Vincenzo Vinciguerra: Intervista rilasciata a Gigi Marcucci e Paola Minoliti

Ripropongo qui l’intervista rilasciata 20 anni fa da Vincenzo Vinciguerra ai giornalisti Gigi Marcucci e Paola Minoliti. L’intervista era stata poi pubblicata sul sito Archivio Guerra Politica ma, siccome il predetto sito è scomparso dal web qualche anno fa, era diventata di fatto invisibile. La ripropongo qui anche in considerazione dei suoi evidenti aspetti di attualità, soprattutto per quanto riguarda i riferimenti alla strage di Bologna. Buona lettura.

Intervista rilasciata a Gigi Marcucci e Paola Minoliti

Opera, 8 luglio 2000

Questo è il testo dell’intervista videoregistrata a Vincenzo Vinciguerra realizzata nel carcere di Opera l’8 luglio 2000. All’inizio della conversazione, Vinciguerra denunciò casi di censura e manipolazione della sua corrispondenza. Poi parlò della convivenza in carcere con Gilberto Cavallini, condannato insieme a Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, per banda armata finalizzata alla strage del 2 agosto 1980. Le interruzioni, contrassegnate dal termine “stacco”, indicano sospensioni dell’intervista dovute a interventi degli agenti di custodia che, in un caso, si sono fatti consegnare una delle due videocamere utilizzate per la registrazione.
L’intervista sarà pubblicata sul cd rom “2 agosto 1980″.

Domanda: Cosa è successo?
Vinciguerra: Sono vent’anni che succedono cose. Ora, l’ultima cosa, mi hanno aperto la corrispondenza. Ne ho denunciati quattro, compreso il comandante, per associazione a delinquere, ora tocca al direttore. Glielo ho già detto…
D: Ma perché, gliela censurano?
V: E’ una violazione illegale della corrispondenza. Poi la consegnano con 12 giorni di ritardo. Ora a furia di denunce li ho fatti smettere. Hanno cominciato a far partire le lettere con 10 giorni di ritardo
D: Io mi ricordo che quando lei venne a Bologna, parlò di provocazione…
V: Esatto…
D: Di piccola provocazione
V: Sì, anche perché in un’aula giudiziaria è difficile… È difficile trovare spazio per parlare di queste cose. Di solito non è che siano magistrati o avvocati che ti diano la possibilità di parlare ampiamente di queste faccende. Però siccome questo è il carcere e io convivo con Gilberto Cavallini…
D: Gilberto Cavallini?
V: Sì, siamo assieme… Stiamo sullo stesso piano (ride…)
D: E com’è questa convivenza?
V: Mi evita. Non osa guardare, Cavallini. Tantomeno parlare. Io sto aspettando…
STACCO

V: Il gruppo Fioravanti-Cavallini, o meglio ancora la banda, perché chiamarlo gruppo è dargli una dignità che non hanno. Che la banda Fioravanti-Cavallini fosse in quel momento in Veneto (il giorno della strage ndr) è un fatto estremamente importante. Secondo Marco Affatigato, l’unico che può aver fornito i dati del suo orologio, il famoso Baume Mercier, fu Marcello Soffiati, cioè la persona più legata a Carlo Maria Maggi per la famosa telefonata al Corriere della Sera dopo l’aereo di Ustica. Questo dimostra che il gruppo venne attivato da apparati dello Stato…E poi c’è un altro fatto che viene sempre sottovalutato: il 2 agosto ricorda la data del 28 agosto 1970. Il primo attentato che viene fatto con queste modalità, cioè una miccia carica di esplosivo piazzata alla stazione ferroviaria di Verona.
D: E quell’attentato da chi fu firmato? Da chi fu siglato?
V: Non si sono mai conosciuti, ovviamente, gli autori
D: Dove avvenne?
V: Alla stazione ferroviaria di Verona. La valigia venne rinvenuta per caso, sennò quella sarebbe stata la prima strage in una stazione. Quindi non è vero che a Bologna è stato il primo (attentato del genere). Bisogna fare riferimento a questo attentato del 28 agosto. Ora il 2-8… a Bologna, 10 anni dopo
D: Lei sa che l’attentato di Bologna è sempre stato collegato al deposito dell’ordinanza di rinvio a giudizio per la strage dell’Italicus
V: Sì

M: Ci fu anche quella coincidenza. Proprio due giorni prima della strage
V: Comunque non si può fare un’indagine non considerando nella dovuta maniera, nella debita maniera il retroterra logistico e organizzativo veneto. Perché se i Fioravanti e i Cavallini fossero stati in Sicilia…. Ma avere l’impudenza di dire che erano a Padova, con Carlo Digilio, che era il tecnico delle stragi… perché Digilio è un pentito anomalo. È una persona che ha detto la metà delle verità che conosce. E a mio avviso le cose principali le ha omesse. Fra queste anche Bologna. Loro non fanno riferimento a Digilio prima perché ovviamente sanno chi è la persona, sanno che è il tecnico delle stragi. Si fanno coraggio quando sanno che è pentito e su questo piano tace. Quindi cercano anche di accreditarsi. Se lui tace, ovviamente, diventa una testimonianza favorevole
D: Le dispiace se cominciamo? Io ho fatto una piccola traccia. Lei naturalmente può interrompere, precisare. Il suggerimento che darei, che però è solo un suggerimento, sarebbe di fare piuttosto concise, secche…
V: E risposte…
D: E risposte… però, ripeto, non si senta limitato nella sua libertà di dire cose perché noi siamo qui per ascoltare…
V: Va bene
D: Allora io volevo chiedere a Vincenzo Vinciguerra: che cos’è una strage e a che cosa serve?

V: La strage è un mezzo che il potere utilizza per creare uno stato di allarme tra la popolazione ed eventualmente poter intervenire per poter rassicurare questa stessa popolazione. Perché è un evento traumatico che ha interesse a determinare solo chi detiene il potere, perché solo chi detiene il potere può padroneggiare gli eventi successivi. Quindi la strage è un mezzo di prevaricazione del potere sulla popolazione
D: Per la giustizia italiana anche quella di Peteano, da lei confessata, fu una strage però lei non ha mai ammesso questa definizione. Lei ha tenuto a distinguere la sua opera, la sua azione, da tutto il resto, da tutto quello che noi chiamiamo strategia della tensione
V: Ecco, allora c’è una precisazione da fare. L’attentato di Peteano non ha la connotazione della strage. È strage sul piano giuridico. Cioè sulla base degli articoli del codice penale può essere, viene definita strage. Perché il numero dei morti poteva essere indeterminato. Cioè invece di tre carabinieri ne potevo uccidere cinque, sei sette. Però non è strage, nel senso che l’attentato di Peteano colpisce per la prima e unica volta un apparato militare dello Stato. In un posto solitario, dove viene esclusa la possibilità di colpire i civili e ha una finalizzazione esclusivamente di opposizione al regime, cioè non si colpisce l’apparato militare del regime per dare la possibilità al regime di sfruttare quest’attentato. Ha avuto, come era nelle mie intenzioni, implicazioni politiche pesantissime. Perché anche se sono state sottaciute, negli ultimi anni, di fronte alla Commissione stragi, Francesco Cossiga ha dovuto ammettere che dopo l’attentato di Peteano iniziò il percorso di divaricazione tra l’Arma dei carabinieri e il Sid da un lato, e la destra dall’altro. Cioè l’arma dei carabinieri pur tacendo, occultando le prove, depistando le indagini, insieme ad altri apparati dello Stato (Ministero dell’interno, Guardia di Finanza) prese atto che dall’estrema destra gli era venuto un attacco di quella gravità. E cominciò a prendere le distanze, a staccare dall’estrema destra. Quindi definire l’attentato di Peteano una strage, si confondono un po’ le idee alle persone nel senso addirittura di far credere che l’attentato di Peteano avesse le stesse finalità della strage di Piazza Fontana della strage di Bologna, della strage dell’Italicus. Esattamente l’opposto.
M: Certo
V: E una precisazione personale: non ho confessato. Mi sono assunto la responsabilità (dell’attentato ndr). Che è una cosa ben diversa. Una confessione implica un atto di resa allo Stato. Io non mi sono arreso allo Stato. Nel senso che praticamente imputo allo Stato una responsabilità nel terrorismo, una responsabilità nello stragismo, continuo ad affermarlo pagando un prezzo elevatissimo all’interno del carcere
D: Anche di questo le volevo parlare. Lei sta scontando un ergastolo. Non ha mai fatto appello contro la sentenza?

