Il discorso “escatologico” di Gesù e la Seconda Lettera di Pietro: fine del mondo o fine del Vecchio Testamento?

Primato di Pietro - Wikipedia

Nel Nuovo Testamento ci sono dei passi che, pur sembrando escatologici (e pur essendo ritenuti tali dalla maggioranza degli esegeti), se si esaminano con la giusta attenzione si rivelano non essere tali. A suo tempo, si rese conto di questo fatto S. Agostino. Ecco cosa scrisse in proposito il grande padre della Chiesa (grassetti miei):

“Non parlo delle altre testimonianze che sembrano riferirsi all’ultimo giudizio, ma che, considerate attentamente, appaiono ambigue, o da riferirsi ad altro, per esempio alla venuta del Salvatore che si realizza nella sua Chiesa – ossia alle sue membra, in ciascuna in particolare e progressivamente –, poiché la Chiesa è il suo corpo mistico; oppure potrebbe[ro] anche applicarsi alla distruzione della Gerusalemme terrena, poiché, parlando di essa, ne parla quasi sempre come se si riferisse alla fine del mondo e al grande giorno del giudizio, tanto che non se ne può comprendere bene il senso se non si confrontano i passi dei tre evangelisti Matteo, Marco e Luca. Difatti l’uno espone le cose in modo più oscuro, l’altro in un modo più comprensibile, e così, paragonandole, appare con maggiore chiarezza dove sono le affermazioni relative ad un medesimo soggetto. È quanto cercai di spiegare in una mia lettera intitolata La fine del mondo, lettera che indirizzai ad un uomo di santa memoria, Esichio, vescovo di Salona”[1].

Certi passi possono sembrare escatologici perché lo stile profetico che li caratterizza si esprime con metafore che spesso gli esegeti hanno avuto il torto di prendere alla lettera, vanificando così la corretta comprensione del testo. Due esempi risultano clamorosi, da questo punto di vista: il discorso “escatologico” di Gesù (Matteo, capitolo 24; Marco, capitolo 13; Luca, capitolo 21) e la Seconda Lettera di S. Pietro.

Partiamo dal discorso “escatologico”. Come si sa, esso tratta della distruzione del Tempio gerosolimitano (e, di conseguenza, della distruzione della stessa Gerusalemme). Però, fin dall’epoca patristica, alla distruzione del Tempio si è andata sovrapponendo la prospettiva della fine del mondo: gli esegeti hanno ritenuto, dalla lettura di alcuni versetti, che alla profezia della fine di Gerusalemme si accompagnasse quella riguardante l’ultima venuta di Cristo e il conseguente giudizio universale.

Due sono in particolare i passi del capitolo 24 di Matteo che hanno indotto gli esegeti a vedere impresso nel discorso di Gesù l’impronta della “parusia escatologica”: Matteo 24, 1-3 e Matteo 24, 29.

Ecco cosa dice il primo passo (almeno, nel modo in cui viene solitamente tradotto)[2]:

“Mentre Gesù se ne andava, all’uscita dal tempio, i suoi discepoli gli si avvicinarono per fargli notare le costruzioni del tempio. Ma Gesù rispose loro: «Voi vedete, è vero, tutto questo? In verità vi dico: non resterà pietra su pietra che non sia rovesciata». Quando si fu seduto sul monte degli Ulivi, i discepoli lo avvicinarono in disparte e gli domandarono: «Dicci: quando avverrà questo, e quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo?»”.

Su questo passo si è cristallizzato, nel corso dei secoli, un duplice, gigantesco equivoco. Il primo equivoco è che il termine “venuta” (παρουσία) del Signore stia a significare, sempre e comunque, la venuta di Gesù alla fine dei tempi. Il secondo equivoco è che la locuzione “συντελείας τοῦ αἰῶνος” esprima, sempre e comunque, il concetto di “fine del mondo”.

Questo duplice equivoco è stato dissipato da mons. Francesco Spadafora nel suo studio epocale intitolato Gesù e la fine di Gerusalemme e l’escatologia in San Paolo[3].

