Una conferenza di Mairead Maguire

Una conferenza di Mairead Maguire

PREMIO NOBEL: PER LA PALESTINA C’E’ UN PERCORSO VERSO LA PACE

Di Mairead Corrigan Maguire, The Electronic Intifada, 29 Novembre 2008[1]

Quella che segue è una conferenza tenuta dal Premio Nobel per la Pace Mairead Corrigan Maguire al settimo convegno internazionale Sabeel di Gerusalemme, il 19 Novembre scorso.

Sono molto felice di essere qui con voi e di essere stata invitata a parlarvi. Desidero cogliere quest’opportunità per ringraziare il dr. Naim Ateek, e tutti coloro che hanno aiutato a organizzare questo convegno. Sono profondamente grata per l’opportunità che mi è stata data di venire qui a Gerusalemme Est e di parlare e di incontrarmi con voi.

In questo 21° secolo molti ritengono che la libertà sia un fatto scontato, ma qui – in Israele/Palestina – nessuno è libero. L’ho capito, ancora una volta, quando ho detto a un mio amico palestinese che avrei partecipato a questo convegno, e mi ha risposto che, sebbene sia nato a Gerusalemme, non gli è permesso di venire a Gerusalemme Est.

Questo mi ha fatto capire che Gerusalemme Est è in realtà parte integrante dei territori occupati della Palestina e a molti arabi nati qui non viene permesso di venire a Gerusalemme Est.

Molti arabi che risiedono a Gerusalemme Est vivono nella paura di essere espulsi, o che le proprie case vengano demolite dal governo israeliano – come la casa della famiglia al-Kurd, nel quartiere Sheikh Jarrah di Gerusalemme Est, grazie al fatto che la Corte Suprema ha deciso di espellere questa famiglia dalla propria casa. Dal 1967, quasi 200.000 case appartenenti ai palestinesi sono state demolite in Cisgiordania.

Le espulsioni e le demolizioni continuano quasi ogni giorno, insieme al continuo sviluppo degli insediamenti illegali dei coloni ebrei a Gerusalemme Est, e in Cisgiordania. Pochi giorni fa ho visitato il sito, a Gerusalemme Ovest, in cui gli israeliani stanno costruendo un Museo della Tolleranza, sopra un antico cimitero musulmano, da dove vengono riesumate le ossa degli antenati dei musulmani.

Tutto ciò è profondamente doloroso per i musulmani e chiedo che questo progetto venga cancellato. La Corte Suprema israeliana, il cui ruolo è di preservare i diritti umani e il diritto internazionale, ha acconsentito a questa profanazione delle tombe dei musulmani, e continua a sentenziare a favore di molte politiche disumane e illegali, dirette contro i palestinesi e contro quei cittadini ebrei che hanno il coraggio morale di sfidare queste discriminazioni e queste demolizioni delle case dei palestinesi.

Nonostante tutto ciò, ho una grande speranza di cambiamento per il Medio Oriente. Ho qusta speranza perché da quasi un decennio vengo in Palestina, e durante questo periodo ho incontrato molte persone profondamente impegnate, che hanno speso la propria vita per lavorare ad una soluzione pacifica e giusta per quello che è uno dei conflitti più annosi del mondo. A tutte queste persone offro il mio sostegno, per la vostra battaglia non-violenta per i diritti umani e per la democrazia.

So che tutte queste occupazioni, tutti questi conflitti violenti, presto o tardi cesseranno e che qui, in questa parte del mondo, finirà l’occupazione, regnerà la giustizia e sboccerà la riconciliazione tra i popoli israeliano e palestinese.

Ma prima che la pace possa sbocciare, le sue radici – che sono le radici della libertà, dell’eguaglianza e della giustizia – devono essere nutrite con il coraggio e la verità.

Richiede coraggio, parlare di verità ai potenti, quando le conseguenze sono spesso dolorose. La verità vi farà liberi, ma con questo oppressivo potere di occupazione la verità sarà anche fisicamente, emotivamente, e in altro modo, molto costosa.

Noi però dobbiamo contestare non solo l’ingiustizia dello stato israeliano, ma anche i gruppi dell’insorgenza palestinese, affinché rinuncino alla violenza e ricorrano alla resistenza civile non violenta – una strategia politica che non solo è moralmente giusta ma che nella nostra esperienza nordirlandese ha funzionato. Ancora, vi sono sempre state persone, nel corso della storia, disponibili a dire la verità a prezzo di grandi costi personali, ed è con persone del genere che noi, la famiglia umana, siamo in debito.

Siamo in debito soprattutto con tutti quelli che continuano a dire la verità sulla Nakba. Questo è l’anno del 60° anniversario della Nakba palestinese, che ebbe luogo nel 1948, quando 750.000 palestinesi vennero cacciati dalle proprie case.

