L’Olocausto è davvero un “fatto notorio”? Un articolo di Jürgen Graf

L’Olocausto è davvero un “fatto notorio”? Un articolo di Jürgen Graf

CHIAMATEMI PURE MEYER” – UN ADDIO ALL’OVVIETA’

Di Jürgen Graf (2004)[1]

Nel n°1/2003 della rivista The Revisionist venne pubblicata una serie di articoli sulla controversia riguardante il numero dei morti ad Auschwitz. Tale controversia era stata provocata da Fritjof Meyer, un importante giornalista della più diffusa rivista tedesca, Der Spiegel. In risposta il Museo di Auschwitz pubblicò una confutazione della tesi di Meyer, che replicò a sua volta. L’articolo seguente fornisce un’attenta valutazione della vicenda.
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Nota del traduttore: il nome “Meyer” ha in Germania una certa connotazione ironica: all’inizio della seconda guerra mondiale, Hermann Göring, all’epoca responsabile dell’aviazione e della difesa aerea tedesche, si vantò in un momento di noncuranza che, se gli inglesi fossero riusciti a bombardare Berlino, i tedeschi potevano chiamarlo pure “Meyer”. La frase è perciò l’equivalente dell’esclamazione americana “I’ll eat my hat” [Mi mangerò il cappello].

Gli avvenimenti correnti in Germania relativi all’Olocausto forniscono l’occasione di un cauto ottimismo. Due articoli di un importante giornalista dello Spiegel, Fritjof Meyer, il primo dei quali è apparso nel Maggio del 2002 e il secondo nel Novembre del 2003, potrebbero avere conseguenze impreviste per il mito delle camere a gas di Auschwitz, sebbene solo una sparuta minoranza del grande pubblico tedesco conosca la questione. I due articoli sono il risultato dell’enorme pressione esercitata sui custodi del “Santo Graal” dell’Olocausto da parte dei revisionisti e dei risultati da loro ottenuti, per quanto tali scoperte siano ignote al grande pubblico.

Il primo articolo è apparso nel numero di Maggio del 2002 della rivista Osteuropa con il titolo “Il numero delle vittime di Auschwitz: nuove conoscenze alla luce di documenti appena scoperti”, in cui la versione ufficiale degli avvenimenti di Auschwitz è stata rivista in relazione a due punti fondamentali.[2] Primo, Meyer ha stimato il numero totale delle vittime del campo a 510.000 unità (inclusi 360.000 presunti gasati). Questa cifra è meno della metà del milione e centomila vittime stimate da Franciszek Piper, del Dipartimento per le Ricerche Storiche del Museo di Auschwitz,[3] e inferiore di 120.000 unità alla stima fornita da Jean-Claude Pressac nel suo libro The Crematoria of Auschwitz, pubblicato nel 1994 (e cioè 630.000 morti).[4]

La base dei calcoli di Meyer è straordinariamente stravagante: egli è partito dalla capacità massima dei crematori, e ha simultaneamente presunto che i crematori fossero in funzione a pieno regime – in ogni momento – per tutto il tempo che rimasero operativi. Sarebbe come a dire che se l’automobile di Meyer ha una velocità massima di 200 chilometri all’ora, allora Meyer guida alla velocità di 200 chilometri all’ora dal momento in cui accende il motore fino al momento in cui lo spegne, sia che guidi di notte in mezzo ai boschi o nel mezzo di un ingorgo stradale cittadino. Questi – e altri – aspetti insensati del metodo di calcolo di Meyer sono stati evidenziati da Carlo Mattogno.[5] Tutto ciò, naturalmente, non cambia il fatto che la stima di Meyer – che è ancora più che tripla rispetto alla cifra reale dei 136.000 morti di Auschwitz che risulta dai documenti[6] – sia di gran lunga la più bassa mai fornita da un rappresentante del dogma ufficiale dello “Sterminio degli ebrei” nelle “camere a gas”.

