
LA VISITA DELLA DELEGAZIONE DELL’AIPAC A TAIPEI SOLLEVA IL VELO SUL LEGAME TAIWAN-ISRAELE-STATI UNITI CONTRO LA CINA
domenica 2 novembre 2025
di Ivan Kesic
Dietro la facciata di democrazia e difesa, un triangolo di potere politico collega Taiwan, Stati Uniti e regime israeliano, mentre viene creato un nesso triangolare per sfidare la Cina.
La presenza del presidente taiwanese Lai Ching-te alla cena dell’American Israel Public Affairs Committee (AIPAC) tenutasi la scorsa settimana a Taipei City ha segnato un momento simbolico nell’evoluzione della strategia estera dell’isola.
Parlando davanti a un pubblico di oltre 200 personalità politiche statunitensi e israeliane, Lai ha elogiato l’entità sionista definendola un “modello prezioso” per la difesa di Taiwan e ha ribadito il suo sostegno al regime di Tel Aviv.
Evocando il racconto biblico di “Davide e Golia”, ha dipinto Taiwan come il debole ribelle, una piccola “democrazia” che affronta un gigante “autoritario”, riferendosi alla Cina.
“Il popolo taiwanese guarda spesso all’esempio del popolo ebraico quando si trova ad affrontare sfide alla propria reputazione internazionale e minacce alla propria sovranità da parte della Cina. Il popolo di Taiwan non si è mai scoraggiato”, ha affermato rivolgendosi ai membri del gruppo di pressione israeliano.
Ciò che a prima vista sembrava un gesto diplomatico di solidarietà ha rivelato un allineamento strategico più profondo, che colloca Taiwan non solo più vicina al regime israeliano, ma anche saldamente all’interno dell’architettura geopolitica del piano di Washington per l’Asia occidentale e l’Indo-Pacifico.
“Mentre approfondiamo le partnership strategiche, investiamo in tecnologie avanzate e miglioriamo le nostre capacità di difesa, auspichiamo una più stretta cooperazione tra Taiwan, Stati Uniti e Israele in materia di sicurezza, commercio e altro ancora, promuovendo la pace attraverso lo Stretto di Taiwan”, ha affermato Lai in una dichiarazione pubblicata su X, precedentemente Twitter.
Il discorso di Lai, pur formulato nel linguaggio della democrazia e dei valori condivisi, ha sottolineato come la leadership di Taiwan stia modellando sempre più le proprie politiche sulla postura militarizzata di Israele e sulla dipendenza dal sostegno americano, palese e occulto.I parallelismi non sono casuali: sono coltivati.
Un nuovo capitolo di un vecchio copione
Le dichiarazioni di Lai sono arrivate pochi giorni dopo che Taipei aveva annunciato lo sviluppo del suo cosiddetto sistema di difesa aerea “T-Dome”, un ambizioso progetto ispirato al tanto pubblicizzato Iron Dome israeliano.
Dietro le quinte, ingegneri e consiglieri militari israeliani avrebbero contribuito a definire l’architettura del sistema, con l’approvazione di Washington.
La cooperazione è stata pubblicamente descritta come “scambio di tecnologie civili”, ma gli addetti ai lavori militari hanno da tempo riconosciuto che la partnership si estende all’integrazione radar, ai sistemi di intercettazione missilistica e persino agli algoritmi di intelligence.
Per Taiwan, adottare il modello militare israeliano ha un chiaro valore simbolico e pratico.Trasmette un’immagine di autosufficienza e deterrenza, consolidando al contempo i legami militari con Washington attraverso un alleato intermediario.
Per il regime israeliano, questa partnership rafforza il suo ruolo di esportatore militare globale e approfondisce la sua influenza nell’Asia orientale.Per gli Stati Uniti, invece, il nesso Taiwan-Israele offre un canale unico per sostenere la pressione sulla Cina, pur mantenendo una plausibile negazione.
Le autorità cinesi si sono affrettati a condannare l’iniziativa T-Dome, accusando Taipei di “cercare l’indipendenza con la forza” e avvertendo che emulare il modello militarizzato israeliano non avrebbe fatto altro che aumentare l’instabilità nella regione.
La frustrazione di Pechino riflette non solo le implicazioni militari del progetto, ma anche il messaggio politico in esso contenuto: Taiwan, allineandosi al regime sionista e alla rete di lobbying globale dell’AIPAC, sta scegliendo la strada dello scontro anziché del dialogo.
