Thomas Kues: Resoconti testimoniali di ex prigionieri di Sobibor, parte 3

RESOCONTI TESTIMONIALI DI EX PRIGIONIERI DI SOBIBOR, PARTE 3

Di Thomas Kues, 2008

In questa terza parte della mia serie di articoli sui resoconti testimoniali lasciati dagli ex prigionieri ebrei del presunto “campo di puro sterminio di Sobibór, discuterò le affermazioni fatte da quattro dei testimoni meno conosciuti: Ada Lichtman, suo marito Itzhak Lichtman, Harold Werner, e Chaim Trager.

Ada Lichtman

Ada (o Eda) Lichtman fu chiamata a testimoniare al processo Eichmann. Davanti alla corte di Gerusalemme, ella raccontò gli eventi che condussero alla sua deportazione a Sobibór. Alla fine della sessione, le venne detto che sarebbe stata richiamata quando sarebbe venuto il momento di ascoltare i testimoni dei campi di sterminio. Tuttavia, Lichtman non venne mai richiamata a testimoniare. Ella rilasciò una testimonianza al processo Sobibór di Hagen che ella in seguito ampliò. Questo resoconto è stato reso disponibile in rete (d’ora in avanti definito come testo Nizkor)[1]. Un altro testo, un po’ più breve, a volte abbastanza simile da essere giudicato una variante del primo, può essere trovato nell’antologia di resoconti testimoniali di ex detenuti di Sobibór di Miriam Novitch.

Prima di essere deportata a Sobibór, Ada trascorse qualche mese nel ghetto di Dubienka. Se dobbiamo credere a quello che la testimone ci dice, i soldati della Wehrmacht posti in questa città erano almeno altrettanto ingegnosamente sadici verso gli ebrei delle SS nei “campi della morte”:

Non eravamo solo massacrati per piacere. La macchina propagandistica della Wehrmacht, volendo filmare la distruzione di un accampamento di partigiani, costrinse giovani ebrei ad assumere il ruolo di combattenti della Resistenza. La videocamera prendeva immagini del valoroso esercito tedesco. Ma le pallottole erano reali…[2]

Ci piacerebbe sapere cosa accadde a questo film. Sta forse a raccogliere la polvere da qualche parte insieme alla mitica foto degli ebrei decapitati nel Lager III di Sobibór menzionata da Dov Freiberg (cf. la parte 2)?

Dopo essere stata trasferita nel ghetto di Hrubieszow, Ada Lichtman venne inviata a Sobibór. La data non viene fornita in nessuno dei due testi. Yitzhak Arad elenca tre trasporti da Hrubieszow a Sobibór, il primo consistente di 3.049 persone il 1 giugno 1942; il secondo consistente di 500 persone il 7-9 giugno dello stesso anno; e il terzo di 2.000 persone il 28 ottobre 1942[3]. Poiché il secondo trasporto fu probabilmente effettuato con camion, e poiché Ada descrive di essere stata portata al campo su un treno, questa data può essere esclusa. Nel testo Nizkor la testimone descrive il suo trasporto consistente di non meno di 8.000 anime, da cui lei e due altre donne vennero selezionate per il lavoro di lavanderia. Yitzhak Arad, che cita quella che sembra essere la stessa versione della testimonianza di Lichtman come il testo Nizkor, identifica la data di arrivo di Lichtman come 2 giugno 1942[4].

La testimone dettaglia abbondantemente il modo in cui ogni ufficiale delle SS presuntivamente uccideva i nuovi arrivi al campo. Tra le altre cose, ci viene detto che Hubert Gomerski “godeva nel colpire i deportati con una tavola munita di chiodi” (!). Viene anche asserito che Paul Groth in un’occasione ordinò ai detenuti di portarlo in giro su una sedia mentre egli lasciava cadere sulle loro teste pezzi di carta che bruciavano[5]. Il testo Nizkor descrive un prigioniero chiamato Sztark frustato a morte da quattro uomini delle SS per aver lasciato morire un’oca. Un altro tipico episodio recita:

Ricordo anche due prigionieri che portavano una barella con una giovane donna che aveva le doglie. Dopo pochi minuti, sentimmo il pianto di un neonato. Il SS Wagner era presente, e ordinò alla guardia ucraina di gettare il bambino nelle latrine. La madre fu portata al campo n°3. Alcuni giorni dopo, il corpo del neonato galleggiava nel canale di scolo, in mezzo agli escrementi[6].