V: No. Le dirò di più. Che quest’ergastolo qui l’ho preso contro lo Stato, perché la difesa dell’arma dei carabinieri e quella del Sid è stata quella di affermare che la responsabilità effettiva era di sette goriziani e che in pratica io ero un mitomane. Quindi quando ho obbligato la magistratura, di fronte all’evidenza di ciò che affermavo, a credermi, mi sono guadagnato sul campo una condanna all’ergastolo contro il quale, ovviamente, non ho proposto appello, perché sul banco degli imputati io ci ho portato lo Stato. Non c’ero io. Non mi ritenevo imputato. Perciò si è visto, credo per la prima volta, e anche l’ultima, un imputato che ha dovuto lottare contro tutti per affermare la propria responsabilità, quando mi bastava tacere per essere pacificamente assolto la volontà dell’arma dei carabinieri in primo luogo. L’arma dei carabinieri aveva tutte le ragioni per salvaguardare i proprio ufficiali la propria immagine e la strategia che aveva seguito.
D: La sua è una storia di una grande disillusione. Mi sembra di poter sintetizzarla così, naturalmente lei se vuole mi correggerà. Come è cominciata questa disillusione. Io so che un punto di partenza è costituito da delle richieste che le vennero fatte. Ricordo un verbale del 1985 in cui lei spiega che le chiesero di attentare la vita di un uomo politico molto importante, Mariano Rumor, già presiedente del consiglio e lei capì che c’era qualcosa che non funzionava.
V: Sì. Questo avvenne nel luglio del 1971.

D: In che organizzazione militava allora?
V: In Ordine nuovo. Mi chiesero Carlo Maria Maggi e Delfo Zorzi, mi chiesero e lo chiesero per tre volte nel luglio ’71, nel novembre del 71 e nel marzo ’72, mi chiesero di attentare, di uccidere Mariano Rumor. Attentare è un termine improprio. Di uccidere Mariano Rumor nella sua abitazione, ovviamente avevano tutte quante le indicazioni e il Maggi mi disse, evidentemente pensando che mi avrebbe invogliato a partecipare, che non avrei avuto problemi con la scorta. Francamente io, fino al 1971, mi ritenevo facente parte di un’organizzazione di opposizione allo Stato. Non dico rivoluzionaria in senso classico, ma comunque di opposizione se non altro perché eravamo legati ad un passato. Ad un passato politico, militare, ideologico, che peraltro si era concluso nel 1945, per noi non dico che potesse essere mai restaurato, per carità, ma comunque ci ritenevamo vincolati a difendere il residuo di una certa immagine onorevole. Quando un dirigente di questa organizzazione rivoluzionaria mi propone di uccidere un ex Ministro dell’Interno, ex presidente del Consiglio, cioè un personaggio di primissimo piano della vita politica italiana, con l’aiuto della scorta, mi fa intendere che ci sono contatti ad altissimo livello fra la polizia, il Ministero degli interni i suoi apparati di sicurezza e queste persone di Ordine Nuovo. Il dubbio comincia da quel momento in poi. La connessione con la strage Piazza Fontana, che non è mai stata purtroppo affermata in sede giudiziaria, ma poi parleremo anche dell’opera della magistratura italiana, se lei…
D: Certo…
V: è data dal fatto che la proposta viene fatta a fine luglio del ’71 quando Freda viene scarcerato il 12 luglio del ‘71; viene reiterata nel novembre del ’71 quando Freda è stato arrestato a novembre ’71. Quindi pochi giorni prima, pochi giorni dopo…

D: Quindi c’è un legame…
V: Esatto, c’è un legame E viene rifatta per la terza volta nell’imminenza dell’arresto di Pino Rauti, nel marzo del 1972, fine febbraio, inizio di marzo del 1972
D: Quindi c’è un collegamento diretto tra questa richiesta che le fanno di attentare…
V: e la strage di Piazza Fontana. Cioè si voleva eliminare evidentemente un personaggio politico che in un certo qual modo era compromesso con la strage. Non dico che Mariano Rumor abbia detto “fatemi la strage”; ma certamente queste persone, da Mariano Rumor, attendevano una protezione che è venuta a mancare.
M: Infatti si parlò di un piano di emergenza che avrebbe dovuto scattare e che invece non scattò…
V: infatti questo è stato anche un momento del contenzioso che c’è stato l’altro giorno qui a Milano al processo per la strage di piazza di Fontana, che era un’operazione politico-militare, che inizia nel febbraio del 1969 e si conclude nel dicembre del ’69 e sulla quale sono sempre state fatte indagini molto lacunose.

M:Cosa manca alla verità su quell’episodio?
V: Alla verità manca la ricostruzione di quello che è accaduto all’interno dello Stato. Manca ad esempio, ed è clamoroso per tante cose, il fatto che non si sia mai parlato del Fronte nazionale. Che non era soltanto destra. Quando si parla del coinvolgimento di Mario Merlino e di Avanguardia nazionale nella strage di Piazza Fontana… per 30 anni ci si è dimenticati che Avanguardia nazionale nel 1969 era la struttura clandestina del Fronte nazionale. Quindi quando si parla del coinvolgimento di Delle Chiaie e dei suoi amici nella strage di Piazza Fontana, bisogna parlare del coinvolgimento del Fronte nazionale, o meglio del principe Junio Valerio Borghese e dei suoi militanti, dei dirigenti del Fronte Nazionale che ripeto, non era soltanto estrema destra, perché il Fronte nazionale aveva riferimenti anche di centro e il principe Borghese era personaggio di ben altra levatura di Stefano Delle Chiaie o Pino Rauti. Con aderenze internazionali di altissimo livello anche nell’ambiente dei servizi segreti come James Jesus Angleton (esponente della Cia ndr) o, in Italia, con Umberto Federico D’Amato. In pratica per 30 anni si è ristretto il campo delle indagini a un gruppo di estrema destra che ufficialmente non esisteva in quel periodo, perché questo la magistratura lo sa: AN si scioglie ufficialmente nel 1965 e si ricompone, come gruppo, nel 1970. Proprio perché, in parte infiltra i suoi aderenti e i suoi militanti in altre organizzazioni compresa l’estrema sinistra

