Una presentazione del revisionismo

Una presentazione del revisionismo

PERCHE’ IL REVISIONISMO DELL’OLOCAUSTO?

Di Theodore J. O’Keefe[1] (1992)

L’”Olocausto”, il presunto sterminio di sei milioni di ebrei da parte dei nazisti durante la seconda guerra mondiale, ha conosciuto negli ultimi anni il fuoco crescente dei revisionisti, quegli storici anticonformisti che sfidano la versione ortodossa degli eventi del passato. Ricercatori come Arthur Butz, Robert Faurisson, David Irving, e Wilhelm Stäglich sono diventati famosi (qualcuno direbbe famigerati) a livello internazionale per le loro critiche erudite della tesi secondo cui Hitler e i suoi seguaci cercarono di sterminare l’ebraismo europeo durante la guerra, uccidendo milioni di persone per mezzo di gas velenosi e altri sistemi.

Ci sono quelli che vorrebbero eliminare i revisionisti togliendo loro la libertà di ricerca e di espressione, e in effetti i revisionisti hanno subito attacchi fisici e sanzioni penali, persino in paesi che si fregiano con orgoglio di essere “società aperte”.

Sono molti di più, tuttavia quelli che non sono così ostili ai revisionisti ma piuttosto ne sono semplicemente sconcertati. Essi fanno domande sul revisionismo, domande come le seguenti: “Che motivazioni hanno questi revisionisti? Sono semplicemente dei nazisti, che cercano di riabilitare il regime di Hitler? Anche se qualcuna delle loro affermazioni è esatta, è davvero importante se il numero degli ebrei che morirono durante la guerra è “solo” un milione e mezzo? O mezzo milione? O un milione? Perché non dedicarsi a questioni che sono più importanti e con meno rischi?”

Per rispondere a queste domande, è necessario dire qualcosa sulle origini del moderno revisionismo storico. Mentre gli storici coscienziosi hanno sempre cercato di “correggere” gli errori e le omissioni dei loro predecessori, i revisionisti moderni risalgono alla prima guerra mondiale. Questa guerra enorme e terribile fu la prima – nel corso della storia – a colpire persone in ogni angolo del pianeta. Fece entrare in conflitto, ad un livello senza precedenti, i grandi imperi d’Europa, le loro colonie in Asia e in Africa, e persino le nazioni indipendenti delle Americhe. La tecnologia sviluppò nuovi armi spaventose – aeroplani, sottomarini, carri armati, mitragliatrici, gas tossici – per conseguire la vittoria. Un genere differente di tecnologia rivolto alle menti, non ai corpi, degli uomini – la propaganda bellica – venne portato a nuovi livelli di efficacia.

Mentre entrambe le parti in causa – l’Asse guidata dai tedeschi e l’Alleanza anglo-russo-francese – adescavano le leadership politiche e finanziarie delle nazioni neutrali con tangenti e promesse, nello stesso tempo blandivano l’opinione pubblica in patria e all’estero con la propaganda. Ogni schieramento dipingeva le proprie mire di guerra come un’imponente crociata per la pace e la libertà, e quelle dei propri nemici come un complotto diabolico per il dominio del mondo.

Anche più efficace era la cosiddetta “propaganda di atrocità”, che attribuiva al nemico ogni crimine immaginabile. I maestri indiscussi della “propaganda di atrocità” erano gli Alleati. La loro maestria delle armi propagandistiche produsse immagini come l’uccisione dei bambini belgi, il canadese crocifisso, la fabbrica di cadaveri in cui i tedeschi avrebbero manipolato i loro stessi morti, e centinaia di altre [fandonie] che alimentarono nelle popolazioni dei paesi Alleati e neutrali un’indignazione spinta fino al parossismo.

La propaganda Alleata aiutò a fare entrare in guerra l’America, assicurando la vittoria degli Alleati. Successivamente, i capi Alleati costrinsero le nazioni sconfitte – la Germania e i suoi alleati – a firmare trattati umilianti che sottraevano loro territori e colonie, imponendo risarcimenti schiaccianti e, cosa massimamente umiliante, forzarono gli sconfitti ad assumersi ogni responsabilità per aver iniziato la guerra.

Poco dopo la fine di quella guerra era già diventato chiaro che molto di quello che era stato raccontato ai cittadini americani e alle altre potenze dai loro capi sulle cause, la condotta, e gli scopi della guerra semplicemente non era vero. In particolare, venne ammesso dai politici e dai giornalisti che le avevano fabbricate, che la grande maggioranza delle orribili atrocità attribuite ai tedeschi e ai loro alleati erano menzogne.

