Germar Rudolf: Le colonne di Kula rivisitate (con una postilla di Carlo Mattogno)

Rudolf

Germar Rudolf

LE COLONNE DI KULA RIVISITATE

Di Germar Rudolf, 2017

RIASSUNTO

A partire dall’anno 2000, al più tardi, l’ex detenuto polacco di Auschwitz Michał Kula è stato citato dagli storici mainstream dell’Olocausto come il testimone chiave che ha descritto come esattamente lo Zyklon B veniva introdotto nelle camere a gas omicide che si ritiene siano esistite nei Crematori II e III ubicati nel campo di Auschwitz-Birkenau. Questo studio analizza alcune delle dichiarazioni postbelliche di Kula a questo riguardo allo scopo di ricostruire accuratamente ciò che Kula ha descritto, per valutare se le sue affermazioni siano attendibili anche da un punto di vista tecnico, e se le dichiarazioni di Kula su altri aspetti siano storicamente esatte. È dimostrato che le affermazioni di Kula sono false sotto molti aspetti, che egli ha modificato la sua versione ripetutamente, e che le sue affermazioni sono tecnicamente insensate.

TESTO

Nel 2002, durante il Convegno “Real History” di Cincinnati organizzato da David Irving, il defunto Robert Countess presentò una rappresentazione fisica delle “Kolonne di Kula”, come egli le aveva definite[1].

A partire dall’anno 2000, queste colonne sono state al centro di una controversia su come esattamente l’insetticida Zyklon B si suppone venisse introdotto nella camera mortuaria 1 dei Crematori II e III di Auschwitz, dove, come sostiene la narrazione ortodossa di Auschwitz, fino a 400,000 esseri umani si ritiene siano stati avvelenati a morte. Queste camere mortuarie vengono qualche volta definite come “il centro assoluto della sofferenza umana”, così quando stavo preparando la nuova imminente edizione del mio rapporto peritale, ho ritenuto importante gettare nuova luce su questi congegni.

Illustrazione 1: il dr. Countess scarica la sua “Kolonna di Kula” nei pressi dell’edificio del convegno di Cincinnati nell’estate del 2002, mentre Charles Provan la ispeziona.

L’ortodossia di Auschwitz sostiene che quattro aperture erano state praticate attraverso la copertura di cemento delle camere mortuarie in questione. Mentre alcuni testimoni hanno affermato che lo Zyklon B veniva semplicemente versato attraverso queste aperture, altri hanno affermato che alcuni congegni più o meno sofisticati vennero installati sotto tali aperture.

Il più importante sostenitore di quest’ipotesi è lo storico olandese dell’architettura dr. Robert van Pelt, che nel suo libro su Auschwitz ha pubblicato diversi disegni esplicativi di questi congegni che egli stesso aveva elaborato[2]. Ispirato da questo, il dr. Countess costruì un modello che presentò nel predetto convegno, vedi Illustrazione 1.

Illustrazione 2: il dr. Countess installa la sua “Kolonna di Kula” nella sala delle conferenze a Cincinnati, estate 2002.

La questione è stata riaccesa l’anno scorso quando un modello a grandezza naturale della “Kolonna di Kula”, costruito sulla base dei disegni di van Pelt, è stato presentato alla Biennale di Venezia, una mostra internazionale di architettura. Gli è stato dato grande risalto in un articolo del New York Times su quella mostra[3], inclusa una foto del congegno, vedi l’Illustrazione 3.

Illustrazione 3: Una colonna di Kula liberamente interpretata da Robert van Pelt, in mostra alla Biennale di Architettura di Venezia nel 2016 (foto di Gianni Cipriano).

Van Pelt non è stato il primo a preparare dei disegni esplicativi di queste colonne. Questo onore va al defunto storico francese Jean-Claude Pressac, che pubblicò i suoi disegni nel suo opus magnum del 1989[4].

Entrambi gli autori hanno basato i propri disegni sulla testimonianza postbellica di Michał Kula – da qui il nome delle colonne. Kula era un detenuto polacco di Auschwitz che testimoniò poco dopo la fine della guerra per un certo numero di volte su ciò che egli affermò di aver visto ad Auschwitz.

Oltre alle dichiarazioni di Kula, vi sono, a mia conoscenza, diversi altri testimoni ad aver sostenuto l’esistenza di tali colonne: M. Nyiszli, C. S. Bendel, F. Müller e J. Erber, come pure W. Lutecki, W. Girsa e K. Gracz[5]. Le descrizioni di Müller e di Erber risalgono alla fine degli anni ‘70/inizi anni ’80, mentre le descrizioni di Bendel, Nyiszli, Lutecki e Girsa sono molto superficiali. La descrizione di Gracz è un po’ più dettagliata e somiglia alla prima descrizione di Kula. Kula, tuttavia, è il solo testimone che ha descritto le colonne da subito e in grande dettaglio, così mi concentrerò qui su di lui.

A quanto mi risulta, Kula testimoniò almeno tre volte dopo la guerra, la prima durante le indagini preprocessuali che portarono al processo show contro l’ex comandante di Auschwitz Rudolf Höss, poi durante il medesimo processo, e infine durante il processo contro la guarnigione del campo di Auschwitz. Pressac e van Pelt hanno semplicemente preso in considerazione la prima testimonianza di Kula. Tuttavia, per valutare l’esattezza della sua testimonianza e della sua veridicità come testimone attendibile, devono essere esaminate tutte le sue testimonianze.

