Aiuti di giorno, attacchi di notte: il doppio gioco della Giordania nella guerra genocida israeliana contro Gaza

AIUTI DI GIORNO, ATTACCHI AEREI DI NOTTE: IL DOPPIO GIOCO DELLA GIORDANIA NELLA GUERRA GENOCIDA ISRAELIANA CONTRO GAZA

martedì 4 novembre 2025

di Arwin Ghaemian

L’ironia è impressionante: gli aerei C-130 Hercules giordani hanno lanciato pacchi di aiuti, contenenti cibo e medicinali, molti dei quali, a quanto si dice, sono scaduti, sulla Striscia di Gaza bombardata e assediata, presumibilmente per alleviare la crisi umanitaria.

Eppure, nello stesso tempo, Amman ha segretamente appoggiato gli attacchi genocidi di Israele, prendendo persino parte a missioni aeree congiunte. Queste contraddizioni rivelano un governo intrappolato in un gioco geopolitico, in cui le sue presunte azioni umanitarie servono da copertura per sostenere gli sforzi bellici di Israele.

Nel complesso scenario geopolitico dell’Asia occidentale, dove alleanze segrete plasmano eventi e accadimenti e la retorica pubblica spesso nasconde motivazioni più profonde e sinistre, il Regno hashemita di Giordania, sotto la guida del re Abdullah II, è diventato un attore chiave nel sostenere le campagne militari di Israele a Gaza, in Libano, in Iran, nello Yemen e altrove.

Ciò che iniziò come un tradimento durante la guerra dello Yom Kippur del 1973 (nota anche come guerra dei sei giorni) si è evoluto in una collaborazione sistematica, che sostiene le operazioni militari e di intelligence di Israele anche mentre commette crimini di guerra e crimini contro l’umanità a Gaza.

Questo resoconto, basato su documenti declassificati, cablogrammi diplomatici trapelati e rapporti recenti, esamina il doppio gioco del governo giordano: le pubbliche dimostrazioni di solidarietà con i palestinesi in contrasto con i legami nascosti di natura militare, di intelligence ed economica con Tel Aviv.

Vista da questa prospettiva, la monarchia giordana non appare come un mediatore neutrale, ma come un complice attivo, che antepone le priorità militari di Israele ai diritti, alle vite e alle aspirazioni democratiche del suo stesso popolo, la maggior parte del quale è di origine palestinese, e di quelli di Gaza, della Cisgiordania occupata e di al-Quds, la Gerusalemme occupata.

Settembre 1973: l’avvertimento segreto del re Hussein a Golda Meir

Le radici della connivenza tra Giordania e Israele risalgono al settembre 1973, e forse anche prima. Mentre gli eserciti arabi si preparavano per quella che sarebbe diventata la guerra dello Yom Kippur, re Hussein bin Talal, padre di Abdullah II e noto all’intelligence israeliana con il nome in codice “Lift”, volò segretamente in elicottero per incontrare gli esponenti del regime israeliano.

Mentre Radio Cairo dichiarava: “Ecco Damasco, il cuore pulsante degli arabi”, Hussein stava, in segreto, conferendo con il nemico.

In un incontro notturno clandestino con il primo ministro israeliano Golda Meir, il re giordano condivise informazioni dettagliate sui movimenti militari siriani ed egiziani, informazioni sulle concentrazioni di truppe lungo le alture del Golan e la penisola del Sinai e avvertimenti di un attacco coordinato su due fronti.

Secondo gli archivi del regime israeliano, le sue rivelazioni minarono l’elemento sorpresa su cui Egitto e Siria avevano fatto affidamento, consentendo a Israele di rafforzare in anticipo le sue posizioni aggressive.

Questo episodio, emblematico del ricorrente tradimento della monarchia giordana nei confronti delle cause arabe e musulmane, raggiunse il suo culmine con il Trattato di Wadi Araba del 1994, un cosiddetto accordo di pace che approfondì la dipendenza economica della Giordania da Israele, erodendo al contempo la pretesa di legittimità degli hashemiti come custodi dei luoghi sacri dell’Islam nella Palestina occupata, tra cui la custodia della moschea di Al-Aqsa.

