Conferenza di Teheran 2006 – Relazione di Jürgen Graf

PROVE MATERIALI, PROVE DOCUMENTARIE E TESTIMONIANZE OCULARI NELLA CONTROVERSIA DELL'”OLOCAUSTO”

Di Jürgen Graf (2006)[1]

 

Precisazione del traduttore: il testo qui presentato è quello che Graf avrebbe pronunciato se avesse potuto partecipare al convegno. Purtroppo non poté essere presente perché da anni le autorita della Russia, paese nel quale si è rifugiato nel 2002, gli rifiutano il passaporto. La situazione non è allegra: Graf in Russia può vivere liberamente, a differenza dei paesi UE (dove pende su di lui una condanna per “negazione della Shoah”), ma viene trattato come un cane in chiesa. Fino a quando?

Nessuno nega la persecuzione degli ebrei durante la seconda guerra mondiale. Gran parte della popolazione ebraica in tutti i paesi controllati dalla Germania nazionalsocialista venne deportata nei campi di concentramento, o nei ghetti dell’Est.

Nei ghetti, ma soprattutto nei campi, la mortalità in certi momenti fu spaventosamente alta. Questo soprattutto a causa delle malattie, specialmente del terribile tifo petecchiale, diffuso dai pidocchi e che i tedeschi non riuscirono mai a tenere sotto controllo. Il peggiore tasso di mortalità di Auschwitz, il più grande dei campi, fu registrato durante la seconda metà del 1942, quando un’epidemia di tifo petecchiale uccise gran parte della popolazione del campo: tra il 7 e l’11 Settembre di quell’anno il tasso giornaliero fu di 375 morti.[2]

Nei campi occidentali come Dachau, Buchenwald e Bergen-Belsen, dove le condizioni sanitarie erano migliori che all’Est, la mortalità fu relativamente bassa fino alla fine del 1944. Dopo, però, la situazione peggiorò drammaticamente. Secondo le statistiche ufficiali, dei 27.900 prigionieri che morirono a Dachau tra il 1940 e il 1945, non meno di 15.400 morirono nei primi quattro mesi del 1945, più di tutti quelli che erano morti nei cinque anni precedenti.[3]

Quando le truppe inglesi e americane liberarono i campi occidentali nell’Aprile del 1945, trovarono molte migliaia di cadaveri e di persone ridotte allo stremo. L’orribile mortalità sopravvenuta negli ultimi mesi fu la diretta conseguenza del crollo generalizzato della Germania, del quale gli stessi alleati furono in parte responsabili; dopo tutto, avevano sistematicamente distrutto le infrastrutture tedesche con i loro spietati bombardamenti a tappeto. Un medico inglese, il dr. Russell Barton, che aveva trascorso un mese nel campo di Bergen-Belsen, riferì in un rapporto:

“I reporter hanno interpretato la situazione secondo le necessità della propaganda interna. Alcuni funzionari tedeschi mi hanno detto che era stato sempre più difficile inviare cibo al campo. Tutto quello che si muoveva sulle strade diventava un bersaglio. […] Mi sono convinto, contrariamente all’opinione popolare, che non c’è mai stata una politica deliberata di sterminio per fame. Ciò è stato confermato dal gran numero di detenuti ben nutriti. […] La ragione principale della situazione di Belsen dipende dalle malattie, dal sovraffollamento voluto dall’autorità centrale, dalla mancanza di disciplina nelle baracche, e dal rifornimento insufficiente di cibo, acqua e medicine”.[4]

Fino ad oggi, le immagini spaventose scattate all’epoca sono state – e vengono tuttora – presentate dai media come “prova” dell’Olocausto, sebbene tutti gli storici concordino che esse mostrano i cadaveri di persone morte a causa di epidemie (per inciso: la maggioranza delle vittime dei campi occidentali non erano ebree).

Questa tragedia, per quanto sia stata terribile, non coincide con l’”Olocausto”. Secondo la versione ufficiale della storia, gli ebrei non furono solo perseguitati, ma anche sterminati sistematicamente dai nazionalsocialisti in “campi di sterminio” appositamente realizzati. Si sostiene che milioni di ebrei siano stati uccisi in modo orribile nelle camere a gas omicide e, su scala molto più ridotta, in camion a gas. Inoltre, i tedeschi sono accusati di aver fucilato più di un milione di ebrei nei territori sovietici da loro occupati.

Per noi revisionisti, le camere a gas omicide e i camion a gas sono un’invenzione propagandistica, proprio come le “armi di distruzione di massa” di Saddam Hussein, che funsero da pretesto per l’invasione anglo-americana dell’Iraq nella primavera del 2003. Il fondatore del revisionismo, il partigiano francese Paul Rassinier, che era stato egli stesso detenuto in due campi di concentramento, definì la storia dello sterminio ebraico l’”inganno più macabro di tutti i tempi”. Secondo i revisionisti, i tedeschi non pianificarono mai lo sterminio degli ebrei, e la cifra tradizionale dei sei milioni è un’esagerazione irresponsabile (in realtà, i documenti dell’epoca di guerra portano alla conclusione che morirono circa 300.000 ebrei nei campi di concentramento tedeschi).[5] Questi tre punti – il piano di sterminio, le camere a gas e la cifra dei sei milioni – sono i pilastri della versione “ortodossa” dell’Olocausto. Mentre per quanto riguarda l’uccisione degli ebrei sul fronte orientale, i revisionisti non contestano che molti ebrei siano stati fucilati, ma considerano le cifre riportate nella storiografia ortodossa largamente esagerate. La maggior parte di queste fucilazioni avvennero come rappresaglia di attacchi condotti dai partigiani, tra i quali figuravano moltissimi ebrei.

Se la versione ufficiale della storia è vera, allora i nazionalsocialisti tedeschi perpetrarono davvero un crimine senza precedenti, e il destino degli ebrei fu veramente unico nella sua crudeltà, come gli ebrei continuano ad affermare incessantemente. D’altro lato, se abbiamo ragione noi revisionisti, il destino degli ebrei, pur rimanendo riprovevole, non fu affatto unico: la persecuzione delle minoranze etniche e religiose, le deportazioni di massa, l’alta mortalità in campi sovraffollati, l’uccisione di civili – tutto questo è accaduto innumerevoli volte nel corso della storia.

Per decidere quale sia la posizione corretta, esamineremo ora le prove. Mi concentrerò sulla questione delle camere a gas omicide. Se questi mattatoi chimici non sono esistiti, allora tutta la storia dell’”Olocausto” crollerà immediatamente. In questo caso, senza l’arma del delitto, non ci può essere stato un piano di sterminio degli ebrei d’Europa, e la cifra dei sei milioni diventa impossibile perché i diversi milioni di ebrei che si pensava fossero stati gasati devono essere sottratti alla somma dei sei milioni.

2. La gerarchia delle prove

Permettetemi una breve digressione. Per mezzo di due semplici esempi, dimostrerò che esiste una gerarchia delle prove generalmente riconosciuta.

Supponiamo che qualcuno abbia trovato un vecchio manoscritto secondo cui in un certo luogo un tempo si trovava una grande città sconosciuta agli storici. Gli archeologi compiono degli scavi nell’area suddetta ma non trovano nulla. Poiché è impossibile che una grande città scompaia senza lasciare la minima traccia, gli archeologi concluderanno inevitabilmente che le affermazioni fatte nel manoscritto sono false. Questo non significa necessariamente che il manoscritto è un falso: potrebbe essere autentico ma, in tal caso, non riporta un fatto storico ma un mito. Questo esempio mostra che le prove materiali sono più affidabili delle prove documentarie.