Durante la sua prima deposizione, Kula fornì una descrizione molto dettagliata di queste colonne, così dettagliata, in realtà, che egli deve essere stato coinvolto nella realizzazione delle colonne, se davvero esistettero. Presento a seguire la dichiarazione di Kula dalla sua deposizione resa prima del processo contro l’ex comandante di Auschwitz Rudolf Höss:[6]

“Tra l’altro, alla ślusarnia [= Schlosserei] furono realizzate docce cieche [finte] destinate alle camere a gas e le colonne di rete per gettare il contenuto dei barattoli di Zyklon nelle camere a gas. Queste colonne erano alte circa 3 metri, di sezione quadrata, circa 70 cm [di lato]. Una tale colonna era composta di 3 reti collocate l’una nell’altra. La rete esterna era fatta di filo di ferro di 3 mm teso su angolari [kantówka = Kantholz, ma qui si intende un ferro ad angolo, Winkeleisen] di 50 x 10 mm. Questi angolari si trovavano su tutti gli spigoli della colonna e sopra e sotto erano collegati tra di loro da un angolare dello stesso tipo. La maglia della rete era quadrata, di circa 45 mm. La seconda rete era costruita allo stesso modo e collocata all’interno della prima a una distanza di circa 150 mm. La maglia di questa rete era un quadrato di circa 25 mm. Agli angoli entrambe le reti erano collegate da montanti [sztycami: plurale, caso strumentale, da “sztyca”, termine che non appare nei vocabolari, ma dovrebbe significare, in inglese, “pillar”] di ferro. La terza parte della colonna era mobile. Era una colonna vuota di sottile lamiera zincata di sezione quadrata di circa 150 mm, che nella parte superiore finiva con un cono e sotto con una base quadrata piana. A distanza di circa 25 mm, ai bordi di questa colonna erano saldati angolari di lamiera sui montanti sottili di latta. Su questi angolari era tesa una rete sottile con maglia quadrata di circa 1 mm. Questa rete terminava alla base di un cono e dal di sopra, nel prolungamento della rete, correva una bordatura [obramowanie = Einrahmung, Umrahmung, Umrandung, Einfassung, Besztz, Umsäumung] di latta fino all’altezza della sommità del cono. Il contenuto di un barattolo di Zyklon era versato dal di sopra nel cono di distribuzione, per mezzo del quale si otteneva lo spargimento uniforme dello Zyklon [cyklonu] in tutte e 4 le pareti della rete laterale. Dopo l’evaporazione del gas, si tirava fuori tutta la colonnina [słup = colonna, słupek = piccola colonna] centrale e si rimuoveva la silice evaporata”.

Non getta una luce favorevole sulla credibilità di Kula il fatto che le docce erano vere, come Mattogno ha abbondantemente dimostrato.[7]

Kula aveva lavorato nell’officina dei fabbri di Auschwitz, sulle cui attività un gran numero di documenti sono sopravvissuti alla guerra. Ma tra questi, non ce n’è nessuno sulla realizzazione delle colonne per come sono state descritte da Kula. In realtà, non c’è neppure nessuna prova materiale o documentaria che queste colonne siano davvero esistite.[8] Lo stesso Kula deve aver anticipato questa obiezione, perché nella stessa testimonianza egli affermò che i lavori compiuti per i crematori non venivano registrati presumibilmente a causa del loro presunto carattere segreto e criminale. Anche questo non è vero, poiché esiste un’abbondanza di ordinazioni lavorative per oggetti riguardanti i crematori.[9]

Passiamo ora alla testimonianza successiva di Kula. Durante il processo Höss, egli testimoniò il quinto giorno di tale processo, dove egli rilasciò la seguente dichiarazione:[10]

“Per ordine di Höss alla ślusarnia [= in der Schlosserei] furono realizzate le colonne di gasazione che servivano per la gasazione. Le colonne erano alte 2 metri e mezzo [2,5 m], un quadrato di 150 mm di diametro [średnicy, Gen.= Durchmesser, Diameter] di luce interna, la seguente * ad una distanza di 30 mm, la terza a 15 mm di distanza. Una tale rete si usava per le finestre, era di colore verde; tra la rete e la lamiera c’era una distanza di 15 mm. Tutto questo era alto circa 1 metro e mezzo [1,5 m]. Allo sbocco [u wylotu = an der Mündung, am Ausgang] di questa rete c’era un cono cosiddetto di distribuzione. Di tali colonne ne realizzammo 7 pezzi [sztuk = Stück]. Le colonne furono installate nella camera a gas [do komory gazowej = in der Gaskammer] vicino [tuż = dicht, gleich] all’ apertura dove prima si gettava il barattolo con il gas. Questa colonna fu installata sotto questa apertura, il gas era versato dentro direttamente nel cono di distribuzione. Il cono era tale che il gas entrava uniformemente in queste quattro fessure [szczeliny = Luftspalte] di 15 mm tra la lamiera e la rete, allora la superficie di evaporazione del gas era maggiore. In questo modo le vittime si potevano uccidere più rapidamente”.

(* “następna” è un aggettivo, nominativo femminile singolare e dovrebbe riferirsi a średnicy, l’unico sostantivo femminile della frase; però l’aggettivo presuppone logicamente “siatka”, rete, perciò molto probabilmente nel verbale manca qualche parola).

Questo passaggio è pieno di affermazioni false.

  1. Come abbiamo detto in precedenza, le docce e quindi i servizi dei bagni erano veri.
  2. La dichiarata capacità di 2.500 uomini per la presunta camera a gas omicida, che ha un’area di superficie di circa 200m2, è fisicamente impossibile (vedi il Paragrafo 7.3.2.1.1. del mio rapporto peritale per i dettagli).
  3. Non vi erano due camere a gas di differenti dimensioni in questo crematorio, ma presuntivamente solo una (camera mortuaria 1).
  4. I detenuti dell’officina dei fabbri non avevano niente a che fare con la costruzione dei crematori, di cui si afferma che le camere a gas fossero parte integrante. Questi detenuti fornivano semplicemente numerosi accessori di ferro.
  5. Anche secondo la narrazione ortodossa, nessuno fu mai gasato “nelle vicinanze di Gleiwitz”.