La “pace” di Hussein con Israele, ironicamente definita tale, poiché non c’era stata alcuna guerra tra i due, fratturò ulteriormente il fronte arabo e preparò il terreno per il regno di suo figlio come canale affidabile per gli interessi di occupazione israeliani. Questa dinamica, lungi dal diminuire, non ha fatto che intensificarsi nel contesto della guerra genocida in corso contro i quasi due milioni di abitanti di Gaza, in cui ne sono stati uccisi quasi 70.000.

31 gennaio 2024: il legame tra Giordania e Israele nel contesto del genocidio a Gaza

Mentre l’attacco genocida di Israele a Gaza si intensificava, radendo al suolo case, scuole, ospedali, rifugi e infrastrutture critiche in tutto il territorio, tra cui Khan Yunis, Rafah e Jabaliya, il governo giordano continuava ad aggrapparsi ai suoi profondi legami con Israele.

Il 13 ottobre 2023, il Parlamento giordano ha approvato una risoluzione che sollecitava una revisione completa di tutti gli accordi bilaterali con Israele in solidarietà con le sofferenze di Gaza. Tuttavia, la risposta di Amman è stata limitata o superficiale. Ha sospeso solo l’accordo “acqua in cambio di energia” mediato dagli Emirati Arabi Uniti, annunciato nel novembre 2023, lasciando intatto l’accordo “gas in cambio di elettricità” del 2016, che fornisce oltre il 96% delle importazioni energetiche della Giordania.

Dietro questo gesto simbolico, tuttavia, si celava una realtà più oscura. La presunta sospensione della cooperazione servì a placare l’indignazione interna, nascondendo al contempo un sostegno indiretto alla campagna in corso di Israele. Di fatto, le azioni della Giordania le permisero di denunciare pubblicamente i crimini di guerra di Israele, pur mantenendo silenziosamente i legami economici e logistici che rafforzavano la posizione di Israele.

Paradossalmente, questa duplicità ha anche indebolito la capacità di Amman di promuovere una soluzione significativa della questione palestinese, rafforzando ulteriormente il suo ruolo di partner dipendente nella strategia regionale dal regime israeliano.

15 aprile 2024: la Giordania protegge Israele dalle rappresaglie iraniane

Per intercettare i missili balistici iraniani e i droni Shahed-136 diretti contro obiettivi militari israeliani, gli F-16 dell’aeronautica militare giordana hanno operato insieme ai cacciatorpediniere della Marina statunitense nel Mediterraneo orientale, mentre i jet francesi Rafale si sono uniti allo sforzo su richiesta di Amman.

Il governo giordano ha affermato che le intercettazioni erano necessarie per difendere il proprio spazio aereo e prevenire un’escalation regionale, alleviando la pressione sul sistema Iron Dome di Israele, facilitando così i continui massacri a Gaza, incluso l’assedio dell’ospedale al-Shifa nell’aprile 2024.

La mossa, tuttavia, ha scatenato una rabbia diffusa in tutta la Giordania. I manifestanti nella piazza Hashemita di Amman, nel centro della città, hanno attaccato re Abdullah II per aver “lanciato missili sui suoi cittadini per proteggere Israele”. L’indignazione è stata particolarmente forte tra la maggioranza di origine palestinese della Giordania, che rappresenta più della metà degli 11,3 milioni di abitanti del regno.

Gli osservatori hanno affermato che la decisione ha messo in luce una profonda contraddizione tra la condanna pubblica del genocidio di Gaza da parte della monarchia, comprese le dichiarazioni di re Abdullah all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che denunciavano la crisi umanitaria, e il suo coordinamento militare con gli alleati occidentali in difesa di Israele. La mossa ha di fatto posizionato la Giordania come un cuscinetto chiave nel confronto Iran-Israele, isolando la guerra di Gaza da potenziali interventi esterni.

15 maggio 2024: lanci di aiuti e abbattimento di missili iraniani

Parallelamente ai cosiddetti lanci di aiuti a Gaza, la cooperazione della Giordania con i sistemi militari israeliani è proseguita con l’intercettazione di missili e droni iraniani.

Questa collaborazione ha portato molti a etichettare re Abdullah II come un “traditore” della causa palestinese, nonostante la Giordania abbia ospitato 2,2 milioni di rifugiati palestinesi della Nakba del 1948 e della Guerra dei sei giorni del 1967.