Dagli scambi clandestini all’allineamento strategico
Sebbene spesso descritta come un’alleanza emergente, la cooperazione tra Taiwan e il regime israeliano ha radici che risalgono ad almeno cinque decenni fa.
Negli anni ’70, entrambe le parti si ritrovarono diplomaticamente isolate: Taiwan dopo aver perso il suo seggio alle Nazioni Unite a favore di Pechino, e l’entità sionista in seguito alla diffusa condanna guidata dagli arabi in seguito alla guerra del 1967.
Le due entità “paria” decisero quindi di collaborare, seppur segretamente.
Gli israeliani fornirono a Taiwan tecnologia missilistica e competenze di intelligence derivate dagli Stati Uniti, mentre Taiwan offrì risorse finanziarie e discrezione politica al regime di Tel Aviv.
Questa relazione segreta ha permesso a Washington di esternalizzare trasferimenti di armi sensibili a Tel Aviv, aggirando le restrizioni sull’assistenza militare diretta degli Stati Uniti a Taipei.
Nel corso degli anni ’80 e ’90, i tecnici israeliani addestrarono ufficiali taiwanesi, condivisero sistemi di guerra elettronica e contribuirono a modernizzare l’arsenale missilistico di Taiwan.
Negli anni 2000, con l’espansione dell’influenza globale della Cina, questi legami si sono spostati da una palese cooperazione militare a forme più sottili di condivisione di tecnologie e intelligence.
Le aziende israeliane si sono inserite nei crescenti settori militare e dei semiconduttori di Taiwan, offrendo competenze in materia di sicurezza informatica, monitoraggio satellitare e tecnologie dei droni.
Questi scambi, sebbene tecnicamente “civili”, sono stati progettati con applicazioni a duplice uso, adatte sia allo sviluppo industriale che alla guerra.
Oggi, il discorso strategico di Taiwan riecheggia la narrativa militare israeliana, che attrae il pubblico occidentale e maschera la dipendenza che entrambi mantengono dal patrocinio politico e militare degli Stati Uniti.
La connessione dell’AIPAC: il ponte di Washington tra due fronti
Al centro di questa dinamica triangolare c’è l’AIPAC, una delle lobby israeliane più influenti a Washington, che da tempo plasma la politica americana nella regione dell’Asia occidentale.
Negli ultimi anni, il famigerato gruppo di pressione ha ampliato il suo raggio d’azione, identificando Taiwan come una “democrazia affine” che si trova ad affrontare una lotta esistenziale simile.
Secondo fonti interne, la partecipazione di Lai alla cena AIPAC di Taipei nell’ottobre 2025 è stata più di una semplice cerimonia.Ha segnato l’ingresso formale di Taiwan nell’orbita della politica interna statunitense attraverso una lobby la cui influenza si estende dal Congresso al Pentagono.
La delegazione dell’AIPAC di oltre 200 membri a Taiwan, la più numerosa della sua storia, ha sottolineato questo corteggiamento strategico.Secondo alcune fonti, sono stati trattati come ospiti di stato, con il massimo rispetto del protocollo.
Per i falchi di Washington, questo allineamento trilaterale ha un duplice scopo.A livello nazionale, unisce gli elettori filo-israeliani e filo-taiwanesi sotto la bandiera ideologica condivisa di “democrazia contro autoritarismo”.
Dal punto di vista geopolitico, crea una rete di alleati sostenuti dagli Stati Uniti, posizionati alle estremità opposte dell’Eurasia, ognuno dei quali agisce come punto di pressione contro i due principali avversari di Washington: l’Iran e la Cina.
Il ruolo crescente dell’AIPAC in questo contesto dimostra come i meccanismi di lobbying concepiti per la politica dell’Asia occidentale vengano riadattati al teatro indo-pacifico.
Mettendo in contatto la leadership del Partito Democratico Progressista (DPP) di Taiwan con i legislatori e i donatori statunitensi, l’AIPAC cerca di facilitare non solo la vendita di armi e la cooperazione militare, ma anche l’allineamento ideologico tra i due schieramenti.
La retorica dei “valori condivisi” diventa la giustificazione morale della militarizzazione, mentre i contractor militari statunitensi traggono silenziosamente vantaggio dai nuovi canali di approvvigionamento.
Tuttavia, l’alleanza tra Israele e Taiwan è profondamente impopolare a Taiwan, dove la gente ha organizzato regolarmente proteste contro il genocidio israelo-americano a Gaza.
