Gian Pio Mattogno: L’apologetica rabbinico-talmudica e il caso di Erich Bischoff

Gian Pio Mattogno 

L’APOLOGETICA RABBINICO-TALMUDICA

E IL CASO DI ERICH BISCHOFF

 

Nel 1931 a Norimberga – così riferiva la JTA (Jewish Telegraphic Agency) – l’Unione Centrale dei Cittadini Tedeschi di Fede Ebraica decise di intraprendere un’azione legale contro Karl Holz, redattore capo di “Der Stürmer”, il giornale fondato e diretto da Julius Streicher, per aver diffamato il dott. Wasserman.

Questi era un medico ebreo che in un articolo del periodico era stato accusato di aver lasciato morire dissanguata una sua paziente non ebrea, perché il Talmud e lo Shulhan Aruch (= “Tavola imbandita”) impongono il dovere di uccidere i cristiani ovunque se ne presenti l’occasione.

Per tale ragione il giornale invitava i cristiani a non rivolgersi a medici ebrei.

La corte rifiutò di ascoltare il rabbino Max Eschelbacher, perché, essendo membro dell’Unione Centrale, non era ritenuto imparziale, e convocò invece due periti, il dott. Erich Bischoff di Lipsia e il prof. Gottesberger, che la JTA liquidava come due “antisemiti”.

Entrambi dichiararono che il Talmud e lo Shulhan Aruch sono in completa contrapposizione con la moralità, e che gli ebrei obbediscono ad un codice non scritto che li esorta a praticare gli abomini più bestiali contro i non-ebrei.

La corte assolse Holz, provocando le ire degli ebrei, i quali manifestarono la loro più profonda indignazione nei confronti dei tribunali tedeschi, che in questa come in altre occasioni avevano emesso sentenze simili, assolvendo gli imputati processati per diffamazione.

(Jews take Libel Action against Hitlerist Paper conducting Ritual Murder Agitation, Berlin, Apl. 28th. Daily News Bulletin JTA, vol. XIII, N. 102, 30th Apl. 1932, pp. 2-3; Talmud teaches Jews to murder Gentiles says German Law Court: Hitlerist Editor who made Charges in his Paper acquitted: Rabbi non allowed to give Expert Evidence on Ground of Partisanship but anti-Semitic Professor called to declare on Oath that secret jewish oral Teachings bind Jews to Human sacrifice, Oct. 21st, ivi, vol. XII, N. 243, 23rd. Oct., 1931, pp. 3-4).

Di tutt’altro tenore fu il resoconto che del processo fece il giornale nazional-socialista “Heidelberger Beobachter”, il quale chiese ai tedeschi se l’antisemitismo fosse davvero una vergogna culturale, come pretendevano gli ebrei, e li invitò a giudicare loro stessi (Ist der Antisemitismus eine Kulturschande? Deutsche, urteilt selbst! «Heidelberger Beobachter», 14. November 1931, p. 4).

Dando la propria versione dei fatti, il giornale osservò che il comportamento del dott. Wasserman non dovrebbe sorprendere chi sappia da quale spirito malvagio è animata la razza ebraica. Questo spirito, già presente nel Talmud, si ritrova anche nello Shulhan Aruch, ed è vivo ancora al giorno d’oggi.

Il giornale riportava alcuni passi del Talmud e dello Shulhan Aruch dove si legge che i non-ebrei non sono uomini, ma bestie; che non li si deve uccidere direttamente, ma in nessun caso li si deve trarre in salvo se sono in pericolo di vita; che non bisogna piangere la loro morte, ma comportarsi come se fossero morti un bue o un asino.

In relazione a questi testi, gli imputati chiesero alla corte che fosse convocato in qualità di perito il dott. Erich Bischoff, in quanto studioso ed esperto del Talmud e dello Shulhan Aruch, che non apparteneva a nessun partito, tra l’altro già autore di un’opera sul sangue nella letteratura e nei costumi ebraici.

Dopo aver prestato giuramento, il dott. Bischoff disse che nel Talmud e nello Shulhan Aruch viene espresso un profondo disprezzo verso i non-ebrei, e a riprova di ciò riportò alcuni passi, tra cui Baba Mezia 114 b, dove si afferma esplicitamente che solo gli ebrei sono uomini, mentre i non-ebrei non sono uomini, ma bestie.

Inoltre il dott. Bischoff riferì che il Talmud e lo Shulhan Aruch contengono passi di estrema gravità, e confermò l’esattezza del passo dello Shulhan Aruch esibito dall’accusato Karl Holz, in cui si dice che, quando non si è in guerra, non si deve causare direttamente la morte di un non-ebreo, ma non bisogna comunque trarlo in salvo se è in pericolo di vita, neppure dietro pagamento, nonché di altri passi ostili al non-ebreo contenuti nel Talmud, nelle Tosafot, nel Pirke de-Rabbi Eliezer, nello Yalkut Rubeni Gadol e nell’opera mistica Le due Tavole della Legge di Isaia Horwitz.

