come Cavallo, e come Sogno), al lato oscuro dell’alleanza atlantica, a quell’organizzazione supersegreta (e anticomunista) di cui aveva già parlato nel 1974 un esponente della Rosa dei venti come Roberto Cavallaro. Costui, il 17 ottobre di quell’anno la descrisse così:

“Una struttura…il cui scopo è di impedire turbative alle istituzioni. Quando queste turbative si diffondono nel paese (disordini, tensioni sindacali, violenze e così via) l’’organizzazione’ si mette in moto per creare la possibilità di stabilire l’ordine. È successo questo: che se le turbative non si verificavano, esse venivano create ad arte dall’”organizzazione” attraverso tutti quegli organismi di estrema destra (ma guardi ce ne sono anche di estrema sinistra) ora sotto processo nel quadro delle inchieste sulle così dette trame nere”[51].

Organismi di estrema destra e di estrema sinistra con il compito quindi di destabilizzare l’ordine pubblico per stabilizzare l’ordine politico: come non pensare a Simioni e ai suoi appelli ai capi brigatisti per “alzare il livello dello scontro”?

E come non pensare alla “struttura” di cui venne a conoscenza il generale dei carabinieri Nicolò Bozzo mentre indagava sulle Brigate rosse all’indomani della morte di Aldo Moro? Quella struttura che gli venne descritta da un vecchio capo partigiano della Brigata Garibaldi, e la cui origine risaliva all’ultima fase della guerra partigiana, che non si era mai sciolta e che ancora negli anni Settanta era operante dietro il terrorismo rosso e nero[52].

Un’ulteriore, inquietante, coincidenza è poi quella che accomuna l’attentato del 1970 all’ambasciata americana di Atene (organizzato da Simioni) al tentato attentato al traliccio di Segrate in cui perse la vita Giangiacomo Feltrinelli: a quanto pare, questi sono gli unici due attentati nella storia del terrorismo in cui sono stati utilizzati come timer orologi della marca Lucerne[53].

In questi due attentati, tutte e tre le vittime furono gli attentatori, che morirono per lo scoppio anticipato dell’esplosivo.

Corrado Simioni, l’ombra di Feltrinelli

Un qualche sospetto sulla stranezza di questo particolare sembra esser venuto a suo tempo all’ex presidente della Commissione stragi Giovanni Pellegrino:

“Fu Corrado Simioni a organizzare l’attentato di Atene, lo disse lui stesso a Curcio e a Franceschini. E Simioni conosceva molto bene anche Feltrinelli. Con questo non voglio dire che, se Atene e Segrate erano delitti camuffati da incidenti, l’assassino è Simioni. Non voglio neppure sfiorare un’ipotesi del genere, non avendo alcun elemento serio su cui fondarla”[54].

Giovanni Pellegrino

Eppure un elemento ci sarebbe, per “sfiorare un’ipotesi del genere”: cosa dicevano i latini? Cui prodest: a chi giova? A chi giovò la morte di Feltrinelli?

Secondo lo storico Egidio Ceccato, nel suo libro su Feltrinelli, giovò a chi aveva tutto l’interesse a stornare l’attenzione dell’opinione pubblica dalle trame nere che all’epoca stavano emergendo dalle inchieste giudiziarie.

Ma c’è qualcuno in particolare che ebbe un beneficio a livello personale dalla morte dell’editore milanese e questo qualcuno è proprio Corrado Simioni. Con questo, non voglio dire neppure io che sia Simioni l’assassino ma certamente costui fu il principale beneficiario di quella morte.

Il perché è presto detto: Feltrinelli era il referente per i rapporti internazionali delle nascenti Brigate rosse. Morto lui, e finiti fuori gioco Curcio e Franceschini, il referente divenne Simioni.

E non fu un cambio da poco, perché Simioni riorientò quei rapporti – che con Feltrinelli avevano avuto come punto di riferimento principale i paesi del blocco socialista – in senso occidentale e atlantico.

Da questo punto di vista non sarà inutile una breve disamina delle due personalità di cui stiamo parlando.

Entrambi, Feltrinelli e Simioni, erano individui contraddistinti da una cultura superiore.

Entrambi lavoravano nel mondo dell’editoria.

Per Feltrinelli, parla il livello, davvero notevole, della sua casa editrice (livello progressivamente scemato dopo la sua morte) e della Fondazione Feltrinelli: ricordiamo qui, tra le tante pubblicazioni, due romanzi epocali come Il dottor Zivago e Il Gattopardo.