Un secondo esempio dimostrerà la superiorità delle prove documentarie rispetto alle testimonianze oculari. Due testimoni accusano una persona di aver commesso un crimine in un certo luogo in un dato momento. L’imputato sostiene che nel momento dato si trovava in un hotel distante mille miglia dalla scena del crimine. Il registro dell’hotel conferma la sua dichiarazione. In tali circostanze, l’imputato verrebbe certamente assolto. La prova documentaria – il registro dell’albergo – verrà considerata più attendibile delle dichiarazioni dei testimoni, sia che si siano sbagliati in buona fede, sia che abbiano deliberatamente mentito per danneggiare l’imputato.

In questo modo, abbiamo stabilito una gerarchia delle prove: le prove materiali vengono per prime, seguite dalle prove documentarie, mentre le testimonianze oculari sono le meno affidabili, e perciò le meno valide. Tutto ciò è perfettamente risaputo da ogni giudice e dovrebbe essere altrettanto risaputo da ogni storico che si rispetti.

3. Le prove degli storici ortodossi dell’Olocausto

Se milioni di ebrei fossero stati gasati davvero, dovremmo aspettarci di vedere una schiacciante quantità di prove per questa mostruosità unica nel suo genere: delle camere a gas indiscutibilmente autentiche, o almeno delle planimetrie di tali locali, delle fosse comuni con i resti delle vittime e una quantità di prove documentarie. In realtà, un tale crimine avrebbe richiesto un’organizzazione complessa, e l’idea che tale organizzazione avrebbe potuto funzionare senza ordini scritti, o che i tedeschi siano riusciti a distruggere ogni singolo documento incriminante prima della fine della guerra, è altamente improbabile. Ma quando leggiamo attentamente la letteratura ortodossa dell’”Olocausto”, capiamo presto che le dicerie sulle camere a gas sono basate quasi esclusivamente su testimonianze oculari. Il genere di prova più importante – quello basato sulle prove materiali – è totalmente assente. Le cosiddette “camere a gas omicide” che i turisti visitano in pochi ex-campi di concentramento erano all’epoca, in realtà, delle camere mortuarie (come quelle di Auschwitz I e di Auschwitz-Birkenau) o camere di disinfestazione (come quelle di Majdanek). L’analisi tecnica dimostra in modo definitivo che queste presunte “camere a gas omicide” non potevano funzionare come tali. Ma questo non è il mio argomento: è un aspetto che verrà trattato da un altro oratore.

Sebbene gli storici ortodossi spesso affermino che vi sono montagne di documenti che corroborano la tesi dello sterminio, essi hanno prodotto non più di una manciata di documenti, che ad un attento esame non mostrano nulla di veramente probatorio. Per decenni, il protocollo della conferenza di Wannsee è stato presentato come un documento-chiave. Il 20 Gennaio del 1942, funzionari tedeschi di alto rango si incontrarono nella villa di Wannsee, vicino Berlino, per discutere di provvedimenti anti-semiti; le loro discussioni vennero successivamente riassunte in un protocollo. Qualche autore revisionista ha dimostrato che l’autenticità del protocollo è assai dubbia,[6] ma anche se fosse autentico non sarebbe in alcun modo una prova dell’”Olocausto”, poiché non contiene una sola parola su una politica di sterminio o sulle camere a gas. Nel 1992, l’esperto israeliano dell’”Olocausto” Yehuda Bauer ammise candidamente che “Wannsee” era una “storia stupida”.[7] Sfortunatamente, questa “storia stupida” figura ancora nei libri di testo tedeschi.

L’ultimo ricercatore ad aver fatto un tentativo, serio solo a metà, di produrre prove documentarie dell’esistenza delle camere a gas omicide è stato il francese, ormai defunto, Jean-Claude Pressac. In due libri, che sono apparsi rispettivamente nel 1989 e nel 1993,[8] Pressac ha citato documenti dell’Ufficio Centrale delle Costruzioni di Auschwitz che contengono riferimenti a porte a tenuta di gas, a una cantina per gasazioni, a rilevatori di gas et cetera. Ora, tali documenti forniscono delle prove importanti dell’esistenza di camere a gas, ma non necessariamente di quelle omicide. Tutti i campi principali, Auschwitz incluso, avevano camere di disinfestazione che servivano innanzitutto a distruggere i pidocchi, gli agenti portatori del tifo petecchiale, per mezzo dello Zyklon-B, un pesticida contenente acido prussico. Queste camere di disinfestazione venivano talvolta ufficialmente denominate “camere a gas”; ad esempio, il titolo di un opuscolo pubblicato nel 1943 era “Camere a gas ad acido prussico come strumento nella lotta contro il tifo petecchiale”.[9] Nella loro risposta a Pressac, il prof. Robert Faurisson[10] e altri studiosi revisionisti[11] hanno potuto dimostrare che tutti i documenti citati da Pressac possono essere facilmente interpretati come riguardanti operazioni di disinfestazione, in modo tale che non costituiscono una prova delle gasazione di esseri umani.

Dieci anni fa, nel Settembre del 1996, uno storico francese anti-revisionista, Jacques Baynac, ammise che non c’erano prove scientifiche dell’esistenza delle camere a gas omicide; egli scrisse:

“Per lo storico di livello scientifico, il resoconto di un testimone non è storia. E’ una parte della storia. Il resoconto di un testimone non ha molto peso; molti resoconti non acquistano peso se non vengono confermati dai documenti […] O smettiamo di dare la precedenza agli archivi – e, in questo caso, la storia smette di qualificarsi come scienza e ritorna a essere un’arte – o continuiamo a dare la precedenza agli archivi, e in tal caso siamo costretti ad ammettere che la mancanza di tracce rende impossibile fornire qualsiasi prova diretta dell’esistenza delle camere a gas omicide”.[12]

Avendo notato l’assenza di prove materiali e documentarie, si può constatare che tutta la storia dell’”Olocausto” si basa interamente sui resoconti dei cosiddetti testimoni oculari e sulle confessioni dei presunti perpetratori. Basterebbe questa come ragione per essere profondamente scettici. Come il revisionista americano Arthur Butz ha fatto giustamente notare, non abbiamo bisogno di testimonianze oculari o di confessioni per sapere che Dresda o Hiroshima sono state realmente bombardate e distrutte.[13]

Diamo ora uno sguardo a queste testimonianze oculari

4. L’evoluzione delle testimonianze oculari

A cominciare dalla fine del 1941, le organizzazioni ebraiche dei paesi alleati e neutrali inondarono il mondo con ogni genere di storie a tinte forti sullo “sterminio” in corso degli ebrei nei territori controllati dalla Germania. Leggendo questi resoconti, notiamo che non quadrano con la versione odierna dell’”Olocausto”. Secondo quest’ultima, gli ebrei venivano messi a morte ad Auschwitz con il pesticida Zyklon-B, mentre nei cosiddetti “campi di sterminio orientali” di Belzec, Treblinka e Sobibor, venivano uccisi utilizzando le esalazioni dei motori diesel. Ma le storie raccontate durante la guerra erano differenti.

Iniziamo con i presunti “campi di sterminio” della Polonia orientale. Secondo le voci diffuse dalle organizzazioni ebraiche, gli ebrei venivano sterminati a Belzec per mezzo di corrente elettrica. Nel 1945, lo scrittore ebreo Stefan Szende descrisse la procedura di esecuzione nel modo seguente:[14]

“La fabbrica della morte comprende un’area di circa 7 chilometri di diametro…I treni carichi di ebrei entravano nei locali sotterranei della fabbrica omicida. Gli ebrei denudati venivano portati in enormi sale. Il pavimento era di metallo ed era abbassabile. I pavimenti di queste sale, con le loro migliaia di ebrei dentro, venivano fatti sprofondare in una vasca d’acqua che si trovava al di sotto – ma in modo tale che le persone sulla piastra metallica non rimanessero interamente sott’acqua. Dopo pochi istanti tutti gli ebrei, a migliaia, erano morti. Poi la piastra metallica veniva fatta riemergere dall’acqua. Su di essa giacevano i corpi delle vittime uccise. Veniva poi data un’ulteriore scossa elettrica, e la piastra diventava un forno crematorio incandescente, fino a che tutti i corpi venivano ridotti in cenere…La moderna tecnologia era trionfante nel sistema nazista. Il problema di come sterminare milioni di persone era stato risolto”.

