Un dibattito sul revisionismo dell’Olocausto

Un dibattito sul revisionismo dell’Olocausto

L’ultimo articolo di Carlo Mattogno pubblicato su questo blog (https://www.andreacarancini.it/2009/03/carlo-mattogno-su-alcuni-olo/ ) ha suscitato alcune interessanti reazioni che pubblico qui sotto a seguire.

Il primo a intervenire è stato il noto saggista cattolico Luigi Copertino (http://www.ilcerchio.it/ilcerchio/spaghetticons.htm ), il quale mi ha inviato il seguente intervento:

Caro Andrea,
condivido, come sai, e non da ora, il fatto che l'”olocausto” sia una teologia civile e quindi condivido le conclusioni, sulla “religio holocaustica”, dell’articolo di Mattogno che mi hai mandato. Però ti faccio notare una cosa: se accetti l’affermazione di Mattogno, che sul piano storiografico fa metodo ma non in senso esclusivo, per la quale il documento scritto prevale sempre e comunque sulla testimonianza orale, devi spiegarmi come fai a criticare Cardini quando, da storico, ha ricordato che le fonti scritte su Gesù Cristo sono poche e di parte cristiana. Come ti ho già detto Cardini da cristiano non separa affatto il Cristo della storia da quello della Fede, ma da storico, facendo il suo mestiere, evidenzia la scarsezza di fonti scritte extracristiane. Cosa che, poi, per un cristiano non è affatto decisiva proprio in quanto la nostra fede è, appunto e soprattutto, fiducia, benché suffragata anche da riscontri obiettivi che tuttavia non soddisfano il moderno metodo storico, nella testimonianza degli Apostoli. Del resto tutto nel mondo è basato in gran parte sulla “fiducia”: non si dice oggi che la crisi economica globale è stata causata da un crollo di fiducia conseguente ad un abuso della pubblica fede in certi titoli-spazzatura? Lo stesso Cardini, ti faccio notare, ha detto che non si deve mai assolutizzare troppo la metodologia storica. Per tornare alla questione dell’inattendibilità a priori delle testimonianze, dico solo che se dovessimo assolutizzare il metodo Mattogno, che poi è lo stesso di Faurrison [sic], ossia assoluta prevalenza del documento sulla testimonianza e presunzione, fino a prova contraria, di sospetto su ogni testimonianza, credo che della storicità di Cristo e dell’attendibilità degli Apostoli, e dunque dei Vangeli che ne raccolgono la predicazione orale, rimarrebbe ben poco. Forse sarebbe anche il caso di ricordare che le radici della sfiducia a priori nelle testimonianze sono da ricercare nella polemica tardomedioevale di Occam contro gli “universalia” e il realismo gnoseologico della scolastica, cui egli opponeva il nominalismo ossia l’affermazione che la realtà sarebbe nient’altro che la sensazione intellettiva o empirica che il soggetto avrebbe di essa. Di qui poi l’idealismo che riduce la realtà all’io pensante. Ma poste queste premesse filosofiche l’esito è il soggettivismo dal quale deriva inevitabilmente la sfiducia in quel che ciascun soggetto possa dire o affermare perché tutto quel che dice, afferma o, appunto, testimonia è fatto risalire al suo soggettivistico, e per definizione mai realistico, approccio al mondo, che così viene ad essere nient’altro che il prodotto delle proprie, magari inconsce, aspirazioni o desideri o proiezioni. In tal modo, come si può sempre e comunque diffidare delle testimonianze delle vere o presunte vittime di Auschwitz, si può anche sempre e comunque diffidare della testimonianza degli Apostoli. Riflettici e stai attento a non cadere, in nome del negazionismo del genocidio ebraico, nel negazionismo della storicità di Cristo. Aggiungo che l’argomento per il quale devono valere solo le prove scritte e non anche quelle orali è sempre a doppio taglio. I “negazionisti” fanno della mancanza di un ordine scritto di sterminio da parte di Hitler uno dei loro cavalli di battaglia. I loro detrattori rispondono che, in un regime come quello nazista, Hitler non poteva non sapere della messa in atto della “soluzione finale”. Ora si da il caso che gli stessi detrattori dei “negazionisti” utilizzano l’argomento della mancanza di un ordine scritto di Pio XII per aprire i conventi agli ebrei perseguitati nei paesi occupati per negare (sì, anche loro sono a modo loro “negazionisti”) il pronto aiuto che quel santo Papa e la Chiesa hanno effettivamente dato agli israeliti, riducendo ogni episodio alla buona volontà di singoli cristiani o di singoli gruppi di cristiani ma senza sollecitazione da parte della Gerarchia. E’ evidente la faziosità di questo modo di fare storia che pretende sempre e comunque una prova scritta: la mancanza dell’ordine scritto non può essere usata per “assolvere” Hitler ed al tempo stesso “condannare” Pio XII o, viceversa, “condannare” Hitler ed “assolvere” Pio XII. Se Hitler non poteva non sapere, è evidente che anche Pio XII non poteva non sapere quanto si stava facendo nell’intera Chiesa, in Europa, e persino nella sua diocesi di Roma, per salvare gli ebrei. Da cattolico a cattolico ti dico questo: ferma rimanendo l’intoccabilità della libertà di ricerca storica, e quindi di ogni tentativo di avvicinarsi il più possibile alla ricostruzione obiettiva, e non ideologica, di quanto effettivamente è successo (e qualcosa, viste anche le premesse neo-pagane del nazismo, è sicuramente accaduto) e ferma rimanendo l’assoluta libertà di espressione anche per i “negazionisti”, la questione del genocidio ebraico deve rimanere, per noi cattolici, soprattutto su un piano squisitamente teologico e dobbiamo in tal senso rivendicare l’unicità dell’Olocausto della Croce, unico Vero Olocausto Salvifico per l’umanità, e denunciare il tentativo ebraico, giocato in funzione politica ossia sionista, di sostituire, come un autonomo olocausto a-cristico, Auschwitz al Golgota. Cattolicamente, casomai, il primo è partecipazione al secondo, nel senso in cui san Paolo dice che le sofferenze umane, e naturalmente non solo quelle degli ebrei ma di tutti i popoli e di tutti gli uomini, a qualsiasi epoca o latitudine appartengano, sono completamento della Sofferenza di Cristo sulla Croce. Ho scritto, in proposito, anche su FdF.
Un caro saluto.