Illustrazione 4: Il disegno, redatto dall’autore di questo articolo, delle “colonne di introduzione dello Zyklon B” per come sono state descritte da Michał Kula nella sua deposizione preprocessuale. Nero: i ferri angolari larghi 5 cm della colonna esterna, larga 70 cm; rosso: la rete metallica spessa 3 mm con le dimensioni della rete di 4.5 cm; verde: la colonna esterna collegata da puntoni (verde; numero dei puntoni mia ipotesi) agli angoli della colonna mediana (blu), fatta degli stessi ferri angolari, a 15 cm di distanza dalla maglia esterna (larghezza della colonna: 40 cm); rete metallica con la dimensione della rete 2.5 cm (verde chiaro); arancione: colonna interna, larga 20 cm, con una sottile rete metallica la cui dimensione è 0.1 cm, a 2.5 cm di distanza dalla colonna metallica interna di 15 cm di larghezza (ocra). In cima alla rete c’è l’estensione metallica che copre il cono distributore (grigio chiaro). Vedi l’illustrazione successiva per una veduta ravvicinata della parte superiore della colonna interna.  

Poiché Kula non era un membro del Sonderkommando, ci si può chiedere quale sia la fonte della sua “conoscenza” sulle camere a gas e il loro funzionamento. Si tratta probabilmente di un mero sentito dire o di “conoscenza” basata su dei rumor, il che indica che la testimonianza di Kula è stata “impollinata” da altri testimoni.

Il dato più importante è, tuttavia, che egli cambiò completamente le dimensioni delle colonne atte a introdurre lo Zyklon B. Quello che avrebbe dovuto essere l’aspetto di prima mano, attendibile e quindi immutabile della sua testimonianza. Secondo la sua prima deposizione preprocessuale, la colonna era alta 3 metri, altezza che durante il processo egli modificò a metri 2.50. Mentre la sezione interna misura 150 mm di larghezza in entrambe le testimonianze, la colonna descritta nella sua testimonianza durante il processo era larga solo (15+30+150+30+15=) 240 mm in totale, rispetto ai 700 mm della sua dichiarazione preprocessuale. Quelli che egli descrisse sono ovviamente due oggetti interamente differenti. Mentre uno può confondere 3 m con 2.50 m, confondere 70 cm con 24 cm non è probabile. Quindi Kula ha aggiustato la sua dichiarazione. Fornirò poi la ragione probabile di questo comportamento.

Illustrazione 5: Disegno schematico della parte superiore della colonna più interna del congegno di introduzione per come venne inizialmente descritto da Kula. La larghezza degli angoli metallici (verde) e l’altezza del “cono distributore” e quindi anche delle estensioni di lamiera che raggiungono l’altezza della cima del cono sono mie ipotesi.

Per valutare pienamente l’attendibilità di Kula come testimone, bisogna anche prendere in considerazione la sua ultima testimonianza da me conosciuta, che egli diede durante il processo contro la guarnigione del campo di Auschwitz pochi mesi dopo il processo Höss. Durante tale testimonianza, egli non menzionò affatto le colonne. Ma tra le altre cose, egli asserì la seguente:[11]

“Poi si cominciarono a costruire crematori giganteschi. Erano strutturati in modo tale che le vittime non si rendevano conto di dove venivano portate. Ogni crematorio aveva 2 camere a gas, una per 1.500 persone, l’altra per 2.000. Lì c’erano speciali piani inclinati [nel testo polacco “skocznie”, che significa trampolini] sui quali si scaricavano le persone dagli autocarri che [i cui cassoni] si sollevavano automaticamente e in questo modo le persone cadevano [sic! “spadali”] nelle camere a gas”.

Questa è una testimonianza davvero unica. Sebbene io abbia delle parole per definirla, mi asterrò dall’usarle qui. Evidentemente, ad ogni opportunità di raccontare le sue storie, le affermazioni di Kula diventarono sempre più fluttuanti.

Poiché la sua prima descrizione delle colonne di introduzione è più dettagliata e venne resa prima delle altre, gli studiosi ortodossi si sono basati su di essa. Come abbiamo detto in precedenza, sia Pressac che van Pelt hanno preparato dei disegni di queste colonne in base alla prima descrizione di Kula. Nessuno di tali disegni è privo di pecche. Per esempio, Pressac ritenne che le dimensioni della colonna interna fossero sbagliate e cambiò la sua configurazione, mentre la traduzione di van Pelt della testimonianza di Kula è erronea, e sebbene i dati presenti nella testimonianza di Kula siano piuttosto scarni, van Pelt li usa per elaborare cinque disegni differenti e molto dettagliati – in parte basati necessariamente sulle proprie congetture. Per ottenere una raffigurazione più realistica di ciò che Kula descrisse nella sua prima testimonianza, ho elaborato i miei propri disegni, vedi l’Illustrazione 4f. Ho aggiunto in essi solo quelle caratteristiche che Kula menzionò specificamente. Per esempio, Kula non dice nulla su eventuali strutture di rinforzo della colonna, che sarebbero state indispensabili per rendere il congegno sufficientemente robusto per sostenere una folla di persone nel panico.

Van Pelt ha riconosciuto questa carenza, e quindi il modello realizzato in base ai suoi disegni ed esibito durante la Biennale di Venezia del 2016 (vedi Illustrazione 3) mostra tacite “correzioni” alle affermazioni di Kula: le colonne di van Pelt hanno delle traverse che dividono la colonna in tre sezioni di altezza grosso modo uguale. Per rinforzare ulteriormente il congegno, il modello di van Pelt ha dei fili [metallici] molto più spessi sullo strato esterno – di circa 8 mm piuttosto dei miseri 3 mm dichiarati da Kula. Inoltre, van Pelt ha ridotto la larghezza della colonna centrale dai 40 cm asseriti da Kula a circa 30 cm. in realtà, avrebbe dovuto ridurla anche di più rispetto a quanto da lui operato, perché la colonna più interna e rimovibile con una asserita larghezza di 20 cm avrebbe avuto bisogno di una guida in modo da non incepparsi con uno dei suoi angoli nella rete metallica della colonna mediana quando si fosse abbassata inclinandosi leggermente. I ferri ad angolo che formano gli angoli della colonna mediana non avrebbero avuto in effetti altro scopo se non di funzionare come guide per la colonna più interna quando questa veniva inserita ed estratta. La rete metallica della colonna mediana era totalmente superflua e uno spreco. Tuttavia, Kula affermò che la colonna mediana era larga 40 cm, mentre quella più interna era larga 20 cm. Quindi c’era un totale disallineamento. La situazione è differente per quanto riguarda la seconda descrizione di Kula, che ha uno spazio libero tra ogni strato di appena 15 mm.

