Joe Fallisi: lettera aperta a Paolo Cucchiarelli

Joe Fallisi: lettera aperta a Paolo Cucchiarelli

Da Joe Fallisi ricevo e pubblico il seguente intervento in quanto, al di là delle singole valutazioni (opinabili, ma che comunque provengono da uno storico testimone dei fatti in questione) condivido il giudizio sul libro di Cucchiarelli, una pietra miliare da cui partire per ogni futuro studio su Piazza Fontana:

LETTERA APERTA A PAOLO CUCCHIARELLI

di Joe Fallisi

Caro Paolo, ho voluto attendere si diradasse la nebbia di veleni che ha accolto-avvolto il tuo libro alla sua uscita, decidendo di mettere nero su bianco il mio giudizio in proposito più di un anno e mezzo dopo, e proprio nel giorno in cui ricorre l’omicidio di Giuseppe Pinelli. Non sopporto l’automatismo e il conformismo tribale, perciò ho difeso allora il tuo diritto a pensarla diversamente da ciò che è quasi obbligatorio, nell’ambito degli anarchici, e più in generale della “sinistra” e dei “compagni”, ritenere come versione ortodossa dei fatti del dicembre 69 (cfr. http://it.groups.yahoo.com/group/libertari/message/60240, http://it.groups.yahoo.com/group/libertari/message/60241, http://it.groups.yahoo.com/group/libertari/message/60242,
http://it.groups.yahoo.com/group/libertari/message/60246,
http://it.groups.yahoo.com/group/libertari/message/60588,
http://it.groups.yahoo.com/group/libertari/message/60955,
http://it.groups.yahoo.com/group/libertari/message/61907, http://it.groups.yahoo.com/group/libertari/message/67259). Conosco bene quei riflessi condizionati e le calunnie che colpiscono gli spiriti liberi. Ho ritenuto tu fossi un bravo ricercatore, non imboccato o prezzolato da nessuno. Continuo a pensarlo. E, se pure dovesse condurre a conclusioni difformi da quel che può piacermi o far comodo, preferirò sempre la ricerca intrepida della verità. Tuttavia sai che questo non significa, per me, condividere le tue tesi – in particolare quella che riguarda Valpreda -, anche se ritengo debbano essere tenute in seria considerazione, e discusse, vagliate con mente sgombra da pregiudizi. Il segreto di Piazza Fontana ha tre pregi fondamentali ai miei occhi. Da un lato è scritto molto bene (cosa rara ai giorni nostri, tanto più nella letteratura d’inchiesta); dall’altro è evidentemente frutto di un enorme lavoro di prima mano e fornisce una gran mole di documentazione comunque utile; infine, costituisce la più esauriente e valida ricostruzione sin qui fornita dei percorsi degli esplosivi e di tutti gli altri strumenti di strage che girarono per l’Europa in quegli anni come un fiume nero sotterraneo, seminando a tempo debito la morte. Ma è proprio su ciò di cui sei convinto in relazione a Piazza Fontana e a Valpreda e, anche, alla fine di Pinelli che abbiamo idee diverse. Chiarisco subito. Non presumo che le mie ipotesi corrispondano alla verità storica. Il fatto è che anche le tue sono tali. Né io né te possediamo autentiche “prove” a supporto delle nostre diverse congetture. Si tratta di ragionamenti, basati sulla documentazione oggi a disposizione (anche per merito tuo), che presentano caratteristiche variabili di razionalità e verosimiglianza. Ed è certo che spesso la realtà dimostra di superare la fantasia, soprattutto nel male – chi avrebbe immaginato orrori quotidiani e oramai “normali” come quelli che i tiranni succhiasangue odierni continuano a perpetrare in Palestina (ultima notizia d’una catena infinita di crimini dei delinquenti sio-razzisti: http://it.groups.yahoo.com/group/libertari/message/78037) o in Iraq, in Afghanistan (cfr. http://it.groups.yahoo.com/group/libertari/message/77913), o la ubiqua, mostruosa predazione degli organi (cfr. http://it.groups.yahoo.com/group/libertari/message/78089), davvero da inferno in terra, da Kali Yuga?… ma è, appunto, sul grado di verosimiglianza che ci si deve confrontare nell’ambito di differenti ipotesi. Non possiamo escludere, anche se non sembra molto probabile, che in futuro qualche nuova confessione (magari prima di morire – penso, per esempio, a qualcuno dei sopravvissuti di quella stanza maledetta del quarto piano della Questura), o nuova rivelazione o evidenza dicano la parola definitiva. Per ora dobbiamo affidarci all’interpretazione dei dati in nostro possesso.

