Un articolo ancora attuale di Thomas Kues su Sobibor

NUOVO “CENTRO MEMORIALE” PROGETTATO PER IL “CAMPO DELLA MORTE” DI SOBIBÓR

Di Thomas Kues, 2010

Il 17 agosto 2010 il sito informativo sionista Ynet ha pubblicato il seguente articolo:

Israele continuerà a sostenere gli sforzi per erigere un centro memoriale a Sobibor, secondo un accordo raggiunto dal direttore generale del Ministero dell’Informazione e degli Affari della Diaspora Ronen Plot, e dal Presidente del Consiglio di Amministrazione dello Yad Vashem Avner Shalev, con il dr. Andrzej Konrat, che è il responsabile del ricordo dell’Olocausto in Polonia.

L’accordo è in armonia con la dichiarazione di intenti raggiunta nel 2008 da Israele, Polonia, Slovacchia e Olanda.

Quasi nulla era rimasto del campo nazista della morte di Sobibor in Polonia alla fine della guerra. La creazione di un centro memoriale è il risultato della cooperazione del consiglio polacco per la memoria delle vittime della guerra, guidato dal Ministro Konrat, e dai Ministeri israeliani dell’Informazione e degli Affari della Diaspora e degli Esteri, diretti dai ricercatori dello Yad Vashem e assistiti dalla Slovacchia e dall’Olanda.

A questo scopo, è stato costituito un comitato internazionale di esperti, e sono stati effettuati scavi nel sito per accertare l’ubicazione precisa delle camere a gas.

Il progetto del centro memoriale, i cui costi sono stimati in circa 6 milioni di euro ($8 milioni), è attualmente nelle sue prime fasi di progettazione. Le decisioni su una competizione internazionale per la progettazione dell’edificio e le decisioni per l’allocazione di un budget saranno prese in un incontro congiunto il mese prossimo a Varsavia, in cui tutti i paesi partecipanti saranno presenti. Si prevede che il centro verrà completato per l’ottobre 2013, il 70° anniversario della rivolta dei prigionieri del campo.

‘Consideriamo questo come un sacro obbligo congiunto di ricordare il passato e le vittime’, ha detto Konrat durante l’incontro.

‘Sono lieto della cooperazione polacca e dell’importanza che il ministro dà al ricordo dell’Olocausto’, ha detto il direttore generale del Ministero dell’Informazione. ‘L’istituzione di un centro nel campo della morte in cui circa 250.000 ebrei vennero uccisi è una parte importante dell’educazione…e una parte della lotta contro tutti coloro che negano che sia accaduto’”[1].

La predetta notizia è un segno sicuro che i guardiani dell’”Olocausto” provano una crescente disperazione di fronte alla massa delle critiche revisionistiche ai miti delle camere a gas, e che costoro perciò ricorrono a certe strategie per impedire ulteriori ricerche negli ex siti dei “campi di puro sterminio” di Belzec, Sobibór e Treblinka (conosciuti complessivamente come i campi Reinhardt), ricerche che potrebbero solo causare ulteriori danni alla storiografia ortodossa. Nel caso di Treblinka la maggior parte del sito dell’ex campo venne coperta con lastre di calcestruzzo e grandi pietre già negli anni ’60[2]. A Belzec, dove è stata condotta un’indagine archeologica alla fine degli anni ’90 (con risultati devastanti per l’immagine storica ufficiale di questo “campo della morte”[3]) la totalità del sito dell’ex campo è stata coperta all’inizio degli anni 2000 con un enorme “monumento” di cemento[4]. Non sarebbe esattamente una sorpresa se Sobibór venisse avviato ad un analogo destino.

L’articolo di Ynet contiene due passaggi di particolare interesse. Innanzitutto, il ministro israeliano Ronen Plot viene citato per aver parlato di 250.000 vittime a Sobibór. Questa cifra potrebbe venire utilizzata ancora in nuove enciclopedie e pubblicazioni consimili, ma in realtà è stata resa insostenibile dalla scoperta nel 2000 del cosiddetto documento Höfle. Questo documento mostra che fino alla fine del 1942 vennero deportati a Sobibór 101.370 ebrei[5]. Il campo fu attivo fino all’ottobre 1943, ma tutte le fonti concordano che il numero degli ebrei deportati a Sobibór durante il 1943 fu molto più piccolo di quello del 1942. Così il principale esperto sterminazionista su Sobibór, Jules Schelvis, fissa la cifra delle vittime a 170.000[6].