Una versione differente del sistema omicida a corrente elettrica sopravvisse fino a dopo la guerra. Nel 1945, il governo polacco, nel suo rapporto ufficiale sui crimini tedeschi in Polonia, che venne presentato dai sovietici al processo di Norimberga, affermò che a Belzec gli ebrei erano stati ammassati in un edificio dove veniva fatta passare la corrente attraverso il pavimento.[15]

Un’altra versione, non meno grottesca, dei presunti stermini di Belzec venne fornita da un polacco non ebreo, Jan Karski. Secondo lui, gli ebrei venivano ammassati in treni i cui pavimenti erano stati ricoperti di un spesso strato di calce, che li bruciava fino a ucciderli, mentre corrodeva la loro carne.[16]

Anche più significativo è il caso di Treblinka, il più famoso dei cosiddetti “campi di sterminio orientali”. Alcuni dei rapporti diffusi dalle organizzazioni ebraiche poco dopo che il campo venne aperto nel Luglio del 1942 menzionavano in realtà le camere a gas, ma non parlarono mai di un motore diesel. Uno di questi rapporti descrisse una camera a gas mobile che si muoveva tra le fosse comuni,[17] mentre un altro affermò che i tedeschi utilizzavano un gas a effetto ritardato che permetteva alle vittime di lasciare la camera e di camminare verso le fosse, dove essi perdevano conoscenza e vi sprofondavano.[18] Tuttavia, la versione dominante era quella del vapore caldo. In un lungo rapporto datato 15 Novembre 1942, il movimento partigiano del ghetto di Varsavia affermò che a Treblinka non meno di due milioni di ebrei erano stati uccisi nel giro di quattro mesi per mezzo di vapore caldo. [19] Il 24 Agosto del 1944, dopo che l’Armata Rossa aveva preso possesso dell’area circostante a Treblinka, il racconto cambiò di nuovo: ora una commissione sovietica affermava nel suo rapporto che i tedeschi avevano soffocato tre milioni di persone risucchiando l’aria dalle camere della morte.[20]

A quell’epoca, i propalatori di storie atroci non erano ovviamente ancora sicuri di quale delle tre versioni avrebbe finito per prevalere. Nel 1945, il propagandista ebreo sovietico Vasili Grossmann pubblicò un opuscolo chiamato The Hell of Treblinka [L’inferno di Treblinka];[21] secondo lui, tutti e tre i metodi predetti – vapore, gas e risucchio dell’aria dalle camere – erano stati utilizzati simultaneamente. Al processo di Norimberga, il governo polacco scelse la versione del vapore. Il 14 Dicembre del 1945, pubblicò un documento in cui la procedura di sterminio veniva descritta nel modo seguente:[22]

“Tutte le vittime dovevano spogliarsi dei propri vestiti e delle proprie scarpe, che in seguito sarebbero state raccolte, dopodichè tutte le vittime, prima di tutti le donne e i bambini, venivano portati nelle camere della morte…Dopo essere state riempite al completo, le camere venivano chiuse ermeticamente e veniva fatto affluire il vapore. In pochi minuti era tutto finito”.

Per quanto riguarda il terzo dei presunti “campi di sterminio orientali”, Sobibor, alcuni testimoni dissero che le vittime venivano uccise per mezzo di cloro,[23] mentre altri preferirono parlare di una misteriosa sostanza nera e spessa che veniva giù a volute dalle aperture dei soffitti delle camere della morte.[24]

La versione che si trova ora nella letteratura ufficiale dell’Olocausto, e cioè che gli ebrei venivano sterminati in tutti e tre i detti campi per mezzo delle esalazioni dei motori diesel, trionfò soltanto nel 1947. Poiché era assolutamente impensabile che i tedeschi avessero usato dei metodi di esecuzione totalmente differenti in campi governati dalla medesima amministrazione, le autorità polacche scelsero il metodo che a prima vista sembrava il più probabile. Ma da un punto di vista tecnico, il racconto dei motori diesel non ha senso: poiché le esalazioni di un motore diesel contengono una grossa percentuale di ossigeno, e solo una piccola quantità di monossido di carbonio, questi motori sarebbero stati un’arma omicida molto debole; qualsiasi motore a petrolio sarebbe stato dieci volte più efficiente.[25] L’origine del racconto dei motori diesel va rintracciata nel Rapporto Gerstein. Kurt Gerstein, un ufficiale delle SS mentalmente squilibrato che morì misteriosamente in una prigione francese nel Luglio del 1945, aveva confessato, due mesi prima della propria morte, di aver visto una gasazione di massa a Belzec compiuta per mezzo di un motore diesel. Gerstein affermò che erano stati ammassati dai 700 agli 800 ebrei in una camera a gas di 25 metri quadrati, il che significa 32 persone per metro quadrato! Secondo lui, erano state gasate dai 20 ai 25 milioni di persone. Sebbene l’assurdo Rapporto Gerstein sia stato totalmente demolito da due ricercatori revisionisti, il francese Henri Roques,[26] e l’italiano Carlo Mattogno,[27] rimane ancora una pietra miliare della narrazione ortodossa dell’”Olocausto”.

Per quanto riguarda Auschwitz, l’evoluzione del racconto dello sterminio non è certo meno rivelatrice. Secondo la letteratura dell’”Olocausto”, la maggior parte delle vittime furono uccise con lo Zyklon-B nelle camere mortuarie seminterrate dei crematori I e II di Birkenau, che erano state trasformate in camere a gas omicide. Tuttavia, come il ricercatore spagnolo Enrique Aynat ha dimostrato in uno studio eccellente,[28] durante la guerra venivano raccontate storie totalmente differenti. Aynat ha esaminato i rapporti che la Delegatura, l’organizzazione che rappresentava il governo polacco in esilio, aveva scritto tra l’Ottobre del 1941 e il Luglio del 1944. Grazie al costante flusso di prigionieri che venivano rilasciati da Auschwitz o trasferiti ad altri campi, gli agenti della Delegatura erano assai bene informati su quello che succedeva al campo. Mentre parlarono effettivamente di stermini ad Auschwitz, nemmeno uno dei 32 rapporti menzionò lo Zyklon-B come arma del crimine, o i crematori di Birkenau come luogo dello sterminio. Secondo tali rapporti, le vittime venivano messe a morte in “bagni elettrici” o per mezzo del cosiddetto “martello pneumatico”. In alcuni rapporti, questo “martello pneumatico” era un fucile ad aria compressa, in altri un soffitto mobile che cadeva sulla testa dei detenuti nelle camere della morte. Tuttavia, questi locali non erano le camere mortuarie dei crematori, bensì “enormi sale con finestre attraverso cui il gas veniva fatto penetrare all’interno”. Solo nel Novembre del 1944 prese forma la versione ufficiale di Auschwitz. Quel mese, il War Refugee Board, un’organizzazione con sede a Washington guidata dal segretario ebreo del Tesoro Henry Morgenthau, pubblicò il rapporto di due giovani ebrei slovacchi, Rudolf Vrba e Alfred Wetzler, che erano riusciti a fuggire da Auschwitz nell’Aprile del 1944. Nel loro rapporto, i crematori di Birkenau erano descritti come contenenti le camere a gas omicide in cui gli ebrei venivano uccisi con lo Zyklon-B.[29] Questa fu la nascita della versione ufficiale del mito di Auschwitz.[30]