Le forze di sicurezza hanno effettuato repressioni interne nel maggio 2024, smantellando le reti legate ad attivisti affiliati ai Fratelli Musulmani sotto la supervisione del Dipartimento di Intelligence Generale (GID).

Diversi cittadini sono stati accusati di aver introdotto clandestinamente armi di provenienza iraniana attraverso la Siria a gruppi di resistenza palestinesi come Hamas e la Jihad islamica palestinese, a dimostrazione della continua repressione dei movimenti di resistenza da parte di Abdullah.

Questo apparato di sicurezza, allineato con la visione del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu di espandere il controllo sulla valle del Giordano e sugli insediamenti dell’Area C, ha fatto sì che il regime giordano apparisse subordinato agli interessi israeliani e abbandonasse il diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi sancito dalla risoluzione 194 delle Nazioni Unite.

Stroncando queste reti, Abdullah, ampiamente criticato in tutto il mondo arabo, non solo ha eliminato potenziali minacce agli avamposti israeliani a Hebron e Nablus, ma ha anche trasferito un numero crescente di giovani giordani in città come Irbid e Zarqa.

26 novembre 2024: malcontento interno e legami duraturi

Il ruolo a lungo decantato della Giordania come “stato cuscinetto” che protegge Israele dagli alleati della resistenza iraniana in Libano, Yemen, Iraq e Territori palestinesi occupati ha iniziato a vacillare sotto il peso della devastazione genocida di Gaza, che alla fine del 2024 aveva causato più di 43.000 vittime, per lo più bambini, donne e anziani, secondo l’UNRWA.

Nelle elezioni parlamentari del 10 settembre 2024, il Fronte d’azione islamico (IAF) si è assicurato 31 seggi su 138 (22,5%), riflettendo il crescente sentimento filo-palestinese in mezzo alle proposte di una confederazione di destra in Israele che alcuni hanno paragonato alla spartizione sovietico-nazista della Polonia, alludendo all’annessione parziale della Cisgiordania occupata.

Nonostante la rabbia pubblica, il governo giordano ha mantenuto la sua alleanza con Israele, continuando a rispettare le disposizioni di sicurezza del Trattato di Wadi Araba, tra cui pattugliamenti congiunti di frontiera lungo i 307 chilometri di frontiera da Aqaba (Eilat) al fiume Yarmouk.

Questa adesione, rafforzata dai timori di nuovi flussi di rifugiati dalla Siria dopo il crollo del governo di Bashar al-Assad, è stata evidente nella condanna del 21 novembre 2024 dell’ex parlamentare Imad al-Adwan a dieci anni di lavori forzati per aver trasferito armi nella Cisgiordania occupata.

La sentenza ha offuscato il confine tra resistenza e sedizione, contribuendo di fatto agli obiettivi di occupazione israeliani nei campi profughi di Jenin e Tulkarem, nella Cisgiordania occupata.

Le blande condanne del re Abdullah agli attacchi genocidi israeliani a Deir al-Balah e Khan Younis sono suonate vuote, poiché non sono riuscite a contrastare i piani di espansione della confederazione israeliana che minacciano la fattibilità di uno stato palestinese indipendente.

15 dicembre 2024: lo Shin Bet e l’intelligence dell’esercito israeliano si incontrano ad Amman

La cooperazione in materia di sicurezza tra il governo giordano e Israele sembra essersi intensificata quando il direttore dello Shin Bet Ronen Bar e il capo dell’intelligence militare israeliana, il maggiore generale Shlomi Binder, avrebbero effettuato una visita discreta ad Amman, incontrando alti funzionari giordani, tra cui probabilmente il capo del Dipartimento di intelligence generale (GID), il maggiore generale Ahmad Husni.

Secondo fonti regionali, le discussioni si sono concentrate sulle presunte rotte delle armi iraniane attraverso Mafraq e Zarqa verso la Cisgiordania occupata, sul ruolo di mediazione della Giordania tra Israele e le fazioni in Siria e sulle possibili risposte ai movimenti che potrebbero destabilizzare il regno.