Un gruppo di studiosi e di giuristi interessati all’argomento, in America e in altri paesi, che divennero conosciuti come “revisionisti”, vollero accertare i fatti storici riguardanti la guerra in opposizione alla propaganda dei governi e della stampa. Nel giro di un decennio gli storici revisionisti in America, Inghilterra, Francia, Germania, e Austria, riuscirono a dimostrare che la guerra non era stata intrapresa per salvare il mondo e la democrazia, e che la Germania e i suoi alleati non erano i soli colpevoli dell’inizio delle ostilità.

Uno dei padri fondatori del revisionismo fu il giovane storico americano Harry Elmer Barnes. Barnes avrebbe in seguito definito il revisionismo come il “mettere la storia in accordo con i fatti”. Lo studio da parte di Barnes dei fatti, in opposizione alla propaganda, degli anni dal 1914 al 1918 gli insegnò che, secondo le sue parole, “la verità è sempre la prima vittima delle guerre. Le interferenze emotive e le distorsioni negli scritti storici sono estreme in tempo di guerra”.

I nudi fatti che i revisionisti avevano accertato sulla prima guerra mondiale, dopo un bagno di sangue che costò dieci milioni di vite, ispirarono i revisionisti in America e altrove ad opporsi al coinvolgimento dei loro paesi in guerre e interventi intrapresi per ordine di politici e banchieri. Ma l’ascesa del comunismo internazionale, che acquistò una solida base in Russia dopo la prima guerra mondiale, la crisi del capitalismo nella depressione internazionale degli anni ’30, e l’emergere di regimi nazionalisti, autoritari e anticomunisti in Europa e in Giappone posero le premesse per nuovi conflitti.

A differenza degli anni precedenti al 1914, il periodo antecedente la seconda guerra mondiale trovò non solo nazioni ma movimenti ideologici super-nazionali in competizione per il potere in ogni ambito della vita umana. Comunisti, fascisti, nazisti, e sionisti si aggiunsero ai già esistenti nazionalisti e imperialisti in una lotta senza quartiere nella quale, istigati dalla crisi economica mondiale, gli specialisti della propaganda portarono l’arte della persuasione di massa a livelli di efficacia senza precedenti.

Con lo scoppio della guerra nel 1939, la Germania era già stata il bersaglio di una furiosa campagna di propaganda internazionale da parte delle sinistre, guidate dai comunisti, e da parte dell’ebraismo mondiale. Il formidabile apparato propagandistico globale dell’Inghilterra aveva spostato gli equilibri, in particolare nell’America anti-interventista, dove gli agenti inglesi avevano costituito una vasta operazione di propaganda clandestina con il tacito consenso del presidente Franklin Roosevelt. Quando la Germania e i suoi alleati europei attaccarono la Russia di Stalin nel Giungo 1941, la tregua tormentata tra nazisti e comunisti finì, e gli agenti di Mosca in giro per il mondo iniziarono a trasmettere la versione dei fatti del Cremino presso un’opinione pubblica – quella delle democrazie occidentali – spesso indifesa. Tali influenze propagandistiche, combinate con la politica furtiva del Presidente Roosevelt di coinvolgere l’America dalla parte degli Alleati, sconfissero i saggi consigli dei revisionisti americani, emergenti nel campo anti-interventista, e nel Dicembre 1941 l’America entrò in guerra dalla porta di servizio a Pearl Harbor.

Per quanto vi fossero degli esponenti tra gli Alleati che – memori del cinismo che era seguito all’esplosione di menzogne propagandistiche dopo la prima guerra mondiale – cercavano all’inizio di tenersi alla larga da accuse ancora più orribili e improbabili, quando le forze dell’Asse trionfarono su tutti i fronti i professionisti della propaganda iniziarono ad abbandonare ogni scrupolo. Nel frattempo, fonti ebraiche e comuniste avevano aperto un fuoco di accuse contro i tedeschi, incolpandoli di ogni possibile crimine. Dall’estate del 1942 i portavoce ebrei iniziarono a chiedere che i capi Alleati condannassero i tedeschi per l’avvenuto sterminio di un milione di ebrei e per il progettato sterminio di ulteriori milioni. La condanna di Churchill, Roosevelt e Stalin fu pronta nel Dicembre 1942; per il resto della guerra i propagandisti ebrei e alleati diffusero storie fantastiche di ebrei uccisi mediante metodi tanto diabolici quanto improbabili: venne riferito che venivano vaporizzati, cotti, fulminati, gasati, divorati dalla calce viva, affamati, sparati, sepolti vivi, rinchiusi con bestie feroci, soggetti a esperimenti sadici, e deliberatamente avvelenati con sostanze letali. Secondo la propaganda, nemmeno i loro resti venivano risparmiati: con la loro pelle si facevano paralumi o calzoni da cavallerizzo, i loro capelli utilizzati per riempire materassi o per fare pantofole, i loro denti d’oro destinati ai forzieri del Reich, e quello che rimaneva trasformato in sapone o in fertilizzante.