Simioni, da parte sua, curò per Mondadori alcune edizioni delle opere di Luigi Pirandello e di Giovanni Verga.

Entrambi avevano relazioni internazionali di alto livello.

Entrambi avevano un sacco di soldi.

Ed entrambi operavano nell’area della sinistra extraparlamentare.

Però tra di loro, umanamente e politicamente, c’era un abisso.

Su Feltrinelli, è incisiva la descrizione che ne fornisce Alberto Franceschini:

“Poteva fare tutto quello che voleva, Feltrinelli non veniva a raccontarcelo. Lui era fatto così. Stava al centro di tutto, e non aveva obblighi informativi. Semplicemente, noi dovevamo fidarci di lui. Perché lui aveva i soldi, lui aveva le relazioni, lui sapeva le cose che noi non sapevamo. Questo era il suo atteggiamento. Mai detto esplicitamente, ma questo era il suo atteggiamento”[55].

Però, nonostante questo (o forse anche per questo, essendo Feltrinelli un personaggio affascinante) tra lui e Curcio e Franceschini nacque un’amicizia. Perché Feltrinelli era “un rivoluzionario sincero” e di lui i compagni si potevano fidare:

“Eravamo sicuri che non avrebbe mai tentato di utilizzarci per un altro fine che non fosse la rivoluzione”[56].

Proprio quella fiducia che invece Simioni non riusciva a trasmettere, per lo meno a Franceschini.

Da come lo descrive Franceschini, Simioni si comportava come un manipolatore seriale di persone e di situazioni.

E anche dal punto di vista politico la differenza tra Feltrinelli e Simioni non poteva essere più grande. Il primo era legato al “campo socialista” (“diceva che non saremmo mai riusciti a fare la rivoluzione senza un’alleanza con l’Est”[57]) mentre Simioni lavorava per lo schieramento opposto. Illuminante in proposito è la puntualizzazione di Gianni Cipriani, secondo cui i rapporti tra le Brigate rosse di Moretti e l’OLP (l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina) “attraverso agenti doppi o strutture come Hyperion, venivano gestiti a favore di Israele e degli Stati Uniti”[58].

Tra due “agenti di influenza” come Feltrinelli e Simioni, uno era di troppo.

Il cadavere di Feltrinelli a Segrate

Corrado Simioni e i segreti dell’ipnotismo

Secondo Giovanni Fasanella, Simioni è una miniera di sorprese. Una di queste sorprese ritiene di averla scoperta il sottoscritto.

Ma prima di riferirne è necessario tornare ancora una volta ad Alberto Franceschini e a quanto gli disse a suo tempo Prospero Gallinari:

“Prospero mi disse che Simioni aveva una rete di infiltrati anche nei sindacati. Disse che le «zie rosse» avevano cambiato nome, che tra loro si chiamavano «la ditta» e avevano cominciato a praticare l’amore collettivo. Mi spiegò in cosa consisteva. In pratica, Simioni aveva il potere di formare le coppie e di dividerle, per ricomporle diversamente. Mi venne in mente il famoso questionario, e pensai che l’amore collettivo fosse un altro degli strumenti attraverso il quale lui esercitava un controllo assoluto sui militanti: capii che «la ditta» in realtà era una setta, dove entravi ma non potevi più uscirne”[59].

Franceschini aggiunge poi sull’argomento:

“La caratteristica del gruppo di Simioni è proprio la longevità delle relazioni nate al suo interno. Aspetto che, del resto, ha incuriosito moltissimo proprio gli inquirenti italiani che si sono recati in Francia e diversi magistrati. È infatti una rete di almeno una trentina di persone che sono state insieme per anni, vivendo i loro rapporti sempre all’interno dello stesso gruppo, quasi come una setta”[60].

I fedelissimi di Simioni erano dunque una setta? E come fece il capo della setta a rendere inossidabile questa rete di rapporti? Forse, azzardo, anche con la pratica dell’ipnotismo?

Ecco infatti cosa ho scoperto: nel 1964, un anno prima di essere espulso dal Partito Socialista per indegnità morale, Simioni scrisse – edito da un fantomatico “Centro Von Tobel” di Sondrio – un libro intitolato I segreti dell’ipnotismo.