Ci viene anche detto che Erich Bauer “sovrintendeva alle esecuzioni da una finestra sul tetto delle camere a gas”[7]. L’idea che l’uomo delle SS che sovrintendeva alle gasazioni dovesse arrampicarsi in cima all’edificio e guardasse le vittime attraverso una finestra di osservazione collocata sul tetto si trova in diversi altri resoconti testimoniali, come quello di Moshe Bahir (discusso nella prima parte di questa serie).

Diversi testimoni menzionano l’improvvisata pista di atterraggio per un piccolo aereo che venne presuntivamente costruita per la (presunta) visita di Himmler a Sobibór durante l’inverno del 1943, e cioè, nel febbraio o nel marzo di quell’anno. Ada Lichtman tuttavia sembra essere il solo testimone che ha descritto la pista di atterraggio nei dettagli. Secondo il testo Nizkor, la pista venne costruita collocando lunghe assi sopra una striscia di sabbia spianata che era stata portata al campo con dei camion. Poi, la testimone descrive la morbosa gasazione dimostrativa presuntivamente effettuata per il Reichsführer:

Il giorno prima della visita, un gruppo di giovani uomini e donne venne portato al campo. Erano stati selezionati da uno dei trasporti. I tedeschi rinchiudevano chiunque nel campo nelle baracche sotto chiave. Il comandante del campo e gli ufficiali delle SS Johann Niemann, Gustav Franz Wagner e altri accolsero l’ospite illustre e il suo entourage e offrirono loro un giro guidato del Lager I e del Lager II. Poi andarono nel Lager III. Ai giovani detenuti venne ordinato di radersi e poi vennero portati nel Lager III, alle camere a gas. Himmler e i membri del suo entourage seguirono da vicino le uccisioni e l’incenerimento dei corpi di coloro che erano stati uccisi. Apprendemmo tutto ciò dall’unità delle guardie ucraine.

Se d’altro canto dobbiamo credere ai testimoni Dov Freiberg, Hershel Zukerman, e Moshe Bahir, le vittime di questa speciale gasazione furono tutte giovani donne, e non furono selezionate da nessun trasporto al campo – secondo Freiberg, esse furono appositamente portate lì dal campo di Trawniki[8].

Itzhak Lichtman

Itzhak e Ada Lichtman

Itzhak Lichtman è il marito di Ada Lichtman, che egli incontrò durante la sua permanenza a Sobibór. Itzhak venne deportato a Sobibór da Zolkiewka il 22 maggio 1942. Novitch ci fornisce un breve resoconto di Itzhak, in cui leggiamo:

Concepimmo uno strano piano: Shaul Fleishhacker, io e alcuni altri scrivemmo su pezzi di carta: “Questo è un campo della morte; rivoltiamoci”. Trasmettemmo il messaggio ai prigionieri appena arrivati dalla Germania. La reazione non fu quella che ci aspettavamo. Alcuni lessero la nota e la misero in tasca; altri la strapparono; un anziano gridò che era una provocazione. Dovemmo abbandonare il nostro progetto[9].

Dato che le cremazioni all’aperto a Sobibór presuntivamente vennero cominciate già nell’estate del 1942 (Cf. la parte 1), sembra davvero strano che nessuno dei nuovi arrivati avesse prestato attenzione agli avvertimenti con la puzza dei cadaveri che bruciavano nelle loro narici, e che Lichtman e i suoi compagni avessero così facilmente abbandonato il loro progetto.

Itzhak naturalmente ha la sua storia di malvagità nazista da raccontare, con più di un accenno al “Divino Marchese”:

In un convoglio olandese, i nazisti scelsero un’infermiera ospedaliera, la signora Heidi, insieme a suo marito, suo figlio e sua figlia, ma essi mandarono il marito e il figlio nel campo n°3. La donna singhiozzava. “Piangi perché tuo marito ti ha lasciato?”, ridevano i nazisti. Essi portarono un prigioniero cecoslovacco di mezza età e dissero loro: “Siete marito e moglie”. Poi li costrinsero a dormire insieme[10].