Luigi Copertino

Quest’ultimo intervento ha suscitato la reazione di alcuni lettori. Il primo a rispondere è stato Erwin, webmaster del sito http://www.thule-toscana.com/ .
Ecco cosa ha detto:

Buondì Carancini, non mi interesso di questioni semiticoreligiose, mi sono estranee. Leggendo velocemente il testo che mi hai mandato, leggo che il Copertino giustappone un atto di fede (tipico religioso) ad un fatto storico. Incredibile, ma è così. Come paragonare mele e pere. Una idiozia. Credo che le masturbazioni sulla “fede” servano soltanto a distaccarsi dalla fede stessa.Anzi giustificano ogni aberrazione sulla fede. Da “distante” alla fede e maledettamente toscano!

Ha poi detto la sua Miguel Martinez, animatore del blog http://kelebek.splinder.com/, con il seguente intervento:

Condivido in pieno la riflessione di Luigi Copertino, sia nella condanna alla teologia civile dell’olocausto, sia nella pacata critica a chi sostiene la prevalenza del “documento”. Né il documento, né l’esperienza hanno valore assoluto, perché dietro a entrambi c’è sempre un essere umano: nel primo caso, l’astrazione, spesso interessata per mille motivi, che l’essere umano fa della realtà; nel secondo, il flusso in continua trasformazione di ogni sorta di rielaborazione soggettiva della realtà. Conoscendo la tua correttezza, so che non esiterai a girare questa mia riflessione a Luigi Copertino.

Miguel Martinez

Ecco quindi il parere di Serge Thion, noto revisionista francese ( http://www.vho.org/aaargh/fran/livres7/TEHERAN/STbrevestoria.pdf ):

Per me, non cattolico, tutta questa discussione è senza oggetto. La storia è prima di tutto la storia dei fatti. Abbiamo dei fatti ?
Best,
Serge

Dulcis in fundo, la replica di Carlo Mattogno alle osservazioni di Copertino:

Mi pare che ci sia un equivoco che rende opportuno un chiarimento, ma senza entrare in questioni teologiche.

