Guido Salvini: Piazza della Loggia e piazza Fontana: chi si è impegnato per la verità e chi non l’ha cercata

Guido Salvini: Piazza della Loggia e piazza Fontana: chi si è impegnato per la verità e chi non l’ha cercata

 

Piazza della Loggia

 

Da Guido Salvini ricevo e volentieri pubblico:
 
Piazza della Loggia e piazza Fontana: chi si è impegnato per la verità e chi non l’ha cercata
Con la sentenza della Corte di Assise di Appello di Milano, nonostante gli alterni esiti delle decisioni sulle stragi, il quinquennio dell’eversione nera dal 1969 al 1974 è, almeno sul piano storico, ormai interamente ricostruito. Infatti anche le sentenze di assoluzione di Milano per Piazza Fontana hanno comunque affermato che fu Ordine Nuovo a ideare ed eseguire quella strage e che la responsabilità di Digilio, dichiarata  prescritta per la sua collaborazione e di Freda e Ventura, non più processabili, è del tutto certa. Lo stesso vale per gli ordinovisti veneti, Maggi tra loro, che inviarono Gianfranco Bertoli nel 1973 a  Milano, dopo averlo addestrato, per colpire dinanzi alla Questura l’on Mariano Rumor  “colpevole” di non aver dichiarato dopo piazza Fontana quello stato di emergenza che era il vero obiettivo politico della strage. Per Brescia risultano responsabili, ricordiamolo, non solo Maggi e Tramonte, ma come risulta dalle sentenze precedenti, lo stesso Digilio e gli ordinovisti  veneti Melioli e Soffiati, da tempo deceduti, che avevano preparato e trasportato gli ordigni. E in mezzo il fallito attentato  sul treno Torino-Roma del 7  aprile 1973, organizzato  da Rognoni e dagli ordinovisti milanesi de La Fenice. Una strage mancata che, grazie alla rivendicazione di sinistra che era stata progettata, avrebbe dovuto deviare il corso delle indagini su piazza Fontana che avevano imboccato con decisione la pista nera. Ed anche allontanare il pericolo di un crollo di Giovanni Ventura che in carcere il mese prima aveva iniziato una semi-confessione. Non sembra un caso che l’agente dei Servizi Giannettini, di cui alla fine Ventura farà il nome, venga fatto “esfiltrare” in direzione Parigi dai suoi protettori del SID proprio il 9 aprile, due giorni dopo il fallimento della “mimetizzazione“ a sinistra dell’attentato al treno.
Non sempre quindi ci sono le condanne ma la verità comunque c’è.
Dopo questa sentenza  si può ormai affermare  che Digilio, anche se non  certo non ha detto tutto quanto sapeva  e  forse molto meno, ha comunque narrato certamente il vero sui passaggi essenziali di quelle operazioni. Basti pensare al casolare di Paese, vicino a Treviso, ove, nel racconto del collaboratore, Maggi, Zorzi, Ventura  e gli altri ordinovisti veneti avevano allestito il loro  deposito di armi ed  esplosivi e ove sono stati approntati gli ordigni per gli attentati del 1969.
Quel casolare-arsenale  per tutto il corso del processo per piazza Fontana non era stato individuato a causa di una inspiegabile leggerezza e disattenzione della Procura di Milano e tale mancato di riscontro era stato forse l’elemento decisivo per far pendere la bilancia dalla parte delle assoluzioni. Ma poi, nel 2009, la Procura di Brescia, con l’aiuto dei Carabinieri, ha trovato quel casolare, che sta lì proprio dove Digilio lo  aveva indicato, e addirittura, nel processo
che si è appena chiuso  a Milano, i proprietari che lo  avevano affittato agli ordinovisti hanno testimoniato in aula di essersi accorti all’epoca, prima che fosse abbandonato, che lì c’era stata la presenza di armi. Quindi Digilio aveva detto la verità anche se per piazza Fontana questa verità è giunta troppo tardi. Una verità che con  probabilità  investe anche i camerati indicati da Digilio come autori materiali della strage e assolti per l’incompletezza delle prove. Un nuovo collaboratore di giustizia, infatti, il veronese Giampaolo Stimamiglio ha dichiarato infatti nel 2010, sempre alla Procura di Brescia, che durante un viaggio in Argentina da Giovanni Ventura nel periodo in cui erano partite le nuove indagini milanesi Ventura, cui era molto legato, gli aveva confermato che Delfo Zorzi, oltre ovviamente a sé stesso, era effettivamente tra gli organizzatori della strage del 12 dicembre.