Per ciò che concerne il termine “venuta”, Spadafora ha fatto notare che esso può avere un triplice significato. Può riguardare, certo, la parusia escatologica di Gesù, ma può riguardare anche altre due modalità del Cristo giudice solitamente ignorate (o trascurate) dagli esegeti: la venuta di Gesù nel giudizio particolare (il giudizio che attende ognuno di noi al termine della nostra vita) e la venuta (spirituale) di Gesù nei grandi eventi della storia, come è stato appunto il caso della distruzione di Gerusalemme.

Per quanto riguarda la locuzione “συντελείας τοῦ αἰῶνος”, Spadafora ha fatto notare che il suo significato non è univoco ma dipende dal contesto in cui tale locuzione è inserita: ad esempio, troviamo tale locuzione nel versetto 9, 26 della Lettera agli Ebrei, dove certamente non esprime il concetto di “fine del mondo[4].

Che il contesto del capitolo 24 di Matteo descriva (anche) la venuta finale di Cristo è tutto da dimostrare.

Secondo Spadafora, invece, nel versetto di Matteo 24, 3, la locuzione in questione sta a significare la fine dell’era del Vecchio Testamento, che verrà resa obsoleta anche fisicamente dalla distruzione del Tempio.

Da parte mia aggiungo che, tradotta alla lettera, la locuzione “συντελείας τοῦ αἰῶνος” significa “fine dell’eone”. Leggo nel Vocabolario Treccani che il significato generico di “eone” è quello di “età”, “periodo”. Nel discorso “escatologico” di Gesù l’eone in questione è appunto quello riferibile al Vecchio Testamento. La distruzione del Tempio è stata il segno visibile che l’Alleanza di Dio con il popolo (una volta) eletto era stata revocata.

Il termine “eone” è alquanto astruso, e doveva essere astruso anche per i pagani dell’epoca apostolica: è forse per questo che gli altri due sinottici, Marco e Luca, non lo hanno ripreso, pur ribadendo che il Tempio sarebbe stato distrutto.

D’altra parte, nei versetti iniziali del capitolo 24 di Matteo c’è una relazione strettissima, direi consequenziale, tra la distruzione del Tempio profetizzata da Gesù e la menzione della “fine dell’eone”: nel senso che la fine dell’eone sarebbe avvenuta quando il Tempio sarebbe stato distrutto. Tanto più che nello stesso capitolo 24, nel versetto 34, l’evangelista riporta le parole di Gesù secondo le quali “non passerà questa generazione prima che tutte queste cose siano avvenute”.

La generazione in questione è ovviamente quella dei contemporanei di Gesù: il limite temporale previsto da Gesù per la realizzazione dei predetti accadimenti è di circa un quarantennio. Gli esegeti che legano il discorso profetico di Gesù alla fine del mondo sono costretti a fare violenza al testo per dare all’espressione “questa generazione” un significato che si armonizzi con la nozione di “fine del mondo”.

Anzi, a quanto pare gli escatologisti cattolici non si rendono conto che è proprio la loro esegesi a rafforzare quella propugnata a suo tempo dagli esegeti razionalisti come Alfred Loisy, il quale sosteneva che Gesù aveva profetizzato come imminente la fine del mondo: il Tempio era stato distrutto ma la fine del mondo non era arrivata. Gesù si sarebbe quindi sbagliato.

Il secondo versetto che ha messo fuori strada tanti esegeti, anche illustri, è quello di Matteo 24, 29:

“Subito dopo la tribolazione di quei giorni il sole si oscurerà, la luna non darà più il suo chiarore, le stelle cadranno dal cielo e le potenze dei cieli saranno squassate”.

Secondo esegeti peraltro illustri, come Alberto Vaccari e Giuseppe Ricciotti, è in questo punto che nel capitolo 24 di Matteo inizia la descrizione della fine del mondo.

Ma riflettiamo: il passo in questione descrive davvero e letteralmente una catastrofe cosmica? Le cose non stanno esattamente così.

Andiamo con ordine. Dopo aver menzionato il preclaro Spadafora, vorrei menzionare un altro interessante esegeta: Adolfo Cellini. Chi era costui? Agli inizi del secolo scorso, era Professore di Sacra Scrittura nel Seminario di Ripatransone. Nel 1906, pubblicò per i tipi della Libreria Editrice Fiorentina un volume intitolato Saggio storico-critico di Esegesi Biblica sulla interpretazione del Sermone Escatologico, in cui anticipava di quasi 50 anni le conclusioni cui giunse Spadafora nel 1950: il discorso “escatologico” di Gesù non riguarda la fine del mondo ma esclusivamente la fine di Gerusalemme e del suo Tempio.