Per quanto riguarda la prevalenza del documento sulla testimonianza, mi richiamo semplicemente alle dichiarazioni di Jacques Baynac in due articoli apparsi nel 1996 su Le Nouveau Quotidien di Losanna, che ho riportato nell’Introduzione del mio testo sulla Pisanty:
«In mezzo a questo tohu-bohu [caos] disastroso, si è levata una voce, chiara, netta. Senza dubbio, soltanto Simone Veil, ex deportata ed ex presidente del Parlamento europeo, poteva permettersi di guardare le cose in faccia e di violare un tabù senza rischiare l’ostracismo. “I negazionisti – ella dichiara a L’Evénement du Jeudi – hanno approfittato dei nostri errori. Non si può imporre una verità storica con la legge, anche se è lampante, qualunque siano i secondi fini di coloro che cercano di negare la Storia. La Storia dev’essere libera. Essa non può essere sottomessa a versioni ufficiali. La legge Gayssot permette ai negazionisti di apparire come martiri, vittime di una verità ufficiale. Grazie ad essa, i negazionisti possono far deviare il dibattito sulla libertà di espressione. Questa legislazione ha spinto l’abbé Pierre a prendere le difese di Garaudy, e vi si ostina. Senza questa legge, non ci sarebbe alcun affare abbé Pierre”.
Perché è stata promulgata questa legge che, secondo lo scrittore Dominique Jamet, “trasforma i magistrati in inquisitori”? E come si è giunti a fare, secondo lo stesso autore, come “gli Stati totalitari di tipo moderno o arcaico dove il partito o la Chiesa, dopo aver fissato una dottrina ufficiale, affidano alla polizia e alla giustizia la missione di difenderla e di dare la caccia agli eretici”?
Perché, fin dall’inizio, si rifiuta il dibattito. Lo si rifiuta nell’aula di tribunale. Il giovane avvocato Arno Klarsfeld confessa ingenuamente che la legge Gayssot è stata fatta “onde evitare dei dibattiti scabrosi tra storici e pseudostorici” (Libération, 17.7.96). Lo si rifiuta fuori dell’aula di tribunale. Il gran rabbino Sitruk, che l’aveva accettato il 28 aprile, ha dovuto rifiutarlo due giorni dopo. La Chiesa cattolica lo rifiuta col pretesto che il dibattito ha avuto luogo più volte. La LICRA [Lega Internazionale contro il Razzismo e l’Antisemitismo] lo rifiuta. Il MRAP [Movimento contro il Razzismo e per l’Amicizia tra i Popoli] lo rifiuta. La Lega dei diritti dell’uomo lo rifiuta. In breve, nessuno lo vuole e tutti imitano quelli che di primo acchito hanno dato l’intonazione: gli storici».

«Se non si discerne bene ciò che ci sarebbe di “scabroso” nel rispondere per le rime ai revisionisti distruggendo le loro arguzie con degli argomenti e liquidando i loro cavilli con prove materiali, documenti solidi e cifre verificabili, se si vede ancora meno come il delicato fiore dell’ etablishment universitario ha potuto decretare che non bisogna interrogarsi su un oggetto storico, in compenso si vede bene che è il defilamento degli storici che ha costretto la società a rifilare il bebè mostruoso ai tribunali, poi – avendo certi giudici avuto la malaugurata idea di recalcitrare, perfino di scrivere nei loro consideranda che la questione dell’esistenza delle camere a gas era una questione di opinione – a fare una legge che permettesse di condannare automaticamente gli pseudostorici.
La questione è dunque di sapere perché gli storici si sono defilati».

