Il giudizio di John Dugard sull’apartheid israeliano nei territori occupati

Il giudizio di John Dugard sull’apartheid israeliano nei territori occupati

APARTHEID: GLI ISRAELIANI ADOTTANO QUELLO CHE IL SUD AFRICA HA ABOLITO[1]
Di John Dugard, IMEU, 29 novembre 2006
Il nuovo libro dell’ex Presidente Jimmy Carter, “Palestine: Peace Not Apartheid”, ha acceso una polemica per la sua accusa che Israele pratica una forma di apartheid.
In quanto sudafricano – ed ex attivista contro l’apartheid – che visita regolarmente i territori palestinesi per accertare la situazione dei diritti umani per conto del U. N. Human Rights Council [Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite][2], il confronto con l’apartheid sudafricano è per me di particolare interesse
A prima vista, i due regimi sono molto differenti. L’apartheid era un sistema di discriminazione razziale istituzionalizzata di cui la minoranza bianca del Sud Africa si avvaleva per mantenere il potere sulla maggioranza nera. Consisteva nella negazione dei diritti politici dei neri, nella frammentazione del paese in zone bianche e zone nere (chiamate Bantustan) e nell’imposizione di misure restrittive contro i neri volte a conseguire la superiorità e la sicurezza dei bianchi e la separazione razziale.
Il “sistema delle leggi del passaggio”, che cercava di impedire il libero movimento dei neri e di ridurre il loro ingresso nelle città, veniva applicato in modo rigoroso. I neri vennero forzatamente “trasferiti”, e venne loro negato l’accesso alla maggior parte dei locali pubblici e a molti tipi di lavoro. Il sistema venne applicato con un brutale apparato di sicurezza in cui la tortura aveva un ruolo significativo.
I territori palestinesi – Gerusalemme Est, la Cisgiordania e Gaza – stanno sotto l’occupazione militare israeliana dal 1967. Per quanto l’occupazione militare sia tollerata e regolamentata dal diritto internazionale, è considerata un regime indesiderabile da far cessare il prima possibile. Da quasi 40 anni, le Nazioni Unite condannano l’occupazione militare da parte di Israele, insieme al colonialismo e all’apartheid, come contrari all’ordine pubblico internazionale.
In linea di principio, lo scopo dell’occupazione militare è differente da quello dell’apartheid. Non è concepita come un regime oppressivo a lungo termine ma come una misura temporanea che mantenga la legge e l’ordine in un territorio dopo un conflitto armato, e in attesa di un accordo di pace. Ma questa non è la natura dell’occupazione israeliana della Palestina. Dal 1967, Israele ha imposto il suo controllo sui territori palestinesi, in guisa di occupazione, come potenza colonizzatrice. Ha sequestrato in modo permanente le parti più appetibili del territorio – i luoghi santi a Gerusalemme Est, Hebron e Betlemme, e le terre agricole fertili lungo il confine occidentale e nella valle del Giordano – e ha impiantato i propri “coloni” ebraici su tutto il territorio.
L’occupazione israeliana dei territori palestinesi ha molte caratteristiche della colonizzazione. Nello stesso tempo, ha molte delle peggiori caratteristiche dell’apartheid. La Cisgiordania è stata frammentata in tre zone – nord (Jenin e Nablus), centro (Ramallah) e sud (Hebron) – che assomigliano sempre più ai Bantustan sudafricani.
Le restrizioni alla libertà di movimento – imposte da un rigido sistema di permessi applicato mediante circa 520 checkpoint e blocchi stradali – assomigliano, ma nella loro durezza vanno ben oltre, al “sistema delle leggi del passaggio” dell’apartheid. E l’apparato di sicurezza ricorda quello dell’apartheid, con più di 10.000 palestinesi nelle prigioni israeliane, e con le frequenti accuse di torture di trattamenti crudeli.
Molti aspetti dell’occupazione israeliana superano quelli del regime dell’apartheid. La distruzione su larga scala, da parte di Israele, delle case palestinesi, lo spianamento dei terreni agricoli, le incursioni militari e gli assassini mirati di palestinesi superano di gran lunga ogni pratica analoga nel Sud Africa dell’apartheid. Nessun muro venne mai costruito per separare bianchi e neri.
Dopo il movimento internazionale contro l’apartheid, era sperabile un analogo sforzo internazionale, unito e concertato, contro l’odioso trattamento dei palestinesi da parte di Israele. Invece, ci ritroviamo una comunità internazionale divisa tra l’Occidente e il resto del mondo. Il Consiglio di Sicurezza è impossibilitato a prendere provvedimenti a causa del veto degli Stati Uniti e dell’astensione dell’Unione Europea. E gli Stati Uniti e l’Unione Europea, agendo in collusione con le Nazioni Unite e la Federazione Russa, hanno in realtà imposto sanzioni economiche al popolo palestinese per aver democraticamente eletto un governo ritenuto inaccettabile da Israele e dall’Occidente. L’impegno a porre fine all’occupazione, alla colonizzazione e all’apartheid è dimenticato.
Alla luce di tutto ciò, gli Stati Uniti non dovrebbero essere sorpresi se il resto del mondo inizia a non credere più al loro impegno per i diritti umani. Alcuni americani – giustamente – si lamentano che altri paesi siano indifferenti alla regione sudanese, lacerata dalla violenza, del Darfur e a situazioni analoghe nel mondo. Ma se gli Stati Uniti mantengono un doppio metro di giudizio rispetto alla Palestina, non possono aspettarsi cooperazione da altri nella lotta per i diritti umani.     

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