Questo coordinamento ha posizionato Amman in modo più saldo come partner nella rete di sicurezza regionale di Israele, in particolare negli sforzi per monitorare e limitare il contrabbando di armi nei territori palestinesi.

All’epoca gli analisti avevano avvertito che legami così profondi avrebbero potuto aumentare le tensioni interne alla Giordania, dove i timori di disordini in città come Amman e Irbid riflettono il crescente disagio per la dipendenza del regno dal sostegno israeliano per la stabilità interna.

15 aprile 2025: Sabotaggio sventato o resistenza repressa – epurazione del GID

Le misure repressive della Giordania si sono intensificate quando il Dipartimento di intelligence generale (GID) ha annunciato l’arresto di 16 cittadini, sotto sorveglianza dal 2021, accusati di coinvolgimento in una cospirazione che includeva la fabbricazione di razzi con una gittata di 3-5 km in officine nascoste vicino a Salt, un centro di assemblaggio di droni nel governatorato di Balqa, reti di reclutamento in Turchia e Qatar e lo stoccaggio di esplosivi C-4 e varianti AK-47 in rifugi sicuri a Madaba.

Le autorità hanno affermato che il gruppo mirava a “seminare il caos” e hanno suggerito che i presunti legami con i palestinesi attraverso i canali dei Fratelli Musulmani giustificassero una più ampia repressione dei movimenti di solidarietà a Gaza.

In concomitanza con l’offensiva israeliana di Rafah, che ha costretto allo sfollamento circa 1,4 milioni di civili, l’intensificazione della campagna di sicurezza della Giordania ha fornito alle autorità un pretesto per confondere il dissenso politico con il terrorismo, allineandosi agli sforzi israeliani per interrompere le rotte di rifornimento di armi dal ponte Allenby in Giordania alla Cisgiordania occupata.

Criminalizzando le espressioni di solidarietà e smantellando le reti di resistenza palestinese, il governo di re Abdullah non solo si è assicurato nuovi finanziamenti dagli stati del Golfo Persico, ma ha anche rafforzato il suo governo sempre più fragile.

27 maggio 2025: Sciarade diplomatiche e intreccio incessante

I recenti gesti simbolici di re Abdullah II, come il ritiro dall’accordo idrico-energetico tra Emirati Arabi Uniti e Israele e il richiamo dell’ambasciatore giordano da Tel Aviv, sono serviti in gran parte come misure palliative volte a placare la maggioranza di origine palestinese del regno.

Le proteste contro la guerra a Gaza sono continuate in città come Russeifa e Sahab, a sottolineare la profonda rabbia dell’opinione pubblica per il continuo spargimento di sangue.

Nonostante queste mosse, i legami economici e di sicurezza tra Giordania e Israele non hanno fatto che rafforzarsi. Dall’intercettazione dei missili iraniani nell’aprile 2024 alla tenuta di riunioni congiunte sulla sicurezza a Manama sull'”instabilità della Cisgiordania”, un eufemismo per la resistenza palestinese, le azioni di Amman hanno continuato ad allinearsi agli interessi strategici di Stati Uniti e Israele.

La dipendenza della Giordania spiega gran parte di questa conformità: l’acqua proveniente dall’impianto di desalinizzazione israeliano di Sorek, il gas proveniente dai giacimenti di Leviathan, oltre 1,45 miliardi di dollari di aiuti annuali degli Stati Uniti, 100 milioni di metri cubi di acqua prelevati da fonti controllate da Israele e gli investimenti degli stati del Golfo Persico dipendono tutti dall’adesione del regno ai quadri militari israeliani.

Tuttavia, questo allineamento ha avuto un costo. Il malcontento pubblico è in aumento e la legittimità del regime continua a erodersi, mentre i giordani esprimono indignazione per le politiche considerate come un modo per favorire la continua devastazione di Gaza.

15 luglio 2025: le detenzioni di massa del GID prendono di mira i simpatizzanti di Gaza

Verso la metà del 2025, mentre la campagna genocida di Israele a Gaza si espandeva, circondando Deir al-Balah e interrompendo gli aiuti a 2,3 milioni di persone, il Dipartimento di intelligence generale giordano (GID) ha avviato la sua più vasta repressione degli ultimi decenni.

