Perché molti leader ebrei odiano Gesù Cristo e la Chiesa apostolica?

 

PERCHÉ MOLTI LEADER EBREI ODIANO GESÙ CRISTO E LA CHIESA APOSTOLICA?

(Why Did Many Jewish Leaders Hate Jesus Christ and the Apostolic Church?, OUR DAILY BREAD MINISTRIES CANADA, ourdailybreadministries.ca).

Alcuni hanno l’impressione che l’ostilità ebraica verso il cristianesimo sia iniziata solo dopo che gli ebrei hanno subìto persecuzioni da parte dei cristiani.

In realtà, l’ostilità ebraica verso Gesù Cristo è iniziata molto tempo prima che gli ebrei subissero persecuzioni da parte dei cristiani.

Lo studioso della Bibbia N.T. Wright ha così riassunto le ragioni del rifiuto ebraico di Gesù e della Chiesa:

«Ciò che evoca la persecuzione è proprio la sfida di una visione del mondo che ribalta un universo simbolico» (N.T. Wright, The New Testament and the People of God, Fortress Press, p. 451).

Gesù diceva di parlare a nome del Dio d’Israele, delle sue Scritture e della sua vera vocazione.

Israele confidava nei suoi simboli ancestrali. Gesù diceva di parlare a nome di quella realtà che quei simboli rappresentavano, e voleva dimostrare che, concentrandosi su di essi, Israele s’era ripiegato su sé stesso e stava disobbedendo in modo pericoloso alla visione che il suo Dio aveva concepito per lui, alla sua vocazione di essere la luce del mondo.

I contemporanei di Gesù, tuttavia, non potettero fare a meno di considerare chi diceva e faceva queste cose come un ingannatore. In ogni punto la sua agenda si scontrava con la loro.

Nei simboli, come nella prassi e nella storia, il suo modo d’ essere Israele, il suo modo d’essere fedele al Dio di Israele era radicalmente diverso dal loro (Op. cit., p. 442).

Gesù insegnava che il nazionalismo ebraico e l’impegno per la “legge orale” distorcevano lo scopo della legge scritta (Torah) (Marco 7,1-20).

Affermava che i più autorevoli capi religiosi di Israele non seguivano la tradizione di Mosè, di David e dei profeti, ma erano servi di Satana (Giovanni 8,37-44).

Il loro “giudaismo” si basava sull’aderenza a princìpi legalistici basati sulla “legge orale” (Marco 7,1-23) e sulle “opere” che li distinguevano artificiosamente dai gentili, che consideravano ritualmente impuri.

Coloro i quali seguivano questa prospettiva credevano che il loro aderire a tali princìpi legalistici avrebbe assicurato loro l’approvazione del futuro Messia, una volta apparso sulla scena per liberarli dal dominio romano e per istituire il dominio ebraico mondiale.

Giovanni Battista proclamò l’inutilità della giustizia legalistica (Matteo 3,1-12), e Gesù disse che la giustizia legalistica dei farisei era in contrasto con la vera legge di Dio che egli era venuto a confermare.

“Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge e i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure uno iota o un segno della Legge, senza che tutto sia compiuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli. Poiché io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli” (Matteo 5,17-20).

Lungi dal condurli verso l’adempimento delle promesse che Dio aveva fatto a Israele, la loro ipocrisia basata sul legalismo li spinse a rifiutare ed uccidere il Messia e i suoi seguaci (Matteo 21,23-46; Giovanni 8,42-59; Atti 4-5, 7-9, 12, 1 sgg.; 13,42-51; 14,2-5; 14,19; 17-18; 24,5; 26,9-11; Galati 1,11-16; 4,29; Filippesi 3,5-7; 1 Tessalonicesi 2,14-16).

Gesù mise in discussione il significato dei principali simboli ebraici: lo Shabbath, i tabù alimentari, l’identità etnica, le terre ancestrali e, in ultima analisi, il Tempio stesso.

Lo scontro tra Gesù e i suoi contemporanei ebrei, in particolare i farisei, deve essere visto nei termini di un’agenda politica generata da credenze e aspettative escatologiche. Gesù annunciava il regno in un modo che non rafforzava, ma che piuttosto metteva in discussione l’agenda di zelo rivoluzionario che dominava soprattutto l’orizzonte del gruppo dominante all’interno del fariseismo.