Oggi l’occupazione continua con l’annessione, grazie al muro, di ulteriori terre palestinesi, e con la costruzione di un sistema razzista di apartheid, da parte del governo israeliano.

Attualmente, un’altra grande ingiustizia viene perpetrata dal governo israeliano contro il popolo palestinese, con il blocco di Gaza. Di recente, sono andata da Larnaca a Gaza con il movimento Free Gaza, per aiutare a rompere l’assedio di Gaza. Questo assedio è una politica di punizione collettiva contro un milione e mezzo di persone, attuata da Israele, per aver votato un governo di Hamas.

La punizione collettiva dei civili è contro la Convenzione di Ginevra. E’ da due anni e mezzo che il popolo di Gaza è stato tagliato fuori dal mondo, e la sua comunità e le sue infrastrutture vengono distrutte lentamente. C’è penuria di medicine, cibo, elettricità e delle cose indispensabili a vivere. Ma forse la peggiore forma di tortura per un essere umano è quella di non poter stringere e toccare i propri cari, e agli abitanti di Gaza non è permesso attraversare i confini attualmente chiusi per poter stare con le proprie famiglie. Centinaia di mogli sono divise dai propri mariti in Cisgiordania, oltre 700 studenti non possono andare all’estero a frequentare le università, i malati non possono andare via per ricevere cure mediche, oltre l’80% dei bambini soffre di denutrizione, e per loro non c’è latte.

Gaza è come una gigantesca prigione, salvo che gli occupanti israeliani tengono i detenuti privi del cibo e delle medicine necessari alla sopravvivenza: in questo è la più grande prigione a cielo aperto. La comunità internazionale e le Nazioni Unite dovrebbero riprendere a fornire assistenza economica, poiché hanno una responsabilità verso la popolazione civile di Gaza, responsabilità che non dipende dal fatto che Hamas soddisfi, oppure no, le condizioni politiche fissate da Israele, o dal reggere della tregua.

Di fronte a tutte le ingiustizie perpetrate contro la comunità palestinese, l’Unione Europea, i governi europei, e gran parte della comunità internazionale non solo sono rimasti in silenzio, ma sono stati complici di questa ingiustizia, tagliando i soccorsi finanziari necessari alla sopravvivenza dei palestinesi, e sono quindi complici di questi crimini contro l’umanità, tuttora in corso.

Sono rimasta scioccata e rattristata dalle sofferenze che ho visto, ma continuo ad avere delle speranze, grazie al calore e alla capacità di recupero della gente di Gaza. Essi aspirano al dialogo e all’unità con gli altri palestinesi della Cisgiordania, e ad un dialogo con il governo israeliano che sia basato sulla giustizia e l’eguaglianza.

Dopo aver incontrato il Primo Ministro di Hamas, Ismail Haniyeh, e aver parlato nel parlamento di Hamas, e in un incontro con oltre 100 rappresentanti politici, di tutti i partiti presenti a Gaza, sono andata via con la speranza che un numero sempre maggiore di palestinesi riconosca che l’unità nazionale palestinese e la resistenza civile non violenta fanno parte di una strategia politica che funzionerà e che darà loro una grande forza.

Essi capiscono sempre più che un popolo palestinese diviso, la lotta armata, e il militarismo non risolveranno i problemi. Spero che tutti quelli tra noi che vogliono la pace in Medio Oriente, sosterranno la giusta lotta non violenta della resistenza civile palestinese per porre fine all’occupazione, per una Palestina libera, e per l’attuazione di tutte le risoluzioni dell’ONU – inclusa la Risoluzione 194 per il diritto al ritorno dei rifugiati.

Come parte di questa resistenza civile non violenta, sostengo la campagna di disinvestimento e la campagna per far cessare il sostegno militare degli Stati Uniti – gli Stati Uniti forniscono 10 milioni di dollari al giorno – a Israele, che aiuta a sostenere l’occupazione militare della Palestina, e altre forme di boicottaggio.

Ritengo anche che il governo svizzero, come depositario della Convenzione di Ginevra, dovrebbe convocare i propri membri per discutere il rifiuto di Israele ad adempiere i propri obblighi verso la detta Convenzione. Anche l’Assemblea delle Nazioni Unite dovrebbe cominciare a sospendere la membership di Israele, fino a che non si conformi a tutte le risoluzioni ONU che la riguardano.

Si spera ora che il governo israeliano riconosca anche che il militarismo, l’occupazione e la repressione nutrono solo la violenza, e che entri in una prospettiva di dialogo serio e di negoziati con Hamas, e con gli altri leader palestinesi, in quanto voci democraticamente elette del popolo palestinese. Tali negoziati dovrebbero rientrare nel quadro del diritto internazionale, in particolare del diritto umanitario e dei diritti umani, e delle risoluzioni della Corte di Giustizia Internazionale e del Consiglio di Sicurezza.