In un’intervista rilasciata al sito web Press TV, Nury Vittachi, giornalista, autore e commentatore politico di Hong Kong, ha affermato che persone di ogni orientamento politico si stanno rendendo conto che schierarsi con “le persone più criticate sulla terra è una cattiva idea”.
“Molti hanno detto a Lai di ‘fare attenzione'”, ha detto, riferendosi all’incontro di Lai con la delegazione dell’AIPAC.
Aiuti, apartheid e la questione della legittimità
Sebbene Taipei dipinga pubblicamente il suo rapporto con il regime israeliano come radicato nello scambio umanitario e tecnologico, la realtà è più preoccupante, come dimostrano i fatti.
All’inizio del 2025, l’ufficio di rappresentanza di Taiwan presso l’entità sionista ha effettuato una donazione pubblica a un centro medico situato nell’insediamento israeliano illegale di Sha’ar Binyamin, nella Cisgiordania occupata.
Questo atto, il primo del suo genere da parte di un governo straniero dal 2023, ha di fatto posto Taiwan in violazione del diritto internazionale.
Finanziando infrastrutture all’interno di un insediamento illegale, Taipei non solo ha fornito un sostegno materiale all’occupazione israeliana, ma ha anche minato le sue stesse pretese di essere un attore globale responsabile.
Il diritto internazionale è inequivocabile: la creazione e l’espansione di insediamenti israeliani nei territori occupati costituiscono un crimine di guerra ai sensi della Quarta Convenzione di Ginevra.
La Corte internazionale di giustizia lo ha ribadito nel 2024, stabilendo che tutti gli Stati sono obbligati a non riconoscere né a contribuire al mantenimento della presenza illegale di Israele nella Cisgiordania occupata.
Ignorando questo principio, Taiwan ha messo a nudo la contraddizione al centro della sua politica estera: promuovere la cosiddetta “libertà e democrazia” all’estero, mentre in patria sostiene un sistema di apartheid.
La donazione, sebbene presentata come aiuto umanitario, ha svolto una funzione politica: segnalare la propria lealtà al regime israeliano e, per estensione, al più ampio disegno geopolitico di Washington.
Pechino si è affrettata a smascherare l’ipocrisia, sottolineando che la “diplomazia umanitaria” di Taipei era un’estensione del complotto statunitense per provocare uno scontro con la Cina sotto le mentite spoglie della solidarietà morale.
Anche a Taiwan la gente è scesa in piazza a luglio quando Israel Ganz, capo del Consiglio Yesha, un gruppo ombrello che rappresenta gli insediamenti illegali israeliani, ha affermato che la rappresentante di Taiwan a Tel Aviv, Abby Lee, aveva promesso sostegno al Nanasi Medical Center.
I manifestanti si sono radunati davanti al Ministero degli Esteri di Taiwan, battendo pentole e ricoprendo di banconote finte, macchiate di rosso, le bandiere israeliana e taiwanese, per simboleggiare lo spargimento di sangue a Gaza.
“Taiwan ama dire ‘Taiwan può aiutare'”, ha detto ai manifestanti l’attivista Aurora Chang.”Ma in questo momento stiamo aiutando uno stato genocida”.
La mano invisibile di Washington
Dietro le relazioni tra Taiwan e Israele si cela il costante patrocinio degli Stati Uniti.
Per decenni Washington ha utilizzato il regime israeliano come intermediario per trasferire tecnologie militari e nucleari sensibili a partner e alleati che ufficialmente non può armare.
Questa “diplomazia triangolare” consente agli Stati Uniti di sostenere una plausibile negazione rafforzando al contempo i propri punti d’appoggio strategici in tutto il mondo, compresi quelli in questa regione.
Nell’Indo-Pacifico, questo approccio si manifesta nel ruolo di Israele come fornitore intermediario dell’industria militare di Taiwan.Condividendo sistemi radar e missilistici con Taipei sotto etichetta “civile”, Tel Aviv soddisfa gli obiettivi statunitensi senza innescare crisi diplomatiche dirette.
In cambio, Taiwan accresce la sua dipendenza dalle reti militari americane, assicurandosi così un’influenza continua sulle sue decisioni politiche.
Questo schema rispecchia la politica statunitense nell’Asia occidentale: dare agli alleati più piccoli il potere di agire come esecutori regionali, mantenendo al contempo il controllo finale sulle loro risorse militari ed economiche.