Su Valpreda

In estrema sintesi sostieni che l’anarchico milanese sia stato colpevole, ma “a metà”, depositando nella “banca di morte” (cfr. http://www.nelvento.net/blues.html) una bomba meno potente dell’altra, portata a sua insaputa e in contemporanea da estremisti di destra. E senza rendersi conto che il timer del proprio ordigno glielo avevano, oltre a tutto, manipolato… l’esplosione, insomma, l’avrebbe sì voluta, ma a uffici vuoti… Dunque, non solo comunque corresponsabile oggettivo della strage: utile, anzi perfetto idiota, ancorché di buon cuore. E qui subito devo dichiarare il mio aperto dissenso. Vedi, io Valpreda, al contrario di te, l’ho conosciuto di persona e frequentato proprio durante la fine degli anni 60. Temo tu non abbia letto quel testo (“Sulla ballata del Pinelli”, http://it.groups.yahoo.com/group/libertari/message/78316, http://it.groups.yahoo.com/group/libertari/message/78317, http://it.groups.yahoo.com/group/libertari/message/78318) che ti avevo fatto avere, convinto potesse esserti utile per comprendere meglio e i tempi e i personaggi di cui ti stavi occupando. Pietro non era affatto stupido, né incolto. Piuttosto un autodidatta (come tutti gli anarchici che ho amato: Pinelli, Augusta, Franco Leggio…), ma generoso, sveglio, curioso e aperto intellettualmente, non conformista… semmai malato di giovanilismo, abbastanza ingenuo e un po’ fanfarone… certo non traditore né vile… mai stato al servizio di nessuno il Pietro!… Se fosse come dici tu, si tratterebbe di questo. Si vuole, dall’alto (servizi segreti “deviati” italiani e, più in su, centrali internazionali atlantiche, greci, Mossad), in combutta con gruppi neofascisti, produrre un rivolgimento istituzionale violento, qualcosa di simile a quel che è successo in Grecia… e innanzi tutto rimettere a cuccia gli operai, che hanno alzato troppo la testa… Chi fare “lavorare” a questo scopo senza che lo sappia, su chi far ricadere, post festum, la colpa del sangue che sarà versato?… Ecco un gruppuscolo romano che può andare molto bene… il “22 marzo”… sbraitano nelle manifestazioni in piazza “Bombe, sangue, anarchia!”, c’è al loro interno tale Merlino, ex-camerata e sempre amico di Delle Chiaie, il boss di Avanguardia Nazionale spione doppiogiochista… e pure Ippoliti, un poliziotto che fa regolari rapporti alle autorità… sono sbrindellati, spontaneisti, avventuristi… Merlino, imbeccato dal “Caccola”, che sta costruendo la trama insieme con qualche agente spia e un gruppo di neonazi veneti di Ordine Nuovo, convincerà Valpreda a piazzare una bomba “dimostrativa” (crederà quest’ultimo, povero fesso) alla Banca dell’Agricoltura di Milano… si sa che deve andare nella città perché convocato al Palazzo di Giustizia nei giorni in cui sono programmati i botti… ce ne saranno vari nella stessa giornata, sia nella capitale, sia nel capoluogo lombardo… e qui uno micidiale e decisivo… proprio quello di cui risulterà autore il ballerino claudicante… l’innesco della bomba e la regolazione del timer saranno fatti a Milano, in una casa dove l’inconsapevole anarchico andrà apposta (“un abbaino che stava in vicolo Margherita [oggi passeggiata Malagodi]”, Il segreto di Piazza Fontana, p. 642)… prima dell’ultimo percorso… e si provvederà anche a piazzare una o forse due altre borse fatali, questa volta affidate ad attentatori seri, DOC, controllori di tutta l’operazione (ibid., p. 643)…
Cosa non “funziona” in questa ipotesi, secondo il mio giudizio? Moltissimo – anche se, ribadisco, la realtà può in effetti superare ogni supposizione o fantasia.