Per gli storici ortodossi, tutto questo è terribilmente imbarazzante. Poiché i metodi di sterminio, tranne quello delle camere a gas, sono stati relegati nella spazzatura della storia, tutti i testimoni che hanno descritto lo sterminio mediante vapore, elettricità, calce viva, “martelli pneumatici” et cetera, devono avere necessariamente mentito. Naturalmente, gli storici ufficiali non sono capaci di spiegare perché le testimonianze oculari sulle camere a gas dovrebbero essere più credibili di quelle, totalmente screditate, che descrivevano altri metodi di sterminio. Per questa ragione, essi hanno messo a tacere questi racconti. Nella sua enorme opera in tre volumi, La distruzione degli ebrei europei, Raul Hilberg non li menziona affatto, cosicché il lettore non si accorge mai che il racconto dell’”Olocausto” ha subito un mutamento radicale rispetto ai resoconti originali. Mentre però Hilberg è abbastanza dignitoso da non ricorrere a delle falsificazioni dirette, il principale specialista israeliano dell’Olocausto – Ytzhak Arad – fa precisamente questo. Nel suo libro su Belzec, Sobibor e Treblinka, riassume il rapporto del movimento partigiano del ghetto di Varsavia del 15 Novembre del 1942, ma ne distorce senza vergogna il testo sostituendo le imbarazzanti “camere a vapore” con la dizione “camere a gas”.[31]

5. Le testimonianze oculari si confermano o si contraddicono tra loro?

Gli avversari, male-informati, del revisionismo sostengono spesso che i testimoni delle camere a gas non avrebbero potuto inventare gli stessi racconti in modo indipendente gli uni dagli altri. Perciò, dicono costoro, i racconti delle gasazioni devono essere necessariamente veri, anche se il numero delle vittime può essere stato esagerato. Questo argomento è fondamentalmente difettoso perché i testimoni NON fanno gli stessi racconti, e i loro resoconti non concordano tra loro ma invece si contraddicono clamorosamente. Un semplice esempio sarà sufficiente a illustrare questo punto.[32]

Nel suo libro, La soluzione finale, che è ancora considerato un classico della letteratura dell’”Olocausto”, lo storico ebreo inglese Gerald Reitlinger descrive le presunte gasazioni omicide nei crematori II e III di Birkenau.[33] La sua descrizione è basata su estratti delle dichiarazioni di tre testimoni oculari: l’ebrea polacca Ada Bimko, l’ebreo ungherese Miklos Nyiszli, e l’ebreo rumeno Charles Sigismund Bendel. Se voi leggete solo il testo di Reitlinger, non noterete nessuna contraddizione; i tre resoconti sembrano completarsi a vicenda. Ma non appena leggete il testo completo delle loro dichiarazioni, la situazione cambia radicalmente. Secondo Ada Bimko, la “camera a gas” era collegata al crematorio da un binario a scartamento ridotto. In realtà, la presunta camera a gas – che non era altro che un’ordinaria camera mortuaria – e i forni dei crematori erano situati su differenti piani dello stesso edificio.[34] In altre parole: Ada Bimko non ha mai visto l’interno del crematorio e perciò non può essere stata una testimone di nessun evento che abbia lì avuto luogo.

Grazie alle planimetrie dei crematori che sono giunte fino a noi, possiamo sapere le dimensioni delle camere mortuarie dei crematori II e III, che funsero presuntamente da camere a gas. Questi locali erano lunghi 30 metri, larghi 7, e alti 2.4.[35] Secondo il testimone Nyiszli, che affermò di aver lavorato nel crematorio II per diversi mesi, la “camera a gas” era lunga 200 metri.[36] Non meno sorprendente è la descrizione fatta dal testimone Bendel, il quale affermò che la “camera a gas” era lunga dieci metri, larga quattro e alta 1.6.[37] Fra l’altro, quest’ultima descrizione implica che le vittime, a parte i bambini piccoli e i nani, avrebbero dovuto piegarsi per entrare nel locale. In altre parole, i tre testimoni non solo si contraddicono tra loro in modo clamoroso, ma le loro descrizioni sono totalmente incompatibili con la realtà fisica degli edifici di cui hanno parlato. La conclusione inevitabile è che devono aver mentito tutti e tre.

In altri casi, le descrizioni dei testimoni concordano, ma contengono le stesse impossibilità tecniche e fisiche. Nel mio libro, Auschwitz. Perpetrators’ confessions and eyewitness reports of the Holocaust [Auschwitz. Le confessioni dei perpetratori e i resoconti dei testimoni oculari dell’Olocauto] [38], ho riassunto numerose di queste impossibilità. Di nuovo, un esempio sarà sufficiente. Diversi testimoni hanno affermato che nei forni crematori di Auschwitz venivano bruciati tre corpi simultaneamente, in una sola muffola, nel giro di venti minuti.

Nel 1975, un gruppo di esperti di cremazione inglesi condusse una serie di esperimenti per accertare la durata minima possibile della cremazione del cadavere di un adulto. Giunsero alla conclusione che la durata minima era di 63 minuti.[39] Ammesso che ad Auschwitz fosse possibile introdurre tre cadaveri contemporaneamente in una muffola, il processo di cremazione sarebbe durato circa tre ore, il che significa che la durata menzionata dai testimoni è nove volte troppo bassa.

Naturalmente, è impossibile che diversi testimoni abbiano inventato tali assurdità in modo tra loro indipendente: il singolo testimone ripeteva quello che un altro aveva detto o scritto. In molti casi, questi testimoni resero le loro dichiarazioni poco dopo la fine della guerra nei processi contro i tedeschi accusati di partecipazione allo sterminio degli ebrei. Questi processi vennero organizzati dalle potenze vittoriose per stabilire che l’”Olocausto” era un fatto storico, e poiché non c’erano prove materiali o documentarie delle camere a gas omicide, le dichiarazioni degli ex detenuti – in maggioranza ebrei – dei campi di concentramento costituirono la sola base delle accuse. In queste condizioni, è chiaro che i testimoni vennero attentamente istruiti prima dei processi. Mentre è vero che questi ex detenuti avevano sofferto nei campi, poi trassero prontamente vantaggio dall’opportunità di incriminare i loro ex oppressori accusandoli di ogni atrocità.

Il valore effettivo delle testimonianze oculari è emerso in modo drammatico nel caso di Frank Walus. Nel 1974, il “cacciatore di nazisti” Simon Wiesenthal e la sua cricca accusarono il cittadino americano Walus, un operaio in pensione di origine polacca, di incredibili atrocità in Polonia durante la seconda guerra mondiale. Non meno di undici mentitori ebrei testimoniarono sotto giuramento che Walus aveva crudelmente torturato e ucciso una vecchia donna, una ragazza, numerosi bambini e uno sciancato. Walus alla fine riuscì a ottenere dalla Germania dei documenti che dimostravano che all’epoca dei fatti non stava neppure in Polonia ma lavorava in una fattoria bavarese.[40] Così l’accusa crollò, e Walus rimase un uomo libero fino al termine della sua vita. Ma migliaia di altri imputati che erano stati incriminati in base a testimoni non migliori di quelli che avevano giurato contro Walus sono stati impiccati o hanno passato molti anni in prigione.