Questo è anche l’anno in cui Israele celebra il proprio 60° anniversario.

Io riconosco il diritto di tutti i popoli, incluso il popolo ebreo, ad un’esistenza pacifica. Riconosco anche lo stato di Israele, ma credo anche che gran parte della politica, politica interna e politica estera, del governo israeliano siano razziste e sostengano un sistema di apartheid.

Credo che tale politica non rifletta la saggezza profonda dei valori ebraici di giustizia e di pace. In un mondo interdipendente e interconnesso, dove i paesi sono costituiti da gruppi multi-etnici e multi-religiosi, la sfida è quella di costruire strutture di governo che riflettano la pluralità di tutti i cittadini, e le cui leggi siano inclusive di tutti i membri della società.

I governi non possono marginalizzare le persone, o destinare cittadinanze di seconda classe a interi settori della popolazione, poiché tali ingiustizie porteranno alla violenza. Abbiamo imparato questa lezione in Irlanda del Nord, e ora ci stiamo muovendo verso una condivisione pluralista del potere.

Ritengo che per avere una vera pace, il governo israeliano abbia bisogno di passare da uno stato ebraico a uno stato democraticamente condiviso, che sia ugualitario e inclusivo verso tutti i propri cittadini, e non solo verso i cittadini ebrei.

C’è una grande speranza di pace in Israele/Palestina, poiché questo è un problema politico con una soluzione politica, e il governo israeliano e gli Stati Uniti, trattando i palestinesi in modo leale, e con una reale volontà politica, potranno aiutare a risolvere questo storico conflitto, che ha portato a questa occupazione disumana.

Mi rendo conto che molti israeliani hanno un gran paura di annichilimento etnico ma noi, come famiglia umana, dobbiamo imparare tutti ad affrontare le nostre paure in modo non violento, e capire che la nostra migliore speranza di sicurezza non si realizza nell’occupazione ma nell’attuare politiche di uguaglianza e di giustizia per tutti i popoli, e nel diventare amici dei nostri nemici. La nostra sicurezza come famiglia umana non risiede nel militarismo, nelle armi atomiche o nella guerra.

Un’altra voce coraggiosa che ci ha ricordato questo è quella di Mordechai Vanunu.

Mordechai ha detto al mondo che Israele aveva armi nucleari. Era preoccupato che il possesso di tali armi avrebbe danneggiato Israele, perché questo avrebbe potuto dare luogo a un’altra Hiroshima. Per aver detto la verità è stato punito dal governo israeliano, e 22 anni dopo continua a essere tenuto a Gerusalemme Est, impossibilitato a lasciare Israele o a parlare agli stranieri e alla stampa estera.

Quelli tra noi che lavorano per arrivare a un Medio Oriente libero da armi nucleari, a un mondo libero dalla minaccia atomica, sono in debito con Mordechai per il suo sacrificio, fatto a nostro beneficio, e speriamo che Israele adempia i propri doveri internazionali verso i diritti umani e permetta a Mordechai di andarsene in piena libertà, e dia una leadership al Medio Oriente smantellando le proprie armi nucleari.

Per noi tutti la sfida è passare da una cultura della violenza a una cultura della non violenza.

L’anno scorso i Premi Nobel hanno varato una carta per un mondo senza violenza, in cui hanno sottoscritto le parole del WHO: “La violenza è una malattia da evitare”.

Vi incoraggio a studiarla e a spronare i vostri governi, le istituzioni religiose, e le organizzazioni non governative a sottoscrivere questa carta.

Il messaggio non violento di questa carta non è nuovo. 2.000 anni fa Gesù disse: “Amate i vostri nemici, non uccideteli”.

La croce è per me il più grande simbolo dell’amore non violento in azione, e secondo le parole del defunto Padre MacKenzie, “non potete leggere la Bibbia e non sapere che Gesù era totalmente non violento”.

Vanno ricordate anche le parole di uno dei primi cristiani: “Sono un cristiano, non posso essere un soldato”. Che grande contributo potremmo dare tutti noi al mondo aiutando a portare la pace, se solo prendessimo sul serio il messaggio dell’amore e del non uccidere, e vivessimo per esso. Potremmo costruire allora, insieme ai nostri fratelli e sorelle di tutte le fedi, un Medio Oriente e un pianeta non omicidi e non violenti.

Mairead Corrigan Maguire è Presidente Onorario e cofondatrice di Peace People, in Irlanda del Nord, insieme a Betty Williams e a Ciaran McKeown. Mairead, insieme a Betty, ha vinto il Nobel per la Pace nel 1976. E’ autrice di: The Vision of Peace: Faith and Hope in Northern Ireland [La visione della pace: fede e speranza in Irlanda del Nord], e ha recentemente salpato per Gaza con il movimento Free Gaza.

[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://electronicintifada.net/v2/article9998.shtml

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