Persino durante la guerra, come gli autori sterminazionisti hanno ultimamente evidenziato, c’era un diffuso scetticismo riguardo alle dicerie sullo sterminio tra gli americani e gli inglesi, per non parlare dei popoli dell’Asse. I politici Alleati – ebrei, comunisti, o democratici occidentali – memori degli strascichi della prima guerra mondiale, presero dei provvedimenti per assicurarsi che la propaganda bellica non sarebbe stata screditata tanto facilmente. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, misero in piedi una serie di processi ideati per “provare” tutte le loro dicerie e per condannare e punire i loro nemici. La Germania e il Giappone vennero occupati dai vincitori. Le potenze occupanti scrissero nuove costituzioni, selezionarono nuove classi dirigenti, e imposero nuovi modi di pensare e nuovi metodi di educazione in modo tale che i tedeschi e i giapponesi assorbissero e interiorizzassero la propaganda dei loro conquistatori.

Come la maggior parte dei cittadini provvisti di attitudine critica, gli studiosi e i pubblicisti revisionisti avevano creduto che alla fine le esagerazioni e le mistificazioni riguardanti il trattamento degli ebrei da parte dei nazisti sarebbero state spazzate via dopo la guerra, come la propaganda e le passioni alimentate dai conflitti vengono sostituite dall’esame spassionato e dall’analisi dei fatti. Essi non tennero conto, tuttavia, dell’ascesa di Israele e del sionismo come di un centro di devozione per gli ebrei del mondo intero. I sionisti guardavano al tentativo del presunto sterminio – e alla nascita apparentemente miracolosa di uno stato ebraico che ne seguì – come al mito centrale di un Israele resuscitato. Gli ebrei si sono serviti della storia dell’Olocausto come di un mezzo per rendere le critiche tabù e come di un sostegno quasi automatico a Israele e alla diaspora. Gli oppositori d’Israele sono stati abitualmente paragonati a Hitler, mentre un incessante e onnipresente commercio della Shoah ha promosso notizie e argomenti, dal presunto diario di Anna Frank fino all’ultimo documentario, innalzando la leggenda bellica dello sterminio al livello di un’inattaccabile vacca sacra. La propaganda dell’Olocausto è diventata la chiave per generare miliardi, prima come risarcimenti o aiuti, adesso come un omaggio virtuale, da parte della Germania e dell’America. I nemici della Germania, dall’Unione Sovietica con il suo impero di stati-satellite nell’Europa orientale agli esponenti della sinistra e agli sciovinisti dell’Europa occidentale, per non parlare degli adepti del britannico ”equilibrio della forza”, nonché degli aspiranti Cesari dell’impero americano: tutte queste forze avevano interesse a mantenere la storia dell’Olocausto come una barriera contro un esame spassionato non solo dell’esperienza ebraica, ma delle questioni storiche cruciali della seconda guerra mondiale.