La seconda revisione di Meyer è stata anche più importante, per le sue conseguenze. Meyer ha concluso che i crematori di Birkenau venivano utilizzati solo per delle “prove di gasazione” che presumibilmente fallirono a causa – tra le altre cose – della ventilazione insufficiente. Gli stermini con il gas, perciò, ebbero luogo “in gran parte” – detto con franchezza: quasi esclusivamente – nelle due case coloniche di Birkenau usualmente descritte, nella letteratura di riferimento, come la “casa rossa” e la “casa bianca” o, quando si parla di entrambe, come i “bunker di Birkenau”.[7] Questo argomento mette a soqquadro l’intera versione tradizionale dell’Olocausto. Nel libro The Case for Auschwitz, Robert Jan van Pelt, che è da diversi anni il più famoso difensore della versione ufficiale degli avvenimenti di Auschwitz, scrive quanto segue in relazione alla (presunta) camera a gas del Crematorio II di Birkenau:

Questi 2.500 piedi quadrati, in cui i tedeschi fecero non meno di 500.000 morti, sono per l’età moderna quello che l’Acropoli era per la Grecia [antica] e la cattedrale di Chartres per la Cristianità.[8]

Asteniamoci per il momento dalla mentalità sottesa ad un paragone tanto contorto; accontentiamoci di notare che, secondo il rappresentante principale della storia ufficiale di Auschwitz, circa mezzo milione di persone vennero uccise nella “camera a gas” di Auschwitz II. Ma poiché si ritiene che gli stermini siano parimenti avvenuti in quantità industriale nei Crematori I, III, IV e V, questo significa che la stragrande maggioranza delle vittime deve essere stata gasata nei cinque crematori – e non nelle case coloniche.

I media tedeschi non hanno quasi reagito agli articoli di Meyer: Die Welt ha lanciato un grido d’indignazione il 28 Agosto 2002, seguito da due colonne apparse sul Nationalzeitung, a firma del dr. Gerhard Frey, che ha elogiato le conclusioni di Meyer come “la verità”, riconoscendo così espressamente le presunte “gasazioni omicide” come una realtà storica. A parte questo, gli sconcertanti articoli di Meyer hanno incontrato un imbarazzato silenzio – un silenzio fin troppo comprensibile. Secondo la prassi legale prevalente in Germania, Meyer avrebbe dovuto essere portato in tribunale per i suoi articoli, insieme a tutta la redazione di Osteuropa – che è pubblicata con il patrocinio dell’ex presidente del Parlamento tedesco Rita Süssmuth – per aver permesso a Meyer di pubblicare le sue tesi, commettendo perciò il reato di favoreggiamento.

In tutti i processi contro i revisionisti, le autorità tedesche considerano regolarmente le gasazioni omicide nei crematori di Auschwitz-Birkenau come un “fatto notorio non suscettibile di ulteriori prove”. Tutte le istanze della difesa per introdurre prove contrarie, in tali processi, sono di conseguenza respinte in base alla dottrina dell’”ovvietà”. Germar Rudolf, ad esempio, venne condannato ad una pena di 14 mesi di prigione senza la condizionale da una corte di Stoccarda nel 1995 per il suo famoso rapporto, pubblicato nel 1993, nel quale egli arrivò alla conclusione – in base ad argomenti di ordine architettonico e, nel caso del Crematorio II, anche di ordine chimico – che nei Crematori non ebbe mai luogo alcuna gasazione omicida.[9] Le conclusioni di questo rapporto scientifico vennero liquidate come “negazione dell’Olocausto” dal tribunale e il suo autore dichiarato di conseguenza punibile per Volksverhetzung, vale a dire “istigazione all’odio”. Il Rapporto Rudolf non discuteva la questione del numero delle vittime e non contestava espressamente la possibilità di gasazioni occasionali nelle case coloniche (dopo tutto, edifici che non esistono più e per i quali non sono disponibili disegni strutturali possono difficilmente essere esaminati dal punto di vista architettonico o chimico).

Fu davvero un colpo da maestro da parte di Horst Mahler e dei suoi collaboratori quello di aver presentato una denuncia contro Fritjof Meyer per aver pubblicato il suo articolo. Poiché l’establishment tedesco aborriva come un buco in testa un processo politico a carico di un importante giornalista dello Spiegel e della rivista Osteuropa di Rita Süssmuth, le autorità non hanno avuto altra scelta che quella di respingere ogni imputazione. Così facendo hanno però dovuto riconoscere – almeno implicitamente – che ridurre il numero delle vittime di Auschwitz a meno della metà del numero attualmente riconosciuto (in particolare contestando le gasazioni nei crematori) non equivale più alla “negazione dell’Olocausto” e all’”istigazione all’odio”. Il risultato è un cambiamento fondamentale delle implicazioni legali.