Ma in tutti questi anni la Procura di Milano di Bruti Liberati e di Spataro, a differenza di quella di Brescia, è rimasta assolutamente inerte. Quando nel 2009 erano arrivati da Brescia nuovi elementi e nuovi possibili testimoni, il padovano Gianni Casalini per citarne uno, la Procura di Milano non ha nemmeno voluto investire la polizia giudiziaria di qualche modesto accertamento e ha chiesto l’archiviazione, nonostante le richieste dei familiari delle vittime, senza nemmeno svolgere un solo atto di indagine. Eppure il presidente Napolitano, presente a Milano proprio nel 2009, nel quarantennale della strage, aveva affermato che i magistrati avevano il dovere di continuare a cercare “ogni frammento di verità”.  A sei anni di distanza  alcuni di quei testimoni sono addirittura morti. Ma forse è venuto il momento che qualcuno, magari i famigliari delle vittime o quello che resta della pubblica opinione ancora attenta a questi fatti, inviti la Procura di Milano a cominciare a riflettere sulle sue mancanze. Deponendo, per prima cosa,  la storica avversione verso il lavoro avviato negli anni ‘90 dal Giudice Istruttore, cioè chi scrive, di cui aveva addirittura chiesto al CSM il trasferimento per incompatibilità ambientale ( o per gelosia ?) nel pieno delle indagini su piazza Fontana. E l’avversione inspiegabile verso quei  Carabinieri, il col. Giraudo sopratutto, che in questi anni hanno continuato e con successo le indagini su un episodio così strettamente collegato a piazza Fontana come la strage di Brescia. In parole povere si dovevano in questi anni fare due indagini e ne è stata fatta, e non per una sciagura imprevista, una sola.
Forse qualche invito verrà. A meno che il conformismo verso una parte della magistratura non sia tale che, come scriveva Pasolini in altri tempi o in quelli che si pensano altri tempi, “contro gli uomini politici si scrive” e di norma giustamente “tutti abbiamo il coraggio di parlarne perché sono cinici, furbi … e grandi incassatori” ma a proposito “dei magistrati tutti stanno zitti, civicamente e seriamente zitti. Perché?. Perché, azzardo, grazie anche a molta stampa, c’è qualche ufficio giudiziario che ha “comunque ragione” e quindi chi non è d’accordo con lui è seduto, automaticamente, dalla parte del torto.
Guido Salvini
magistrato
La strage di piazza Fontana
One Comment
  1. PRECISAZIONE SUL CASOLARE DI PAESE
    Ho molta stima per il Giudice Salvini che personalmente non ho mai conosciuto ma del quale ho letto gli atti della sua istruttoria, dalla quale hanno preso avvio le più importanti inchieste giudiziarie sulle stragi e dai quali atti ho spesso tratto spunti investigativi. Ho letto con molto interesse il suo articolo che contiene solo una imprecisione relativa al Casolare di Paese. Il casolare non è stato individuato dai Carabinieri – ai quali si deve una parte importante delle inchieste (leggi Giraudo) – ma dalla Polizia ed in particolare dall'UCIGOS (oggi Direzione Centrale della Polizia di Pevenzione) e nello specifico da chi scrive che dal 2001 ha preso a collaborare con la Procura di Brescia per la strage di Piazza della Loggia. L'agenda di VENTURA sebbene acquisita agli atti della Procura di Milano, insieme a numerosi altri documenti estratti dal processo di Catanzaro , purtroppo non è stata analizzata e così valorizzata, probabilmente a causa del fatto che la Procura di Milano aveva tagliato i rapporti con la DCPP che l'aveva selezionata dagli atti di Catanzaro. Sono certo – così come scrive il Giudice Salvini, che se il casolare fosse stato individuato nell'istruttoria sulla strage, i processi sulla strage del 12 dicembre 1969 e sulla Strage di Via Fatebenefratelli avrebbero avuto esito diverso. Come sono altrettanto certo che se la Procura di Milano gli avesse permesso (al Giudice Salvini) di leggere quegli atti oggi scriveremmo un'altra storia. Michele Cacioppo

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