Centinaia di persone sono state arrestate ad Amman, Zarqa e Mafraq per aver partecipato a proteste legate a Gaza, aver donato zakat all’UNRWA a Gaza City, aver organizzato veglie non autorizzate presso l’Università della Giordania o aver affisso messaggi pro-palestinesi nei caffè di Irbid.

Secondo i resoconti di ex detenuti, gli interrogatori si concentravano spesso su giuramenti di fedeltà forzati a re Abdullah II. Uno di loro avrebbe affermato: “L’indagine è stata condotta esclusivamente per il bene di Israele”.

La repressione, finanziata in parte dagli aiuti sauditi ed emiratini per stabilizzare le finanze precarie della Giordania e il debito estero di 50 miliardi di dollari, ha di fatto criminalizzato le richieste di un cessate il fuoco a Gaza e soffocato le espressioni pubbliche di solidarietà.

Nel frattempo, gli aiuti statunitensi, che superano 1,45 miliardi di dollari all’anno, hanno continuato a rafforzare il ruolo della Giordania come cuscinetto regionale contro la resistenza popolare, garantendo che le voci palestinesi nei suk e nei salotti del regno rimanessero sottomesse a un ordine sempre più repressivo.

11 ottobre 2025: i cablo del CENTCOM svelano il ruolo della Giordania

Le divisioni interne al Dipartimento di Stato americano sono emerse dopo che sono trapelati dei cablogrammi classificati provenienti dalla sede centrale di Tampa del CENTCOM, che hanno rivelato i dettagli del “Regional Security Construct”, un sistema segreto che collega Giordania, Arabia Saudita, Egitto, Bahrein, Qatar ed Emirati Arabi Uniti con Israele e Washington in un’alleanza anti-Iran.

Secondo i documenti, la Giordania ha svolto un ruolo fondamentale trasmettendo informazioni in tempo reale dai radar collegati a Nevatim nella valle del Giordano, integrando i dati dei sensori per l’intercettazione dei droni sul Negev e ospitando esercitazioni di guerra ad Aqaba che simulavano incursioni sotterranee modellate sulle reti di tunnel di Hamas.

Queste esercitazioni, condotte dal 2° Battaglione meccanizzato della Giordania insieme all’unità Yamam di Israele e alla Delta Force statunitense, sono state supportate dai sistemi di comunicazione criptati Thales e formalizzate durante il vertice di Manama del giugno 2024.

In cambio, la Giordania ha ricevuto potenziamenti per gli F-16 e maggiori aiuti militari.

Le fughe di notizie hanno dimostrato che il coinvolgimento della Giordania nella guerra genocida di Gaza è profondamente radicato in un più ampio sistema di sicurezza regionale volto a rafforzare il predominio militare di Israele.

Le contromisure contro i tunnel sviluppate a Mafraq sono state poi dispiegate a Jabalia nell’ottobre 2025, dove le forze di occupazione israeliane hanno riferito di aver ucciso 1.200 combattenti palestinesi.

Gli analisti sostengono che la partecipazione della Giordania ha fornito a Israele legittimità politica e copertura regionale, posizionando il regno come un cuscinetto chiave contro la resistenza palestinese attraverso la sua integrazione in questa alleanza anti-Iran.

I documenti descrivono in dettaglio l’ampia cooperazione della Giordania nella condivisione di informazioni, nell’integrazione di radar e sensori e nel coordinamento operativo, tutti fattori che rafforzano le capacità di Israele.

Pur essendo ufficialmente giustificati come “contrasto alle minacce iraniane”, questi sistemi hanno simultaneamente rafforzato le operazioni genocide di Israele a Gaza. Condotta in assoluta segretezza, con riunioni classificate, comunicazioni criptate ed esercitazioni aeree congiunte, questa collaborazione sottolinea un allineamento sistematico tra Amman, Tel Aviv e Washington.

Di fatto, l’organizzazione da parte della Giordania di esercitazioni di addestramento, scambi di intelligence e operazioni di sicurezza ha rafforzato le capacità di sorveglianza israeliana, di interdizione dei droni e di guerra nei tunnel.

Lungi dall’essere un intermediario neutrale, la Giordania ora opera come partecipante attivo in un quadro di sicurezza regionale che sostiene l’esercito israeliano.