Una conseguenza logica di tutto ciò è che la condanna di Rudolf dovrebbe essere annullata come pure tutti gli altri verdetti di colpevolezza emessi in riferimento alla “dottrina dell’ovvietà” da parte di giudici e pubblici ministeri in processi analoghi. Come Horst Mahler fa notare correttamente, i futuri processi contro i revisionisti si trasformeranno in un boomerang per il sistema giudiziario tedesco. Ogni giudice che sentenzierà contro un imputato sulla base dell’”ovvietà” dovrà essere consapevole di commettere una grave violazione della legge e potrebbe essere persino denunciato.

Quando Franciszek Piper, capo del Dipartimento delle Ricerche Storiche al Museo di Stato di Auschwitz-Birkenau, ha attaccato Meyer nel Novembre del 2003, Meyer ha risposto poco dopo con una Risposta a Piper. Entrambi gli articoli, come pure il primo articolo di Meyer, che aveva scatenato la controversia, sono stati pubblicati – non era mai successo – sul sito web dell’organizzazione “cane da guardia” IDGR (Informationsdienst gegen Rechtsextremismus, Servizio d’Informazione contro l’Estremismo di Destra), che ha fatto così per la prima volta qualcosa di utile nel corso della sua esistenza rendendo disponibili tali articoli a scopo di studio.[10]

Mi asterrò dal discutere i trucchi grossolani con i quali il Sommo Sacerdote del Tempio della Menzogna della Silesia superiore [Piper] ha difeso la sua tesi del milione e centomila morti di Auschwitz, poiché Carlo Mattogno discute quest’argomento nell’articolo seguente con la consueta precisione. Desidero invece semplicemente menzionare le nuove e davvero sbalorditive concessioni fatte da Meyer ai revisionisti nel corso della sua replica. Che tutto ciò sia avvenuto con numerose genuflessioni agli idoli del “politicamente corretto” deve essere scusato considerando il clima di predominante terrore politico che caratterizza la Germania: se egli avesse omesso di genuflettersi, nessuno l’avrebbe pubblicata. E’ naturalmente irritante che Meyer faccia concessioni non richieste all’ortodossia politica, ad esempio liquidando Carlo Mattogno – sui cui scritti egli fa forte affidamento tanto nella replica che nell’articolo originale – semplicemente come un “negazionista” italiano, e tirando in ballo addirittura l’”ordine di Himmler di fermare lo sterminio degli ebrei” (un documento – mai trovato – che ossessiona la letteratura dell’Olocausto da decenni):

L’ordine di Himmler di fermare lo sterminio […] non ha quasi ricevuto attenzione, finora. I revisionisti lo nascondono perché prova il fatto che le gasazioni erano avvenute.

Naturalmente Meyer omette di citare il testo di questo fantomatico “documento”!

Vorrei citare a questo punto solo qualcuna delle concessioni più istruttive fatte da Meyer ai revisionisti.

Noi [Meyer e Piper] concordiamo che i crimini commessi ad Auschwitz sono senza paragoni per la loro portata e per il metodo usato.

Questa frase, che appare all’inizio dell’articolo, sembra a prima vista abbastanza ortodossa; ma, in realtà – per usare il gergo dei “rieducatori” – rappresenta una forma molto sottile di “banalizzazione” dell’Olocausto. Se la gasazione di 360.000 persone ad Auschwitz è davvero, come sostenuto da Meyer, “senza paragoni per la sua portata”, la conclusione inevitabile è che un numero molto minore di persone devono essere state uccise negli altri cosiddetti “campi di sterminio”, e cioè che le cifre ufficiali dei morti di Treblinka (da 750.000 a 870.000) e Belzec (600.000) sono grossolanamente esagerate, e che c’è parimenti bisogno di una revisione urgente anche per questi campi.

“Chiamatemi pure Meyer”!