«Bisogna essere grati a Pierre Bourez per aver finalmente osato porre la questione chiave, quella dell’estensione del campo scientifico di investigazione e, di conseguenza, quella della natura della storia scientifica e del suo metodo.
È qui, e da nessun’altra parte, che i negazionisti hanno teso la trappola agli storici, i quali l’hanno identificata fin dal 1979, ma, non sapendo come evitarla, si sono sottratti al loro dovere di accertare la realtà incaricando la Giustizia di dire la Verità. Tutto il resto fu soltanto una conseguenza, e oggi ci ritroviamo con un problema che supera di gran lunga quello dell’esistenza delle camere a gas omicide nei campi nazisti. Ora è in gioco la questione della conoscibilità del passato. Quella della Storia.
Trarsi da questo passo falso sarà difficile e doloroso. Ma tergiversare ancora espone a vedere tutto il passato dissolversi dietro di noi, una eventualità poco piacevole quando l’avvenire è già così imprevedibile e il presente così inquietante.
Per salvare la Storia, bisogna partire dalla realtà… e restarvi. Le camere a gas sono esistite e hanno ucciso una quantità enorme di persone, omosessuali, ebrei, malati, zingari, slavi.
Questa certezza si fonda su due pilastri: le testimonianze dei superstiti e i lavori degli storici. Su tali basi, in questo dominio come in tutti gli altri, si sono sviluppati due discorsi, paralleli ma di natura diversa.
L’uno, ascientifico, in cui la testimonianza ha il primo posto. Leggere uno o più racconti, a fortiori una recensione seria sull’argomento, porta alla convinzione. Anche se un testimone ha dimenticato un dettaglio, un altro esagerato un fatto, l’avvenimento resta valido: è esistito. […].
Per lo storico scientifico, la testimonianza non è realmente la Storia, è un oggetto della Storia. E una testimonianza non ha molto peso, e pesa ancora meno se nessun solido documento la conferma. Il postulato della storia scientifica, si potrebbe dire forzando appena la mano, è: niente documento/i, niente fatto accertato.
Questo positivismo che conferisce una tale importanza al documento ha i suoi aspetti positivi e negativi. Quello positivo, è che la storia deve a questo metodo rigoroso di non essere una pura fiction, ma una scienza. In quanto tale, essa è revisionista per natura, ossia negazionista. La Terra è stata ritenuta a lungo piatta, ora lo si nega. Ne consegue che decretare l’arresto delle ricerche su un punto qualunque del campo scientifico è negare la natura stessa della scienza. Si vede dunque già apparire ciò che mette gli storici in una situazione insostenibile ponendo i negazionisti in buona posizione: dal momento in cui si è sul terreno scientifico, è vietato vietare di rivedere o negare. Farlo, significa uscire dal campo scientifico. Significa abbandonarlo. Abbandonarlo a chi? Ai negazionisti.
L’aspetto negativo della storia scientifica consiste nel fatto che, in mancanza di documenti, di tracce o di altre prove materiali, è difficile, se non impossibile, stabilire la realtà di un fatto, anche se non c’è alcun dubbio che sia esistito, anche se è evidente. Il dramma è qui».

«Si potrebbero moltiplicare le citazioni di storici, ma a che pro? Tutte dicono: non disponiamo degli elementi indispensabili per una pratica normale del metodo storico. Infine – e questa è la cosa più penosa da dire e da ascoltare, quando si sappia quale dolore e quale sofferenza sono così non negate, ma sospese – dal punto di vista scientifico non esiste testimonianza accettabile come prova indiscutibile. Non è una questione di legittimità o di credibilità. Dipende dalla natura stessa della testimonianza, natura di cui lo storico non può non tener conto senza negare la metodologia della sua disciplina. La vera trappola tesa dai negazionisti è qui, in questo dilemma davanti al quale hanno spinto a porsi gli storici. Volendo contraddirli sul terreno scientifico, li si induce a gridare: “Storici, i vostri documenti!” – e bisogna stare zitti per mancanza di documenti. Ma volendo opporsi ad essi adducendo delle testimonianze, li si sente sogghignare: “Niente documenti? Niente fatti. Voi fate della fiction, del mito, del sacro”».

«Allora, che fare? Mobilitare ancora e sempre le divisioni pesanti mediatiche? I risultati si sono visti, e noi rischiamo di vedere i negazionisti vincere a questo sporco gioco esibendo improvvisamente un nuovo idolo mediatico e sostituendo il vecchio abate che hanno sfruttato fino all’osso. Sarebbe meglio imparare la lezione e constatare che, per vincere il negazionismo, bisogna scegliere tra due mali.
O si abbandona il primato dell’archivio a favore della testimonianza, e, in questo caso, bisogna squalificare la storia in quanto scienza per riqualificarla immediatamente in quanto arte. Oppure si mantiene il primato dell’archivio e, in questo caso, bisogna riconoscere che la mancanza di tracce [le manque de traces] comporta l’incapacità di stabilire direttamente la realtà dell’esistenza delle camere a gas omicide.
A partire da qui, riconquistare il terreno scientifico sarà possibile nel rispetto del lento, laborioso e difficile terreno scientifico. Perché stabilire che i negazionisti hanno torto è possibile. Essi hanno infatti dimenticato un “dettaglio”: se la storia scientifica, in mancanza di documenti, non può stabilire la realtà di un fatto, essa può, con dei documenti, stabilire che l’irrealtà di un fatto è essa stessa irreale. Stabilendo che l’inesistenza delle camere a gas è impossibile, si liquiderà definitivamente la pretesa del negazionismo di porsi come una scuola storica tra altre e lo si costringerà ad apparire per ciò che è sin dall’inizio: una ideologia, quella di una setta propugnatrice di una utopia reazionaria il cui mezzo e il cui fine sono di cambiare il passato escludendo il reale a vantaggio del virtuale» (corsivo mio).