In secondo luogo, leggiamo nell’articolo che un “comitato internazionale di esperti” ha effettuato un’indagine nel sito dell’ex campo per “accertare l’ubicazione precisa delle camere a gas”. In realtà sono state effettuate non una ma due[7] indagini archeologiche con questo scopo: la prima nel 2000-2001 guidata dal professore polacco di archeologia Andrzej Kola (che condusse anche la predetta indagine a Belzec) e una seconda nel 2007-2008 condotta dal trio israelo-polacco Isaac Gilead, Yoram Haimi e Wojciech Mazurek.

Andrzej Kola ha indagato la totalità del “Lager III” – la sezione del campo isolata con un recinto dove l’edificio delle presunte camere a gas era ipoteticamente ubicato e che copre meno di 4 ettari – con perforazioni mediante sonda ed ha successivamente effettuato scavi archeologici nei resti di cinque edifici identificati. Di questi, l’”Oggetto E” è stato identificato nell’angolo sud-occidentale del Lager III, esattamente dove l’edificio delle camere a gas era ubicato secondo le mappe disegnate dai testimoni oculari. Il problema con questa scoperta è che l’”Oggetto E” non corrisponde in alcun modo alle descrizioni del detto edificio. Le sei camere a gas del campo erano presuntivamente disposte a tre a tre lungo un corridoio centrale dentro un edificio fatto di mattoni o di cemento che misurava approssimativamente metri 10×13-18. L’”Oggetto E” d’altro canto consiste di due baracche costruite completamente in legno: la più piccola misura metri 14×4, la seconda non meno di metri 60-80×6! È notevole che non un solo testimone abbia parlato di questa enorme baracca di legno, le cui dimensioni come pure il materiale di costruzione rendono impossibile identificare con l’edificio delle presunte camere a gas (lo stesso naturalmente vale per la baracca più piccola). Sempre nell’”Oggetto E” sono stati scoperti numerosi resti di vestiario e di articoli di tolettatura, come fermagli per capelli, bottiglie di profumo, cinture ecc. Le presunte vittime delle gasazioni d’altro canto si ritiene che entrassero nelle camere della morte già nude. Queste scoperte hanno indotto Kola ad escludere nel suo rapporto sugli scavi l’ipotesi che l’”Oggetto E” avrebbe potuto fungere quale edificio delle camere a gas. Invece egli ha proposto l’ipotesi – che non ha sostegno nelle testimonianze oculari – che la baracca più grande servisse da magazzino per il vestiario confiscato e per gli effetti personali delle vittime[8].

Nessuno dei resti dei quattro ulteriori edifici identificati da Kola nell’ex Lager III è mai stato nemmeno vicino a quadrare con la descrizione dell’edificio delle camere a gas oggetto della ricerca. Un’altra notevole scoperta, tuttavia, è stata l’”Oggetto A”, un piccolo edificio con una cantina in cui sono stati trovati i resti di un forno e di un deposito di carbone. Kola con scarsa convinzione interpreta tutto ciò come i resti dell’officina di un fabbro, nonostante il fatto che lì esisteva già un fabbro in un’altra parte del campo, e un piccolo campo come Sobibór difficilmente avrebbe avuto bisogno di due fabbri. Inoltre, quale sarebbe stata l’utilità dell’officina di un fabbro in un settore del campo presuntivamente finalizzato solo alla gasazione, al seppellimento e alla cremazione delle presunte vittime?[9] Nel nostro studio su Sobibór il sottoscritto, Jürgen Graf e Carlo Mattogno abbiamo interpretato l’”Oggetto A” come un’installazione in cui il vestiario e altri articoli venivano disinfestati utilizzando aria calda o vapore (prodotto dal forno), e l’”Oggetto E” come una baracca di disinfestazione in cui gli ebrei deportati al campo venivano sottoposti a doccia e disinfestazione prima di venire inviati ancora più a est nella zona occupata dei tedeschi dell’Unione Sovietica[10].