D: L’operazione Merlino…
V: e in parte diviene la struttura clandestina del Fronte nazionale che si forma nel 1968 e che in quel momento è appoggiato da tutti, compreso Ordine Nuovo. Giulio Maceratini era l’agente di collegamento tra Pino Rauti, Ordine nuovo e il Fronte nazionale…
D: Giulio Maceratini, in gioventù, non mi ricordo bene il nome di un’organizzazione, ma viene fuori da atti della commissione stragi…
V: Lui aveva fatto parte di Gioventù mediterranea…
D: Gioventù mediterranea e aveva stabilito un legame con Avanguardia Giovanile che, se non sbaglio, è l’embrione di AN…
V: Ma Giulio Maceratini, come Pino Rauti, è stato sempre al centro di vicende oscure si è parlato di lui, anche in un rapporto del Sid, per quanto riguarda i Nuclei di difesa dello Stato. E’ stato indicato anche lui, come Pino Rauti, come fonte del Sid. Era in quel momento, nel 1968-69, l’elemento di raccordo tra Ordine nuovo e il Fronte nazionale. Quindi, in 30 anni di indagini, il fatto che non siano stati mai stati ipotizzati legami tra il FN e la strage di Piazza Fontana – l’operazione politico-militare la definisco io –
D: E quindi il cosiddetto tentativo di golpe Borghese…
V: che va dal febbraio del 1969 al dicembre del ‘69 è qualcosa di veramente paradossale. Perché il famoso golpe Borghese non nasce nel 1970; nasce proprio dal fallimento dell’operazione politico-militare alla quale aveva contribuito, concorso, partecipato il Fronte nazionale in cui la figura carismatica di Borghese poteva garantire molto, ma molto meglio dei Delle Chiaie e dei Rauti, le coperture a livello politico nazionale ed internazionale

D: Quali erano i riferimenti di centro del principe Borghese?
V: Ma guardi… risulta anche agli atti ufficiali che furono molti gli uomini politici che si riferivano al principe Borghese; uomini che facevano parte del Partito liberale, del Movimento sociale, della Dc, del Partito socialdemocratico, qualcuno addirittura del Partito socialista perché aveva militato nella X mas durante la Rsi e anche se dopo aveva aderito a un partito di sinistra aveva mantenuto un rapporto di stima con il comandante Borghese. Quindi era un uomo che aveva tutte queste possibilità, tanto che forse non si è letto bene il programma che aveva fatto il comandante Borghese nell’imminenza del golpe del 1970, dell’8 dicembre…
M: E’ utile rileggerlo?

V: È molto utile rileggerlo perché Borghese dice “non saranno fatte leggi speciali. Chiediamo il rispetto delle leggi vigenti”. E fa un riferimento a uomini politici che possono dare alla nazione la possibilità di riprendersi, di sventare il pericolo comunista, ma non fa nessun riferimento a gente di estrema destra e tantomeno ideologicamente fascista. Anzi: dice di persone che sono conosciute per le garanzie che possono offrire. Conosciute. E non poteva certo riferirsi a un Remo Orlandini, a un maggiore De Rosa, a gente che nessuno francamente conosceva. Si riferiva a uomini politici che un domani potevano rassicurare l’opinione pubblica sul fatto che l’Italia non sarebbe divenuta una dittatura militare. Quindi uomini politici appartenenti all’antidestra. Io ricordo Borghese quando rideva sul fatto che gli Orlandini, i Rosa, i De Rosa, i Saccucci, gli altri, pensavano di essere loro i componenti del governo del Fronte nazionale una volta fatto il colpo di Stato. Rideva perché ovviamente i componenti del governo del FN sarebbero stati ben altri, di ben altra levatura.
D: Senta. Riprendo un domando che le aveva fatto prima e che secondo me può aiutare a capire chi è Vincenzo Vinciguerra. Lei sta scontando un ergastolo, dopo questa assunzione di responsabilità, pur avendo dato un contributo da molti giudicato rilevante da quasi tutti i magistrati che si sono occupati di queste cose, alla ricostruzione di quasi vent’anni di storia. Lei non ha mai chiesto nulla. Non solo si è assunto delle responsabilità, ma non ha mai chiesto benefici di nessun genere. Ecco, la cosa che le volevo chiedere è questa qua: lei ha mai pensato che dopo il carcere per lei possa esserci altro?
V: Io non ho mai ragionato in termini di dopo carcere. Io ragiono solo in termini di carcere.

D: Perché?
V: Perché ritengo che lo Stato, nonostante i cambiamenti che ci sono stati a livello politico, rimane sempre quello, non si è modificato. È un’esperienza che vivo ogni giorno all’interno del carcere, quando io vedo la mia corrispondenza violata, vedo le provocazioni, squallide direi, dei secondini italiani, specialmente in questo carcere di Opera, posso contrapporre la mia condizione con quella di un condannato per banda armata finalizzata alla strage come Gilberto Cavallini, che scrive poesie a Gesù, che ha fatto lo scopino. Tutte note di merito, ma che definiscono bene il personaggio. Oggi è permessante (ha il permesso di uscire dal carcere ndr) e tra poco, buon per lui, sarà semilibero…
D: C’è già chi è semilibero pur avendo condanne definitive per la strage di Bologna…
V: Come Fioravanti. Come Fioravanti e la Mambro. Perché questo non è più uno stato laico, è uno stato confessionale. In uno stato laico la condanna si espia. Se un uomo è pentito sinceramente questo gli frutterà un premio in paradiso, se ci crede, ma non può essere uno stato laico a concedere benefici sulla base del pentimento. Ma questa, diciamo, è un’annotazione…

D: Ma loro (Fioravanti e Mambro ndr) apparentemente non si sono mai pentiti di nulla
V: Ma infatti, oltretutto a me consta che gli altri (detenuti ndr) non hanno i benefici perché non accettano la condanna passata in giudicato. Poiché si proclamano innocenti il tribunale di sorveglianza nega i benefici di legge quando la persona non dimostra il ravvedimento. Colgo l’anomalia della concessione dei benefici di legge a persone condannate per la strage di Bologna che continuano a proclamarsi apertamente innocenti sostenuti da uno schieramento politico-giornalistico trasversale. Non c’è soltanto il Movimento sociale italiano, quello che oggi si chiama Alleanza Nazionale, a sostenerlo, ma c’è uno schieramento molto più ampio. Sia sul piano politico-giornalistico che ha affermato un’innocenza che io attendo ancora che qualcuno si decida a provare
D: Anche noi
V: Io ora sono convinto della colpevolezza e lo dico proprio pacificamente…

M: Lei ha elementi che possono gettare un’ulteriore luce su quello che è stata la strage alla stazione di Bologna?
V: Ma io credo che gli elementi che possono gettare luce sulla strage di Bologna siano quelle indagini che devono essere fatte sui collegamenti tra questi (intende Fioravanti e Mambro ndr) e il nucleo stragista veneto e certi apparti dello Stato nazionali e internazionali che sono stati sempre alle spalle del nucleo stragista veneto. Perché le stragi in Italia hanno un’altra chiave di lettura. La strage apertamente rivendicata, lo stragismo come arma di lotta politica viene indicata apertamente dal neofascismo mi ha suggerito, e in questi ultimi tempi ho trovato un riscontro, che c’era una logica di odio nei confronti dell’ideologia fascista. Praticamente se qualcuno poteva guardare con occhi più sereni all’esperienza fascista, è chiaro che il coinvolgimento nello stragismo gli ha fatto passare la voglia. E il fatto che dietro allo stragismo italiano, agli stragisti italiani si profili l’ombra del Mossad (il servizio segreto israeliano ndr) getta una luce abbastanza significativa sull’aperta rivendicazione dello stragismo come arma di lotta politica da parte di presunti neofascisti. Che il Mossad in Italia abbia inteso, con i paesi che hanno partecipato alla seconda guerra mondiale… abbia avuto mano libera per reprimere definitivamente i conati di antisemitismo, o prevedere l’insorgere di fenomeni di antisemitismo, io questo lo comprendo. Francamente comprendo un po’ meno che come arma di discredito dell’ideologia fascista e nazista sia stata usata la strage. Fra le altre cose. Quindi c’è una pluralità di fili per le stragi

