Intervista al professor Butz

UN’INTERVISTA A ARTHUR BUTZ

Di Andre Francisco, 23 Febbraio 2006[1]

Andre Francisco: molte grazie per aver accettato di rispondere alle mie domande

Domanda: Qual è la sua opinione sulle leggi che in molti paesi europei proibiscono di presentare una versione alternativa dell’Olocausto?

Butz: Penso che tali leggi costituiscano un ripudio, di tipo radicale, di quello che siamo stati – almeno in teoria – negli ultimi duecento anni. Se la storia, politicamente sensibile, del passato recente non può essere indagata e discussa, allora viene meno la componente più importante di ogni principio di libertà di espressione e, con essa, ogni versione accettabile di “democrazia”.

Domanda: Lei pensa che gli Stati Uniti adotteranno mai tali leggi? Ritiene che esistano già, negli Stati Uniti, dei “codici non scritti” di questo genere?

Butz: Dubito che gli Stati Uniti adotteranno mai lo stesso tipo di leggi. Tuttavia, i “codici non scritti”, o i “tabù” (come li ho definiti nel mio articolo del 14 Febbraio scorso) sono vivi e vegeti. Inoltre, non escludo l’ipotesi di nuove leggi negli Stati Uniti, che potrebbero sembrare un po’ differenti ma avere effetti simili a quelli delle leggi europee. La loro formulazione dovrebbe essere probabilmente complessa, così non posso essere preciso.

Domanda: Come pensa che i paesi in questione possano conciliare queste leggi, o codici, con l’idea della libertà di parola? Sono ipocriti, o si tratta di un’eccezione?

Butz: Sono ipocriti e questo è diventato totalmente ovvio grazie alla controversia, che ancora infuria, sui cartoni animati contro Maometto. Se vuole sapere come tali paesi “possano conciliare queste leggi, o codici, con l’idea della libertà di parola”, la mia risposta è che essi non lo fanno. Dovrebbe chiederlo a loro.

Domanda: Ha mai letto nulla di David Irving? Se sì, cosa?

Butz: Molto tempo fa ho letto La guerra di Hitler, il suo libro su Rommel: Sulle tracce della volpe, e La distruzione di Dresda. Potrei averne letti degli altri. Questo nonostante il fatto che tali libri sono collegati solo alla lontana con i miei interessi. Considero Irving uno storico militare, non un revisionista dell’”Olocausto”, o un negazionista. Sull’”Olocausto”, le sue dichiarazioni sono state confuse e contraddittorie: talvolta sembravano revisioniste, talvolta no. All’epoca del processo contro la Lipstadt, nel 2000, Don Guttenplan pubblicò un articolo su una certa rivista ed osservò che è impossibile stabilire la posizione di Irving sulle singole questioni. Ebbene, questo è giusto per quanto riguarda l’”Olocausto”. L’Austria lo ha messo in prigione per qualcuna delle volte in cui è sembrato revisionista. Non è vero che ha cambiato posizione solo quando si è trovato di fronte alla galera. La verità è che non aveva una posizione. Eppure, la sua carcerazione dovrebbe essere considerata sia come uno scandalo che come un pericolo da ogni persona dotata di integrità intellettuale.

Andre Francisco: Grazie per la sua disponibilità.
[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://www.adelaideinstitute.org/newsletters/n281.htm

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