Van Pelt ha anche ridotto l’altezza della colonna esterna a molto meno dei 3 metri inizialmente dichiarati da Kula. La ragione di ciò è probabilmente a causa del fatto che non vi sono aperture sul tetto della camera mortuaria in questione che misurino 70 cmX70 cm in cui le colonne di Kula avrebbero potuto inserirsi. L’apertura più grande di questo tetto era larga solo 50 cm nel 1991, di cui parlerò sotto. Quindi van Pelt ha semplicemente lasciato che lo strato esterno della sua colonna finisca sul soffitto della camera mortuaria e ha lasciato che solo la colonna mediana più piccola protruda attraverso il tetto. Questa mancanza dei fori dalle dimensioni richieste dimostra categoricamente che le colonne descritte inizialmente da Kula non avrebbero potuto essere installate. Questa potrebbe anche essere la ragione per cui Kula ridusse l’altezza a 2.50 m nella sua testimonianza durante il processo (sebbene il soffitto in questa stanza fosse alto solo 2.40 m).

L’Illustrazione 6 evidenzia le implicazioni della questione. Il rettangolo verde raffigura la colonna di Kula nella sua prima versione, con un foro enorme necessario per installarla. Il rettangolo rosso e inclinato mostra una colonna di 2.40 m in altezza e 70 cm in larghezza, come postulato da van Pelt. Poiché sarebbe stato impossibile trasportarlo nella sua interezza all’interno della camera e installarlo, sarebbe stato necessario assemblarlo con i suoi componenti sul posto. Il rettangolo giallo raffigura la colonna mediana di Kula, larga 40 cm, che avrebbe potuto essere inserita attraverso un’apertura di quelle dimensioni.

Illustrazione 6: Sezione trasversale attraverso la camera mortuaria 1 dei Crematori II e III (Pressac 1989, p. 329). Verde: colonna secondo Kula – teoricamente installabile solo dall’alto, ma troppo corta e troppo larga; giallo: colonna mediana secondo van Pelt – installabile dall’alto, ma parimenti troppo corta; rosso: colonna esterna secondo van Pelt, che avrebbe dovuto essere assemblata sul posto dai suoi componenti.

Ad un’altezza di 3 metri, queste colonne erano perciò o troppo alte o non alte a sufficienza, perché l’altezza combinata della camera, lo spessore del tetto e lo strato del suolo in cima al tetto era di 3.10 m.[12] Quindi, per lasciare che una colonna di introduzione protruda sufficientemente dalla copertura di cemento armato, dovrà essere considerevolmente più lunga della predetta altezza (3.50 m e oltre).

In altre parole, la colonna di Kula, nella sua prima versione, sarebbe stata troppo lunga per entrare nella camera, troppo corta per uscire dal suolo, e troppo larga per passare attraverso qualunque foro di quel tetto. Qualcuno deve averlo capito, perché quando testimoniò in tribunale diversi mesi più tardi, la colonna di Kula si ridusse ad un’altezza quasi bastante e ad una larghezza più sottile di quasi un terzo rispetto alla prima versione di Kula.

È ovvio che queste colonne, se fossero esistite, avrebbero dovuto essere fissate in sicurezza nel cemento del soffitto e del pavimento con un anello metallico per impedire che la folla in preda al panico all’interno le calpestasse. Questo può essere illustrato dal foro mostrato nell’Illustrazione 8. Van Pelt e Keren et al.[13] affermano che questo fu il foro di introduzione più a nord nel quale le colonne di Kula vennero montate. Nella sua versione della colonna di Kula, van Pelt ha persino aggiunto i bulloni con cui la parte esterna della colonna sarebbe stata fissata al soffitto, vedi l’Illustrazione 7.

Illustrazione 7: Bulloni di fissaggio nella colonna di Kula secondo van Pelt. Ingrandimento di sezione dell’Illustrazione 3.

L’Illustrazione 8 mostra una veduta dall’alto di questo foro come appariva nel 2007 quando il dr. Fredrick Töben visitò il campo. La sua larghezza massima è indicata dalle frecce rosse (50 cm). La colonna di Kula, prima versione, si dice abbia avuto una lunghezza laterale quadra di 70 cm (frecce gialle). I rettangoli gialli semitrasparenti indicano l’area dove i bulloni necessari secondo van Pelt per fissare le colonne sul soffitto avrebbero dovuto essere posizionati. Dovrebbe perciò essere possibile trovare le tracce di questi punti di fissaggio nel cemento ancora oggi, ma come ho detto prima, non c’è traccia di essi.

Illustrazione 8: Vista dall’alto del foro sul tetto della camera mortuaria 1 del Crematorio II, entrata nella parte ancora accessibile della morgue. Larghezza massima: 50 cm (rosso); le colonne di introduzione di Kula avevano presuntivamente una lunghezza laterale quadrata di 70 cm (frecce gialle). Queste avrebbero dovuto essere imbullonate sul soffitto lungo i rettangoli gialli semitrasparenti. Alcuni dei punti di fissaggio dovrebbero essere visibili oggi, ma non ci sono. © photo: 1997 Fredrick Töben.

Oltretutto, io sostengo anche che la colonna di Kula non avrebbe potuto funzionare nel modo in cui egli aveva detto. Kula inizialmente asserì che i granuli di Zyklon B venivano versati nello stretto spazio di 2.5 centimetri tra il nucleo metallico della colonna interna e la sua cortina esterna. Già il versare i granuli in quello spazio angusto avrebbe potuto causare intasamenti ovunque lungo l’altezza della colonna. Anche se ciò non avvenne, è legittimo dire che i granuli di gesso sarebbero diventati molto umidi. Vi sono due ragioni per sostenere ciò.