M: Devo dire che mi è difficile pensare che chi vuole contrastare l’antisemitismo si spinga fino ad appoggiare gruppi che praticano lo stragismo
V: No. Carlo Maria Maggi è stato ufficialmente un nazista. Che sua moglie, in realtà, sia un’ebrea figlia di un esponente della comunità ebraica di Venezia, è venuto alla luce recentemente. Che ci fossero stati contatti con i servizi segreti israeliani è venuto fuori recentemente. In termini ideologici si è sempre parlato di questi personaggi, che pure erano conosciuti in questa veste, come persone che si rifacevano all’ideologia fascista e in certi casi, come Giulio Maceratini e compagni, all’ideologia nazista. Di conseguenza è una digressione strategica, questo il termine tecnico, che ha permesso a costoro di avere mano libera per qualsiasi gioco.
(STACCO)
D: Stiamo di nuovo registrando… Eravamo arrivati…
V: Il discorso dei servizi segreti israeliani che non meraviglia che abbiano strumentalizzato elementi di estrema destra, cioè utilizzato personaggi che in realtà stavano dalla loro parte, ma ufficialmente si presentavano come fascisti, come nazisti, per raggiungere dei fini legittimi, i fini che può perseguire uno stato. È una logica di difesa, che dopo gli avvenimenti della seconda guerra mondiale ritengo legittimi. Evidentemente non posso giudicare legittimi i mezzi.

: No. Questo è un discorso, quello che lei fa è un’ipotesi interessante, ma…
V: E’ un’ipotesi che naturalmente è ancora tutta da verificare. Emerge, è cominciata ad emergere dalla lettura di atti, dalla scoperta già comunque molto recente dei rapporti fra personaggi notoriamente e pubblicamente nazisti…
D: e antisemiti…
V: Nazisti vuol dire anche antisemiti. Pino Rauti pubblicava le edizioni di Ordine Nuovo quindi Pino Rauti ha diffuso i libri di Paul Rassinier in Italia, un (?) che sarebbe la prima opera storica revisionista sui campi di concentramento tedeschi, “Il dramma degli ebrei”, sempre di Paul Rassinier. Io ho sempre notato come la comunità ebraica di Roma…
D: Come si chiama scusi l’autore?
V: Paul Rassinier. Come la comunità ebraica Roma non abbia mai attaccato Rauti per il suo antisemitismo. Le comunità ebraiche sono molto sensibili a quelle che sono le esigenze dei servizi segreti israeliani. Quindi ON si è presentato come un’organizzazione nazista, antisemita, conservando e coltivando però in estrema segretezza rapporti anche con i servizi segreti israeliani. Non soltanto con i servizi segreti occidentali, italiani, Nato e americani. E questo è un particolare, secondo me, sul quale bisognerebbe soffermare un po’ di più la propria attenzione, anche per quanto riguarda la strage di Bologna.
D: Perché?

V: …che ha costituito un forte diversivo all’abbattimento dell’aereo di Ustica, del Dc9 a Ustica. Il fatto che si sia attivato un gruppo stragista italiano, dimostra comunque che Ustica rientrava non in un incidente aereo in una logica che ancora oggi non è stata ben definita, ma che in quel caso ci fu un’operazione politica, un’operazione militare, un’operazione di disinformazione portata avanti dai nostri servizi e dai servizi internazionali.
D: E quindi dare il via libera a gruppi stragisti italiani poteva essere il tentativo di coprire le loro responsabilità?
V: Non ai gruppi stragisti. Al gruppo stragista ancora operante. Cioè il gruppo stragista veneto. Al quale in quel momento facevano capo, perché avevano bisogno di un appoggio logistico, i Fioravanti, i Cavallini, i loro amici.
D: Lei si costituì nel ’79.
V: Il 12 settembre del 1979.
M: Che cosa la spinse a costituirsi in quel momento?
V: Presi le distanze da AN. Non si può fare la latitanza senza denaro. Non si può fare la latitanza senza appoggi. Potevo scegliere la strada che hanno seguito altri, di trovare altri appoggi, magari in Argentina presso i servizi segreti. Diventare cittadino argentino collaborando coi servizi segreti argentini. Potevo anche scegliere la strada della malavita. Però non sono portato né a fare il collaboratore dei servizi segreti, né a fare il delinquente. Quindi per ritrovare la mia libertà avevo soltanto una scelta. Che era quella di costituirmi. E questo ho fatto.

D: Lei in AN entra durante la latitanza in Spagna.
V: Entro in AN nell’aprile-maggio del 1974.
D: Nel ’74 Poi? C’è anche un’evoluzione, mi sembra, di AN, che alla fine, da alcuni accenni che io ho trovato in alcune sue dichiarazioni, non la convince. Lei fa riferimento a qualcosa che Adriano Tilgher, che era il capo facente funzione di AN, le avrebbe taciuto, in quel periodo Io mi sono portato… se vuole ho anche la…
V: No. Credo di capire a cosa si riferisce. Adriano Tilgher… Io rientro dall’Argentina in Europa nel febbraio del 1979. Veramente la mia intenzione era di andare in Iran, tramite, diciamo, un mio conoscente, non un amico, volevo seguire da vicino gli eventi iraniani per una mia curiosità
D: Era in corso la rivoluzione?
V: C’era in corso la rivoluzione. Invece a Parigi incontro Stefano Delle Chiaie. Torno in Francia e incontro Stefano Delle Chiaie. La situazione in Italia mi appariva come disastrosa e mi chiede di andare a parlare lui personalmente con Tilgher, cosa che faccio. E trovo Tilgher che era reticente, ambiguo, mi dice a un certo punto che non c’è nessuna possibilità di agire, che non si può fare assolutamente niente e questo a me risulta che non è affatto vero, anche perché An in quel momento lì, proprio Adriano Tilgher personalmente, era, aveva molta influenza su Terza Posizione tramite un elemento che era di AN e che comunque figurava dirigente di Terza Posizione…
M: Possiamo dire il nome, Giuseppe Dimitri