6. Tre testimoni chiave

Diamo ora uno sguardo a tre testimoni-chiave delle presunte gasazioni omicide di Auschwitz: Rudolf Vrba, Henryk Tauber e Filip Müller. Come ricorderete, Rudolf Vrba, che era fuggito da Auschwitz nell’Aprile del 1944, firmò un rapporto sul campo assieme ad Alfred Wetzler. In questo rapporto, i due affermarono che, quando il primo crematorio di Birkenau venne inaugurato nel Marzo del 1943, la prima gasazione nella camera mortuaria di questo crematorio venne presenziata da alcuni alti funzionari non meglio precisati provenienti da Berlino, e che in questa prima gasazione vennero uccisi 8.000 ebrei (poiché tale camera mortuaria aveva un’estensione di 210 metri quadrati, questo significa che ogni metro quadrato avrebbe dovuto contenere 38 persone!). Nel 1964, Vrba scrisse un libro intitolato I cannot forgive[41] [Non posso perdonare], in cui il racconto era un po’ cambiato. Inspiegabilmente, ora affermava che il primo crematorio era stato aperto nel Gennaio del 1943 e che alla gasazione in questione aveva assistito il capo delle SS Heinrich Himmler in persona, sebbene tutti gli storici concordino che Himmler visitò Auschwitz per l’ultima volta nel Gennaio del 1942. D’altra canto, Vrba ora si accontentava di valutare il numero dei presunti gasati in 3.000 vittime. Nel 1985, quando il revisionista canadese di origine tedesca Ernst Zündel (che ora, insieme al chimico Germar Rudolf, è il più importante prigioniero politico del regime fantoccio sionista della Germania) venne messo sotto processo a Toronto per diffusione di “false notizie”, Vrba fu la star dei testimoni d’accusa. Ma l’impostore venne spietatamente contro-interrogato dall’avvocato di Zündel, Douglas Christie,[42] (che venne costantemente consigliato da Robert Faurisson durante tutto il processo) e infine dovette ammettere di non aver mai assistito a questa presunta gasazione, ma di aver semplicemente ripetuto una storia che aveva sentito da altri; aveva utilizzato una “licenza poetica”, per citare le sue parole. Durante il suo interrogatorio con Christie, il mentitore insistette di aver visto personalmente 150.000 ebrei francesi sparire nei crematori, mentre Christie fece notare che, secondo lo storico ebreo Serge Klarsfeld, solo 75.721 ebrei erano stati deportati dalla Francia in tutta la guerra, e non tutti erano finiti ad Auschwitz.[43]

Il secondo testimone-chiave dell’”Olocausto” è Henryk Tauber, un ebreo polacco che aveva lavorato in uno dei crematori. Al processo di Rudolf Höss, che era stato il primo comandante di Auschwitz, venne presentata come prova da parte dell’accusa una dichiarazione scritta di Tauber.[44] In essa si affermava che, ogni volta che gli aerei alleati si avvicinavano al campo, lui e i suoi compagni mettevano otto cadaveri in una singola muffola in modo tale che uscissero dal camino delle fiamme particolarmente alte, per richiamare l’attenzione dei piloti sullo sterminio in corso nel campo. A parte il fatto che dal camino di un crematorio non possono uscire fiamme, le aperture delle muffole erano alte esattamente 60 centimetri.[45] Ora, il corpo umano ha uno spessore medio di 20 centimetri, il che significa che non sarebbe stato certo possibile inserire tre cadaveri in una muffola, ancora meno otto. Tauber inoltre testimoniò che ad Auschwitz i cadaveri grassi venivano bruciati senza bisogno di combustibile. Ma poiché il 65% del corpo umano è costituito di acqua, i cadaveri non possono comunque bruciare senza combustibile; migliaia di crematori in tutto il mondo attestano questo fatto. Sebbene le dichiarazioni di Tauber siano assolutamente insensate, un Robert Jan van Pelt, che alcuni considerano l’esperto più autorevole di Auschwitz, ha preso sul serio questa spazzatura e ha persino elogiato Tauber come il più autorevole dei testimoni![46]

Ancora più scervellata di quella di Tauber è la testimonianza di Filip Müller. Müller era stato membro del cosiddetto “Sonderkommando” di Auschwitz, dalla primavera del 1942 alla fine delle attività del campo nel Gennaio del 1945. Secondo la leggenda, i membri del “Sonderkommando” dovevano lavorare nelle camere a gas e nei crematori. Venivano eliminati ogni quattro mesi e sostituiti da altri. Questo significa che Müller deve essere riuscito a sopravvivere miracolosamente ad almeno cinque eccidi. Ma questo non è il solo miracolo di cui ha beneficiato. Nel suo nauseante bestseller Sonderbehandlung, che scrisse 34 anni dopo la fine della guerra con l’aiuto di un ghost-writer, riferì che aveva dovuto spogliare i cadaveri delle vittime che erano state uccise con l’acido prussico nella camera a gas. Una volta – scrive – trovò un pezzo di torta nella tasca di una delle vittime e lo divorò avidamente.[47] Poiché Müller non può certo aver indossato una maschera anti-gas mentre mangiava questa torta, dobbiamo concludere che era resistente all’acido prussico. Nel suo capolavoro, Müller racconta di come volesse morire nella camera a gas insieme alle altre vittime, ma poi un gruppo di donne ebree denudate decisero che doveva sopravvivere per informare il mondo degli orrori cui aveva assistito, e così lo presero per le braccia e lo spinsero fuori della camera a gas.[48] Questo mentitore patologico è il testimone preferito del professor Raul Hilberg. Nella sua opera classica sull’”Olocausto”, La distruzione degli ebrei europei,[49] Hilberg cita Filip Müller venti volte come testimone delle gasazioni omicide di Auschwitz![50] Questo è il tipo di materiale con cui la leggenda dell’”Olocausto” è stata costruita!

7. Le confessioni deiperpetratori

Dopo la guerra, i vincitori decisero di trasformare le dicerie sulle “fabbriche della morte” tedesche in un “fatto storico accertato”. A mio parere, c’erano tre ragioni per farlo. Prima di tutto, i vincitori volevano bollare la nazione tedesca con il marchio di Caino per prevenire una rinascita del nazionalismo tedesco. In secondo luogo, volevano nascondere i loro odiosi crimini contro l’umanità, come l’espulsione di oltre 12 milioni di tedeschi etnici dalla terra dei loro antenati, o come la distruzione della città di Dresda – dove almeno 250.000-300.000 civili vennero uccisi senza la minima necessità militare[51] – o il bombardamento atomico di Hiroshima e di Nagasaki in un’epoca in cui il Giappone era già pronto ad arrendersi. Per ottenere questo scopo, trovarono utile accusare i tedeschi di atrocità che avrebbero fatto impallidire i propri – reali – misfatti. In terzo luogo, il racconto dell’”Olocausto”, che prese la sua forma attuale negli anni successivi alla guerra, funse da giustificazione per la creazione dello stato d’Israele, che venne fondato nel 1948 con la benedizione sia degli Stati Uniti che dell’Unione Sovietica. Al processo di Norimberga, dove i vincitori giudicarono ipocritamente i vinti, applicando la legge in modo retroattivo e ricorrendo a numerose altre manipolazioni, il preteso sterminio degli ebrei venne “provato” mediante le dichiarazioni dei sedicenti “testimoni oculari” e le “confessioni” dei “perpetratori”. Queste confessioni vennero ottenute spesso con la tortura. Il caso più famoso è quello del suddetto Rudolf Höss, il primo comandante di Auschwitz. Dopo la sua cattura da parte degli inglesi, Höss confessò nell’Aprile del 1946 che ad Auschwitz – a partire dalla fine del 1943 – erano stati gasati non meno di 2.500.000 prigionieri, mentre altri 500.000 erano morti di fame e di malattie.[52] Ma secondo Franciszek Piper, il principale storico del Museo di Auschwitz, i prigionieri condotti nel campo, in tutto il periodo della sua attività, furono 1.300.000,[53] mentre Carlo Mattogno ha dimostrato che anche questa cifra è gonfiata di almeno 200.000 unità.[54] Höss dichiarò anche di aver visitato Belzec e Treblinka nel 1941, anche se Belzec venne aperta nel Marzo del 1942 e Treblinka nel Luglio dello stesso anno. Come lo scrittore inglese Rupert Butler ha evidenziato nel suo libro del 1983, Legions of Death, una squadra di specialisti inglesi della tortura, guidata dal sergente ebreo Bernard Clarke, picchiò selvaggiamente Höss per tre giorni prima che il prigioniero firmasse infine la propria confessione. Era scritta in inglese, una lingua che non conosceva.[55]

