L’intolleranza sionista e la polizia del pensiero

Eccoci di nuovo a parlare dell’intolleranza principe del mondo occidentale: l’intolleranza sionista.

Ne abbiamo già parlato ma è necessario riparlarne. Si tratta di un’intolleranza notevolmente cresciuta negli anni della presidenza Trump e che viene esercitata persino contro quei cittadini israeliani che si azzardano a denunciare le violenze e le prevaricazioni compiute dallo stato ebraico contro i palestinesi.

Questa è la conclusione che si ricava da un fatto emerso solo pochi giorni fa: le autorità americane hanno vietato l’ingresso negli Stati Uniti ad un ricercatore ebreo che aveva smascherato certi abusi compiuti contro i palestinesi da parte delle autorità israeliane.

Il ricercatore in questione si chiama Eyal Weizman, è un cittadino provvisto di doppio passaporto (inglese e israeliano), ed è il fondatore del gruppo di ricerca Forensic Architecture. Weizman si sarebbe dovuto recare negli Stati Uniti per presenziare ad una mostra, curata appunto da Forensic Architecture, riguardante il brutale pestaggio di un cittadino palestinese, Faisal alNatsheh, avvenuto nella città di Hebron nel 2014.

Due giorni prima della sua prevista partenza, le autorità americane hanno informato Weizman per email che il suo diritto a viaggiare negli Stati Uniti era stato revocato perché un algoritmo aveva identificato una minaccia per la sicurezza.

Quando Weizman è andato nell’ambasciata americana a Londra per chiedere un nuovo visto, gli è stato chiesto di sottoporsi ad un interrogatorio riguardante i suoi ultimi 15 anni di vita!

Gli è stato anche chiesto di fare i nomi delle persone da lui contattate che avrebbero potuto attivare l’algoritmo.

Weizman ha detto di essersi rifiutato di fornire ulteriori informazioni perché così facendo avrebbe potuto mettere a rischio le persone da lui nominate.

L’anno scorso gli Stati Uniti avevano vietato l’ingresso a Omar Barghouti, un attivista palestinese co-fondatore del movimento BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni).

L’amministrazione Trump è persino arrivata al punto di revocare il visto d’ingresso al procuratore capo della Corte penale internazionale, dopo che ella aveva manifestato l’intenzione di condurre indagini sui crimini di guerra perpetrati dalle forze americane in Afghanistan.

Le autorità americane hanno parimenti minacciato di imporre sanzioni o di perseguire penalmente quelle autorità della Corte penale internazionale che dovessero condurre indagini sui crimini di guerra compiuti da Israele.

Ricordiamo che Weizman fa parte del comitato tecnico consultivo della predetta Corte penale internazionale.

Ma l’intolleranza sionista può contare non solo su solerti funzionari d’ambasciata ma anche su un’occhiuta polizia del pensiero: il compito della polizia del pensiero è reprimere sul nascere tutte quelle fonti di notizie che presentano punti di vista difformi dall’informazione mainstream (quella che ci raggiunge ogni giorno tramite giornali e telegiornali, libri e riviste).

Un emblematico esempio in tal senso è costituito dalla notizia, risalente a un paio di settimane fa, che Amazon ha rimosso dalle proprie vendite due libri del revisionista americano Thomas Dalton. I libri in questione si intitolano Eternal Strangers: Critical Views of Jews and Judaism Through the Ages e The Jewish Hand in the World Wars.

Entrambi questi libri erano disponibili all’acquisto, presentati come “spediti e venduti da Amazon”, fino a quando “gli attivisti contro l’antisemitismo hanno lanciato l’allarme”.

Uno dei capi d’accusa rivolti a Dalton è quello di aver elogiato, in un altro libro, scritto nel 2009 (e parimenti bannato da Amazon) proprio i revisionisti dell’Olocausto: “Dopo aver considerato tutte le prove, trovo che i revisionisti abbiano degli argomenti molto forti. La loro argomentazione è solida, le loro fonti sono bon comprovate, e la loro ricerca è di alto livello…soprattutto, la mole dei loro argomenti porta ad una conclusione generale: che la storia tradizionale dell’Olocausto è significativamente difettosa”.

Ma ricordiamo che già nel 2017, tre anni fa, Amazon aveva messo al bando i libri revisionisti della collana “Holocaust Handbooks”. Già con quella decisione Amazon aveva passato il guado della censura politica contro i libri considerati indigesti dalle autorità israeliane (e occidentali).

Uno dei paesi in cui la polizia del pensiero è capillarmente operante è l’Inghilterra: qui, un libro di testo per le scuole medie è stato ritirato dalle vendite dal suo stesso editore, che ha anche presentato le proprie scuse.