Meyer afferma che i sovietici non permettevano alcuna perizia agli stranieri dopo la liberazione di Auschwitz – “allo stesso modo dei nazisti a Katyn”. Non c’è da meravigliarsi. Gli esperti forensi tedeschi a Katyn furono in grado di produrre il corpus delicti: i cadaveri di oltre 4.000 ufficiali polacchi fucilati dai bolscevichi, mentre i sovietici non riuscirono a produrre nessuna prova tangibile, vale a dire materiale o documentaria, del presunto sterminio. Naturalmente, essi potevano produrre le prove della morte di circa 150.000 detenuti, la maggior parte a causa di malattie, ma questo sarebbe stato insufficiente al loro scopo.

La ridicola menzogna di Piper, secondo cui la documentazione venne “distrutta” dall’amministrazione del campo prima della liberazione di Auschwitz, è respinta da Meyer con semplici fatti:

L’Armata Rossa possedeva la documentazione della Direzione Centrale delle Costruzioni, i registri mortuari, gli ordini di servizio, e forse persino l’intero archivio del campo, costituito da 127.000 documenti […] Ilya Ehrenburg calcolava sei milioni di vittime ebree già nel Dicembre del 1944 dichiarando semplicementemortitutti gli ebrei caduti in mano tedesca. Da quell’epoca, per due generazioni, l’orrenda cifra è stata usata come una clava contro i tedeschi, definiti unanazione di criminali”, a cui un genocidio di tali proporzioni non poteva essere ignoto: pura propaganda di guerra.

Con ciò Meyer dice grosso modo la stessa cosa di Gaston Armand Amaudruz, un vecchio revisionista svizzero di 81 anni che è stato, al contrario di Meyer, condannato a tre mesi di prigione già nel 2003 per aver “negato” la cifra dei sei milioni (dopo essere stato condannato ad un anno da un tribunale di grado inferiore).

Il rapporto della Commissione [sovietica sui crimini di guerra], che conteneva la prima informazione a livello mondiale sul campo di Auschwitz da poco liberato, non presenta neppure una sola affermazione che tale luogo era stato teatro di uno sterminio degli ebrei.

Bene, perché no? Le molte migliaia di detenuti che rimasero sul posto ad accogliere i sovietici non consideravano lo “sterminio” abbastanza importante da parlarne ai loro “liberatori”?

Una volta di più, in relazione al rapporto della Commissione Sovietica, Meyer scrive che, dopo la liberazione di Auschwitz:

Vengono riprodotte testimonianze in cui, ad esempio, una donna ungherese della città di Clujdi nome Anna Keppichdescrive l’arrivo di 3.000 prigionieri ungheresi ma non dice nulla sull’azione omicida in corso contro decine di migliaia di ebrei ungheresi durante il 1944.

Come mai il Rapporto della Commissione non contiene nessuna menzione del presunto sterminio degli ebrei ungheresi? Porre la domanda è come rispondervi.

Non è colpa dell’autore se i lettori sono arrabbiati a causa delle conclusioni realistiche [cui Meyer è arrivato]; i bersagli appropriati dell’arrabbiatura dovrebbero essere coloro che hanno esagerato il numero delle vittime di circa dieci volte [in realtà trenta volte: nota di Jürgen Graf], come pure chiunque abbia partecipato allo sfruttamento di un crimine contro l’umanità per ragioni politiche.

Che peccato che il giornalista di punta della più famosa rivista tedesca non abbia potuto pubblicare queste considerazioni sul suo giornale!

Meyer definisce un “testimone delle gasazioni” come qualcuno che ha visto sia l’ingresso delle vittime nelle camere a gas, che il versamento dei granuli di Zyklon B dal tetto, che la rimozione dei corpi, “tutto secondo una procedura invariabile”. Ogni revisionista credo possa accettare tale definizione. Secondo tale criterio, a giudizio di Meyer, esiste un totale di sei (!) “testimoni oculari” delle gasazioni nei crematori: Tauber, per la “fase sperimentale” (???), gli “osservatori discutibili” R. Höss, C. S. Bendel, M. Nyiszli, e F. Müller, oltre “eventualmente” a D. Paisikovic. In altre parole, non esiste neanche un testimone davvero attendibile, e i 500.000 cadaveri “prodotti” – a detta di van Pelt – dai tedeschi soltanto nella camera mortuaria I del crematorio II non sono che un prodotto di fantasia. I fattori che stanno dietro quest’enorme concessione sono fin troppo chiari: queste concessioni sono dovute agli argomenti tecnici e chimici dei revisionisti, di uomini che Meyer non osa neppure mostrare di conoscere per paura di violare i principi della “correttezza politica”.