Primo perché la camera in cui dovevano essere introdotti si dice che fosse stipata di persone. Costoro avrebbero prodotto un’atmosfera satura di acqua. Questa umidità si sarebbe condensata su qualunque cosa più fredda dell’aria che queste persone esalavano. Oltre a questo, nel caso che stiamo esaminando qui, l’acido cianidrico sarebbe evaporato velocemente dal coibente, sottraendogli notevoli quantità di energia, e quindi raffreddandolo. Questo avrebbe condotto alla condensazione di grandi quantità di umidità dell’aria nei granuli.

Il gesso bagnato tende ad attaccarsi e ad aggregarsi. Estrarre questo gesso umido, che si sarebbe attaccato al telaio mentre continuava a rilasciare il cianuro di idrogeno velenoso, dalla colonna interna sarebbe stato piuttosto difficile, e pericoloso. Sbattere il telaio per far uscire i granuli avrebbe rapidamente rovinato quella fragile colonna interna. In breve, sarebbe stato un disastro.

La situazione diventa persino peggiore quando prendiamo in considerazione la seconda descrizione di Kula, dove questo spazio si è ridotto addirittura a 15 mm. Non sarebbe stato nemmeno possibile far cadere i granuli di Zyklon B lungo uno spazio così stretto senza intasare e ostruire l’intera struttura, ancor meno pulirla dopo con i granuli di gesso bagnati e agglomerati attorno al telaio.

Vi sono ancora delle cose da dire su questa storia, ma mi asterrò dal discuterle qui. Il lettore interessato potrà consultare il mio rapporto peritale al riguardo. Alla fine, tutto si riduce al semplice fatto che Michał Kula, avendo fatto numerose false affermazioni e avendo modificato ripetutamente la propria testimonianza, è un testimone inaffidabile. Inoltre, la soluzione che egli suggerì su come lo Zyklon B veniva introdotto all’interno di queste morgue è semplicemente impraticabile e un insulto all’intelligenza di qualunque ingegnere o architetto – naturalmente tenendo presente il fatto che in ogni caso le rovine del Crematorio II dimostrano chiaramente che nessuna di tali colonne vi furono mai installate, se mai davvero esistettero.

Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: https://codoh.com/library/document/kulas-columns-revisited/en/

 

POSTILLA DI CARLO MATTOGNO

La persona che sa più cose al mondo sull'Olocausto - Andrea Carancini

Da: C. Mattogno, Le camere a gas di Auschwitz. Studio storico-tecnico sugli “indizi criminali” di Jean-Claude Pressac e sulla “convergenza di prove” di Robert Jan van Pelt. Effepi, Genova, 2009. pp. 73-78.

2.5. – «Drahtnetzeinschiebevorrichtung» e «Holzblenden»

2.5.1. La scoperta degli indizi

Pressac rileva che

«gli inventari dei crematori, redatti quando gli edifici erano completati, forniscono parimenti una prova supplementare quasi incredibile: menzione del congegno per introdurre lo Zyklon-B in un Leichenkeller [camera mortuaria seminterrata]».

Nell’inventario del seminterrato (Kellergeschoß) allegato alla deliberazione di consegna  del crematorio II del 31 marzo 1943 Pressac ha infatti letto le scritte «4 Drahtnetzeinschiebvorrichtung» e «4 Holzblenden», che egli interpreta come «congegni di introduzione di rete metallica» e «coperchi di legno»[14].

Nel documento originale queste parole sono manoscritte. Il documento che si trova nell’archivio moscovita di via Viborgskaja è più chiaro della copia all’epoca in possesso del Museo di Auschwitz utilizzata da Pressac[15]. La decifrazione di Pressac è esatta, salvo per l’omissione di una vocale: la parola in questione è infatti “Drahtnetzeinschiebevorrichtung”[16]. “Holzblenden” è corretto.

Nell’inventario del seminterrato del crematorio II questi dispositivi sono però riferiti al Leichenkeller 2, non al Leichenkeller 1 [la presunta camera a gas]. Pressac spiega così questa incongruenza:

«Tuttavia il disegno 2197 dell’archivio “Rivoluzione d’ottobre” indica che il Leichenkeller 1 aveva 16 lampade e 3 rubinetti, il Leichenkeller 2, 10 lampade e 5 rubinetti»,

mentre l’inventario attribuisce 5 rubinetti al Leichenkeller 1 e 3 al Leichenkeller 2.  Pressac giustamente commenta:

«Nell’inventario c’è stata un’inversione di righe come risulta dal numero delle lampade»[17].

In altri termini, nella riga contrassegnata dal temine “Zapfhähne” (rubinetti) c’è stato uno scambio di casella e i due numeri sono invertiti.  Ma da ciò egli trae l’indebita conclusione che anche le righe relative a “Drahtnetzeinschiebevorrichtung” e “Holzblenden” siano state invertite, sicché questi dispositivi si riferirebbero in realtà al Leichenkeller 1. Sul valore di questa spiegazione mi soffermerò nel paragrafo seguente.

2.5.2. Significato dei termini e localizzazione dei congegni

I congegni in questione sono menzionati unicamente in questo documento, perciò la loro funzione si può desumere soltanto in base alla loro designazione.

Da questo punto di vista, bisogna notare che “Drahtnetzeinschiebevorrichtung” non può indicare un dispositivo di “introduzione” (versamento) dello Zyklon B, perché il verbo “einschieben” significa “inserire”, “far scorrere dentro”. Si potrebbe certamente pensare alla “scatola” che, secondo la descrizione di Tauber, scorreva dentro il dispositivo per mezzo di un filo di ferro, tuttavia ciò che scorreva non era l’intero dispositivo, ma, appunto, un suo elemento. Inoltre la funzione del dispositivo era l’introduzione dello Zyklon B nella camera a gas, non lo scorrimento di un suo elemento, perciò la denominazione di «dispositivo di scorrimento (o inserimento) di rete metallica» resta comunque inadeguato.