Il fatto che le autorità della Repubblica Federale di Germania siano sempre state ansiose di sottoscrivere la narrazione dell’”Olocausto” può sembrare incomprensibile all’osservatore non informato – perché questi signori dovrebbero accusare la loro stessa nazione di crimini immaginari? La risposta a questa domanda è che il sistema cosiddetto “democratico”, essendo stato imposto alla parte occidentale della Germania, proprio come venne imposta una dittatura comunista alla parte orientale, ha cercato di legittimarsi agli occhi della popolazione provando la malvagità senza precedenti del nazionalsocialismo. Questo scopo è stato raggiunto con un’inondazione senza fine di processi dove gli imputati, che erano solitamente accusati di aver ucciso gli ebrei, sono stati presentati dai media come belve in forma umana; le autorità costrinsero innumerevoli scolaresche ad assistere a questi processi-show per istigarle contro la generazione dei propri padri, che avevano sostenuto a maggioranza schiacciante il regime nazionalsocialista. Così i processi hanno esercitato un ruolo cruciale nella rieducazione della nazione tedesca. Sono serviti ad evocare in modo retroattivo le prove agognate dello sterminio dei milioni di vittime nelle “camere a gas” attraverso i racconti “oculari” e le confessioni dei presunti colpevoli – prove che la storiografia non è stata assolutamente capace di produrre fino a oggi, a causa della totale assenza di documenti pertinenti e di tracce materiali. Considerato il carattere eminentemente politico di questi processi, un ex membro delle SS seduto sul banco degli accusati, che sperava in una possibilità di assoluzione – o, almeno di una sentenza relativamente mite – non poteva contestare lo sterminio degli ebrei; poteva al massimo negare la sua colpevolezza personale o, nel caso i testimoni lo avessero coinvolto pesantemente, affermare che era stato costretto a obbedire agli ordini. Questa strategia ebbe spesso successo. Un esempio è quello fornito dal caso dell’ex funzionario delle SS Josef Oberhauser, che era stato inviato a Belzec durante la guerra e che venne messo sotto processo a Monaco nel 1965. Una volta alla sbarra, parlò della necessità di obbedire agli ordini ma non contestò le gasazioni del campo e così, ancora una volta, il sistema giudiziario della Germania Ovest fece notare in modo trionfante che l’imputato non aveva negato la realtà dello sterminio. Sebbene Oberhauser venisse condannato per complicità nello sterminio di 300.000 persone, nondimeno se la cavò con una sentenza incredibilmente lieve di soli quattro anni e mezzo di prigione.[56] Poiché era stato imprigionato nel 1960, nel 1965 la condanna venne considerata scontata, e fu rilasciato poco dopo la fine del processo. Questo esempio mostra che il sistema giudiziario della Germania Ovest non ha avuto neppure bisogno di torturare gli imputati per ottenere le confessioni desiderate.

Nel 1977, Adalbert Rückerl, l’ex direttore responsabile dell’incriminazione dei presunti criminali di guerra, scrisse un libro sui processi.[57] Nella seconda edizione della sua opera classica sull’Olocausto, Raul Hilberg cita come fonte il libro di Rückerl 41 volte. In altre parole: il sistema giudiziario tedesco ha “provato” l’”Olocausto” attraverso processi in cui le dichiarazioni di testimoni spergiuri e le confessioni forzate o incentivate dei presunti “perpetratori” costituivano l’unica prova, e gli storici ortodossi dell’”Olocausto” come Hilberg si sono largamente basati sui verdetti di tali processi. E oggi, lo stesso sistema giudiziario corrotto tedesco che ha fabbricato false prove sull’”Olocausto” manda i revisionisti in prigione senza neppure esaminare i loro argomenti, dichiarando che l’”Olocausto” è un fatto notorio provato dagli storici!

8. Cosa dicono i documenti?

I documenti tedeschi, che sono sopravvissuti in gran numero, provano in realtà che il terzo Reich si voleva sbarazzare della presenza degli ebrei, ma non per mezzo di uno sterminio. Fino al 1941, l’emigrazione ebraica nei paesi extra-europei venne fortemente incoraggiata, ma poi la guerra e il gran numero degli ebrei che vivevano nei paesi appena conquistati dai tedeschi resero impossibile la prosecuzione di questa politica, e i leader tedeschi pensarono allora di attuare quella che è stata definita una “soluzione finale territoriale” (questa espressione venne utilizzata in una lettera scritta da Reinhard Heydrich al Ministro degli Esteri Joachim Ribbentrop il 24 Giugno del 1940).[58] Dopo le grandi conquiste territoriali del terzo Reich, nelle fasi iniziali della guerra, contro l’Unione Sovietica, un gran numero di ebrei vennero inviati nei territori occupati ad Est, sulla via dei quali operavano come campi di transito Belzec, Sobibor e Treblinka che divennero, nella propaganda ebraica e alleata, “campi di sterminio”. Nello stesso tempo, il Reich deportò centinaia di migliaia di ebrei nei campi di concentramento per sfruttare il loro lavoro. Poiché la mortalità altissima in alcuni di questi campi, dovuta principalmente alle malattie, ma anche al cibo e al vestiario scadenti, ridusse duramente l’utilità economica dei detenuti, i dirigenti tedeschi presero delle misure per migliorare la situazione. Permettetemi di citare degli estratti da due documenti che portano un colpo devastante alla tesi dello sterminio. Il 28 Dicembre del 1942, l’ispettore dei campi di concentramento Richard Glücks inviò una circolare a tutti i comandanti dei campi, ritenendoli personalmente responsabili delle condizioni lavorative dei detenuti; egli scrisse:

“I medici del campo dovranno fare molta più attenzione alle razioni dei detenuti di quanto abbiano fatto in precedenza, e dovranno sottoporre delle proposte di miglioramento al comandante del campo, d’accordo con l’amministrazione. Questi miglioramenti non dovranno rimanere solo sulla carta, ma dovranno essere regolarmente verificati dai medici del campo. Inoltre, i medici del campo dovranno accertarsi che le condizioni lavorative dei vari luoghi di lavoro vengano migliorate per quanto possibile…Il Reichsführer SS [Heinrich Himmler] ha ordinato che la mortalità deve assolutamente diminuire”.[59] In realtà, quest’ordine portò a un considerevole miglioramento delle condizioni di vita della maggior parte dei campi, e la mortalità diminuì quasi dell’80% nel giro di otto mesi.[60]

Il 26 Ottobre del 1943, Oswald Pohl, capo dell’Ufficio Principale dell’amministrazione economica delle SS, inviò una direttiva a tutti i comandanti dei campi chiedendo un aumento della produttività; egli affermò:

“Attualmente, la manodopera dei detenuti è importante, e tutti i provvedimenti dei comandanti, dei furieri e dei medici devono essere volte a mantenere i detenuti in salute e abili al lavoro. Non per un falso sentimentalismo, ma piuttosto perché devono contribuire al conseguimento di una grande vittoria del popolo tedesco, dobbiamo quindi essere attenti al benessere dei detenuti. Propongo come nostro primo obbiettivo: che non più del 10% dei detenuti per volta sia inabile al lavoro a causa di malattie […] Questo comporta: 1) una dieta pratica e appropriata; 2) un vestiario pratico e appropriato; 3) il pieno utilizzo di tutti i mezzi naturali per preservare la salute; 4) evitare ogni sforzo e ogni dispendio di energia non necessari per il lavoro; 5) premi di produttività.[61]

Esattamente otto giorni dopo che questa direttiva era stata impartita, i tedeschi avrebbero, secondo quanto ci viene detto, fucilato non meno di 42.000 ebrei che stavano lavorando nelle fabbriche di armamenti di Majdanek e di due suoi sottocampi! Come al solito, la base di questa affermazione è costituita solo dai resoconti dei sedicenti “testimoni oculari” e dalle confessioni dei perpetratori.[62] Questo genere di affermazioni merita di essere accolto con boati di risate.