Nondimeno, a dispetto di quello che Harry Elmer Barnes ha definito il “blackout storico”, un piccolo gruppo di scrittori coraggiosi e di larghe vedute, in Europa e in America, iniziò a sfidare pubblicamente la presunta vastità delle perdite ebraiche in Europa, e ad esaminare criticamente le prove del programma tedesco di annientare l’ebraismo europeo. I revisionisti, che auspicavano un atteggiamento di scetticismo verso le dicerie dell’Olocausto, e iniziarono il duro lavoro di “mettere la storia in accordo coi fatti” su questa spinosa questione, fecero notare che l’Olocausto era cattiva storia. Paul Rassinier, il pacifista e socialista francese che era stato egli stesso internato a Buchenwald per il suo ruolo nella resistenza francese, denunciò le menzogne e le esagerazioni dei suoi colleghi sopravvissuti, che avevano testimoniato con disinvoltura l’esistenza di un’immaginaria camera a gas [a Buchenwald]. I primi revisionisti, come lo storico – formatosi ad Harvard – David Hoggan e il professore americano – di origine tedesca – Austin App, si concentrarono sulle discrasie tra la politica ebraica nazista quale risulta dai documenti e le testimonianze orali postbelliche dei “sopravvissuti”da un lato, e le “confessioni” dei prigionieri tedeschi in mano agli Alleati, nonché le testimonianze interessate dei testimoni dell’accusa, dall’altro. Questi ed altri pionieri del revisionismo denunciarono le traballanti basi statistiche della cifra dei sei milioni di ebrei morti, aprendo la strada ad una fioritura di erudizione revisionista, che iniziò negli anni ’70 ed è tuttora florida. L’avvento del revisionismo dell’Olocausto è rappresentato nel modo migliore dalla fondazione, nel 1978, dell’Institute of Historical Review in California, che ha permesso la pubblicazione delle scoperte chiave di studiosi revisionisti quali Arthur Butz, Robert Faurisson, Wilhelm Stäglich, Ditlieb Felderer, Walter Sanning, Henry Roques, Fritz Berg, Mark Weber, Carlo Mattogno e molti altri.

Va detto che questi uomini e donne che si sono dedicati ad accertare e a diffondere la verità sull’Olocausto non sono affatto nazisti o apologeti incondizionati del regime nazista. In realtà, i revisionisti dell’Olocausto non condividono né rappresentano un’ideologia precostituita. Politicamente, i revisionisti non provengono solo dai ranghi della destra, ma anche dalla sinistra, e persino dai ranghi del libertarismo anti-statale e dell’anarchismo. La loro gamma va dai cristiani fondamentalisti agli atei militanti (e vi sono persino degli ebrei, come Joseph G. Burg e Bezalel Chaim). Harry Elmer Barnes, ad esempio, che si era espresso con crescente franchezza nei suoi ultimi anni sugli effetti deleteri della propaganda dell’Olocausto, era un libero pensatore umanista e progressista. Come uno sguardo alla composizione del comitato editoriale dell’Institute for Historical Review rivela, i revisionisti non sono solo tedeschi, o di origine tedesca, ma includono studiosi francesi svedesi, ungheresi, italiani, croati, lettoni, argentini, australiani e sudafricani, come pure americani di origine inglese, irlandese, svedese, francese e italiana.

Oltre a sfidare le basi effettive della leggenda di un programma di sterminio nazista degli ebrei, i revisionisti hanno cercato di precisare il contesto storico delle innegabili persecuzioni attuate contro gli ebrei. In questo contesto, i revisionisti ricordano a quei critici che obiettano, abbastanza giustamente, che l’omicidio di un solo ebreo è già inescusabile, che le esagerazioni deliberate delle perdite ebraiche sono parimenti intollerabili: quale essere umano, uomo o donna, scuserebbe l’esagerazione deliberata del numero dei bambini uccisi dai soldati israeliani e dai coloni durante l’intifada palestinese?

Gli studiosi revisionisti hanno cercato anche di confrontare la dura prova subita dagli ebrei durante la seconda guerra mondiale con le vicissitudini di altri gruppi durante quella guerra e anche nel corso più generale della storia. Su questo terreno i revisionisti sono consapevoli dello status privilegiato che la maggior parte degli sterminazionisti, in particolare quelli ebrei, hanno cercato di conferire all’Olocausto. Basando i loro argomenti sulla falsa premessa che gli artefici del programma antiebraico nazista progettarono lo sterminio sistematico di tutti gli ebrei europei, gli sterminazionisti hanno spesso minimizzato le sofferenze dei civili non ebrei. La forza del tabù dell’Olocausto è stata tale che le perdite di vittime delle invasioni e delle occupazioni perpetrate dalle forze dell’Asse, come polacchi, russi e ucraini, sono state dimenticate dal mondo accademico e dai media. Non c’è poi bisogno di aggiungere che i devoti dell’Olocausto che dominano le frequenze radiofoniche, la stampa, e le scuole vigilano contro lo spargimento anche di una sola lacrima per i milioni di tedeschi e di altre vittime civili dei bombardieri inglesi e americani o della brutalità delle truppe sovietiche.