V: Esatto, Giuseppe Dimitri. Quindi mi ha mentito. E il discorso di Giuseppe Dimitri e di Terza Posizione è particolarmente significativo, anche questo è un elemento che purtroppo è stato sottovalutato in ambito giudiziario, perché ancora una volta rende il rapporto con il ministero dell’interno tramite un personaggio di ON ampiamente citato, l’unico per il quale la magistratura ha trovato che, nella lista degli omonimi di Gladio la data di nascita corrisponde alla sua, per cui omonimo non era, apparteneva alla struttura Gladio (Vinciguerra si riferisce a Enzo Maria Dantini, esperto di esplosivi ndr). Costui procura a quelli di Terza Posizione, partecipa personalmente all’incontro Giuseppe Dimitri, un incontro con i capi, i vertici dei Montoneros. Con Eduardo Firmenich (capo dei Montoneros, peronisti di sinistra passati alla lotta armata dopo il golpe che aveva deposto Peron). Addirittura (Dantini) chiede a queste persone di andarci armati, per fare da scorta in quanto Firmenich è stato qui in Italia per essere ricevuto dal presidente del Consiglio e sotto la tutela del ministero dell’interno. Quindi i ragazzi si incontrano Eduardo Firmenich …con i vertici dei Montoneros, senza che questo trapeli, si incontrano armati sotto gli occhi del Ministero dell’interno senza che questo trapeli all’esterno. Elemento di raccordo: un appartenente alla struttura Gladio, Enzo Maria Dantini. Ma il discorso Argentina è significativo e emblematico perché Firmenich ha a sua volta in Argentina un elemento del servizio segreto militare. La connessione Italia-Argentina è che anche lì abbiamo una presenza massiccia dei servizi segreti israeliani. L’Argentina è una nazione molto sensibile. In Argentina c’è effettivamente un problema antisemita a livello popolare che almeno in quegli anni era preoccupante, oggi non lo so più. Ma in quegli anni era a livello della Germania del 1933-34 cioè il fruttivendolo, il commerciante, il barbiere, l’odio nei confronti degli ebrei era totale, assoluto. Quindi il problema antisemita in Argentina era molto pressante. Nel 1969 nascono questi Montoneros, uccidendo, e qui possiamo rifarci al caso Moro, un presidente, un ex presidente dell’Argentina: il generale Aramburu. Però uno dei loro capi, anzi il massimo dei loro capi, il massimo dirigente, Firmenich è uno dei servizi segreti militari. Quindi anche i Montoneros si palesano come una digressione strategica e facevano riferimento anche all’ammiraglio Massera, iscritto alla loggia P2, e con l’ammiraglio Massera loro si incontrano a Parigi. Prima di venire in Italia Firmenich incontra all’ambasciata argentina a Parigi l’ammiraglio Massera e questo costa la vita una donna. Perché questa donna per sua sfortuna riconosce Firmenich e altri Montoneros durante il colloquio con l’ammiraglio Massera. Non le danno nemmeno il tempo di andare a casa: quando lei torna a Buenos Aires, la sequestrano all’aeroporto di Lisbona e la uccidono.

D: Per vivere in Argentina, all’epoca bisognava in qualche modo vendersi ai servizi argentini. Avere rapporti con loro. Lei ha scelto di non averli. C’è chi però in Argentina c’è rimasto a lungo, mi riferisco a Stefano Delle Chiaie, non voglio girare intorno al problema…
V: Le dico subito quale era la nostra posizione in Cile prima, in Argentina poi, come anche in Spagna. Una delle caratteristiche di questi gruppi, di cui appunto ho fatto parte anch’io, era quello di avere rapporti istituzionali con gli stati esteri. A me non risultavano rapporti con i servizi segreti italiani, ma negli stati esteri anticomunisti, Spagna, Portogallo, Cile, Argentina, questi rapporti erano palesi. Palesi ovviamente per noi. Quindi anche in Argentina, come già in Cile, dove ero io il responsabile per i collegamenti con gli ufficiali della Dina. Il capitano Ciminelli dirigeva l’ufficio di guerra psicologica, non mi sono mai occupato delle faccende interne del Cile, non ho mai preso parte per carità a nessuna operazione di repressione all’interno del Cile. Come del resto anche in Argentina. Anche in Argentina avevamo rapporti diretti con un ufficiale dei servizi segreti. Perché c’era un discorso di anticomunismo che ci legava. Ora è evidente che questo rapporto ci garantiva la possibilità di restare ospiti in questi paesi senza averci problemi con le autorità di polizia. Nel caso ci fosse (stato) qualche incidente, qualche cosa, gli apparati di sicurezza sarebbero intervenuti e questo naturalmente ci garantiva la possibilità di continuare a restare. Allora è evidente che quando io abbandono l’Argentina, abbandono anche tutto questo, abbandono questa sicurezza. Posso anche restare a titolo personale, gli interlocutori ce li ho, però ovviamente non lo voglio fare. Per altri il discorso è diverso.
Il problema vero è che in Argentina io venni cercato dalle autorità, dalla squadra speciale dell’ammiraglio Massera.

D: E scritto in “Ergastolo per la libertà”, ricordo…
V: Quella che poi riuscimmo a identificare come la squadra speciale dell’ammiraglio Massera. Nel momento in cui, per un gioco politico, c’è lo scontro all’interno del Msi fra Destra nazionale e Giorgio Almirante, si tirò fuori l’attentato di Peteano. Quando il piduista generale Giuseppe Santovito mandò alle varie polizie la nota informativa in cui diceva che l’autore della telefonata era in Argentina e mise in moto l’inchiesta giudiziaria. Nello stesso periodo, in Argentina, io ero sotto il controllo della squadra speciale dell’ammiraglio Massera.
D: Quindi era funzionale ad una vicenda politica italiana il suo pedinamento?
V: Mi tenevano sotto osservazione, nell’eventualità di un arresto, che però non era finalizzato a una mia condanna, perché naturalmente si basavano sul fatto che come tutti avrei respinto ogni addebito e poi sarei uscito pienamente assolto con formula ampia, o almeno per insufficienza di prove.
D: Quindi non cercavano la verità?
V: No, era finalizzato solo al mio arresto. Il problema è che io vivevo con Stefano Delle Chiaie, con Maurizio Giorgi, con Augusto Cauchi ai quali non si è mai interessato nessuno. Quindi questi sapevano della nostra presenza, sapevano dove abitavamo. Lo sapeva anche l’Fbi.

D: Attraverso Townley?
V: No, attraverso questo ufficiale (Ciminelli ndr). Townley perfino ci mandò i saluti attraverso i camerati italiani che stavano a Buenos Aires…
D: Townley era un agente della Cia, lo ricordiamo…
V: No, era un agente della Dina. La Cia l’aveva rifiutato. Poi si era rifugiato in Cile ed era diventato il killer, lui e la moglie erano diventati i killer della Dina. Hanno fatto un telefilm, uno sceneggiato, “una tranquilla coppia di killer”. Queste due persone, marito e moglie estremamente affiatati, per carità non voglio essere accusato di antisemitismo, anche la moglie di Townley (?) esibiva la sua stella di David. Per carità… Guardi che la presenza del Mossad è stata sempre sottovaluta… È stata sempre sottovalutata. Però tralasciamo ora l’argomento. Parliamo di Dina, parliamo di Cia…
D: Torniamo in Italia. Lei si presentò ferito, se non ricordo male?
V: No, non è vero. Ebbi un banale incidente con la bicicletta. Erano anni che non andavo in bicicletta e mi fratturai un polso. Quindi, sotto falso nome andai in ospedale, mi ricomposero la frattura, quando mi costituii, non era ancora una guarigione completa, da qui il discorso che ero ferito: non era una guarigione completa. Io, quando mi costituii, parlai l’ultima volta con Adriano Tilgher.
M: E cosa le disse?
V: Bè, in un primo tempo cercò di convincermi a non farlo, poi ripiegò prudentemente sul fatto che era meglio che lo facessi a Firenze e non a Roma. Poi capì che mi sarei costituito a Roma e così ho fatto. Quindi non ci fu in quel momento nessun episodio strano, nessun episodio misterioso