L’obiezione che i tedeschi risparmiavano solo gli ebrei abili al lavoro e sterminavano gli inabili è categoricamente confutata dai documenti di Auschwitz, il più grande dei presunti centri di sterminio. A partire dal 1990, i cosiddetti Sterbebücher (registri mortuari) di Auschwitz, che coprono con qualche lacuna il periodo che va dall’Agosto del 1941 al Dicembre del 1943 – quelli del 1944 mancano – sono stati resi accessibili agli studiosi. Se, all’arrivo, i malati, i vecchi e i bambini piccoli fossero stati mandati alle “camere a gas” senza essere registrati, come affermano gli storici ortodossi, non ci sarebbero certificati di morte per persone con più di 60 anni o con meno di 14. In realtà, almeno il 10% dei prigionieri che morirono ad Auschwitz appartenevano a queste due categorie.[63] Che i vecchi e i bambini venissero deportati è certamente vergognoso comunque, anche se la ragione non era il sadismo, ma la riluttanza a separare le famiglie. D’altro lato, se gli storici ortodossi avessero ragione, non ci sarebbe stata traccia documentaria di queste persone ad Auschwitz: sarebbero stati tutti gasati all’arrivo.

Durante tutta l’esistenza del campo di Auschwitz, la percentuale di detenuti inabili al lavoro è sempre stata molto alta. Ad esempio, il 31 Dicembre del 1943, la popolazione del campo era di 85.298 persone, dei quali non meno di 19.699 – vale a dire il 23% – appartenevano a tale categoria.[64] Se gli storici ufficiali avessero ragione, tutte queste persone avrebbero dovuto essere inviate alle camere a gas. Dopotutto, da un punto di vista puramente economico, si trattava di “bocche inutili”.

Tutto ciò è terribilmente imbarazzante per i difensori del mito di Auschwitz. Non meno imbarazzante è l’enorme mole di documenti sul trattamento medico, ad Auschwitz, dei prigionieri sia ebrei che non ebrei. Questo aspetto sarà affrontato in dettaglio da un libro ancora non pubblicato del revisionista italiano Carlo Mattogno, in cui verranno citati molti di questi documenti. Facciamo solo un esempio: un’indagine statistica compilata il 27 Luglio del 1944 mostra che, nei due mesi precedenti, 3.138 ebrei ungheresi erano stati curati nell’ospedale del campo di Auschwitz per una vasta gamma di malattie, e che 1.426 di essi avevano subito interventi chirurgici.[65] Eppure ci viene detto che durante lo stesso periodo centinaia di migliaia di ebrei ungheresi sono stati gasati ad Auschwitz! Di nuovo, una tale affermazione, per la quale non c’è neppure un briciolo di prova – documentaria o materiale – è basata esclusivamente sulle dichiarazioni di “testimoni oculari” come Rudolf Vrba, Henryk Tauber, Filip Müller e altri mentitori di professione. Parlando di interventi chirurgici, uno storico polacco – Henryk Swiebocki, riferisce che non meno di 11.246 prigionieri vennero operati nell’ospedale del campo di Auschwitz, tra il Settembre del 1942 e il Febbraio del 1944.[66] Ogni commento ulteriore mi sembra superfluo.

9. Conclusione

Alle generazioni future, l’”Olocausto” sembrerà davvero unico, ma per altre ragioni rispetto a quelle sostenute dagli ebrei. Queste generazioni future si troveranno in difficoltà nello spiegare come una narrazione così totalmente assurda non solo è stata universalmente creduta per molti decenni, ma persino difesa dai governi dei cosiddetti stati “democratici” per mezzo di una rigida censura e del terrore puro e semplice. Ci obbligano a credere in un gigantesco sterminio, praticato in mattatoi chimici, che non ha lasciato nessuna traccia: nessuna camera a gas omicida, nessuna planimetria delle medesime, nessuna autopsia su neanche un solo prigioniero gasato, nessuna fossa comune, niente ceneri, né ossa, né documenti – niente. L’”Olocausto” è presuntamente provato da legioni di sopravvissuti ebrei, sebbene ogni singolo sopravvissuto costituisca una prova vivente che, mentre i tedeschi perseguitarono davvero gli ebrei, non li sterminarono. Nel 1968, l’Istituto Storico Polacco di Varsavia pubblicò il racconto di un certo Samuel Zylbersztain, un ebreo polacco che era sopravvissuto a non meno di dieci campi: al “campo di sterminio” di Treblinka, al “campo di sterminio” di Majdanek, e ad altri otto “campi di concentramento normali”.[67] Lungi dal “provare” l’”Olocausto”, casi come questo mostrano che non c’è stato nessuno “Olocausto”.