Si tratta di un libro di 204 pagine che esamina il tema trattato da un punto di vista sistematico e scientifico. Il libro è diviso in tre parti (e in un’appendice):

  1. LA VITA PSICHICA IN GENERALE
  2. DALLA TEORIA ALLA PRATICA IPNOTICA
  3. LE APPLICAZIONI DELL’IPNOSI.

Particolarmente interessante mi è sembrata la terza parte, contraddistinta dai seguenti capitoli:

  • L’ipnosi applicata alla medicina
  • L’ipnosi, la psicanalisi e la vita sessuale
  • L’ipnosi da spettacolo e da esibizione
  • I crimini ipnotici. L’ipnotismo e la legge
  • L’ipnosi e la salute.

Ho cercato di leggere il libro senza pregiudizi, e senza farmi oltremodo influenzare dall’opinione, negativa anche da parte mia, che ho maturato su Simioni, e l’impressione che ne ho ricavato è che si tratta di un libro che denota una conoscenza profonda dell’argomento. Certo, almeno un passaggio inquietante l’ho trovato, ed è il seguente (tratto dal capitolo “I crimini ipnotici”):

“Da quanto è stato detto, appare chiaro al lettore come la questione «se sia possibile imporre a un soggetto ipnotizzato di compiere un’azione criminale» è estremamente complessa e di difficile soluzione. In linea di massima l’ipnotizzatore non è in grado di trasmettere suggestioni che urtino contemporaneamente contro il super io, la coscienza e l’inconscio; se però egli riuscisse a eludere la barriera mentale del super io, e trovasse nell’inconscio del paziente elementi corrispondenti alle sue rappresentazioni, nulla potrebbe impedirgli di raggiungere il suo scopo. Da ciò derivano particolari problemi giuridici e morali intorno alla responsabilità di quelle azioni criminali”[61].

Dopo aver letto un libro del genere alla luce di quanto è emerso sul suo autore nel corso degli ultimi decenni, l’immagine complessiva che emerge di Simioni è persino più inquietante: il fatto che fosse un esperto di ipnotismo di certo non contrasta con il suo essere stato “un agente della CIA”.

 

[1] Come le Br diventarono atlantiche I: https://www.andreacarancini.it/2011/02/come-le-br-diventarono-atlantiche-i/;

Come le Br diventarono atlantiche II: https://www.andreacarancini.it/2011/02/come-le-br-diventarono-atlantiche-ii/ ;

Come le Br diventarono atlantiche III: https://www.andreacarancini.it/2011/02/come-le-br-diventarono-atlantiche-iii/

[2] Giovanni Fasanella, Alberto Franceschini, Che cosa sono le Br – Le radici, la nascita, la storia, il presente, Milano 2007, pp. 134-137.

[3] Pietro Calogero, Carlo Fumian, Michele Sartori, Terrore rosso – Dall’autonomia al partito armato, Laterza, Roma-Bari 2010, p. 149.

[4] Giovanni Fasanella, Alberto Franceschini, op. cit., p. 57.

[5] Ivi, p. 101.

[6] Ivi, pp. 67-70.

[7] Ivi, p. 74.

[8] Ivi, pp. 71-72.

[9] Antonio Cipriani, Gianni Cipriani, Sovranità limitata – Storia dell’eversione atlantica in Italia, pp. 212-213.

[10] Ivi, p. 213.

[11] Giovanni Fasanella e Alberto Franceschini, op. cit., p. 77.

[12] Ivi, p. 127.

[13] Silvano De Prospo e Rosario Priore, Chi manovrava le Brigate rosse?, Ponte alle Grazie, Milano 2011, p. 62.

[14] Ivi, p. 85.

[15] Ivi, p. 276.

[16] Massimo Pini, Craxi – Una vita, un’era politica, Mondadori, Milano 2007, p. 375.

[17] Giovanni Fasanella, Il puzzle Moro, Chiarelettere, Milano 2018, pp. 136-137.

[18] Silvano De Prospo e Rosario Priore, op. cit., p. 154.

[19] Giovanni Fasanella e Alberto Franceschini, op. cit., p. 224 (nota 6).

[20] Giovanni Fasanella e Giovanni Pellegrino, La guerra civile, BUR, Milano 2005, p. 81.

[21] Silvano De Prospo e Rosario Priore, op. cit., p. 172.