Harold Werner (Hershel Zimmermann)

L’ebreo polacco Harold Werner, nato Hershel Zimmermann, non venne mai imprigionato a Sobibór. La sua presunta esperienza del campo consiste nell’averlo osservato da una certa distanza come membro di una locale formazione partigiana, come pure nell’aver parlato con dei sopravvissuti della rivolta dei prigionieri di Sobibór. Prima di aver avuto la possibilità di osservare il campo in prima persona, a Werner e agli altri partigiani venne riferito del “campo della morte” da simpatizzanti locali dell’Armia Ludowa:

Ci venne detto che il campo era sorvegliato da una combinazione di tedeschi delle SS e di guardie ucraine e lettoni, che ammontavano almeno a trecento/quattrocento soldati. Ci venne anche detto che c’erano tre linee di reti metalliche elettrificate attorno al campo, e tre linee di mine all’esterno delle reti intorno al perimetro del campo[11].

Dopo aver condiviso questa informazione, Werner e alcuni altri partigiani avvicinarono il campo al calar della notte:

Dopo l’imbrunire, ci avvicinammo al campo poiché pensavamo di poterlo fare senza essere scoperti dalle guardie del campo. Il campo era circondato da una grande foresta, ma potenti luci dal campo scandagliavano il limitare dei boschi. Da una certa distanza, potevamo vedere le fiamme eruttare dagli alti fumaioli dei crematori. Vedemmo che era impossibile per noi attaccare questo campo[12].

I “fumaioli” menzionati qui sono molto interessanti. In somiglianza con Bełżec e Treblinka, si sostiene che le vittime a Sobibór venissero bruciate all’aria aperta su “griglie”, non in un crematorio con fumaioli. È noto che due camini, che facevano parte di una cucina, erano ubicati in una zona delle SS ai confini dell’area del campo, ma una foto della zona rimanente, presa probabilmente nel 1944, mostra che erano bassi e piuttosto inosservabili[13]. A giudicare da varie descrizioni e mappe redatte da storici sterminazionisti, Sobibór non aveva altri edifici con annessi fumaioli.

Alla fine del 1943, Werner e la sua formazione partigiana incontrarono alcuni sopravvissuti della rivolta dei prigionieri:

Alcune settimane più tardi, ci spostammo nel vicino villaggio di Wyryki. Scoprimmo dal nostro contatto lì che i detenuti del campo della morte di Sobibor si erano appena rivoltati[14].

I partigiani e tre sopravvissuti – un ebreo bielorusso chiamato Boris, Wladek da Varsavia e un uomo di origine incerta chiamato Leon con il soprannome di “Atleta”[15] – si incontrarono in una fattoria dove gli ex prigionieri si nascondevano. A Werner e agli altri vennero raccontati gli orrori del campo:

Alla brigata della piattaforma era proibito di parlare con i nuovi arrivati, sotto minaccia di pena di morte da parte delle SS. Nondimeno, alcuni di loro accennavano con la testa in direzione dei crematori, i cui fumaioli eruttavano costantemente le ceneri annerite dei corpi bruciati, cercando di mostrare ai nuovi arrivati cosa stava succedendo[16].

Ancora questi presuntivamente non esistenti fumaioli dei crematori! Ritornerò su questa questione quando esaminerò un altro testimone misterioso, Chaim Trager (vedi il seguente paragrafo). Il motivo delle guardie o dei prigionieri che indicano o accennano col capo nella direzione dei camini del crematorio si trova spesso nelle narrazioni di Auschwitz. Il resoconto della storia che Werner ha (presuntivamente) ascoltato dai fuggitivi continua:

Nella stanza d’aspetto, ai nuovi arrivati veniva detto di spogliarsi, gli uomini separati dalle donne e dai bambini, e di mettere i vestiti in pacchi. […] Dopo, agli ebrei veniva detto di andare nei bagni con doccia. Veniva detto loro che quando sarebbero usciti avrebbero riavuto il loro fagotto di vestiti[17].