Soprattutto, i revisionisti sostengono che la storia dell’Olocausto e il suo sfruttamento formano un ostacolo massiccio contro una visione storica più obbiettiva della civiltà occidentale nel ventesimo secolo. L’essere riusciti a far diventare la tesi sterminazionista un’intoccabile forma di ortodossia ha aiutato gli intellettuali occidentali e gli opinionisti a evitare il confronto con il conto molto più sanguinoso dei regimi comunisti, come pure a sorvolare sulle atrocità talvolta paragonabili di altri regimi e movimenti, di sinistra e di destra, colonialisti e rivoluzionari, sparsi per il mondo. Sfruttando il tabù dell’Olocausto, gli ideologi della cosiddetta democrazia liberale, possono prevenire ogni analisi obbiettiva di idee e movimenti etichettati come “fascisti” e “nazisti”. Il risultato inevitabile è stato una versione complessiva delle dinamiche di questo secolo che è deplorevolmente inesatta, non semplicemente inutile bensì dannosa per la comprensione del presente e del futuro, e che serve solo agli interessi miopi ed egoisti di piccole elite.

Per gli americani di oggi e di domani, le conseguenze del continuo rifiuto di stabilire e diffondere i fatti, al posto delle menzogne, sulla leggenda dello sterminio possono essere serie. Perchè l’America attuale è nella morsa di quella che può essere definita soltanto come “Olocaustomania”. Gli imbonitori di quest’epidemia a New York, a Hollywood, a Washington, e nelle scuole di tutta l’America stanno lavorando alacremente da anni per trasformare l’Olocausto da presunto fatto storico in una realtà attuale efficace. Il loro dominio dei media ha permesso loro di vendere la propaganda dell’Olocausto come edificazione e intrattenimento per decine di milioni di persone. Il loro controllo sui poteri nazionali, statali e locali ha permesso loro di intitolare le vacanze nazionali al “ricordo” di questa mistificazione storica, di costruire musei ed edifici commemorativi per l’esposizione di cimeli e la promozione dell’odio e dei sensi di colpa. Magistrati federali e polizia scovano “criminali di guerra” cinquant’anni dopo i fatti – o, spesso, i non fatti – ma si tratta esclusivamente di criminali “nazisti”, perché anche la giustizia deve conformare le proprie vedute all’Olocausto. I nostri figli vengono indottrinati da un numero crescente di programmi obbligatori, programmi che non mirano semplicemente a trasmettere informazioni e a insegnare la capacità di ragionare ma che plasmano emozioni e opinioni attraverso tecniche di “apprendimento di gruppo” e di “emotività forzata” che richiamano quelle dei comunisti cinesi nel periodo d’oro di Mao. Vi sono dei teologi cristiani che proclamano solennemente che i racconti ebraici provenienti da Auschwitz rendono obsoleto il Vangelo di Cristo, e che i cristiani e i gentili portano una macchia morale che può essere lavata solo mediante un’alleanza eterna con Israele.

I prossimi decenni saranno pericolosi per gli americani, resi ciechi verso il passato e il presente dall’Olocaustomania…Affidarsi ai sionisti e ai loro sostenitori per decidere la nostra percezione della storia – in particolare attraverso le lenti distorte dell’ossessiva mistificazione dell’Olocausto – significa andare in cerca del disastro.

Questo è il motivo per cui gli americani intelligenti e preoccupati – e le persone in ogni altra parte del mondo – devono ascoltare serenamente i revisionisti. La piccola banda coraggiosa di studiosi coscienziosi e di pubblicisti talvolta enfatici che hanno rischiato l’ostracismo sociale ed economico in questo paese – e la violenza fisica e la prigione all’estero in paesi quali la Francia, il Canada, la Svezia, la Germania, il Brasile e il Sud America – non chiedono una fede cieca o l’adesione incondizionata a un credo. Quello che chiedono è il diritto di argomentare la propria tesi – in base ai fatti, non in base alle emozioni o a programmi politici sottaciuti – pubblicamente, in quegli spazi della società che noi americani abbiamo cercato di mantenere aperti alle idee, per quanto fossero strane e spiacevoli, da quando questo paese è stato fondato. Per i revisionisti, il diritto a partecipare a quella che un avvocato francese ha definito “la grande avventura intellettuale del ventesimo secolo”, senza molestie legali o illegali, è già abbastanza.

Perché il revisionismo dell’Olocausto? Penso che Thomas Jefferson abbia risposto a questa domanda oltre due secoli fa, quando scrisse: “Non esiste verità di cui abbia paura, o che vorrei rimanesse sconosciuta al mondo intero.”

[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale può essere consultato all’indirizzo: http://www.ihr.org/jhr/v12/v12p-99_OKeefe.html

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