Innanzi tutto un’osservazione relativa alla catena incredibile di processi, sette, dal Nord al Sud d’Italia, che i fatti di Piazza Fontana generarono nel corso di 38 anni. Come sai nessun pentito vi fu tra gli anarchici, al contrario che nelle file dei neofascisti, di cui uno in particolare, Carlo Digilio di Ordine Nuovo – morto il 12 dicembre (!) del 2005 -, confessò in modo esplicito il proprio ruolo nella preparazione dell’attentato in qualità di esperto di esplosivi. Tutti alla fine risultarono assolti per Piazza Fontana, eccetto lui, riconosciuto colpevole della strage – il reato sarebbe stato poi prescritto in virtù delle attenuanti guadagnate con la collaborazione (alla figura chiave di Digilio tu stesso dedichi 31 pagine – 551-582 – del tuo libro). Se si era deciso di incastrare Valpreda, a parte la storia del “riconoscimento” di Rolandi (che scomparve presto, prima di un vero confronto giudiziario, e che molto probabilmente portò, in quel breve assurdo viaggio in taxi, un sosia, forse Nino Sottosanti), il modo migliore sarebbe stato far dichiarare a Digilio o a chi per lui che nell’abbaino milanese era proprio salito Valpreda per la preparazione dell’innesco e del timer. Di più, e in relazione ai burattinai istituzionali. Quando Valpreda venne arrestato nel Tribunale di Milano e di lì condotto a Roma (il 16 dicembre, immediatamente dopo l’assassinio di Pinelli, sarebbe stato incriminato per Piazza Fontana), NON fu per la strage milanese, ma perché era sospettato di una delle bombe esplose a Roma lo stesso 12 dicembre, che procurarono, per fortuna, solo qualche ferito. Non ti sembra assurdo se già si sapeva – anzi, si era programmato – in alto loco (Ufficio Affari Riservati et similia) che era proprio lui l’autore dell’attentato “importante”? E come spiegare che in tutto l’arco delle sue traversie (ma anche dopo, fino alla sua scomparsa), sottoposto a ogni genere di pressioni, Valpreda abbia mantenuto la sua versione iniziale, mai ammettendo alcuna responsabilità e mai coinvolgendo nessuno? E senza, appunto, che nessun pentito, di nessuna parte, lo indicasse nel frattempo colpevole e lo incastrasse con qualche, anche minimo, riscontro? E ancora. Tu sei convinto che Pinelli avesse rotto con Pietro e ne pensasse ogni male possibile. Posso dirti che ti sbagli sicuramente. Devi credermi sulla parola, come del resto chiedi ai lettori del tuo libro presentando la testimonianza di “Mister X” (ibid., pp. 641-646). Due individui che godono della mia completa fiducia hanno raccolto non molto tempo fa, prima che morisse, la confidenza di una persona che aveva frequentato così Pino come Pietro. Pinelli, ancora a ridosso di quei tragici avvenimenti, si fidava concretamente di Valpreda. Entrambi aiutavano la resistenza greca, questo è il fatto, e la cosa, almeno ai miei occhi, va solo a loro onore. Ma non ha niente a che vedere con Piazza Fontana e l’immonda ciurma di infami e disgraziati che si mosse allo scopo di ottenere la strage alla Banca Nazionale dell’Agricoltura. Di più non posso dire, perché sono anch’io vincolato dalla discrezione. Lo faranno forse, al momento che riterranno opportuno e nella sede debita, gli stessi miei amici di cui sopra. A proposito. Non ti è mai venuto in mente che “Mister X”, il quale sostiene che quel pomeriggio non due, ma tre (!!!) borse (due nere, dei fascisti, una marrone, di Valpreda) furono depositate nella banca a Milano in un viavai tragigrottesco di taxi e di sosia (ibid., p. 643), possa averti reso la sua testimonianza mescolando il vero al falso proprio allo scopo di un depistaggio chimerico e definitivo? Del resto, lo ripeto, come mai Digilio, che sicuramente “informato dei fatti” lo era, e in primissima persona, non confermò neppure a te la presenza di “due borse con due ordigni nella BNA” (ibid., p. 561), né, tantomeno, il ruolo che presumi abbia avuto Valpreda? A parte la faccenda dei “raddoppi” o persino “triplicazioni” di borse a Piazza Fontana, le tue conclusioni sull’attentato sono simili a quelle della contro-inchiesta delle Brigate Rosse (cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Strage_di_piazza_Fontana). Penso che ti sbagli, come si sbagliarono loro.