Detto questo, il racconto assurdo dell’”Olocausto” ha avuto e ha tuttora pesanti conseguenze politiche. Se non fosse per quest’inganno, il mondo non avrebbe mai permesso ai sionisti di intraprendere la loro anacronistica impresa coloniale in Palestina. Se non fosse per quest’inganno, lo stato d’Israele, che è la causa principale di disordini in Medio Oriente, non esisterebbe, e i palestinesi non sarebbero stati derubati della loro patria. Se non fosse per questo inganno, il pianeta sarebbe un luogo più sicuro e pacifico.
[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://www.adelaideinstitute.org/2006December/contents_program2_Graf.htm
[2] Jean-Claude Pressac, Die Krematorien von Auschwitz, Piper Verlag, Munich/Zurich, 1994, p. 193.
[3] Johann Neuhäusler, Wie War das im KZ Dachau? Kuratorium für Sühnemal KZ Dachau, Dachau, 1981, p. 27.
[4] Robert Lenski, The Holocaust on Trial, Reporter Press, Decatur, Alabama, 1990, p. 157.
[5] Jürgen Graf, National Socialist Concentration Camps: Legend and Reality, in Germar Rudolf (editore), Dissecting the Holocaust, Theses & Dissertation Press, Chicago, 2003, pp. 297-300.
[6] Roland Bohlinger e Johannes P. Ney, Zur Frage der Echtheit desWannseeProtokolls”, Zeitgeschichtliche Forschungsstelle, Ingolstadt, 1987.
[7] The Canadian Jewish News, 20 Gennaio 1992.
[8] Jean-Claude Pressac, Auschwitz: Technique and Operation of the Gas Chambers, The Beate Klarsfeld Foundation, New York, 1989 – Jean-Claude Pressac, Les crématories d’Auschwitz, CNRS, Paris, 1993.
[9] F. Puntigam, H. Breymesser, E. Bernfus, Blausäuregaskammern zur Fleckfieberabwer, Sonderveröffentlichung des Reichsarbeitsblattes, Berlin, 1943.
[10] Robert Faurisson, “Bricolage et “gazouillages” à Auschwitz et Birkenau selon J.C. Pressac”, Revue d’Histoire Révisionniste, 3 (1990/91) – Robert Faurisson, Réponse à Jean-Claude Pressac, R. H. R., Colombes, Francia, 1994.
[11] Herbert Verbene (editore), Auschwitz: Nackte Fakten, Vrij Historisch Onderzoek, Berchem, Belgio, 1994.
[12] Jacques Baynac, “Comment les historiens délèguent à la justice la tache de faire taire les révisionnistes”, Nouveau Quotidien, Losanna, 2 Settembre 1996.
[13] Arthur Butz, “Context and Perspective in the Holocaust Controversy”, Journal of Historical Review, 4/1982.
[14] Stefan Szende, Der letze Jude aus Polen, Europa Verlag, Zurigo, 1945, p. 290.
[15] Documento di Norimberga URSS-13, 93, p. 41.
[16] Jan Karski, Story of a Secret State, Houghton Mifflin Company, Boston, 1944, p. 339.
[17] Krystyna Marczewska, Wladyslaw Wazniewski, “Treblinka w swietle Akt Delegatury Rzadu RP na Kraj”, Biuletyn Glowney Kornisji Badania Zbrodni Hitlerowskich w Polisce, Volume XIX, Varsavia, 1968, p. 136.
[18] Ibidem, p. 137.
[19] Ibidem, pp. 139-145.
[20] Gosudarstvenny Arkhiv Rossiskoj Federatsii, Mosca, 7021-115-19, 9, p. 108.
[21] Vassili Grossmann, L’enfer de Treblinka, B. Arthaud, Grenoble e Parigi, 1945.
[22] Documento di Norimberga PS-3311.
[23] Testimonianza di Zelda Metz, in: N. Blumenthal (editore), Dokumenti i materialy, Volume 1, Lodz, Polonia, 1946, p. 211.
[24] Alexander Pechersky, “La rivolta di Sobibor”, in: Yuri Suhl, Ed essi si ribellarono. Storia della resistenza ebraica contro il nazismo, Milano, 1969, p. 31.
[25] Friedrich P. Berg, “Diesel Gas Chambers: Ideal for Torture, absurd for Murder”, in Germar Rudolf (editore), Dissecting the Holocaust, Theses & Dissertation Press, Chicago, 2003, p. 435-470.
[26] Henri Roques, TheConfessionsof Kurt Gerstein, Institute for Historical Review, Costa Mesa, California, 1989.
[27] Carlo Mattogno, Il Rapporto Gerstein: anatomia di un falso, Sentinella d’Italia, Monfalcone, 1985.
[28] Enrique Aynat, Estudios sobre elHolocausto”, Garcia Hispan, Valencia, 1994.
[29] Ufficio Esecutivo del Presidente: War Refugee Board, Washington, German Extermination Camps – Auschwitz and Birkenau, Novembre 1944.
[30] Per lo sviluppo del mito di Auschwitz, vedi: Auschwitz. 27 Gennaio 194527 Gennaio 2005: Sessant’anni di propaganda [in rete all’indirizzo: http://www.vho.org/aaargh/ital/archimatto/CMausch45.pdf ].
[31] Ytzhak Arad, Belzec, Sobibor, Treblinka: The Operation Reinhard Death Camps, Indiana University Press, Bloomington e Indianapolis, 1987, p. 354.
[32] Sono debitore di questo esempio a Carlo Mattogno, grazie al suo articolo: “Leugnung der Geschichte? – Leugnung der Beweise”, Vierteljahreschefte für freie Geschichtsforschung, 2004/2.
[33] Gerald Reitlinger, The Final Solution, Londra, 1953, p. 150.
[34] Raymond Philipps, The Trial of Josef Kramer and 44 others (The Belsen Trial), William Hodge and Company, Londra/Glasgow/Edimburgo, 1946, pp. 66-76.
[35] Jean-Claude Pressac, Auschwitz: Technique and Operation of the Gas Chambers, New York, 1989, p. 286.
[36] Miklos Nyiszli, Auschwitz. A Doctor’s Eyewitness Account, New York, 1961, p. 44.
[37] Documento di Norimberga NI-11593, p. 2.
[38] Jürgen Graf, Auschwitz: Tätergeständnisse und Augenzeugen des Holocaust, VerlagNeue Vision, Würenlos, Svizzera, 1994.
[39] “Factors which affect the process of cremation”. Annual Cremation Conference Report, Cremation Society of Brittain, 1975, p. 81.
[40] Mark Weber, “Simon Wiesenthal – bogus nazi hunter”, Journal of Historical Review, n°4, Inverno 1989/1990.
[41] Rudolf Vrba, I cannot forgive, Bantam Books, Toronto, 1964.
[42] Trascrizione del primo processo Zündel, Toronto, 7.1.1985.
[43] Serge Klarsfeld, Le Mémorial de la déportation des juifs de France, Parigi, 1978.
[44] Jean-Claude Pressac, Auschwitz: Technique and Operation of the Gas Chambers, New York, 1989, p. 489.
[45] Ibidem, p. 93.
[46] Robert Jan van Pelt, The Case for Auschwitz, Indiana University Press, Bloomington, 2002, p. 193, p. 204.
[47] Filip Müller, Sonderbehandlung, Verlag Steinhausen, Francoforte, 1979, p. 23.
[48] Ibidem, pp. 179-180.
[49] Raul Hilberg, The Destruction of the European Jews, Holmes & Meyer, New York, 1985.
[50] Jürgen Graf, The Giant with Feet of Clay. Raul Hilberg and his Standard Work on theHolocaust”, Castle Hill Publishers, Hastings, 2000, p. 94.
[51] In una lettera datata 31 Luglio 1992, l’Amministrazione della città di Dresda citò un rapporto della polizia di Dresda secondo cui erano stati rinvenuti 202.040 cadaveri, a partire dal 20 Marzo del 1945. Secondo la lettera, il tasso reale di mortalità, ammontava a 250.000-300.000 vittime. Alcuni ricercatori forniscono cifre anche più elevate.
[52] Documento di Norimberga NO-3868 PS.
[53] Franciszek Piper, Die Zahl der Opfer von Auschwitz, Verlag Staatliches Museum in Oswiecim, 1993.
[54] Carlo Mattogno, “Franciszek Piper e “Die Zahl der Opfer von Auschwitz””, in: Il numero dei morti di Auschwitz – Vecchie e nuove imposture, Effepi, Genova, 2004.
[55] Rupert Butler, Legions of Death, Arrow Books Limited, Londra, 1983, p. 235 – Robert Faurisson, “How the British obtained the confessions of Rudolf Höss”, Journal of Historical Review, N°4, inverno 1986/87.
[56] Adalbert Rückerl, NSVernichtungslager in Spiegel deutscher Strafprozesse, Francoforte, 1977, p. 86.
[57] Ibid.
[58] Documento di Norimberga T-173.
[59] Documento di Norimberga NO-1523.
[60] Documento di Norimberga PS-1469.
[61] Archiwum Muzeum Stutthof, I-IB-8, p. 53.
[62] Jürgen Graf e Carlo Mattogno, Concentration Camp Majdanek. A Historical and Technical Study, Theses & Dissertation Press, Chicago, 2003, capitolo 9.
[63] Germar Rudolf, Vorlesungen über den Holocaust, Castle Hill Publishers, Hastings, 2005, pp. 271-273.
[64] Archiwum Glowney Kornisji Badania Zbrodni przeciwko Narodowi Polskiemu, Varsavia, NTN, 134, p. 277.
[65] Gosudarstvenny Arkhiv Rossiskoj Federatsii, Mosca, 7021-108-21, 32, p. 76.
[66] Henryk Swiebocki, “Widerstand”, in: Auschwitz. Studien zur Geschichte des Konzentrations und Vernichtungslagers, Verlag Staatliches Museum Auschwitz, 1999, p. 330.
[67] Famule Zylbersztain, “Pamietnik wieznia dziesieciu obozow”, in: Biuletyn Zydowskiego Instytutu Historycznego w Polsce, N°68, Varsavia, 1968, pp. 53-56.

One Comment
    • Anonimo
    • 10 Luglio 2008

    Relazione Magistrale !
    che Dio benedica Jurgen Graf.

    Alessandro D’Alterio

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