Nella “sezione prima” (pp. 23 ss.), Cellini introduce così l’argomento (sottolineature mie):

“La difficoltà desunta dal versetto 29 del c. XXIV di s. Matteo in tanto ha una certa apparenza di vero, in quanto si presume che i vv. 29-31 si riferiscano alla fine del mondo. Ma questa supposizione è proprio superiore a ogni eccezione? No certamente. Vi sono infatti non pochi interpreti, tanto ortodossi quanto eterodossi, i quali affermano che il contenuto dei vv. 29-31 non va oltre a ciò che doveva accadere nell’eccidio di Gerusalemme o in quel torno. Per questi interpreti i segnali nel sole, nella luna, nelle stelle, la apparizione nel cielo del segno del Figlio dell’uomo ecc. ecc., sono altrettante locuzioni figurate o metaforiche, con le quali si designerebbe la caduta del regno giudaico, ovvero il tramonto dell’impero romano, se non anche l’una e l’altro insieme”.

E così prosegue (p. 26):

“Laonde…se nei libri dell’Antico Testamento ci venisse fatto di trovare concetti, figure e frasi, che, mentre rispondono al linguaggio tenuto nei v. 29-31 del c. XXIV di s. Matteo, tuttavia riguardano ben altro oggetto che il finimondo, evidentemente non farebbe un oltraggio alla filologia chi spiegasse altrimenti del finimondo la ora detta pericope di s. Matteo. Mano dunque ai libri del Vecchio Testamento. Anzi dappoiché il sermone escatologico, cui stiamo esaminando, è un discorso eminentemente profetico, mano ai profeti della Vecchia Legge. Ecco un elenco delle loro testimonianze.

Profeti Maggiori

  1. Isaia, XIII, 9 segg; XXIV, 23 (?); XXXIV, 4; L, 2. 3.
  2. Geremia, IV, 20-30.
  3. Ezechiele, XXXII, 7-8.
  4. Daniele, VIII, 10.

Profeti Minori

  1. Gioele, II, 1-3. 10. 30.31; III, 15.
  2. Amos, V, 18. 20; VIII, 8. 9.
  3. Michea, III, 6.
  4. Aggeo, II, 7. 8”.

Cellini quindi esamina in dettaglio i predetti passi dei Profeti Maggiori e sommariamente i passi dei Profeti minori. Ecco cosa scrive ad esempio del capitolo XIII di Isaia (p. 29):

“Si badi bene principalmente ai vv. 9, 10, 13. Qui abbiamo il sole che si oscura, la luna che non risplende, le stelle che non spandono il solito lume, a un dipresso come nel c. XXIV di s. Matteo, v. 29. Intanto è certo che questi fenomeni celesti stanno lì in Isaia a significare la desolazione di Babilonia per opera dei Medi”.

Ed ecco come Cellini chiosa, sempre per ciò che concerne Isaia, il versetto 4 del capitolo XXXIV (pp. 31-32):

“Il versetto 4 è quello che più richiama la nostra attenzione: «E verrà meno tutta la milizia dei cieli (sole, luna, stelle), e i cieli saranno ravvolti come un libro, e tutta la loro milizia cadrà, come cade la foglia dalla vite e dal fico». Che si sarebbe potuto dire di più, se si trattasse del cataclisma finale, per cui sarà rinnovata la faccia del cielo? Tuttavia è incontestabile che nel passo di Isaia ora allegato non si tratta punto, almeno in senso immediato, della fine del mondo, ma di particolari vendette di Dio contro popoli nemici ad Israele, e distintamente contro la nazione idumea”.

Leggiamo adesso cosa scrive il Profeta Ezechiele nel brano menzionato dal Cellini:

“Quando cadrai estinto ottenebrerò il cielo, oscurerò le stelle, coprirò con una nube il sole e la luna non darà luce. Tutti i luminari del cielo abbuierò su di te e farò venire le tenebre sulla tua terra – oracolo del Signore Jahve”.