L’indagine archeologica effettuata a Sobibór nel 2007-2008 dal trio Gilead-Haimi-Mazurek è stata pubblicata solo in estrema brevità in un articolo pubblicato sul giornale americano Present Past all’inizio del 2009[11]. In questo articolo leggiamo che i tre archeologi “agendo in base al presupposto” che “sapevano grosso modo dove la camera a gas era ubicata (…) hanno deciso di scavare dapprima nell’area confinante con la zona ovest dell’Edificio E di Kola”. In quest’area, tuttavia, non si è trovato nessun resto di edifici[12]. In seguito, nell’estate del 2008 il gruppo venne integrato da geofisici americani provvisti tra le altre cose di un georadar. Nonostante l’aiuto di una tecnologia avanzata e nonostante il fatto che il Lager III era già stato indagato da Kola, costoro hanno fallito miseramente non riuscendo a rintracciare nessun resto delle favoleggiate camere a gas, e nell’articolo del 2009 hanno dovuto di malavoglia ammettere che “È ovvio che l’ubicazione delle camere a gas è una questione complessa che deve essere risolta, un importante obbiettivo per le future ricerche archeologiche a Sobibór”[13].

In altre parole: il “comitato internazionale di esperti” menzionato nell’articolo di Ynet non ha trovato nessuna traccia delle presunte camere a gas omicide a Sobibór, nonostante due indagini e un’area molto limitata da perlustrare. La spiegazione per tutto ciò è naturalmente semplice: le presunte camere a gas non sono mai esistite, e non potevano perciò lasciare nessuna traccia.

Nel nostro studio, Mattogno, Graf e il sottoscritto hanno presentato un ampio assortimento di prove che mostrano in modo inequivocabile che Sobibór in realtà fu un campo di transito – che esso fu parimenti designato come tale in una comunicazione interna classificata tra il leader SS Heinrich Himmler e l’amministratore SS dei campi Oswald Pohl dall’estate del 1943[14] – in cui gli ebrei deportati venivano disinfestati e poi inviati all’est, per esempio in Lituania[15]. Nella totale assenza di prove che sostengano le accuse delle gasazioni di massa a Sobibór, i guardiani della leggenda dei campi di sterminio come Avner Shalev e Andrzej Konrat non hanno altra opzione che ricorrere all’offuscamento dei fatti e all’impedimento di ulteriori ricerche, tutto camuffato come “commemorazione”.

 

Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo:  https://codoh.com/library/document/4455/?lang=en

[1] “Sobibor death camp memorial center planned”, in rete: http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-3933561,00.html

[2] http://fcit.usf.edu/HOLOCAUST/resource/gallery/TREBLINK.htm

[3] Cf. Carlo Mattogno, Belzec in Propaganda, Testimonies, Archeological Research, and History, Theses & Dissertations Press, Chicago 2004, pp. 71-96; C. Mattogno, “BEŁŻEC E LE CONTROVERSIE OLOCAUSTICHE DI ROBERTO MUEHLENKAMP”, in rete: https://web.archive.org/web/20110728155553/http://ita.vho.org/BELZEC_RISPOSTA_A_MUEHLENKAMP.pdf

[4] http://www.deathcamps.org/belzec/buildingsite.html

[5] Jürgen Graf, Thomas Kues, Carlo Mattogno, Sobibór. Holocaust Propaganda and Reality, TBR Books, Washington DC 2010, p. 22, 46-47.

[6] Ivi, p. 49-50.

[7] Un diario di viaggio scritto dallo storico dell’”Olocausto” Martin Gilbert rivela che un altro scavo venne effettuato nell’ex Lager III già nel 1996, ma a quanto pare i risultati di questo scavo non sono mai stati pubblicati; cf. ivi, p. 109, nota 298.

[8] Ivi, pp. 157-162.

[9] Ivi, pp. 153-155.

[10] Ivi, pp. 286-287.

[11] I. Gilead, Y. Haimi, W. Mazurek, “Excavating Nazi Extermination Centres,” Present Pasts, vol. 1, 2009.

[12] Ivi, p. 27.

[13] Ivi, p. 33s.

[14] Documento di Norimberga NO-482.

[15] J. Graf, T. Kues, C. Mattogno, Sobibór. Holocaust Propaganda and Reality, op.cit., cf. specialmente i capitoli 9 e 10.

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