Neppure “Holzblenden” può significare «coperchi di legno», perché “Blende” non significa “coperchio” (in tedesco “Deckel”), ma «schermo, diaframma». In architettura la “Blende” era uno sportello (in particolare di protezione di una finestra, sia contro le schegge sia contro i gas). Ad esempio, la lettera scritta dall’ SSObersturmführer in data 26 agosto 1944 con oggetto «Trasformazione del vecchio crematorio a scopo di protezione antiaerea» (Ausbau des alten Krematoriums für Luftschutzzwecke) menziona esplicitamente «16 sportelli di protezione per finestre a prova di gas e antischegge» (16 St Fensterblenden Gas- und splittersicher). Ma un tale sportello non si concilia con un coperchio di chiusura del presunto camino di introduzione dello Zyklon B.

Se questi dispositivi fossero stati ciò che pretende la storiografia olocaustica, essi si sarebbero chiamati “Drahtnetzeinwurfvorrichtungen” e “Holzdeckel.

Nella documentazione relativa ai crematori i congegni di versamento hanno infatti una denominazione simile:

– lo sportello per il versamento dall’esterno del crematorio nel “Müllverbrennungsraum[18] dei rifiuti da bruciare si chiamava “Einwurfblende”[19] (dove “Blende” è appunto uno sportello);

la finestra per il versamento dall’esterno del carbone nel relativo deposito dei crematori IV e V si chiamava “Kohleneinwurffenster”[20].

Per quanto riguarda la loro localizzazione, nell’inventario del seminterrato del crematorio II i congegni sono riferiti al Leichenkeller 2, non al Leichenkeller 1. È ben vero che, come sottolinea Pressac, in questo documento le cifre della colonna “Zapfhähne” (rubinetti) sono scambiate (cioè i rubinetti del Leichenkeller 2 sono attribuiti al Leichenkeller 1 e viceversa), ma ciò non vale per la colonna relativa alle lampade, nella quale esse sono attribuite correttamente (16 al Leichenkeller 1 e 10 al Leichenkeller 2). Nulla dimostra pertanto che le colonne “Drahtnetzeinschiebevorrichtung” e “Holzblenden” siano state scambiate e che questi dispositivi debbano essere attribuiti al Leichenkeller 1. Sicché la prova della loro presenza in questo locale sarebbe costituita unicamente da una fotografia aerea:

«La fotografia aerea del 24 [recte: 25] agosto 1944  scattata dagli Americani mostra che i 4 congegni di introduzione furono davvero installati nel Leichenkeller 1/camera a gas 1 del crematorio II, e non nel Leichenkeller 2/spogliatoio»[21].

Vedremo nel capitolo 13.3.3. quale valore abbia questa «prova».

2.5.3. La testimonianza di Michał Kula

Nell’interpretazione dei 4 “Drahtnetzeinschiebevorrichtungen” come congegni di introduzione per lo Zyklon B, Pressac si basa in particolare sulla testimonianza di M. Kula, ex detenuto n. 2718.  Nel suo  interrogatorio dell’11 giugno 1945 egli dichiarò di aver fabbricato questi congegni e ne fornì un’accurata descrizione indicandone anche le misure: si trattava di colonne di rete metallica alte circa 3 metri con sezione quadrata di circa 70 centimetri di lato[22].

Kula aveva fatto parte dell’officina dei fabbri della Zentralbauleitung (Häftlings-Schlosserei) come tornitore (Dreher). Il suo numero appare in un documento con timbro a data 8 febbraio 1943 con oggetto «Häftlings-Schlosserei. Lista dei detenuti», nel quale sono riportati i numeri dei 192 detenuti che facevano parte di quell’officina[23].

La Häftlings-Schlosserei era un Kommando delle Werkstätten della Zentralbauleitung – officine specializzate nei vari settori dell’edilizia nelle quali lavoravano Kommandos di detenuti, per lo più operai specializzati.

I Kommandos delle Werkstätten prestarono la loro opera in tutti i Bauwerke (cantieri), inclusi i crematori. Secondo la prassi del 1942, il Bauleiter (capo delle costruzioni) o Bauführer (capocantiere) che aveva bisogno della prestazione faceva anzitutto una richiesta all’ amministrazione dei materiali (Anforderung an die Materialverwaltung) con apposito modulo numerato; se la richiesta era autorizzata (genehmigt), il Werkstättenleiter (capo delle officine) impartiva l’ incarico  (Auftrag) al Kommando interessato tramite apposito modulo numerato in cui veniva indicato il tipo di lavoro da eseguire; il Kommando che eseguiva il lavoro redigeva poi una scheda di lavoro (Arbeitskarte) in cui era indicato il numero dell’incarico, il Kommando, il destinatario, l’inizio e la fine dei lavori; nel retro (Materialverbrauch) erano elencati i materiali impiegati  e i costi dei materiali e del lavoro; la Häftlings-Schlosserei aveva una scheda diversa nella quale venivano riportati la squadra di lavoro (Kolonne), l’oggetto del lavoro (Gegenstand), il committente (Antragstelle), l’inizio (angefangen) e la fine (beendet) dei lavori, il nome, la qualifica e le ore lavorative  dei detenuti che avevano eseguito i lavori; il retro non presentava differenze rispetto all’ altro modello di scheda. I Kommandos erano suddivisi in colonne che operavano sotto la responsabilità di un caposquadra (Kolonnenführer) e di un Ober-Capo. Se la prestazione di lavoro era la fabbricazione di un oggetto qualunque, il committente, nel riceverlo, firmava una ricevuta (Empfangsschein) numerata.