Chiunque desideri salvare ciò che rimane della favola delle gasazioni non ha altra scelta se non quella di rifugiarsi nelle case coloniche di Birkenau; dopo tutto, a nessun Fred Leuchter – e a nessun Germar Rudolf – è mai saltato in mente di andare a prendere campioni di muratura da muri che non esistono più per analizzarne i residui di ferrocianuro; né sarebbe possibile ottenere informazioni sull’ubicazione di eventuali “fori per l’introduzione dello Zyklon B” da edifici non più esistenti. Questa è precisamente la via di fuga scelta da Meyer, che quindi aggiunge:

Tutto questo argomento richiede una trattazione generale, che sono pronto a pubblicare se questo si desidera.

In effetti è questo che si desidera, signor Meyer! Ci siamo finora compiaciuti dei suoi articoli; se la sua “trattazione” è quasi pronta, saremmo lieti di confrontarla con l’analisi di Carlo Mattogno dei “bunker” ora disponibile in inglese.

Che i “testimoni dei bunker” possano essere più credibili degli sbiaditi “testimoni dei crematori” è molto difficile da immaginare, tanto più in quanto – in molti casi – si tratta precisamente delle stesse persone! Ad esempio, se il detenuto ebreo-francese di Auschwitz André Lettich afferma che in ognuna delle muffole dei crematori venivano bruciati simultaneamente 6 cadaveri, Meyer denuncerà – probabilmente correttamente – quest’affermazione come una bugia, ma come è possibile considerare più credibile lo stesso Lettich quando fa l’affermazione – tecnicamente non meno assurda – secondo cui nelle case coloniche, una volta effettuate le gasazioni, le porte venivano aperte e i cadaveri venivano rimossi dopo solo 20/25 minuti di ventilazione, nonostante il fatto che l’acido cianidrico contenuto nello Zyklon impieghi circa due ore ad evaporare dai granuli?

Intende forse Meyer “provare” gli omicidi nelle case coloniche basandosi sulle dichiarazioni di Lettich? E che dire della “testimonianza di Richard Böck, che ha detto di aver visto “una nube di vapore blu” sospesa sopra i corpi, sebbene l’acido cianidrico sia un liquido assolutamente incolore, che evapora in un gas invisibile? E che dire della “testimonianza” di Milton Buki, secondo cui i corpi dei gasati avevano “macchie blu”, anche se i corpi di persone uccise dall’inalazione di acido cianidrico non sono blu ma rossi? E che dire delle affermazioni demenziali di Maurice Moshe Garbarz, secondo cui un commando di becchini a Birkenau poteva scavare una fossa comune delle dimensioni di 2.700 metri cubi in una notte?[11] Il signor Meyer, seguendo il principio della “quantità prima della qualità”, elenca non meno di 41 (!) “testimoni oculari” delle “case coloniche dell’orrore”. Questo è un numero di testimoni molto maggiore di quello che Hilberg e Pressac sono riusciti a tirar fuori per tutte le presunte installazioni di gasazione di Auschwitz messe assieme, cosicché questi 41 “testimoni oculari” devono includere molte testimonianze il cui valore è sfuggito persino ai più diligenti ricercatori dell’Olocausto. Speriamo che nel suo futuro studio Meyer citi il maggior numero possibile di estratti dalle dette testimonianze, affinché possiamo ridere.

Quello che è assurdo in tutto ciò, è che se si accetta la struttura dell’argomentazione di Meyer, non c’è più bisogno di postulare nessuna gasazione. Questo è evidente soprattutto nel caso degli ebrei ungheresi, 41.000 dei quali, secondo Meyer, furono gasati (vale a dire meno di un quarto della cifra di 180.000 fornita da Raul Hilberg nella sua opera standard).[12] Degli ebrei ungheresi deportati, secondo un rapporto di Eberhard von Thaddens, solo un terzo era abile al lavoro.[13] Un totale di 438.000 deportati implica perciò un totale di 292.000 (due terzi) che erano “inabili”. Deducendo le 41.000 “vittime gasate” – secondo Meyer – dai 292.000 suddetti rimangono ancora 251.000 ebrei ungheresi non gasati che erano ancora inabili al lavoro! Queste persone evidentemente a) non arrivarono mai ad Auschwitz, o b) vennero trasferite da Auschwitz ad altre località, o c) morirono di cause naturali ad Auschwitz, o d) vennero liberate dall’Armata Rossa ad Auschwitz il 27 Gennaio del 1945. In tal caso la stragrande maggioranza deve essere appartenuta alle categorie a) e b). Perché i tedeschi avrebbero dovuto uccidere 41.000 ebrei ungheresi inabili al lavoro, se avevano l’intenzione di lasciarne vivi una quantità sei volte maggiore, mentre provvedevano simultaneamente a fornire cure mediche a migliaia di ebrei ungheresi ammalati a Birkenau?[14] Come mai non possiamo semplicemente presumere che questi 41.000 ebrei furono anch’essi trasferiti altrove?