D: Lei sa, sicuramente sa, che nel periodo in cui, diciamo a ridosso della sua riapparizione dalla latitanza, si svolge una riunione a cui partecipa senz’altro Giuseppe Dimitri, sembra partecipi lo stesso Stefano Delle Chiaie, nello studio di un avvocato romano, in cui vengono gettate le basi di una nuova strategia di An. Le chiedo: fu questa strategia, che comportava l’utilizzazione di gruppi spontaneisti in stretto contatto, attraverso Dimitri, con lo stesso Tilgher, ad allontanarla da An in quel momento?
V: No, guardi, in quel momento An non aveva una strategia propria. Perché in quei mesi io ero stato in Italia proprio con Stefano Delle Chiaie perché dopo il mio rientro, successivamente, giunse in Italia Stefano Delle Chiaie. E quindi facemmo la latitanza, o meglio la clandestinità, insieme a Roma. Al momento An non aveva una strategia. Era alla ricerca di una strategia. Almeno in apparenza, perché appunto il sospetto è che ci fossero personaggi come Tilgher che in realtà facevano un doppio gioco: cioè, da un lato facevano apparire che come An non c’era più nulla di dire, più nulla da fare; dall’altro avevano, tramite il Dimitri ed altri personaggi, la possibilità di continuare una loro attività politica che non ci coinvolgeva tutti. Questa fu, diciamo, un po’ la frattura. C’era un qualcosa che non quadrava. Queste organizzazioni spontaneiste, io su questo punto voglio essere perentorio: il neofascismo non ha mai avuto gruppi spontaneisti, tutti hanno fatto riferimento al Msi. La strategia del “marciare divisi, per colpire uniti” è una strategia molto vecchia che il Msi ha sempre perseguito al massimo livello. Mi riferisco in modo particolare a Giorgio Almirante, che è stato veramente l’anima oscura, l’anima torbida del neofascismo italiano. Torbida come passato, torbida come comportamenti. Quindi questo neofascismo, che erano principalmente azioni di organizzazioni), che però guarda caso fanno sempre riferimento al Msi, e, guarda caso, in tutte le aule di giustizia, ancora oggi, tutti gli imputati sono sempre rappresentati da avvocati del Msi, compresi anche i parlamentari del Msi, e poi i (vari) Fioravanti hanno il supporto politico e giornalistico del Msi. Perché ovviamente la chioccia non abbandona i pulcini, se i pulcini hanno salvaguardato l’immagine della chioccia. Cioè hanno escluso la possibilità che il Msi potesse in qualche modo essere coinvolto. Le pagine oscure del neofascismo italiano….
M: Nel ’94 ci fu una battuta di Francesca Mambro, proprio nel momento in cui il Polo andava al Governo. Disse: “Noi siamo in galera, voi siete al Governo”. Una constatazione apparentemente banale, forse non era così banale?…

V: Non era così banale, perché guardi io le posso dire una cosa. Ci fu periodo in cui An venne indicata come un’organizzazione stragista. Cosa che parzialmente è vera. Sono gli anni in cui venne ucciso Carmine Palladino, a Novara. Pierluigi Concutelli anch’egli oggi beneficato dallo Stato, eliminò un testimone fondamentale per la strage di Piazza Fontana. Perché Carmine Palladino è un uomo che ha sempre saputo la storia di Piazza Fontana e non soltanto quella. E fu l’unico che, avendo avuto un qualche segno di cedimento, venne assegnato dal Ministero di Grazia e Giustizia al carcere di Novara dove, dopo una settimana, venne eliminato da Concutelli e dai suoi amici: la condanna parla solo di Concutelli, ma io ho conosciuto personalmente Carmine Palladino, Concutelli da solo non lo ammazzava di sicuro. Ci sono altri 9 beneficati perché in 9 l’hanno ammazzato. Ed è perlomeno strano che questo sia avvenuto; perché Carmine Palladino e Pierluigi Concutelli si conoscevano bene, erano stati insieme a Roma, quando Concutelli era stato latitante nel ’75 aveva partecipato al sequestro Mariani e sapeva molte cose di me. Difatti non lo (Palladino ndr) uccisero il giorno dopo. Ci pensarono una settimana. Poi evidentemente esigenze di carattere superiore, di modo (il timore ndr) cioè che questo cedimento minimo che aveva avuto a Bologna potesse portare a un processo, a un crollo successivo, li portò all’eliminazione di un testimone fondamentale per piazza Fontana e non soltanto per piazza Fontana.
D: Anche per altre stragi?

V: Il Palladino era uno degli elementi più fidati di Stefano Delle Chiaie, quindi conosceva moltissime cose. E non si è mai parlato di vendetta nei confronti di Pierluigi Concutelli. Come del resto io mi premurai di informare, quando Stefano Delle Chiaie tornò in Italia, dissi “Guarda, sta attento che ci sono persone dell’ambiente vorrebbero farti del male”. Non è vero. Neanche Delle Chiaie ha mai avuto problemi. Perché è chiaro: se la centrale organizzativa è unica, a livello terminale giungono gli ordini di non fare assolutamente niente. Esaurita la fase in cui strumentalmente An è stata indicata come organizzazione stragista, tutto è rientrato nella normalità e gli ammazzasette, i killer, oggi convivono tutti quanti assieme.
D: Le leggo un articolo del Resto del Carlino del 5 giugno scorso (2000) in cui si racconta di una riunione in cui la destra, che una volta era costituita da uomini di AN, ON (Avanguardia Nazionale, Ordine Nuovo), si ritrovano tutti intorno a discutere di una possibile alternativa alla destra ufficiale costituita da Alleanza Nazionale. Qui pare che la parte del leone la faccia Adriano Tilgher, che dice di aver fondato un’organizzazione che, guarda caso si chiama Fronte nazionale, a cui probabilmente Rauti intende partecipare, aderire, ci sono prospettive di fusione. Alla riunione, racconta il giornalista, partecipa anche Delle Chiaie che però se ne sta in disparte, e dice “se dovessi intervenire cercherei di riportare il dibattito alla realtà”. Che riflessioni le suggerisce il fatto che si torni a fare politica tranquillamente dopo anni piuttosto duri, pesanti…?

V: Direi che per questo persone non sono stati anni duri e pesanti. Queste persone sono passate indenni attraverso tutte le indagini giudiziarie. Proprio perché, e qui poniamo un attimo l’accento su una verità che viene affermata quotidianamente e io ho smentito l’altro ieri in aula, per Milano e la ripeto pure qua. La magistratura non è in grado di trovare la verità, perché la magistratura tende a circoscrivere la verità agli autori materiali, e al massimo agli organizzatori degli attentati e delle stragi. Quindi già dà per scontato che non potrà mai trovare le prove processualmente valide per portare sul banco degli imputati i mandanti. E allora questa verità che la magistratura afferma è sempre una verità, nel migliore dei casi, dimezzata limitata, circoscritta, questo consente ai mandanti politici, ai mandanti morali, agli organizzatori, di conservare comunque la propria immunità. Queste non sono inchieste che si possono affidare soltanto alla magistratura. Anche il magistrato più onesto, e qualcuno c’è, tanti nego che lo siano, ma qualcuno onesto c’è, non potrà mai raggiungere una verità sullo stragismo, perché il meccanismo processuale è tale che per lui il teste fondamentale non è chi gli spiega la logica politica delle stragi, gli dà la chiave di lettura dello stragismo. È quello che dice che ha visto tizio salire sulla macchina targata così, di questo colore, che portava una valigia… quello diventa il teste fondamentale. Ma quando noi abbiamo questo teste fondamentale che indica uno o qualcuno degli autori materiali, abbiamo una parte minima della verità.
D: E come si può arrivare a una verità più consistente?