L’ 8 febbraio 1943 i 192 detenuti della Häftlings-Schlosserei, che dipendevano dall’ SS-Unterscharführer Walter Kywitz, furono presi in carico dai D.A.W. (Deutsche Ausrüstungswerke, Officine tedesche di armamenti) e la nuova officina assunse il nome di D.A.W. WL (= Werkstättenleitung: direzione delle officine) Schlosserei. A partire dal giorno dopo le ordinazioni fatte all’ officina furono annotate in un registro denominato WL-Schlosserei che comprendeva le seguenti voci: data di arrivo dell’ordinazione (eingegangen am…), numero progressivo dei D.A.W. (lauf. Nr. D.A.W.), riferimento (Betrifft), oggetto (Gegenstand), numero delle ore lavorative impiegate (Arbeitsstunden), inizio (angefangen) e termine (beendet) dei lavori: i dati relativi venivano desunti dalle Arbeitskarten. Il registro conteneva anche l’indicazione del numero e della data dell’ordinazione ricavata dagli appositi moduli. La Zentralbauleitung forniva a queste officine il materiale necessario emettendo a loro favore un buono di consegna (Lieferschein); eseguito il lavoro, i  D.A.W. inviavano alla Zentralbauleitung la relativa fattura[24].

Il modulo numerato in cui veniva indicato il tipo di lavoro da eseguire (Auftrag) recava di norma un disegno che mostrava la forma e le misure dell’oggetto da costruire, e elencava i materiali necessari, come risulta  ad esempio dall’ “Auftrag” n. 67 del 6 marzo 1943[25].

Questo “Auftrag” appare nel registro della “WL-Schlosserei” nei seguenti termini:

«8.3.1943. N. 165. Campo per prigionieri di guerra. Impianto di cremazione BW 30b e c. Oggetto: 64 bulloni d’acciaio [ricavati] da tondino con diametro 5/8″ secondo lo schizzo che segue. Tempo di consegna: urgente! Ordinazione della Bauleitung n 67 del 6.3.1943. Terminato: 2.4.1943».

8.3.43. Nr.165. K.G.L. Einäscherungsanlage BW. 30 b und c. Przedmiot: 64 Stck. Steinschrauben aus Rundeisen 5/8″ Ø nach nachstehender Skizze. Lieferzeit: eilt! Baultgs. Auftrag. Nr. 67 vom 6.3.43. Ukończono: 2.4.43»]»[26].

Se dunque Kula costruì realmente il congegno descritto sopra, allora esso era stato oggetto di uno specifico incarico della Zentralbauleitung, sul quale vi era uno schizzo che indicava la struttura e le dimensioni esatte delle varie parti del congegno.

Ma se ciò è vero, questo incarico deve apparire nel registro della WL-Schlosserei.

Il 25 luglio 1945 – qualche mese dopo che aveva ascoltato i testimoni Tauber e Kula –  il giudice [Jan] Sehn redasse un protocollo nel quale riassunse tutte le ordinazioni relative ai crematori che si trovavano nel registro summenzionato:

«Nel libro tra l’altro ci sono le seguenti registrazioni  che si riferiscono ai lavori effettuati dalla ślusarna (= Schlosserei) in relazione alla costruzione e alla manutenzione dei crematori:…»[27].

Segue l’elenco delle registrazioni delle ordinazioni della Zentralbauleitung relative ai crematori. Tuttavia in questo lungo elenco, che contiene 85 ordinazioni, il congegno descritto da Kula non appare affatto. Eppure la prima registrazione è un biglietto di ordinazione  (Bestellschein) della Zentralbauleitung del 28 ottobre 1942[28], perciò l’assenza del congegno descritto da Kula non dipende da ragioni cronologiche. Esso non dipende neppure da presunte ragioni di “segretezza”, perché nel registro sono riportate varie ordinazioni relative a porte a tenuta di gas (gasdichte Türen) per le presunte camere a gas dei crematori[29].

D’altro canto nel registro appare perfino un lavoro – l’unico dell’intero registro – eseguito personalmente da Kula. Alla fine del suo elenco, Sehn scrive infatti:

«Inoltre sotto il numero corrente 433 del libro c’è una registrazione datata 20 maggio 1943 del seguente tenore:

“Stazione Röntgen nel campo femminile. Oggetto: 2 accoppiatori completi per tubo di gomma. Tempo di consegna: urgente. Consegnare al prof. Schumann. Esecutore: Kula. Terminato: 21.5.1943”».

Rö[ntgen]-Station in F.L. [Frauenlager]: Przedmiot: 2 Stück kopl. Verbindungsstücke für Gummischlauch. Liferzeti [Lieferzeit] – dringend. An Prof. Schumann ausfolgen. Wykonawca: Kula. Ukończono [terminato]: 21.5.43»].

Confronta il protocollo dell’interrogatorio del testimone Michał Kula dell’11 giugno 1945»[30].

Il giudice Sehn sapeva dunque perfettamente che l’affermazione di Kula riguardo alle colonne di introduzione dello Zyklon B era documentariamente infondata e dunque falsa, ma quando, nell’udienza del 15 marzo 1947 del processo Höss, Kula depose come testimone[31] e fornì di nuovo la descrizione delle colonne summenzionate[32], nessuno gli contestò il fatto che la relativa ordinazione non appariva nel registro della WL-Schlosserei. E la ragione di ciò è facilmente comprensibile.

Inoltre, cosa ancor più sorprendente, nell’interrogatorio dell’11 giugno 1945 Kula fece esplicito riferimento al lavoro per il dott. Schumann menzionato sopra e indicò il numero esatto della relativa ordinazione nel registro della WL-Schlosserei:

«Dal libro della ślusarna (= Schlosserei) risulta che io all’epoca ho dovuto riparare questa pompa /posizione corrente n. 433/»[33].

Dunque egli conosceva già tale registro, ma allora perché per le colonne in oggetto non indicò alcuna «posizione corrente»?

Anche in questo caso la risposta è facilmente comprensibile.

In conclusione, Kula non costruì mai i presunti dispositivi di introduzione per lo Zyklon B, perciò i 4 “Drahtnetzeinschiebevorrichtungen” non potevano essere tali congegni.

2.5.4. Che cosa non erano i «Drahtnetzeinschiebevorrichtungen»

Poiché, come ho spiegato sopra, non esiste nessun altro documento al riguardo, allo stato attuale delle conoscenze si può soltanto dire che cosa tali dispositivi non erano. Gli unici fatti certi sono questi:

1) Nell’inventario allegato alla deliberazione di consegna del crematorio II del 31 marzo 1943 tali dispositivi sono riferiti al presunto spogliatoio e non alla presunta camera a gas.