[22] Vedi il giudizio dello storico Federico Imperato riportato nell’articolo di Repubblica, disponibile in rete all’indirizzo: https://www.repubblica.it/cronaca/2016/10/27/news/caso_moro_il_bierre_franceschini_moretti_una_spia_riduttivo_si_sentiva_lenin_-150728012/?ref=HREC1-22

[23] Giovanni Fasanella e Alberto Franceschini, op. cit., pp. 164-165.

[24] Ivi, p. 166.

[25] Antonio e Gianni Cipriani, op. cit., pp. 284-285.

[26] Ivi, p. 285.

[27] Pietro Calogero, Carlo Fumian, Michele Sartori, op. cit., p. 152.

[28] Giovanni Fasanella e Alberto Franceschini, op. cit., p. 168.

[29] Antonio e Gianni Cipriani, op. cit., p. 299.

[30] Pietro Calogero, Carlo Fumian, Michele Sartori, op. cit., pp. 149-150.

[31] Ivi, pp. 150-151.

[32] Ivi, pp. 151-152.

[33] Silvano De Prospo e Rosario Priore, op. cit., p. 145.

[34] Ivi, pp. 78-79.

[35] Giovanni Fasanella e Alberto Franceschini, op. cit., p. 147.

[36] Silvano De Prospo e Rosario Priore, op. cit., p. 79.

[37] Ibidem.

[38] Ivi, p. 89.

[39] Ivi, pp. 81-82.

[40] Ivi, pp. 73-74.

[41] Antonio Cipriani e Gianni Cipriani, op. cit., p. 255.

[42] Silvano De Prospo e Rosario Priore, op. cit., p. 85.

[43] Giovanni Fasanella, Il puzzle Moro, p. 137.

[44] Ivi, p. 138.

[45] Silvano De Prospo e Rosario Priore, op. cit., p. 39.

[46] Ivi, pp. 46-47.

[47] Giovanni Fasanella e Alberto Franceschini, op. cit., pp. 68-69.

[48] Silvano De Prospo e Rosario Priore, op. cit., p. 140.

[49] Ivi, pp. 39-40.

[50] Antonio e Gianni Cipriani, op. cit., pp. 206-207.

[51] Ivi, p. 167.

[52] Giovanni Fasanella, Il golpe inglese, Chiarelettere, Milano 2011, p. 245.

[53] Giovanni Fasanella e Alberto Franceschini, op. cit., p. 215 (nota 2).

[54] Giovanni Fasanella e Giovanni Pellegrino, op. cit., p. 73.

 

[55] Giovanni Fasanella e Alberto Franceschini, op. cit., p. 97.

[56] Ivi, p. 96.

[57] Ivi. P. 93.

[58] Silvano De Prospo e Rosario Priore, op. cit., p. 153.

[59] Giovanni Fasanella e Alberto Franceschini, op. cit., p. 127

[60] Ivi, p. 185.

[61] Corrado Simioni, I segreti dell’ipnotismo, Sondrio 1964, p. 186.

2 Comments
    • ANGELO
    • 19 Gennaio 2022

    L insonnia a volte porta i suoi frutti.
    Questa volte mi ha portato a leggere questo stupendo articolo di cui ti ringrazio.
    Sono pagine di Storia che devono essere conosciute.

    Grazie
    Angelo

    Rispondi
    • Giuseppe M
    • 7 Dicembre 2022

    Buona giornata,
    mi trovai per caso il libro su una bancarella e lo comprai senza associarlo all’autore.
    Ci arrivai dopo a capire chi fosse ed ad associarlo al resto.
    Mi sono interessato solo in seguito al delitto Moro, colpisce chiunque ascoltare, Moretti, Fiore, e gli altri nelle varie interviste, tutti pronti a rivendicare con le stesse medesime frasi le loro responsabilità ma quando si tratta di ricostruire le azioni di quel giorno, divagano.
    Le versioni sullo scontro a fuoco e l’annichilimento della scorta variano di volta in volta, come su tutte le altre circostanze che dalla fuga, alla prigione del popolo ecc ecc
    Sembra l’uovo di Colombo, ci spiegherebbe perché Oswald spari a Kenendy, e a sua volta Jack Ruby a lui.
    Giustificheremmo la morte di Lennon e di Robert Kennedy.
    Mi ritrovo a pensare che forse sia un pochino troppo facile….

    Rispondi

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