Vincenzo Vinciguerra: La “verità” della loggia P2

LA “VERITÀ” DELLA LOGGIA P2

Di Vincenzo Vinciguerra

Per scrivere la storia del secondo dopoguerra in Italia, secondo verità, serve coraggio perché contro di essa si pongono, da sempre, i poteri dello Stato, i partiti politici, i governi, i centri di potere finanziario che controllano i mezzi di comunicazione di massa e quanti altri hanno l’interesse a perpetuare la menzogna.

Prova ne sia che si sono scritte migliaia e migliaia di pagine sulla loggia P2, su Licio Gelli, sull’opera di condizionamento della politica italiana condotta dai piduisti ma, per quanto incredibile possa sembrare, sembra sfuggita all’attenzione di tutti l’operazione politico-giudiziaria condotta dai vertici della P2 per favorire il “fratello” Mario Tedeschi e la formazione politica che guidava, “Democrazia nazionale”.

La vicenda è nota: nell’autunno del 1978, il generale Giuseppe Santovito, direttore del Sismi, fa riaprire l’inchiesta sull’attentato di Peteano del 31 maggio 1972 indicando in Carlo Cicuttini la persona che aveva telefonato ai carabinieri attirandoli in una trappola nella quale tre di loro avevano perso la vita.

L’obbiettivo perseguito dal generale Giuseppe Santovito non è quello di perseguire Carlo Cicuttini, latitante in Spagna, ma di far incriminare il segretario nazionale del Msi-Dn [Movimento sociale italiano-Destra nazionale], Giorgio Almirante, per favoreggiamento nei suoi confronti. Difatti, era stato Almirante ad inviare a Carlo Cicuttini la somma di 35 milioni di lire per operarsi alle corde vocali, un fatto a conoscenza di Mario Tedeschi e di tutti i vertici del partito.

Il motivo per il quale Giorgio Almirante aveva inviato il denaro a Cicuttini risiedeva nel fatto che quest’ultimo era il segretario della sezione del Msi-Dn a Manzano del Friuli.

Per un partito che raccoglieva i voti della quasi totalità delle forze di polizia la notizia che un suo militante aveva concorso ad uccidere tre carabinieri avrebbe avuto un effetto devastante sulla immagine del partito stesso, effetto che avrebbe potuto provocare una perdita di voti elevatissima.

Da queste ragioni scaturisce l’esigenza per Giorgio Almirante e i vertici del Msi-Dn, compreso Mario Tedeschi, di “coprire” ad ogni costo Carlo Cicuttini.

La politica, però, è mutevole così arriva il momento in cui le vie di Mario Tedeschi e Giorgio Almirante si dividono, perché il primo pretende che il secondo faccia a meno della simbologia fascista e faccia del Msi-Dn un partito di destra senza più legami, sia pure parolai, con il passato – senza ottenerlo.

Si giunge, di conseguenza, alla scissione fra la formazione politica creata da Mario Tedeschi, “Democrazia nazionale”, e il Msi-Dn.

La manovra, però, non è frutto della lungimiranza politica di Mario Tedeschi ma di Licio Gelli e dei vertici della loggia P2.

Scrive il presidente della Corte di assise di Bologna, Francesco Caruso:

“Mario Tedeschi lavora per la P2 e per la costruzione di un regime che elimini i comunisti dal gioco politico. Ciò si può fare rimettendo in circolo i voti della destra, eliminando ogni riferimento al passato regime, posto che l’interesse della destra è realizzare un nuovo regime ‘neo-autoritario’ e non riesumare il regime fascista”.

“Democrazia nazionale”, quindi, è il partito della P2.

Lo ribadisce, a chiare lettere, il presidente Francesco Caruso nella sua veste di alto magistrato e di storico:

“Ricordiamo – scrive – che nel Piano di Rinascita, Democrazia nazionale, era considerata uno dei partiti del sistema P2. Il programma prevedeva lo svuotamento dei partiti estremi: il PCI doveva essere dissanguato dal PSI di Craxi; il MSI dalla Democrazia nazionale di Tedeschi. Ridotti al minimo i due partiti fuori sistema, si sarebbe proceduto ad articolare il sistema in due coalizioni di centro-destra e centro-sinistra, sostanzialmente omogenee e dirette entrambe dal burattinaio di Castiglion Fibocchi, che avrebbe inserito in entrambe i propri uomini, dotati di un argomento formidabile per acquisire consenso interno: le occulte erogazioni di denaro procurate dal Maestro con iniezioni finanziarie”.

