Spadafora, Robinson, Tresmontant e Carmignac a difesa della storicità dei Vangeli

Nel 1976, l’esegeta anglicano John Arthur Thomas Robinson scrisse un libro epocale intitolato Redating the New Testament, “Ridatare il Nuovo Testamento”, in cui sosteneva che non vi sono ragioni davvero cogenti per datare i libri del Nuovo Testamento dopo il 70 d.C. In realtà, a quanto pare, tutti i libri del canone neotestamentario sono stati scritti prima dell’anno 70 che, ricordiamolo, segna la presa e la distruzione di Gerusalemme e del suo tempio da parte delle truppe romane.

In questo post vorrei ricordare brevemente cosa dicono i Vangeli sinottici sulla famosa profezia di Gesù riguardante la predetta distruzione. Nel Vangelo secondo Matteo, cap. 24, leggiamo:

“Quando dunque vedrete l’abominio della desolazione, di cui ha parlato il profeta Daniele, installata nel luogo santo – chi legge comprenda – allora coloro i quali sono nella Giudea fuggano sui monti”.

Nel Vangelo secondo Marco, cap. 13, leggiamo:

“Quando vedrete l’abominio della desolazione installato dove non dovrebbe – chi legge comprenda – allora quelli che sono nella Giudea fuggano ai monti”.

Nel Vangelo secondo Luca, cap. 21, leggiamo:

“Quando poi vedrete Gerusalemme circondata da armate, allora sappiate che la sua devastazione è giunta. Allora quelli che sono nella Giudea fuggano sui monti e quelli che sono dentro la città se ne vadano…”.

Gli esegeti razionalisti e neo-modernisti considerano quella di Gesù una profezia “ex eventu” (dall’evento), nel senso che questi sarebbero versetti scritti dopo la devastazione del 70 d.C., e adattati agli eventi di quell’anno per ragioni apologetiche, per far sembrare Gesù il profeta che non poteva essere (giacché razionalisti e neo-modernisti non credono né alle profezie né alla divinità di Gesù).

In realtà, i versetti in questione non furono affatto adattati agli eventi dell’anno 70: sappiamo infatti da Eusebio di Cesarea che i cristiani che abitavano a Gerusalemme fuggirono dalla città prima dell’inizio della guerra giudaica contro i romani. Non aspettarono né “l’abominio della desolazione” (la profanazione del tempio effettuata dagli zeloti) né che Gerusalemme fosse “circondata da armate” (quelle dei romani che strinsero d’assedio la città).

I cristiani fuggitivi non fuggirono “ai monti” ma si rifugiarono a Pella, una città greca della Decapoli, che si trova sotto il livello del mare sul lato orientale della valle del Giordano.

Nel suo libro, Robinson nota il fatto che i Vangeli e gli altri scritti del Nuovo Testamento non nominano mai la distruzione di Gerusalemme e del suo tempio come un evento ormai passato. Il capitolo II del libro in questione (“Il significato del 70”) esordisce infatti così:

“Uno dei fatti più strani del Nuovo Testamento è che quello che in ogni esposizione dovrebbe apparire come il singolo evento più databile e culminante del periodo – la caduta di Gerusalemme nel 70, e con essa il crollo del giudaismo istituzionale basato sul tempio – non è mai, neppure una volta, menzionato come un fatto passato. È, naturalmente, predetto; e queste predizioni sono, almeno in alcuni casi, considerate come scritte (o redatte) dopo l’evento. Ma il silenzio è nondimeno significativo come il silenzio per Sherlock Holmes del cane che non abbaiava”[1].

Nel prosieguo del suo libro, Robinson mette a confronto (nel capitolo X, intitolato “Un poscritto post-apostolico”), le Apocalissi ebraiche scritte dopo il 70 con l’Apocalisse di Giovanni. A un certo punto, cita anche l’Apocalisse di Esdra riportandone un passo. Riporto a seguire il passo in questione perché mi sembra oltremodo significativo:

“Tu vedi, infatti, come il nostro santuario sia stato reso deserto, il nostro altare demolito, il nostro tempio distrutto; il nostro salterio annientato, i nostri inni ridotti al silenzio, la nostra esultanza dissolta; la luce del nostro candelabro estinta, l’arca della nostra alleanza spogliata; le nostre cose sacre contaminate, e il nome che è invocato sopra di noi profanato; i nostri (uomini) liberi oltraggiati, i nostri sacerdoti arsi, i nostri leviti andati via prigionieri; le nostre vergini svergognate, le nostre mogli violentate; i nostri giusti rapiti; i nostri piccoli consegnati, i nostri giovani resi schiavi, i nostri forti resi deboli. Ma quel che è più di tutto, vedi come il sigillo di Sion sia ora annullato della sua gloria, e consegnato nelle mani di coloro che ci odiano”[2].

