Vincenzo Vinciguerra: Gaza brucia

GAZA BRUCIA

Di Vincenzo Vinciguerra

Abbiamo documentato nel libro “Il conflitto mediorientale dalle origini ad oggi”, scritto in condizioni difficili in questa casa chiusa di Opera, con prefazione della storica Stefania Limiti, la storia del genocidio e della diaspora del popolo palestinese ad opera degli ebrei, decisi a far rivivere, ad ogni costo e con tutti i mezzi, il sogno messianico della rinascita del Regno d’Israele con Gerusalemme capitale e la ricostruzione del Tempio.

L’attacco portato dagli uomini di Hamas ad Israele il 7 ottobre 2023 non si proponeva la distruzione dello Stato d’Israele ma voleva essere la risposta, sanguinosa ed indiscriminata, a decenni di oppressione israeliana e di massacri compiuti dall’esercito israeliano a Gaza e in Cisgiordania.

Specializzati nel compimento dei cosiddetti “omicidi mirati”, finalizzati ad uccidere i loro nemici uno alla volta ma, in realtà, piccoli massacri perché i loro missili – oltre a colpire i loro obbiettivi – uccidevano quanti gli stavano attorno, donne e bambini compresi, questa volta il governo israeliano ha deciso di procedere ad uno sterminio di massa perché consapevole che Hamas non è un’organizzazione terroristica ma l’intero popolo palestinese che in essa riconosce la propria aspirazione alla libertà e alla vita.

Sicuro dell’inerzia e della viltà dei Paesi arabi, il governo israeliano ha dato inizio alla sistematica distruzione di Gaza massacrando fino ad oggi almeno 24 mila palestinesi, in grande maggioranza donne e bambini, ai quali si aggiungono migliaia e migliaia di mutilati e invalidi.

È, quella israeliana, un’operazione di pulizia etnica portata avanti in maniera scientifica casa per casa, ospedale per ospedale, scuola per scuola perché non è Hamas che vogliono annientare ma il popolo di Palestina perché non osi più ribellarsi, non chieda mai più libertà ed indipendenza ma convenga che è meglio andarsene lontano dalle bombe israeliane, dai suoi missili, dai suoi cecchini capaci di uccidere una madre che cammina tenendo per mano il figlio.

Per la prima volta dalla sua fondazione nel mese di maggio del 1948, lo Stato israeliano compare come imputato di genocidio dinanzi alla Corte internazionale di giustizia su denuncia del Sudafrica, nel tentativo di fermare quella che non è una guerra ma un massacro di innocenti a Gaza.

Non crediamo – sia chiaro – che uno strumento creato dagli Stati Uniti per giudicare e condannare i propri nemici, come la Corte di giustizia, oserà emettere un verdetto di colpevolezza nei confronti di Israele ma è già significativo che vi compaia come imputato con la terribile accusa di genocidio nei confronti del popolo palestinese.

È una svolta storica, epocale, perché la denuncia del Sudafrica infrange una volta per sempre lo scudo della Shoah con il quale Israele ha giustificato ogni proprio crimine in Medio Oriente e che pesa come un macigno sui popoli europei, in particolare su quelli italiano e tedesco, ricattati per un passato che appartiene alla storia e di cui non si può parlare criticamente per non rischiare l’accusa di antisemitismo e, addirittura, di finire in carcere.

Questo passato che valore può avere oggi, dinanzi ai cadaveri di diecimila bambini palestinesi uccisi dagli israeliani a Gaza?

Una domanda per la quale attendiamo una risposta da tutti coloro che si apprestano a commemorare per oltre un mese la Shoah, come avviene agli inizi di ogni anno.

Forse pensano di poterla usare ancora come un’arma contro coloro che osano criticare la politica genocida di Israele in Palestina, come hanno sempre fatto dal 1948 in avanti.

I magliari della politica italiana fingono di credere – e tentano di far credere – che la critica nei confronti dello Stato di Israele sia un attacco all’intero mondo ebraico, ma non è così.

La condanna della politica omicida del governo israeliano non si estende agli ebrei del mondo, neanche a tutti quelli residenti nello Stato di Israele, molti dei quali anch’essi critici nei confronti dei loro dirigenti.

Gaza brucia ma fra le sue fiamme perisce, una volta per sempre, l’immagine che Israele ha sempre offerto di sé stesso, quella di uno Stato aggredito, perennemente obbligato a difendersi, quando è storicamente certo che è sempre stato l’aggressore, da sempre proteso a conquistare i territori palestinesi usando la forza militare e il terrore.

Gaza brucia ma la sua immagine si sovrappone a quella di Auschwitz ed il suo inferno a quello dei campi di concentramento tedeschi, che ormai vivono nella memoria solo in virtù di una propaganda che ormai ha perso la sua efficacia.

Oggi c’è Gaza, i suoi morti, le sue donne, i suoi bambini, quella madre uccisa senza pietà e senza ragione mentre camminava tenendo per mano il piccolo figlio.

È, questa madre, il simbolo stesso di Gaza e del popolo di Palestina che nessuna storia del passato potrà mai più cancellare.

 

Opera, 13 gennaio 2024

 

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