Cosa c’era di tanto disdicevole in questo libro? Semplice: chiedeva agli studenti se Israele può essere considerato responsabile degli attacchi dell’11 settembre. La domanda “incriminata” era la seguente: “Come potrebbe essere sostenuto che la creazione di Israele è stata una causa di lungo termine degli attacchi dell’11 settembre?”.

La domanda faceva seguito ad una sezione del libro su Israele e la Palestina recante il titolo “La sfiducia dei musulmani nei confronti dell’Occidente, 1900-66”. Il libro di testo si rivolge(va) alla fascia di studenti dagli 11 ai 13 anni.

Ed ecco entrare in scena il Board of Deputies of British Jewry, una delle branche della polizia del pensiero in Gran Bretagna. Il vicepresidente del “Board of Deputies” ha subito definito la domanda posta nel libro di testo come “pericolosa”: “Essa invita gli studenti a trovare un legame tra la creazione di Israele e gli attacchi terroristici dell’11 settembre, che si inserisce in una teoria del complotto prevalentemente antisemitica”. E ha poi aggiunto: “Questa è una versione della storia scandalosamente deformata. Come questo sia stato permesso in un libro di testo utilizzato nelle nostre scuole è motivo di grande preoccupazione. Dovrebbe essere immediatamente ritirato e sottoposto a indagine”.

Detto, fatto: l’editore ha subito espresso il mea culpa: “Riconosciamo che la formulazione della domanda non è precisa come avrebbe dovuto essere, e siamo molto dispiaciuti per qualunque offesa che questo ha provocato. Abbiamo rimosso il libro dalla vendita, ne rivedremo il contenuto e ne presenteremo una nuova versione”.

L’attività di spionaggio, perché di spionaggio si tratta, della polizia del pensiero non si limita ai libri ma si estende anche ai rapporti sociali: non è proibito soltanto leggere certi libri ma anche incontrare certe persone: chi lo fa, lo fa a proprio rischio e pericolo perché tale frequentazione potrebbe essere segretamente registrata e poi divulgata dai giornali nazionali.

È quello che è accaduto nei giorni scorsi, sempre in Inghilterra: l’altro ieri, il Guardian (uno degli organi più fanatici della polizia del pensiero di quel paese) titolava che “attivisti della sinistra inglese hanno partecipato a eventi insieme ad antisemiti dell’estrema destra”.

L’articolo inizia affermando che “ex membri del Partito laburista hanno regolarmente incontrato elementi di estrema destra per discutere e diffondere teorie del complotto antisemitiche”: questa rivelazione, precisa l’articolo, è il frutto di un’indagine segreta.

Un’indagine condotta da infiltrati: “Un’infiltrazione del gruppo di complottisti denominato Keep Talking ha scoperto che sostenitori di Jeremy Corbyn e confidenti di ex deputati del Labour hanno partecipato a incontri in cui parlavano negazionisti della Shoah”.

E chi avrebbe condotto quest’opera di infiltrazione? Altre due (adunche) branche della predetta polizia del pensiero: le associazioni “Hope Not Hate” e “Community Security Trust”, che hanno spiato Keep Talking per ben tre anni. Ecco cosa è arrivato a dire Nick Lowles, responsabile di “Hope Not Hate”:

“La nostra indagine mostra ciò che l’orientamento politico di alcuni esponenti dell’estrema sinistra e dell’estrema destra hanno in comune: l’antisemitismo. È importante che questi gruppi non siano visti semplicemente come eccentrici o innocui; costoro forniscono ai complotti uno spazio per sopravvivere e per crescere e incoraggiano le persone a continuare a diffondere falsità”.

Inoltre, secondo Lowles, le teorie del complotto sono pericolose perché si possono diffondere nella politica e provocare danni “nel mondo reale”. Ma guarda.

È questo l’incubo degli sbirri del pensiero come Lowles: che le opinioni di chi sionista non è possano trovare spazio nella politica mainstream. Un rischio assolutamente inesistente, data la vigliaccheria dei politici occidentali ma che a quanto pare non fa stare tranquilli Lowles e compagnia, che, non paghi di aver fatto espellere innumerevoli persone dal Partito Laburista, continuano a perseguitarle con metodi che non hanno nulla da invidiare alle polizie dei paesi dell’Europa orientale prima della caduta del Muro di Berlino.

Perché, questo è il punto: sorvegliare come poliziotti le persone, controllare quello che scrivono sui social e infiltrarsi nella loro vita privata per spiare i loro incontri, come fanno “Hope Not Hate” e il Guardian, dovrebbe essere considerato un reato. E invece in Inghilterra non succede niente.