V: C’è stato un partito, che è il PCI, che ha preso molti voti negli anni ’70 nella sua battaglia per la verità sulle stragi, sul terrorismo, ma arrivato al governo ha fatto esattamente come la Dc. Ha taciuto, ha coperto i servizi segreti, non ha aperto gli archivi. Quando hanno detto che li hanno aperti, li avevano già fatti svuotare prima. E soprattutto è mancato a un appuntamento al quale rimprovero anche le associazioni dei familiari delle vittime delle stragi, di cui io sento sempre parlare, lamentele, sui servizi segreti…
D: Quale appuntamento?
V: La chiave, una delle chiavi per arrivare alla verità è stata proposta nel 1994 dal giudice Salvini, era l’inserimento nel codice penale del reato di depistaggio, con condanne che potevano arrivare sino ad otto anni senza estinzione del reato. Questo era lo strumento per obbligare funzionari, ufficiali, sottufficiali, confidenti dei servizi segreti a dire la verità su ciò che sapevano. Dopo l’iniziale ondata di congratulazioni e di complimenti, dopo l’impegno assunto di portare avanti in Parlamento questo discorso, tutti hanno taciuto, del reato di depistaggio non s’è parlato più. Ora è evidente che persone, ufficiali che oggi corrono il rischio solo di vedersi prosciogliere per prescrizione di reato, quale interesse hanno a rispondere alla magistratura. Nessuno. Quando è stata tolta, negata l’arma che poteva indurli a parlare, perché c’era il rischio concreto di una condanna penale, non dico del carcere, ma di una condanna penale, perdere il grado, perdere la pensione, come si fa ad affermare che si vuole la verità?

D: Lei sa che c’è stata una lunga battaglia fatta dall’associazione famigliari delle vittime della strage di Bologna per l’abolizione del segreto di Stato. Battaglia che continua, sta andando avanti, loro insistono molto perché questo segreto venga in qualche modo limitato e comunque escluso per quanto riguarda i reati di strage.
V: Guardi che il segreto di stato oggi è una cosa che non serve più a nessuno. Io le faccio un esempio che riguarda proprio l’indagine a Bologna. Quando io faccio con il dott. Zincani e il giudice istruttore Castaldo, Segio Castaldo, un interrogatorio in cui fornisco una lista, parziale, di 12 collaboratori per le stragi, ci metto Signorelli, Maggi, e altri personaggi, in quei giorni il Sid, il Sismi, risulta aver distrutto centinaia di documenti. Sapevano del mio interrogatorio, sapevano tutto perché sanno sempre tutto. Hanno distrutto centinaio di documenti. Quale segreto di stato si può opporre su documenti che non esistono più? Quando anni dopo, dieci anni, hanno scoperto che hanno distrutto dei documenti, come sono stati chiamati a rispondere l’ammiraglio Martini e i suoi colleghi? Quindi attenzione a quelli che possono essere i falsi obiettivi. Ecco allora che l’ammiraglio Martini e i suoi colleghi invece, con la possibilità di una condanna fino a 8 anni per depistaggio, forse qualcosa si sarebbero ridotti a dire. Forse avrebbero detto anche che cosa avevano distrutto. Non dico tutto, ma almeno in parte. Ma non c’è un solo mezzo di pressione su costoro. Perché è stato negato. È stato assunto impegno, mi pare proprio di ricordare che venne assunto il 2 agosto 1994 a Bologna, in piazza, di portare avanti il reato di depistaggio e il suo inserimento del codice penale.

M: E’ uno degli obiettivi dell’Associazione…
V: Non se n’è più parlato. Il segreto di stato si può opporre quando i documenti ancora esistono. Non quando sono stati distrutti.
M: Faccio un passo indietro. Le leggo alcune deposizioni fatte da lei, che costituiscono in pratica una progressione. Il 18/10/’87 dice: “potrei andare oltre nel fornire un contributo di verità sull’Italicus, e più in generale sulla vicenda delle stragi solo se avessi la prova certa di una compromissione del Delle Chiaie con ambienti dei servizi italiani”.
Nel ’90, il 9/11 del ’90, lei dice “Sentito in merito ai rapporti con Stefano Delle Chiaie dico che Stefano è fuori, nel senso che non è in carcere, perché l’ho difeso io. Ora in me non ha più un difensore, ma nemmeno lo accuso”.
Siamo al 13/10/’92: “tratte le mie conclusioni finali sulla consapevolezza con la quale An ha lavorato nell’ottica della guerra politica anticomunista in collaborazione con apparati dello stato, non ho avuto difficoltà a eliminare alcuni punti dell’azione di Avanguardia anche su un piano giudiziario, pur mantenendomi entro limiti da sempre definiti fino a determinare provvedimenti di carattere repressivo indiscriminato”.
Ecco, le volevo chiedere: la sua posizione nei confronti di Delle Chiaie, il leader di AN, è cambiata. Da una situazione di totale fiducia, si è arrivati ad una situazione di progressiva sfiducia, tanto che poi in certi interrogatori, in una lettera importante che lei gli scrive dice: “io non penso che tu sei coinvolto nelle stragi, o almeno in certe stragi”, ed è una frase che lei conferma davanti al giudice dicendo “ero perfettamente consapevole di quello che stavo dicendo”.
V: Sì, è esatto…

D: Ecco, me lo può spiegare?
V: Ma, io ho parlato in sede giudiziaria del coinvolgimento di An nella strage di Piazza Fontana, ad esempio. Ho preso ampiamente atto che Delle Chiaie è stato assolto con formula ampia. Ho preso atto che nessun altro di AN, al di fuori di Mario Merlino, è mai stato coinvolto nelle indagini di piazza Fontana. Ci sono cose che sul piano giudiziario è semplicemente superfluo dire. Quindi la magistratura che chiede, in realtà non ha un titolo per chiedere. Non ha autorità morale per chiedere….
D: E un giornalista che glielo chiede?
V: Si può parlare su un piano politico. Sul piano giornalistico lascia un po’ il tempo che trova, sembra che uno voglia sfuggire dalle sue responsabilità, perché dopo le dichiarazioni fatte a un giornalista, se si presenta un magistrato, io almeno sento l’obbligo e il dovere di confermare a verbale. Ma per cosa? Perché sa che con sentenze passate in giudicato, Delle Chiaie come Freda… Perché questo è un paese in cui chi è stato assolto per strage, anche se poi sono giunte le prove della sua colpevolezza, le prove che c’erano prima, continua a camminare libero per le strade, continua ad essere intervistato, continua ad avere buona stampa, come se nulla fosse accaduto. Questo è un paese in cui nessuno ha posto la questione morale, di chi ha partecipato alla strage di piazza Fontana e se ne sta tranquillo a casa sua, anzi continua a svolgere attività politica. Io non ricordo di aver letto che in parlamento qualcuno ha detto: “ma che stiamo facendo?”
D: Neanch’io l’ho sentito, devo dire…