Non c’è da stupirsi perciò che egli abbia messo in discussione la grande enfasi posta su quei simboli che erano diventati i punti focali di quello zelo: lo Shabbath, i tabù alimentari, l’identità etnica, le terre ancestrali e il Tempio stesso.

Questi simboli erano diventati i codici delle aspirazioni dei suoi contemporanei. Sfidandoli, Gesù non “parlava contro la Torah” in sé. Certamente non “parlava contro” l’idea di Israele come popolo eletto dell’unico vero Dio. Piuttosto, egli offriva un’interpretazione alternativa del destino di Israele e della sua vocazione divina, un modo alternativo di raccontare la vera storia di Israele e un’alternativa alla devozione che si esprimeva nei simboli nazionalistici. Affermava l’elezione di Israele, pur ridefinendola (Op. cit., p. 390).

Quello che segue è un brano di un ebreo moderno che, come i capi religiosi del primo secolo, fraintende ciò che Gesù è venuto ad offrire al suo popolo e illustra chiaramente l’effetto che l’insegnamento di Gesù deve avere avuto sui suoi contemporanei.

«Il Vangelo di Giovanni abolisce tutto ciò che è sacro per l’ebraismo e lo sostituisce con “Cristo”. Tutto ciò che era ritenuto importante dagli “ebrei” viene liquidato da Giovanni come una cosa insignificante. Cristo sostituisce o soppianta l’ebraismo. Oggi la Chiesa esprime questa idea sostenendo di essere il “Nuovo Israele”. Secondo Giovanni, Cristo sostituisce il Tempio (2,18-22), la Legge (5,39-40) e Israele stesso (15,1-17). La “vite” è un simbolo di Israele (Salmo 80,8; Ezechiele 15,1-6; Osea 10,1).

«Non c’è più spazio per l’ebraismo come espressione della volontà di Dio. Tutto ciò ha portato a quello che un autore ha definito “una vendetta teologica” contro gli ebrei. Troppo spesso coloro i quali hanno tratto la conclusione che l’ebraismo è obsoleto hanno concluso, con risultati tragici, che anche gli ebrei sono obsoleti.

«La cristologia è lo studio della natura di “Cristo”. Nella cristologia giovannea Cristo è raffigurato come un uomo divino che adempie la profezia e rivela Dio nella sua stessa propria carne.

«Per gli ebrei questo era e rimane tutt’oggi un anatema. Da una prospettiva ebraica, la visione giovannea di Cristo come uomo-Dio è un paganesimo ripugnante. Per via della loro innata incapacità di accettare una tale visione del Messia, gli ebrei sono automaticamente condannati dalla cristologia giovannea. Questa cristologia è intrinsecamente antisemita» (Tom Macabi, Anti-Semitism and John’s Gospel, dal sito web Holocaust Understanding and Prevention).

Uno studioso ebreo, docente presso la Bar-Ilan University spiega che, per alcuni ebrei odierni, il cristianesimo ortodosso è «la causa principale di 1.500 anni di antisemitismo cristiano idolatra che ha portato all’olocausto».

Ha affermato inoltre che ai cristiani si presenta una scelta:

«O mantengono il loro attuale sistema di credenze e sono antisemiti, oppure formano un’alleanza col popolo ebraico … Fintantoché i cristiani continueranno a considerare Gesù come Dio saranno antisemiti, poiché una siffatta convinzione li porterà a credere che coloro i quali rifiutano Gesù rifiutano Dio» (Rabbi Pinchas Hayman, Australian Jewish News, Melbourne Edition, Vol. 62, n. 43, p. 9).

Naturalmente, la maggior parte dei cristiani non sarebbe d’accordo con la conclusione di questo rabbino, secondo cui la fede in Cristo è antisemita. Tuttavia, il fatto che egli consideri la questione in questi termini dimostra che ancora oggi vi sono degli ebrei che hanno la stessa mentalità dei nemici di Gesù del primo secolo, e per coloro i quali condividono questa mentalità la sfida di Gesù Cristo e dei Vangeli resta una chiamata alle armi (Matteo 10,32-42).

Leave a comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Recent Posts
Sponsor