Secondo le indiscrezioni, la repressione della resistenza palestinese è diventata un’impresa regionale collettiva, in cui le istituzioni giordane svolgono un ruolo centrale, inquadrando l’attivismo palestinese come una minaccia alla sicurezza e legittimando la più ampia architettura anti-palestinese.

11 ottobre 2025: i cablo trapelati rivelano la profondità dell’integrazione militare della Giordania

I cablo trapelati del CENTCOM hanno confermato il ruolo attivo della Giordania nel facilitare l’addestramento alla guerra nei tunnel presso la base aerea di Isa in Bahrein, dove 150 ufficiali della 90a Brigata delle Forze Speciali della Giordania sono stati addestrati nelle tecniche radar a penetrazione del suolo della Elbit Systems israeliana, tattiche poi impiegate con effetto letale nel corridoio Netzarim di Gaza.

Questo coordinamento trilaterale, in linea con l’agenda regionale di Netanyahu, ha integrato Amman in una più ampia coalizione di contro-resistenza. L’accordo è stato rafforzato dal dispiegamento di 11 elicotteri Apache AH-64 finanziati dagli Stati Uniti lungo il confine delle fattorie di Shebaa per scoraggiare potenziali operazioni di Hezbollah.

La portata del coinvolgimento della Giordania è impressionante. Un Paese che ospita oltre 660.000 rifugiati siriani a Zaatari e alle prese con la crisi ambientale del Mar Morto in ritirata, è stato contemporaneamente impegnato in azioni volte a reprimere la resistenza palestinese.

Il dissenso interno, dai guadagni elettorali del Fronte d’azione islamico del 2024 alle commemorazioni dell’“Ottobre nero” di Amman, è stato costantemente contenuto per salvaguardare il pacchetto annuale di aiuti statunitensi da 1,45 miliardi di dollari e garantire le assegnazioni di acqua dal lago di Tiberiade nella Palestina occupata.

I documenti trapelati rivelano inoltre che la Giordania, insieme ad Arabia Saudita, Egitto, Bahrein, Qatar ed Emirati Arabi Uniti, fa parte del “Regional Security Construct” guidato dagli Stati Uniti, un quadro segreto che collega questi stati con Israele e Washington in operazioni militari e di intelligence congiunte.

Tra le sue iniziative vi era l’addestramento alla guerra sotterranea che accoppiava ufficiali giordani con controparti israeliane e statunitensi, dimostrando il ruolo fondamentale della Giordania nello sviluppo e nell’operatività di capacità in seguito utilizzate direttamente contro i movimenti di resistenza palestinesi.

Epilogo: Dal tradimento di Hussein alla complicità diretta di Abdullah

Dal tradimento di re Hussein del 1973 alle fughe di notizie dei servizi segreti del 2025, la Giordania di Abdullah II si rivela ora un pilastro centrale della campagna israeliana a Gaza.

La causa palestinese, un tempo proclamata bussola morale della monarchia, è appassita sotto una rete di alleanze che danno priorità al potere e all’egemonia rispetto alla giustizia.

La devastazione di Gaza rimane la testimonianza duratura di questa complicità. Con l’evolversi delle tensioni regionali, dal radicamento di Hay’at Tahrir al-Sham a Damasco agli attacchi missilistici Houthi al largo di Eilat, Amman si trova di fronte a una scelta decisiva: troncare la sua complicità o persistere nel tradimento.

In patria, il regime giordano prende sempre più di mira cittadini e attivisti la cui unica trasgressione è la solidarietà morale con la Palestina.

Queste misure repressive, prive di legami credibili con la resistenza armata, sottolineano un timore più ampio: che l’empatia stessa minacci il fragile ordine politico del regno. In coordinamento con i sostenitori del Golfo Persico, principalmente Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, questa repressione garantisce le risorse finanziarie che sostengono la monarchia, nonostante la sua legittimità venga meno.

Arwin Ghaemian è uno storico e analista politico. Ha vissuto nei paesi arabi per quasi vent’anni. La sua competenza riguarda la storia moderna dell’Iran e le questioni socio-economiche e di sicurezza dell’Asia occidentale.

https://www.presstv.ir/Detail/2025/11/04/758160/aid-day-airstrikes-night-jordan-double-game-israeli-genocide-war-gaza

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