Ritengo sia altamente improbabile che un uomo come Fritjof Meyer, tanto intelligente quanto conoscitore dell’argomento, non riesca a capirlo. Preferisco perciò avanzare una mia ipotesi sulla motivazione che soggiace alla pubblicazione degli articoli di Meyer. Di solito bisognerebbe astenersi dal congetturare sugli scopi occulti di uno scrittore, poiché sono i fatti che contano davvero, ma in questo caso possiamo fare un’eccezione.

I principali beneficiari della menzogna dell’Olocausto in generale e della menzogna di Auschwitz in particolare sono lo Stato d’Israele, il sionismo internazionale e i dirigenti della Repubblica Federale di Germania. I più intelligenti di questi profittatori sanno che, nel lungo periodo, la versione ortodossa della storia degli ebrei sotto il Terzo Reich non può essere salvata, e stanno cercando ora di gettare via la zavorra. Per raggiungere lo scopo stanno giocando su più fronti, puntando su un uomo che, come giornalista di punta del più famoso settimanale tedesco, possiede considerevole prestigio – oltre a una certa dose di coraggio – ed è familiare con l’argomento-Auschwitz, inclusa l’argomentazione revisionista. Se l’ipotesi è corretta, allora i media stanno sul punto di prepararsi ad accettare una “nuova, migliorata”, più moderata versione dell’Olocausto – una sorta di “Olocausto-light”. Ancora oggi, tuttavia, tutti parlano ancora di “un milione e mezzo” di morti ad Auschwitz, un numero che, anche secondo Franciszek Piper, supera di 200.000 unità la somma totale di tutti i detenuti mai inviati in quel luogo.

Che Fritjof Meyer sia stato selezionato per scodellare una posizione semi-revisionista in questo frangente potrebbe avere un’altra spiegazione. In particolare, nella conclusione della sua replica a Piper, Meyer ha lasciato intendere di aver parenti che sono morti ad Auschwitz. Poiché non desideriamo arguire che i parenti di Meyer furono imprigionati come criminali, “asociali” o omosessuali, la sola alternativa è che essi furono imprigionati per motivi politici – vale a dire come Testimoni di Geova o come nemici del nazionalsocialismo – o per motivi razziali.

Se l’ultima ipotesi è corretta, questo significa che Fritjof Meyer, a dispetto del suo nome tipicamente tedesco, è parzialmente ebreo. Se la bolla olocaustica dovesse mai scoppiare – ad esempio se il governo russo, tormentato oltre ogni limite dalle politiche di accerchiamento americane, facesse crollare l’intero imbroglio – forse allora il piano è che la verità – o la semi-verità – debba essere scoperta, infine, da un grande “ricercatore ebreo” di nome Fritjof Meyer, a cui è stato proibito – solo dalla ristrettezza mentale tedesca, badate bene – di pubblicare le proprie scoperte a beneficio del grande pubblico. Il futuro rivelerà se questa ipotesi è corretta. Ma una cosa è chiara: senza una protezione dall’alto, Meyer non avrebbe mai potuto pubblicare i suoi articoli. Futuri sviluppi sono attesi con grande interesse.