2) Nell’inventario allegato alla deliberazione di consegna del crematorio III, datato 24 giugno 1943[34], non c’è traccia né di Drahtnetzeinschiebevorrichtungen né di Holzblenden: allora come venivano effettuate le gasazioni nella presunta camera a gas?

3) I dispositivi summenzionati non furono mai fabbricati dalla Schlosserei della Zentralbauleitung, perciò non sono mai esistiti.

4) Le aperture per l’introduzione dello Zyklon B non sono mai esistite. La questione sarà approfondita nel capitolo 13.

FINE DELLA POSTILLA DI CARLO MATTOGNO

 

[1] Vedi Robert H. Countess, “The Kula Column” – Exactitude in Action”, The Revisionist, 2 (1) (2004), pp. 56-61; https://codoh.com/library/document/1644/

[2] Robert J. van Pelt, The Case for Auschwitz. Evidence from the Irving Trial, Indiana University Press, Bloomington/Indianapolis 2002, pp. 194, 208.

[3] Jennifer Schuessler, “‘The Evidence Room’: Architects Examine the Horrors of Auschwitz,” New York Times, June 14, 2016; www.nytimes.com/2016/06/15/arts/design/the-evidence-room-architects-examine-the-horrors-of-auschwitz.html

[4] Jean-Claude Pressac, Auschwitz: Technique and Operation of the Gas Chambers, Beate Klarsfeld Foundation, New York 1989, p. 487.

[5] Per le citazioni e una critica delle testimonianze di M. Kula, M. Nyiszli, C. S. Bendel, F. Müller e J. Erber, vedi Carlo Mattogno, “The Elusive Holes of Death”, in Germar Rudolf, Carlo Mattogno, Auschwitz Lies, 3rd ed., Castle Hill Publishers, Uckfield, 2016, pp. 285, 287-291. Per le dichiarazioni di W. Lutecki, W. Girsa e K. Gracz vedi Piotr Setkiewicz, Voices of Memory, Vol. 6: The Auschwitz Crematoria and Gas Chambers. Auschwitz-Birkenau State Museum, Auschwitz 2011, pp. 43-45.

[6] File del processo Höss, Vol. 2, pp. 99s.; cf. il Documento 9 nell’appendice della nuova edizione di prossima pubblicazione del mio rapporto peritale: Germar Rudolf, The Chemistry of Auschwitz: The Technology and Toxicology of Zyklon B and the Gas Chambers – A Crime-Scene Investigation, Castle Hill Publishers, Uckfield 2017.

[7] Carlo Mattogno, The Real Case for Auschwitz, Castle Hill Publishers, Uckfield 2015, pp. 148-157.

[8] Ibid., pp. 83-93.

[9] Vedi per esempio i molti riferimenti a tali ordinazioni lavorative nel libro appena citato, oltre a Carlo Mattogno, “The Crematoria Ovens of Auschwitz and Birkenau,” in: Germar Rudolf, Dissecting the Holocaust, 2nd ed., Theses & Dissertations Press, Chicago 2003, pp. 373-412, C. Mattogno, Franco Deana, The Cremation Furnaces of Auschwitz, Castle Hill Publishers, Uckfield 2015.

[10] Höss Trial, Vol. 25, p. 498; vedi il Documento 10 nell’appendice dell’imminente nuova edizione del mio rapporto peritale.

[11] AGK, NTN 162, p. 46; vedi il Documento 11 nell’appendice dell’imminente nuova edizione del mio rapporto peritale.

[12] Lo spessore del tetto di cemento e lo strato del suolo sono mostrati in diverse planimetrie; cf. Mattogno 2016b, p. 364; 2015a, pp. 89-91.

[13] Daniel Keren, Jamie McCarthy, Harry W. Mazal, “The Ruins of the Gas Chambers: A Forensic Investigation of Crematoria at Auschwitz I and Auschwitz-Birkenau,” Holocaust and Genocide Studies, 9(1) (2004), pp. 68-103.

[14] Idem, p. 429.

[15] RGVA, 502-2-54, p. 79. Vedi documento 8.

[16] Vedi documento 9.

[17] J.-C. Pressac, Auschwitz: Technique and operation of the gas chambers, op. cit., p. 430.

[18] Il locale del forno per la combustione dei rifiuti.

[19] Processo Höss, tomo 11, p. 84 (protocollo delle ordinazioni della Zentralbauleitung alla Schlosserei relative ai      crematori redatto da Jan Sehn).

[20] Tagesberichte della ditta Riedel & Sohn dell’11 e 12 marzo 1943. APMO, BW 30/4/28, pp. 36-37.

[21] J-C. Pressac, Auschwitz: Technique and operation of the gas chambers, op. cit., p. 430.

[22] Processo Höss, tomo 2, pp. 99-100.

[23] RGVA, 502-1-295, p. 63.

[24] Vedi al riguardo il mio studio già citato La “Zentralbauleitung der Waffen-SS und Polizei Auschwitz”, pp. 62-63.

[25] APMO, BW 1/31/162, pp. 328-328a.

[26] Processo Höss, tomo 11, p. 86.

[27] Idem, p. 82.

[28] Idem.

[29] Auftrag n. 323 del 16 aprile 1943, Processo Höss, tomo 11, p. 92. Altri riferimenti alle pagine 84 (“4 dichte Türen”),    90 (“Gasduchte [sic] Türen”),

[30] Processo Höss, tomo 11, p. 97.

[31] AGK, NTN, 107, p. 467-523.

[32] In questa deposizione Kula disse che le colonne erano alte 2,5 metri, perché credeva che il soffitto del Leichenkeller 1 fosse alto solo 2 metri. Idem, p. 498.

[33] Processo Höss, tomo 2, p. 83.

[34] RGVA, 502-2-54, pp. 77-78. Vedi documento 10.

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