Questi sconvolgimenti celesti vanno presi alla lettera? Riguardano forse una catastrofe che si abbatterà sulla terra? No, fanno parte di un oracolo rivolto contro il Faraone dell’Egitto.

Infine, ecco la conclusione del Cellini riguardo al linguaggio profetico dei Profeti Maggiori e Minori (p. 37):

“La esposizione ed analisi di tali passi dei Profeti Minori noi tralasciamo per amore di brevità. Basterà solo il dire che in essi, come vedesi, egualmente che nei precedenti passi dei Profeti Maggiori, parlasi di grandi segnali nel tenebroso giorno del Signore, i quali, almeno nella massima parte, non si riferiscono già alla fine del mondo, ma alle vendette di Dio su qualche regno terreno”.

Fin qui, il Cellini. Da parte mia potrei aggiungere che c’è un passo del Profeta Gioele, non menzionato dal Cellini, in cui parimenti si parla di un giorno “grande e terribile” del Signore, del giorno in cui “il sole si ottenebrerà e la luna diventerà sanguigna”: si tratta del passo menzionato da San Pietro negli Atti degli Apostoli, capitolo 2, versetti 17-21. San Pietro riferisce questo giorno, compreso il relativo “sconvolgimento astrale”, non alla fine del mondo, ma alla discesa dello Spirito Santo nel giorno della Pentecoste.

Quindi, per concludere, gli sconvolgimenti astrali menzionati nel discorso “escatologico” di Gesù non vanno presi alla lettera: sono metafore poetiche per descrivere un fatto purtuttavia spaventoso: la fine di Gerusalemme e del suo Tempio. Come ha scritto Spadafora, il castigo inflitto alla Gerusalemme deicida sarebbe stato tanto terribile che persino la natura inanimata ne avrebbe avuto orrore[5].

Passiamo ora alla venuta di Gesù descritta nella Seconda Lettera di Pietro. Ecco cosa scrive l’Apostolo:

“Questo anzitutto dovete sapere, che verranno negli ultimi giorni schernitori beffardi, i quali si comporteranno secondo le proprie passioni e diranno: «Dov’è la promessa della sua venuta? Dal giorno in cui i nostri padri chiusero gli occhi tutto rimane come al principio della creazione». Ma costoro dimenticano volontariamente che i cieli esistevano già da lungo tempo e che la terra, uscita dall’acqua e in mezzo all’acqua, ricevette la sua forma grazie alla parola di Dio; e che per queste stesse cause il mondo di allora, sommerso dall’acqua, perì. Ora, i cieli e la terra attuali sono conservati dalla medesima parola, riservati al fuoco per il giorno del giudizio e della rovina degli empi. Una cosa però non dovete perdere di vista, carissimi: davanti al Signore un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno solo. Il Signore non ritarda nell’adempiere la sua promessa, come certuni credono; ma usa pazienza verso di voi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi. Il giorno del Signore verrà come un ladro; allora i cieli con fragore passeranno, gli elementi consumati dal calore si dissolveranno e la terra con quanto c’è in essa sarà distrutta. Poiché dunque tutte queste cose devono dissolversi così, quali non dovete essere voi, nella santità della condotta e nella pietà, attendendo e affrettando la venuta del giorno di Dio, nel quale i cieli si dissolveranno e gli elementi incendiati si fonderanno! E poi, secondo la sua promessa, noi aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia”.

I cieli con fragore passeranno, gli elementi consumati dal calore si dissolveranno e la terra con quanto c’è in essa sarà distrutta: sembra davvero la fine del mondo. Ma, anche qui, le cose stanno davvero così?

La traduzione dei passi da me riportati l’ho trovata sul sito maranatha.it. La traduzione presentata dalla Bibbia nell’edizione curata da mons. Salvatore Garofalo è un po’ diversa:

“Verrà però il giorno del Signore come un ladro; in quel giorno i cieli svaniranno con stridore, gli elementi si dissolveranno in un terribile calore e la terra, con le opere che racchiude, sarà esplorata”.

Chiosa in nota il traduttore Giovanni Saldarini:

“I Tess 5, 2. L’esplorazione sarà compiuta sulle opere degli uomini; I Cor 3, 10-15”.