L’autore di questo articolo non è riuscito a trovare il dettaglio dei pacchi per i vestiti in nessun’altra testimonianza. Poi segue la descrizione di una gasazione:

Una volta dentro i “bagni con doccia” le porte venivano chiuse e il gas velenoso veniva lasciato cadere nelle camere. Dopo diversi minuti di agonia e di grida gli occupanti erano morti. I loro corpi venivano quindi trasportati con un carro dai detenuti nei crematori per essere bruciati in grandi forni[18].

La descrizione del gas velenoso che veniva “lasciato cadere” nelle camere sembra indicare che venisse usato lo Zyklon B, un’affermazione che compare in una testimonianza scritta dell’ex detenuto di Sobibór Stanislaw Szmajzner ma che non è confermata da nessun altro testimone o storico. Così c’è la possibilità che Werner – che scrisse il suo resoconto tra il 1980 e il 1989 secondo la prefazione dello storico ebreo inglese Martin Gilbert – non abbia ascoltato davvero questa descrizione, ma piuttosto l’abbia inventata avendo Auschwitz come modello delle presunte gasazioni. Data la copertura assai scarsa dedicata nei giornali e su altri media ai campi Reinhardt, è del tutto possibile che Werner abbia creduto che questi campi fossero delle semplici copie carbone del molto più conosciuto “campo della morte” di Auschwitz.

Chaim Trager

Il ricercatore ebreo olandese di Sobibór, Jules Schelvis, si pronuncia nel modo seguente su un ex detenuto piuttosto oscuro chiamato Chaim Trager:

Egli [Trager] affermò di avere visto tutto ciò che succedeva nel Lager 3 mentre costruiva un camino su un tetto in quella parte del campo[19].

Questa è in realtà un’affermazione sensazionale, come verrà dimostrato sotto. Schelvis, che peraltro è meticoloso quando si tratta di fornire delle note, manca di fornire ai propri lettori un riferimento per questa affermazione.

È stato più volte sottolineato da vari testimoni come pure dai cronisti ortodossi della storia di Sobibór che i prigionieri nel Lager III (il “campo della morte” vero e proprio) venivano tenuti strettamente isolati dagli altri detenuti, che ai detenuti nelle altre parti del campo veniva impedito di osservare o di prendere contatto con il Lager III, che i prigionieri portati a lavorare dentro il “campo della morte vero e proprio” non tornarono mai da quella parte del campo o fuggirono da esso. Questo significa che il tranquillo ritorno di Trager dal Lager III avrebbe provocato un certo scalpore tra i detenuti dei Lager I e II. È anche certo che gli sarebbe stato chiesto dal movimento clandestino del campo di raccontare le sue osservazioni. Questa testimonianza oculare si sarebbe quindi diffusa tra i non così numerosi detenuti, sostituendo in parte o in tutto le precedenti dicerie. Se la storiografia ortodossa fosse davvero corretta, Trager avrebbe detto loro come l’edificio di gasazione appariva dall’esterno, con le sei porte di uscita e le rampe di legno all’esterno di esse. Egli sarebbe stato in grado di descrivere le installazioni di cremazione, come pure le altre strutture in quella parte del campo. Ma anni dopo la guerra, la maggior parte dei testimoni ebrei di Sobibór che descrivevano ciò che avevano sentito sulle camere a gas (o, nel caso di Biskubicz, ciò che affermò di avere visto) ancora credevano alla diceria secondo cui le vittime dopo la gasazione cadevano attraverso pavimenti apribili e in carretti che aspettavano sotto. Come è possibile? Vengono in mente le seguenti spiegazioni:

  1. Trager non visitò mai il Lager III e tirò fuori la storia dopo la guerra.
  2. Trager visitò il Lager III ma al suo ritorno inventò una storia conforme alle dicerie diffuse in precedenza nel campo.
  3. Trager vide davvero le camere a gas, le griglie, ecc. come presunte dagli storici sterminazionisti, ma al suo ritorno gli altri detenuti o non gli chiesero cosa aveva visto oppure, quando glielo disse, preferirono credere a quello che le dicerie avevano detto delle camere a gas.
  4. Trager vide qualcosa che non si poteva conciliare con le dicerie sulle camere a gas – come i deportati che lasciavano le “camere a gas” vivi e che venivano condotti via su un altro treno – e al suo ritorno venne ignorato o criticato dai suoi compagni di prigionia. Dopo la guerra, egli scrisse o (1) un falso resoconto conforme alla storiografia ortodossa, o (2) un resoconto più o meno vero, più o meno incongruo con la narrazione ufficiale di Sobibór, che è stato poi deliberatamente ignorato (o addirittura messo a tacere) dagli storici – il che può essere la ragione del perché Schelvis evita di fornire un riferimento.

Miriam Novitch scrive il nome del testimone come Haim Treger e riproduce una testimonianza molto breve in cui il tempo di Trager come prigioniero al campo viene descritto in sole sette righe:

Paragonata a Sobibor, la nostra vita precedente nel ghetto era un paradiso. Dovemmo costruire un panificio, perché le SS volevano il loro pane cotto sul posto. La mia sola speranza era di vendicarmi un giorno.

La rivolta salvò più delle nostre vite; ci dette fiducia in noi stessi. Noi ebrei, il popolo più infelice del mondo, avevamo decapitato gli assassini di bambini. Avevamo ficcato pallottole nella sporca pelle di quei sadici[20].

Potrebbe essere che il camino menzionato da Schelvis fosse in realtà il camino del panificio delle SS? Ogni mappa di Sobibór mostrerà che la zona delle SS con la cucina e il panificio era ubicata nell’angolo sudorientale dell’area del campo, mentre il Lager III era nell’angolo nordoccidentale, nascosto dietro grandi aree boschive. La distanza tra il panificio delle SS e il Lager III era almeno di 300 metri. Non sembra molto probabile che Trager avrebbe potuto dare un’occhiata alla presunta area dello sterminio. È possibile che il panificio dei detenuti fosse parimenti fornito di un camino, ma questo edificio era distante almeno 250 metri dal Lager 3, rendendo parimenti improbabile una veduta da lì del Lager III.

 

Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: https://codoh.com/library/document/645/?lang=en

 

 

 

 

 

 

[1] http://www.zchor.org/testimonies/lichtman.htm

[2] Novitch, p. 54

[3] Arad, p. 391.

[4] Ivi, p. 114.

[5] Novitch, p. 57.

[6] Ivi, p. 55.

[7] Ivi, p. 56.

[8] Ivi, pp. 108, 154-155; Freiberg, To Survive Sobibor, Gefen Books, Lynbrook (NY) 2007, p. 270. Moshe Bahir, peraltro, afferma che egli due giorni dopo la visita ascoltò per caso una conversazione tra le SS Beckmann e Bredow durante la quale uno di loro disse che la visita di Himmler “venne concepita per segnare il completamento del primo milione di ebrei distrutti a Sobibor” (Cf. Novitch, p. 156). Poiché il cosiddetto Telegramma Höfle documenta che solo 101.370 ebrei erano stati deportati a Sobibor fino alla fine del dicembre 1942, ne consegue che non è possibile che 1 milione di ebrei siano stati uccisi nel febbraio o nel marzo dell’anno seguente. La “conversazione udita per caso” si rivela così un altro chiodo nella bara della credibilità di Bahir.

[9] Novitch, p. 84.

[10] Ivi, p. 83-84.

[11] Werner, p. 171.

[12] Ivi, p. 171.

[13] Foto dalla collezione di Michael Tregenza mostrata all’indirizzo: http://www.deathcamps.org/sobibor/pic/p10.jpg

[14] Werner, p. 172.

[15] Secondo Werner, tutti e tre sopravvissero alla guerra e in seguito si stabilirono in Israele; ivi, p. 173.

[16] Ivi, p. 174.

 

[17] Ibidem.

[18] Ibidem.

[19] Jules Schelvis, Sobibor. A History of a Nazi Death Camp, Berg Publishers/United States Holocaust Memorial Museum, Oxford 2006, p. 238.

[20] Novitch, p. 117.

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