L’Apocalisse di Esdra è stato datato alla fine del primo secolo dopo Cristo. Robinson ha riportato questo passaggio per sottolineare il contrasto lampante con gli scritti del Nuovo Testamento: sono proprio passi come questo, che descrivono la catastrofe del 70, a essere assenti nei testi neotestamentari. Se questi ultimi risalissero davvero alla stessa epoca dell’Apocalisse di Esdra, come asseverano razionalisti e modernisti, non è credibile che non avrebbero riflesso nulla del genere.

Il libro di Robinson, pur apprezzato da svariati studiosi, è stato ignorato dall’industria culturale mainstream: in Italia non è mai stato pubblicato. Il sottoscritto ne ha curato una traduzione 3 anni fa ma non ha trovato nessuna casa editrice, cattolica o non cattolica, disposta a pubblicarlo.

Molti anni fa, il libro in questione venne pubblicamente elogiato da Mons. Francesco Spadafora, che è stato il più grande esegeta italiano del secondo dopoguerra. Spadafora lo lodò, unitamente agli scritti di altri due grandi esegeti: Jean Carmignac e Claude Tresmontant. Robinson, Carmignac e Tresmontant si sono battuti infatti, con dovizia di argomenti, per sostenere una datazione “alta” degli scritti neotestamentari, contro il pattuglione degli esegeti neo-modernisti, che relegano tali scritti tra la fine del primo secolo e il secondo secolo.

Spadafora recensì le opere di questi tre illustri studiosi nel 1986, sulle colonne di Palestra del clero:

“Studi recentissimi confermano scientificamente l’autenticità e la storicità dei Vangeli riconfermate solennemente dal Concilio…C’è al riguardo una geniale, importante trilogia (segue la recensione di Redating the New Testament, di Le Christ hébreu, di Claude Tresmontant, e di La Naissance des Évangiles Synoptiques, di Jean Carmignac).

Concludo questo post con la seguente considerazione: Spadafora, Robinson, Carmignac e Tresmontant vanno considerati come gli ultimi grandi esegeti del Novecento. Costoro, però, sono accomunati non solo dal fatto di essersi spesi per difendere la storicità dei Vangeli ma anche da un altro aspetto, passato finora inosservato: sia Spadafora[3], che Robinson[4], che Carmignac, che Tresmontant[5] hanno privilegiato un’interpretazione non escatologica dell’Apocalisse.

Mi viene in mente questo perché da qualche settimana il quindicinale cattolico SÌ SÌ NO NO sta pubblicando una serie di articoli sull’Apocalisse (“L’Apocalisse riassunta e accessibile a tutti”) che si basano pesantemente sul mito dell’anticristo escatologico: ora, fu proprio Mons. Spadafora, nel suo Dizionario Biblico, a scrivere che “Appare pertanto non fondato sui testi biblici, il tema dell’anticristo escatologico, cioè di un individuo (prevalentemente gli antichi, e B. Rigaux tra i moderni) o di un insieme di persone (F. M. Allo, D. Buzy, i moderni), che deve precedere immediatamente il ritorno fisico di Gesù alla fine del mondo”[6].

Il fatto che i quattro predetti illustri esegeti (e non solo loro, basti pensare allo stesso Giuseppe Ricciotti[7]) abbiano percorso una strada diversa rispetto a quella scelta dall’articolista di SÌ SÌ NO NO, vorrà pur dir qualcosa.

 

[1] John, Arthur Thomas Robinson, Redating the New Testament, London 1977, p. 13.

[2] https://mikeplato.myblog.it/2017/08/27/iv-libro-di-ezra/

[3] Francesco Spadafora, Dizionario Biblico, Roma 1963, voce “Apocalisse”, pp. 35-41

[4] John Arthur Thomas Robinson, op. cit., cap. VIII, “The Book of Revelation”, pp. 221-254.

[5] Tresmontant ha dedicato due libri all’Apocalisse: Apocalypse de Jean (Paris, 1984) e Enquête sur l’Apocalypse (Paris, 1994).

[6] Francesco Spadafora, op. cit., voce “Anticristo”, pp. 32-34.

[7] Vedi l’edizione della Bibbia curata da Ricciotti (Salani 1991), in cui l’illustre esegeta, a p. 1761, scrive: “Di questo misterioso libro alcuni tratti si possono interpretare con approssimativa precisione e certezza; ma la serie generale, e specialmente i riferimenti cronologici, rimangono arcani ancora oggi come per i Padri e gli antichi scrittori cristiani, che li hanno interpretati in maniere diverse”.

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