Su Pinelli

In questo caso preferisco, piuttosto che contestare la tua, darti direttamente la versione che ritengo io più verosimile. Per sapere da una fonte non poliziesca cosa possa essere successo verso la mezzanotte del 15 dicembre 1969 al quarto piano della Questura milanese, disponiamo di una sola testimonianza utile, le dichiarazioni di Pasquale “Lello” Valitutti, che si trovava in stato di fermo nella stanza accanto a quella in cui avvenne la tragedia. A mio parere non l’hai tenuta nella considerazione che indubbiamente merita. Lello affermò ai magistrati che lo interrogarono di aver visto uscire Calabresi dal suo ufficio una sola volta e di lì entrare e rimanere per tutto il tempo nella stanza dell’interrogatorio. Dunque non è vero, stando alle sue parole di cui mi fido, che al momento della caduta di Pino Calabresi fosse altrove, come invece, ad usum Delphini, stabilì la sentenza del giudice D’Ambrosio. Che davvero non so con quale faccia di palta sepolcrale poté concludere che “L’istruttoria lascia tranquillamente ritenere che il commissario Calabresi non era nel suo ufficio al momento della morte di Pinelli” (http://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Pinelli). Ma, a parte la presenza o meno di Calabresi, sono i tempi indicati da Valitutti ad essere di estremo rilievo per la comprensione di quel che poté accadere. Egli ha sempre sostenuto che circa 15 minuti prima di udire il tonfo del corpo di Pinelli precipitato nel cortile, sentì un netto trambusto provenire dalla stanza in cui si trovava Pino. Poi silenzio, fatale. Nessun grido, nessuna esclamazione, neanche una parola. E neppure in contemporanea o subito dopo quel rumore sordo. Questo è quello che penso io: Pinelli, durante gli interrogatori, deve aver capito dell’esistenza, all’interno del Ponte della Ghisolfa e del suo stesso gruppo, Bandiera Nera, di una lurida spia che informava puntualmente la questura, Enrico Rovelli, alias “Anna Bolena” per lo Stato. I poliziotti sapevano troppe cose dell’attività per la resistenza greca di Pinelli e dei suoi compagni più intimi. E quello era proprio il cavallo di Troia e il ricatto con cui tentavano di incastrare sia lui sia Valpreda… Non escludo abbia compreso anche il vero ruolo di Sottosanti, un individuo di cui si fidava troppo generosamente, e come in realtà era avvenuta la strage… avrà detto qualcosa di troppo all’indirizzo degli sbirri e di Calabresi… Il suo stato di salute, dopo tutti quei giorni di fermo illegale, già non era buono… una percossa brutale deve avergli tolto la conoscenza… a quel punto fu presa la decisione, non immediata, di sbarazzarsi del corpo, evitando così autoambulanze, ricovero in ospedale, inchieste e scandalo sui maltrattamenti. Questo fu il “balzo felino” di cui parlò lo svergognato Allegra (ibid.), in realtà la defenestrazione e caduta quasi in verticale di un corpo già privo di sensi e con addosso entrambe le scarpe – mentre la terza rimase nella mano, anzi era la mano, dei suoi assassini.

Pietro, Pino… riposate in pace, amici miei, compagni. Sarete ancora, ci posso scommettere, in qualche stanzetta magica, su tra le nuvole, a giocare a scopa con l’Augusta, un bicchiere di vino sul tavolo.

Milano, 15 dicembre 2010

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