Post Scriptum (26 Gennaio 2008)

Fritjof Meyer non ha mantenuto l’impegno assunto nel 2003 in merito alla pubblicazione di ulteriori articoli su Auschwitz, ritirandosi senza clamore dal dibattito. Nel Febbraio del 2004 egli scrisse testualmente:
Si accresce ora l’impressione che essi (gli esponenti della destra radicale) siano riusciti a strumentalizzare la mia tesi: nella direzione cioè d’ una propaganda riduzionista. Non volli pertanto protrarre questo dibattito ulteriormente.[…]
Alla luce dei rischi presenti attualmente in Italia, Francia, Russia, fino agli USA, resti inteso di colpire i fascisti, ovunque si trovino.
(citato da Germar Rudolf, Conferenze sull’olocausto, Hastings 2005, pag. 175)

Tralasciando il fatto, che è peraltro assurdo, di un’ indiscriminata equiparazione dei revisionisti ai “fascisti”, tali affermazioni equivalgono ad un’ammissione di bancarotta intellettuale. Si può esser ben certi che F. Meyer sia stato messo in guardia molto in alto dal dare seguito al dibattito e che egli abbia seguito l’avvertimento.
Ogni libera discussione rappresenta una minaccia mortale per il Dogma, un Dogma tale da avere, per un circolo incredibilmente potente ed influente, un’importanza vitale.
Il caso Meyer è infine giunto ad una conclusione. Questo naturalmente non significa che gli “sviluppi futuri” di cui scrissi nell’ ultima frase del mio articolo non debbano mai sopraggiungere.
Giungeranno certamente, ma in circostanze che oggi non è ancora possibile prevedere.

[1] Traduzione di Andrea Carancini e Piero Pasini. Il testo in inglese è disponibile all’indirizzo: http://www.vho.org/tr/2004/2/Graf127-130.html
[2] F. Meyer, “Die Zahl der Opfer von Auschwitz. Neue Erkenntnisse durch neue Archivfunde”, in: Osteuropa. Zeitschrift für Gegenwartsfragen des Ostens, n°5, Maggio 2002, pp. 631-641; vedi anche in rete: www.vho.org/D/Beitraege/FritjofMeyerOsteuropa.html
[3] F. Piper, Die Zahl der Opfer von Auschwitz, Verlag Staatliches Museum in Auschwitz, 1993.
[4] J-C. Pressac, Die Krematorien von Auschwitz. Die Technik des Massenmordes, Piper Verlag, Munich-Zürich 1994, p. 202.
[5] Carlo Mattogno, “Auschwitz. Fritjof Meyer’s New Revisions”, The Revisionist, 1 (1) (2003), pp. 30-37.
[6] Carlo Mattogno, “Franciszek Piper and The Number of Victims of Auschwitz”, The Revisionist 1 (4) (2003), pp. 393-399.
[7] La documentazione tedesca dell’epoca di guerra non contiene nulla in riferimento a questi edifici; né esiste alcuna prova dell’uso per qualsivoglia scopo di queste due case coloniche da parte dell’amministrazione del campo di Auschwitz; vedi al riguardo: C. Mattogno, The Bunkers of Auschwitz, Chicago, 2005.
[8] Robert Jan van Pelt, The Case for Auschwitz. Evidence from the Irving Trial [Le ragioni di Auschwitz. Prove dal processo Irving], Bloomington/Indianapolis 2002, p. 68.
[9] Escludere gasazioni occasionali in modo scientifico è semplicemente impossibile. Le “prove di gasazione” riferite da Meyer, per le quali egli non fornisce alcuna stima riguardo al numero delle vittime, sono perciò teoricamente compatibili con le conclusioni del Rapporto Rudolf.
[10] www.idgr.de/geschichte/ns-verbrechen/fritjof-meyer/index.php ; una versione inglese della critica di Piper può essere trovata sul sito web del Museo di Auschwitz: www.auschwitz.org.pl/html/eng/aktualnosci/news_big.php?id=564
[11] Per le altre testimonianze oculari vedi il mio libro: Auschwitz. Tätergeständnisse und Augenzeugen des Holocaust, Verlag Neue Visionen, Würenlos, 1994.
[12] Raul Hilberg, Die Vernichtung der europäische Juden, Fischer Taschenbuch Verlag, Frankfurt, 1997, S. 1046.
[13] NG-2190.
[14] Un rapporto tedesco datato 28 Giugno 1944 afferma che 3.318 ebrei ungheresi stavano ricevendo assistenza medica a Birkenau all’epoca, comprese operazioni chirurgiche: i disturbi più frequenti erano la diarrea, il diabete, la polmonite, l’influenza et cetera, tutti elencati con grande precisione.

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