La scissione di “Democrazia nazionale” dal Msi-Dn viene decisa, secondo Giorgio Pisanò, nel corso di un colloquio fra Amintore Fanfani e Licio Gelli, a casa del primo.

E alle spalle di Licio Gelli e della P2, di Mario Tedeschi e di “Democrazia nazionale” c’è anche Giulio Andreotti.

Sono diversi i testimoni autorevoli che hanno indicato Giulio Andreotti come il vero capo della loggia P2. Clara Calvi, moglie del presidente del Banco Ambrosiano assassinato a Londra nel 1982, lo colloca ai vertici della loggia, con Francesco Cosentino, Umberto Ortolani e Licio Gelli.

Nessuno ha mai collegato Giulio Andreotti e Licio Gelli ad una operazione “sporca” portata avanti di comune accordo, anche se questa è dal 1978 sotto gli occhi di tutti: magistrati, giornalisti, storici che, però, non se ne sono accorti.

Eppure, l’operazione di riapertura delle indagini sull’attentato di Peteano con le accuse a Carlo Cicuttini (novembre 1978) e a Giorgio Almirante (gennaio 1979), alcuni mesi prima dello svolgimento delle elezioni politiche anticipate (giugno 1979) vede come protagonisti il generale Giuseppe Santovito, affiliato alla loggia P2, e Mario Tedeschi, affiliato alla loggia P2, che mette a disposizione del primo i testimoni, tutti aderenti a “Democrazia nazionale”.

Maestro Venerabile della loggia P2 è Licio Gelli, dal quale dipendono come “fratelli” massoni sia Santovito che Tedeschi; superiore gerarchico del direttore del Sismi, sempre Santovito, è il presidente del Consiglio Giulio Andreotti.

Ipotizzare che il direttore del servizio segreto militare, Giuseppe Santovito, lanci [di propria iniziativa] a carico del segretario nazionale del Msi-Dn, Giorgio Almirante, un’accusa gravissima di favoreggiamento nei confronti di un militante del partito, Carlo Cicuttini, indicato come correo in un attentato costato la vita a tre carabinieri, è semplicemente ridicolo.

“Democrazia nazionale” nasce per volontà della P2, si separa dal Msi-Dn per ordine della P2, si riapre l’inchiesta su Petano per portare sul banco degli imputati Giorgio Almirante nella speranza di dirottare migliaia di voti su “Democrazia nazionale”, in accordo con i vertici della P2 che, nello stesso lasso di tempo, muovono contro di me una squadra speciale agli ordini dell’ammiraglio Emilio Massera –  affiliato alla loggia P2 – a Buenos Aires.

La speranza della banda piduista – da Andreotti a Gelli, a Santovito a Tedeschi – ha fondamento perché dopo l’uccisione, a Milano, il 12 aprile 1973, dell’agente di Ps Antonio Marino da parte di due militanti missini (Murelli e Loi), i vertici del partito avevano calcolato in mezzo milione i voti che avrebbero perso.

Lo stesso calcolo è stato fatto per accusare Almirante di favoreggiamento nei confronti di Carlo Cicuttini.

Le cose non sono andate come speravano: a Buenos Aires, con un po’ di fortuna, mi faccio beffe dell’ammiraglio Massera e della sua squadra speciale, mentre la procura della Repubblica di Venezia agisce con estrema cautela e senza pubblicità nei confronti del segretario nazionale del Msi-Dn.

Ma l’inchiesta sull’attentato di Peteano è troppo delicata per essere trascurata così che ne assume la direzione la stessa loggia P2 attraverso il vicequestore Giuseppe Impallomeni, dirigente della Digos di Venezia, affiliato alla loggia e amico personale di Licio Gelli.

Ma questa è un’altra storia sulla quale ritorneremo a breve. È giusto concludere citando ancora una volta il presidente della Corte di assise di Bologna, Francesco Caruso, che scrive:

“La testimonianza di Vinciguerra fornisce un quadro nitido del modo di agire della P2, come gruppo che interviene per orientare la politica nazionale verso progetti concordati a livello atlantico e con chi al tempo era considerato l’uomo forte dell’atlantismo in Italia, Giulio Andreotti”.

E questa è storia. E questa è verità.

 

Opera, 14 maggio 2023

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