Ciò significa soltanto che, in campo storiografico, il documento è più importante della testimonianza, che può avere valore probatorio soltanto se ha riscontri oggettivi e non contiene falsità e assurdità, altrimenti ci si perde davvero in un fideismo soggettivistico. Ad esempio, se un testimone afferma che in un certo luogo c’era una fossa comune, la sua dichiarazione risulta attendibile e probatoria soltanto se, scavando, si trova la fossa comune. Quando invece un testimone dichiara che in un locale c’erano 32 persone per metro quadrato (Gerstein) o che la cremazione di un corpo umano durava 4 minuti (Paisikovic), è chiaramente inattendibile. Neppure la “concordanza” o “convergenza” di testimonianze è un criterio di attendibilità, come risulta dalle testimonianze concordanti e convergenti sui 4 milioni di morti ad Auschwitz e su altre palesi falsità.
Da ciò non deriva affatto «l’inattendibilità a priori delle testimonianze», se mai, la loro inattendibilità a posteriori, vale a dire dopo averle sottoposte ad analisi storico-critica.
Nei miei scritti mi sono sempre attenuto a questo principio: ho sempre preso in esame tutte le testimonianze disponibili, alcune anche scoperte da me, come ad esempio le deposizioni sovietiche di Szlama Dragon e Henryk Tauber, e ho dimostrato la loro inattendibilità sulla base di criteri oggettivi (documenti, piante, fotografie aeree, sopralluoghi sul terreno, ecc.). Nella mia opera sulle tesi di Pressac e van Pelt di prossima pubblicazione ne ho analizzate una cinquantina soltanto su Auschwitz.
Quel falso rimprovero proviene dalla propaganda vidal-naquetiana e pisantyana. Esso vale invece, mutatis mutandis, proprio per i cultori dell’Olocausto: sono essi che decretano «l’attendibilità a priori delle testimonianze», assumendo che siano tutte metafisicamente veridiche e indipendenti. Questo è il senso della mia critica alla Pisanty.

Carlo Mattogno.

7 Comments
    • ax
    • 6 Marzo 2009

    cosa ne pensate di questo articolo di avvenire?
    http://80.241.231.25/ucei/PDF/2009/2009-03-06/2009030612022968.pdf

    copia e incolla facendo attenzione agli spazi

    Rispondi
    • Anonimo
    • 6 Marzo 2009

    Thion ha ragione.

    Rispondi
    • Anonimo
    • 7 Marzo 2009

    a mio parere, l’accostamento del valore testimoniale dell’opera evangelizzatrice apostolica ,dopo la morte e resurrezione di Cristo, con la valenza probatoria testimoniale dei sedicenti sopravvissuti del cosiddetto “olocausto” è gravemente erronea e pericolosamente fuorviante poichè non si tiene conto degli effetti prodotti dalle “testimonianze stesse “.. quelle degli Apostoli che diffondendo il Vangelo hanno guadagnato il martirio, e quelle dei “sopravvissuti” che hanno eretto sè stessi a soggetti specialissimi e meritevoli di uno status privilegiato di vittime , cui si dovrebbero perpetue scuse e risarcimenti infiniti in denaro.

    insomma il paragone non regge , e non ha motivo di essere.

    la prova testimoniale degli Apostoli è carica di una intrinseca forza probatoria che alle narrazioni dei “sopravvissuti” manca del tutto , in virtù dell’effetto che si và a conseguire :
    gli Apostoli hanno testimoniato per morire , i “survivers” per acquisire una posizione di privilegio e pretesa superirità morale , nei confronti di tutti.

    Daltanius

    Rispondi
  1. bravo daltanius!

    Rispondi
  2. Ho letto gran parte della storiografia revisionista pubblicata in Italia. Ho così appreso soprattutto ciò che non è accaduto. Gradirei l’indicazione di un testo, possibilmente in italiano, che esponga, al contrario, ciò che è realmente accaduto. Questo sarebbe molto utile nella polemica quotidiana…

    Rispondi
  3. caro “fedele”,
    puoi leggere “Sonderbehandlung” ad Auschwitz – Genesi e significato, di Carlo Mattogno, Edizioni di Ar, Padova, 2000, richiedibile a: http://www.libreriaar.it/
    ciao!

    Rispondi
  4. Questa frase mi è incomprensibile:
    …”Stabilendo che l’inesistenza delle camere a gas è impossibile”..

    Come fa a “stabilire” che “l’inesistenza” è “impossibile”?

    Questo è un sistema periodico.

    Rispondi

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