Aggiunge in nota il medesimo curatore riguardo alla locuzione “aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova (versetto 13):

“Non è la distruzione ma la trasformazione del mondo; cfr. Is 65, 17; 66, 22; Rom 8, 19; Apoc 21, 1”.

La Bibbia curata da mons. Garofalo fornisce quindi un’interpretazione spirituale dei passi (presuntivamente) escatologici della 2 lettera di Pietro, passi che, presi alla lettera, farebbero pensare davvero alla fine del mondo. E infatti è così, alla lettera, che sono stati presi, ad esempio dal noto papirologo Carsten Peter Thiede: Thiede, in un suo libro del 1997[6], riferendosi alla seconda lettera di Pietro, parla di “conflagrazione cosmica” e di “concetti escatologici” (grassetti miei):

“Malgrado la sua posizione fra gli altri passaggi dell’Antico e del Nuovo Testamento, 2 Pietro 3, 7+10, 12 segna il culmine della profezia della conflagrazione biblica. Chiunque voglia collegare l’idea di una conflagrazione cosmica coi cristiani e con la teologia cristiana avrebbe dovuto conoscere – o almeno sentito parlare – della Seconda Lettera di Pietro. 2 Pietro comincia con un riferimento alla precedente distruzione del mondo causata dal diluvio (v. 6) che sarà seguita da una distruzione a opera del fuoco. È evidente dal v. 7 che Pietro sta parlando della distruzione degli scellerati (tōn asebōn anthrōpōn), non di tutto il genere umano. Il verso 10 afferma che la conflagrazione finale fa parte della parusia che potrebbe verificarsi in ogni momento – sulla base di Matteo 24, 42-44, che interpreta Matteo 24, 24-29+35 e riecheggia 1 Tessalonicesi 5, 1-2”[7].

Thiede è uno studioso che ha avuto cospicui meriti come papirologo ma come esegeta gli preferisco Saldarini e Spadafora, il quale Spadafora ha dato un’indicazione preziosa anche riguardo alla Seconda Lettera di Pietro: in essa l’Apostolo parla sì della parusia del Signore ma non come venuta fisica alla fine dei tempi bensì, probabilmente, come “giorno del Signore”, quando il Signore interviene per punire o anche per premiare[8].

Da parte mia osservo che il riferimento agli “schernitori beffardi”, da parte di Pietro, che irridono alla venuta del Signore Gesù può essere una traccia per capire in cosa consista davvero tale venuta (parusia): se è vero, come è vero, che Gesù non ha mai predicato come imminente la fine del mondo, non poteva essere la sua ultima venuta quella fatta oggetto degli strali dei miscredenti. Questi ultimi sembrano irridere proprio alle parole di Gesù riportate dal Vangelo di Luca nel capitolo 17, versetti 20-37, quelle che parlano della venuta del regno di Dio e del Figlio dell’uomo e che vanno parimenti riferite, come il capitolo 24 di Matteo, agli eventi del 70 dopo Cristo[9].

Tutto sembra ricondurre, anche nella Seconda Lettera di Pietro, alla “fine dell’eone” del Vecchio Testamento.

 

[1] S. Agostino, La città di Dio, Edizioni Paoline, Roma 1979, p. 1202.

[2] Riporto il passo in questione nella traduzione della Bibbia a cura e sotto la direzione di mons. Salvatore Garofalo, Marietti 1966, p. 54.

[3] Francesco Spadafora, Gesù e la fine di Gerusalemme e l’escatologia in San Paolo, Istituto Padano di Arti Grafiche, Rovigo 1971.

[4] “Ora invece, una volta sola, alla fine dei secoli (συντελείας τοῦ αἰῶνος), è apparso per abrogare il peccato mediante il sacrificio di sé stesso”. In questo caso, la “fine dei secoli” rappresenta l’inizio dell’era ultima, l’era messianica.

[5] Francesco Spadafora, op. cit., p. 77.

[6] Carsten Peter Thiede, Il papiro Magdalen – La comunità di Qumran e le origini del Vangelo, Edizioni Piemme, Casale Monferrato 1997, pp. 109-126.

[7] Ivi, p. 114.

[8] Francesco Spadafora, op. cit., pp. 352-353

[9] Per accertare il parallelismo tra Luca 17 e Matteo 24 basta confrontare il versetto 37 di Luca con il versetto 28 di Matteo.

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