V: Rendiamoci conto della drammaticità della situazione in cui viviamo. Si è detto che la questione morale in Italia è stata Tangentopoli. Non è vero. La questione morale è stata il cosiddetto terrorismo, e in particolar modo l’inizio dello stragismo. Questa è la vera questione morale, questo è il nodo che nessun partito politico… io posso capire il Msi, che è un partito di stragisti e di protettori di stragisti…
D: E’ un’affermazione impegnativa…
V: E’ un’affermazione che faccio in tutte le sedi. Perché Pino Rauti… Carlo Maria Maggi, non nasce dal nulla. Carlo Maria Maggi è (dirigente) di Ordine nuovo, c’è un vincolo gerarchico e il vincolo gerarchico porta fino a Pino Rauti passando per Paolo Andriani, Paolo Signorelli, Giulio Maceratini. Oggi Giulio Maceratini è capogruppo di Alleanza nazionale al Senato. Ebbene è uno stragista. Abbiamo un paese in cui il capogruppo di un partito politico al Senato è uno stragista. Fonte del Sid, nazista che lavorava per i servizi segreti, come il suo capo, come Pino Rauti. Nessuno ha posto il problema morale. Nessuno ha chiesto a costoro: “Ma come avete fatto a fare i nazisti per anni collaborando con lo Stato maggiore della Difesa e i servizi segreti delle forze armate nate dalla Resistenza?” Nessuno ha mai posto questa domanda. L’altro ieri qui a Milano ho ricordato alla Corte e agli avvocati degli stragisti imputati, le schede di adesione a ON-circolo culturale. Nessun magistrato è mai riuscito ad acquisire le schede di adesione. Io l’ho chiesto a tutti i magistrati: “Acquisite le schede di adesione a Ordine nuovo”. Pare che queste non ce le abbia il ministero dell’Interno, non ce le abbia l’arma dei carabinieri, non ce l’ha nessuno. Nessuno forse le ha mai nemmeno chieste a Pino Rauti. Lui qualche copia dovrebbe averla. Qualche modulo… Ordine Nuovo l’ha fondato lui. Bè il circolo culturale chiedeva se uno aveva il porto d’armi, dove aveva fatto il servizio militare, se era esperto in arti marziali, ecc. ecc. Già quella scheda di adesione è la smentita plateale alle affermazioni sull’organizzazione politico-culturale Ordine Nuovo. Già la presenza di Pino Rauti al Tempo di Roma è una smentita plateale alla pretesa di aver avuto un comportamento coerente e lineare sul piano politico su posizioni di estrema destra. Perché quando La Bruna parlò con Stefano Delle Chiaie a Barcellona, gli disse: “guarda che noi abbiamo la possibilità di fare entrare persone tue in questi giornali: ‘Giornale d’Italia’ e ‘Il Tempo’ e altri due che ora non ricordo con esattezza. E l’accordo ci fu. Perché un particolare che tutti quanti hanno dimenticato è questo: che Maurizio Giorgi venne assunto come correttore di bozze proprio presso il Giornale d’Italia. Dove già lavorava Guido Paglia. Quindi non è neanche vero che tra La Bruna e Delle Chiaie, cioè fra il Sid e Delle Chiaie, non venne raggiunto un accordo dopo quell’incontro lì. E in uno di questi giornali, in cui il Sid aveva queste entrature, ci lavorava Pino Rauti. Lei sa che per entrare negli uffici dello Stato maggiore Difesa, non stiamo parlando di un distretto militare, non stiamo parlando di una caserma di Forlimpopoli, stiamo parlando degli uffici Stato maggiore Difesa, occorre avere almeno il Nos, cioè occorre che ci sia il Nulla Osta di sicurezza. E come hanno fatto? L’hanno mai rilasciato a Pino Rauti? Chi lo ha rilasciato? A un uomo che apparentemente era un nazista…

D: Lui aveva strettissimi rapporti con il generale Aloia…
V: Lui lavorava per lo Stato maggiore Difesa. Lui, Eggardo Beltrametti, Guido Giannettini. E allora qualcuno ha mai chiesto di spiegare chi aveva concesso a Pino Rauti il nullaosta di sicurezza? Chi aveva garantito per la sua affidabilità democratica e antifascista? Visto che contemporaneamente faceva il nazista. Ecco queste sono… Vede, sul piano giudiziario tutto questo è il cosiddetto contorno. E in realtà è il punto essenziale per capire e per arrivare alla verità. E anche per capire perché non ci sia uno stragista condannato. Gli unici due sono Valerio Fioravanti e Francesca Mambro divenuti innocenti tra campagne stampa forsennate e un sostegno politico alle cui origini bisognerebbe pur arrivare. Perché quando mi si dice che Fioravanti e Mambro sono innocenti perché si sono assunti la responsabilità di tutto, e quindi potevano assumersi anche quella della strage di Bologna, io rispondo che il peso morale della strage di Bologna è tale che potevano confessare anche 300 omicidi, ma quella non l’avrebbero mai, non potrebbero mai confessarla. Sia perché non si troverebbe nemmeno un magistrato di sorveglianza, anche il più prono e più ossequioso ai voleri del potere politico, (disposto ad) assegnare i benefici di legge. Secondo, perché non potrebbero camminare nemmeno per la strada…. Invece ci possono camminare proprio perché hanno convinto l’opinione pubblica che i due ragazzi dei Nar sono innocenti sulla strage di Bologna. Anche questa è una spiegazione che va richiesta a chi ha responsabilità politiche, ai direttori dei giornali che fanno articoli dicendo “vogliamo la verità”. Perché non viene fatto? Vede, quante domande inevase, quante risposte mancanti. Il problema non è di dire oggi la responsabilità di Delle Chiaie nel tale episodio, la responsabilità di un mondo che si è nascosto e il Msi è stato la versione ufficiale, parlamentare, istituzionale del neofascismo. La doppia struttura ha sempre funzionato. Cioè una struttura extraparlamentare che agisce sul piano operativo e c’è un ombrello costituito da un partito ufficiale, da un partito riconosciuto in parlamento, che ovviamente può prendere le distanze da chi ha operato in un’organizzazione extraparlamentare, ma Giorgio Almirante si incontra con Delle Chiaie ancora nel ’73.
D: Che cos’è stata Gladio?
V: Ma, la struttura Gladio è stata una struttura inizialmente difensiva, che aveva una sua logica. La logica era quella di una possibile invasione sovietica che comunque non ci sarebbe mai stata perché l’Unione Sovietica non era nelle condizioni economiche, finanziarie e neanche militari per poter ipotizzare un’invasione dell’Europa occidentale. Ma aveva una sua logica nell’esperienza della seconda guerra mondiale, dove soltanto gli slavi avevano, al momento dello scoppio della guerra, una struttura di guerriglia, cioè una struttura di guerriglia con funzione anti-germanica. Quando i tedeschi entrarono tutti gli altri paesi occidentali dovettero creare una rete di resistenza, con le perdite di materiali, di tempo, di uomini che questo comportò. Questa, diciamo, era la logica iniziale.
La logica però qual era. Esclusa la possibilità di un’invasione militare dall’esterno… si riteneva che il nemico non potesse essere la divisione corazzata dell’armata rossa o il battaglione di paracadutisti lanciati sulla valle Padana. C’era un nemico: era il partito comunista.

 

 

Leave a comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Recent Posts
Sponsor