Il pericolo, tuttavia, è che questa architettura generi instabilità. Proprio come la militarizzazione israeliana ha consolidato l’occupazione e l’apartheid nella regione, l’emulazione di quel modello da parte di Taiwan rischia di esacerbare le tensioni nello Stretto di Taiwan – un punto critico che potrebbe innescare uno scontro ben più ampio, affermano gli esperti.
Oltre alle forniture militari segrete, esistono anche partnership aperte tra Taiwan e aziende militari occidentali, come Northrop Grumman, AeroVironment e Shield AI, incentrate sulla difesa missilistica e sulle tecnologie autonome, volte a provocare la Cina.
Provocare la Cina per procura
Dal punto di vista di Pechino, la crescente convergenza tra Taiwan, il regime israeliano e gli Stati Uniti non è semplicemente simbolica: è una provocazione calcolata, ritengono gli osservatori.
Allineandosi all’AIPAC e abbracciando la dottrina militare israeliana, ampiamente dimostrata a Gaza e in Libano, Taipei si posiziona come partecipante alla strategia di contenimento di Washington.
Ogni progetto militare congiunto, ogni gesto pubblico di solidarietà e ogni scambio ad alto livello contribuiscono alla percezione di una coalizione anti-Cina emergente.
L’esercito cinese e il ministero degli Esteri hanno ripetutamente condannato le forniture di armi degli Stati Uniti a Taiwan, affermando che “violano gravemente” il principio di una sola Cina e i tre comunicati sino-americani armando Taiwan.
In una dichiarazione di aprile, l’esercito cinese ha affermato che le vendite di armi statunitensi a Taiwan “non possono cambiare la situazione relativa alla forza militare attraverso lo Stretto di Taiwan, e tanto meno impedire la riunificazione della Cina”, e ha ribadito gli sforzi per “stroncare l’indipendenza di Taiwan e i tentativi di interferenza esterna”.
“Ci opponiamo fermamente e condanniamo fermamente l’assistenza militare e le vendite di armi degli Stati Uniti alla regione cinese di Taiwan e abbiamo presentato solenni dichiarazioni alla parte statunitense”, ha affermato un portavoce del ministero della Difesa cinese nel dicembre 2024.
Tuttavia, per i decisori politici statunitensi, questo risultato è strategico.Inquadrando la militarizzazione di Taiwan come un atto di autodifesa e di allineamento morale con il regime israeliano, Washington può dipingere qualsiasi risposta cinese come un’aggressione alla cosiddetta “democrazia”.
La realtà, tuttavia, è che queste politiche servono a consolidare la divisione e a giustificare la continua militarizzazione dell’Asia.
Gli avvertimenti della Cina secondo cui Taiwan sta “cercando l’indipendenza con la forza” riflettono quindi più di una rabbia retorica;evidenziano le conseguenze strutturali di un sistema in cui le potenze esterne sfruttano gli attori locali per ottenere una leva globale, notano gli osservatori.
Il miraggio dei valori condivisi
Il discorso del Presidente Lai alla cena dell’AIPAC è stato concepito per suscitare applausi, invocando i valori di libertà, resilienza e stato di diritto.Eppure, dietro il linguaggio raffinato, si cela una storia più profonda: quella di una piccola isola diventata asservita a Washington e Tel Aviv.
Allineandosi al regime israeliano e alle reti di lobby statunitensi che sostengono l’influenza di Tel Aviv, Taiwan ha scelto di replicare non solo la posizione militare israeliana, ma anche la sua dipendenza e il suo isolamento.
Ciò che viene definito “pace attraverso la forza” rischia di trasformarsi in un’insicurezza permanente, guidata non da esigenze locali ma dal calcolo globale di Washington, avvertono gli esperti.
La visita della delegazione dell’AIPAC a Taiwan è avvenuta un mese dopo che una delegazione guidata da Boaz Toporovsky, presidente del gruppo di amicizia parlamentare Israele-Taiwan, aveva incontrato il presidente taiwanese.
Toporovsky portava con sé una dichiarazione congiunta a sostegno della partecipazione internazionale di Taiwan, firmata da 72 membri della Knesset. Sembrava una ricompensa per il ferreo sostegno di Taiwan al regime israeliano nella sua guerra genocida contro Gaza, che ha causato quasi 70.000 vittime in oltre due anni.
“Ci auguriamo che l’AIPAC presti a Taiwan un sostegno e un’assistenza ancora maggiori in questa questione”, ha detto Lai alla delegazione dell’AIPAC in visita il 27 ottobre, riferendosi all’acquisizione delle armi e della tecnologia necessarie.
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