Due dei partecipanti a Keep Talking: James Thring e Lady Michèle Renouf

Comunque in questa storia un fatto positivo c’è: a quanto pare, persone di diverso e talvolta opposto orientamento politico hanno incominciato a incontrarsi per conoscersi, scambiare punti di vista e socializzare. È un fatto che dovrebbe essere normale in una società davvero libera e democratica. E invece è proprio quello che fa paura ai poliziotti del pensiero, che gridano al complotto perché temono che la gente, pur nella diversità delle rispettive opinioni, socializzando e dialogando possa fare fronte comune contro chi complotta per davvero: gli psico-poliziotti sionisti come Lowles.

E come l’articolista-inquisitore del Guardian che, da furfante qual è, arriva a paragonare i negazionisti della Shoah agli psicopatici criminali come il cecchino che in Germania giovedì scorso ha ucciso nove persone.    

Tra i partecipanti agli incontri di Keep Talking il Guardian enumera i laburisti, sospesi dal partito, Elleanne Green e Peter Gregson, i revisionisti Alison Chabloz e Nick Kollerstrom (cofondatore di Keep Talking) e lo scrittore israeliano Miko Peled.

Quest’ultimo, intervenendo ad un convegno del Partito Laburista nel 2017, aveva detto che:

“Questo è sulla libertà di parola, la libertà di criticare e di discutere ogni argomento, sia che si tratti dell’Olocausto – sì o no – la Palestina, la liberazione, l’intero spettro”.

Ecco dunque da che parte stanno i presunti complottisti di Keep Talking: dalla parte della libertà di parola. Mentre dalla parte della polizia del pensiero ormai purtroppo bisogna annoverare l’intera classe dirigente del Partito Laburista, come da tempo sostiene Gilad Atzmon. Un partito in cui è in atto una vera e propria pulizia etnica: è di qualche giorno fa la notizia che il Labour ha espulso ben 25 suoi esponenti in un solo giorno. L’imputazione è sempre la stessa: antisemitismo. È stato infatti reso noto che d’ora in avanti le procedure di espulsione saranno molto più celeri grazie alle riforme disciplinari attuate dal segretario generale del partito Jennie Formby.

Jennie Formby

Per dare un’idea di come funziona il meccanismo delle espulsioni sarà sufficiente dire, ad esempio, che Maureen Fitzsimmons è stata espulsa per aver scritto sui social che “gli ebrei controllano tutto”. Il blogger anti-israeliano Asa Winstanley invece se n’è andato di sua spontanea volontà dopo che il partito lo aveva messo sotto accusa semplicemente per aver nominato “la Israel Lobby nel Regno Unito”.

Un altro membro del Labour, Stephen Orme, è stato espulso solo per aver detto che “gli amici di Israele sono una forza dominante e ossessiva”. Il che è la pura verità: ricordiamo che in tutti e tre i maggiori partiti inglesi (laburista, conservatore e liberaldemocratico) opera al loro interno una lobby di “friends of Israel” (amici di Israele).

Sempre per antisemitismo è stata espulsa Pauline Hammerton, a cui non è stata data neppure la possibilità di difendersi: è stata espulsa senza preavviso. Eppure costei non è mai stata antisemita: era solo una sostenitrice dei palestinesi e contraria ad ogni forma di razzismo.

Il risultato di questa pulizia etnica è il seguente: tutti e quattro i candidati alla successione di Jeremy Corbyn come nuovo leader del partito hanno dichiarato di considerarsi sionisti.

Ma c’è un’altra cosa che forse il lettore italiano non sa: tutti i candidati alla successione di Corbyn dovevano rispondere ad un questionario preliminare di dieci domande in base alle quali veniva misurato il loro tasso di estraneità all’antisemitismo. E chi è l’autore di questo questionario? Il Board of Deputies of British Jews. E questo, nonostante il fatto che tale associazione sia una notoria sostenitrice del Partito Conservatore!

Due candidati, Dawn Butler e Richard Burgon, si sono rifiutati di rispondere al questionario, per rimanere fedeli alla loro posizione in favore dei palestinesi, e per questo sono stati accusati di antisemitismo.

Il commento dell’articolista da cui ho tratto queste notizie: “È diventato quasi ‘criminale’ essere socialista o di sinistra all’interno del Partito Laburista, così se lo siete vi consiglio di guardarvi la schiena e forse di andarvene prima che siate espulsi”.

A tal punto sono arrivate in Inghilterra l’intolleranza sionista e la polizia del pensiero.

 

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