Il dott. Bischoff confermò altresì la giustezza dell’accusa degli imputati riguardo ai morti non ebrei da non piangere, e riportò il passo corrispondente dello Shulhan Aruch:

«Non si pianga per domestiche e servi (non ebrei) defunti, e non si dicano parole di conforto. Ma si dica al padrone (del non-ebreo defunto): “Dio ti risarcisca il danno”, come si dice se dovesse morire un bue o un asino» (Jore Dea 377,1).

Il dott. Bischoff esibì anche altri passi, tra cui quello dello Shulhan Aruch, in cui si insegna che il coito con una donna non ebrea è equiparato a quello con una prostituta, e quello talmudico in cui si dice che una bambina di tre anni e un giorno è idonea ad avere rapporti sessuali.

(In Aboda Zara 37a si parla esplicitamente di una bambina gentile, mentre in Niddah 5,4 si insegna che «una bambina (ebrea) di tre anni e un giorno può esser presa in sposa per coito». N.d.R.).

Egli disse alla corte che non voleva credere a simili mostruosità, ma aggiunse che ciò gli era stato confermato da un rabbino.

Il dott. Bischoff ‒ il quale si dichiarò disposto ad esprimere un parere anche sulla questione dell’omicidio rituale, ma la sua testimonianza non fu accolta dalla corte ‒ fu ascoltato anche riguardo ad un’altra questione.

Poiché “Der Stürmer” aveva pubblicato un articolo in cui si accusavano gli ebrei di insultare Gesù Cristo con epiteti quali “stolto”, “figlio di una meretrice” etc., il presidente gli chiese di commentare tutto ciò, ed egli confermò l’esattezza delle affermazioni del giornale.

Tutto ciò bastò ed avanzò per appioppare a Bischoff  l’infamante etichetta di “antisemita”.

Eppure non era stato sempre così.

Quello di Erich Bischoff (1867-1936) è infatti un caso emblematico, che deve far riflettere su certe strategie dell’apologetica rabbinico-talmudica.

Studioso della letteratura rabbinica e del misticismo ebraico, allievo di Hermann Strack, Erich Bischoff era universalmente riconosciuto come uno studioso di grande valore, e la sua competenza era attestata non solo dalle sue opere, ma anche dalle numerose sue recensioni di studi scientifici in materia apparse negli anni sulla «Theologische Literarzeitung».

Ebbene, fintantoché si limitò ad uno studio oggettivamente scientifico del giudaismo rabbinico-talmudico e della Cabala, senza prendere aperta posizione, Bischoff non ricevette che elogi.

Le cose cambiarono decisamente quando nelle sue perizie in vari procedimenti giudiziari e in diverse sue opere cominciò a denunciare gli insegnamenti del Talmud, di Maimonide e dello Shulhan Aruch sui non-ebrei in generale e sui cristiani in particolare, confutando le narrazioni ufficiali della Sinagoga.

Da allora in poi Bischoff divenne improvvisamente un bieco antisemita incompetente!

Quelli che seguono sono i lavori attinenti al nostro tema e appartenenti ad entrambe le fasi (“neutra” e “antisemita”) della sua attività di studioso.

Die Juden und das Christenblut. Beiträge zur Erklärung der Hypothese eines jüdischen “Blutrituals”, Berlin, 1892.

Ein jüdisch-deutsches Leben Jesu. Tholdoth Jeschu ha-nozri … (Geschichte Jesu von Nazareth, geboren im Jahre 3760 seit Erschaffung der Welt), Leipzig, 1895.

Kritische Geschichte der Thalmud-Übersetzungen aller Zeiten und Zungen, Frankfurt a.M., 1899.

Talmud-Katechismus. Mit Abbildungen von seltenen Originalen, Leipzig, 1904.

Jesus un die Rabbinen. Jesu Bergpredigt und “Himmelreich” in ihrer Unabhägigkeit vom Rabbinismus, Leipzig, 1905.

Rabbinische Fabeln über Talmud, Schulchan Aruch, Kol nidrê usw. Ein Gerichtsgutachten, Leipzig, 1922.

Rabbi und Diakonos, Leipzig, 1922.

Das Blut in jüdischem Schriftum und Brauch. Nebst ausführlichen Anmerkungen, Leipzig, 1929.

Das Buch vom Schulchan Aruch. Mit Anmerkungen und Anhängen, Leipzig, 1929 (Vierte Auflage 1942).

Nella recensione di Kritische Geschichte der Thalmud-Übersetzungen, una pubblicazione unica nel suo genere, uno studioso ebreo del calibro di Samuel Krauss mostrò di apprezzare «l’erudizione» dell’autore, che «a bien merité de la science du judaïsme» («Revue des Études Juives» 79 (1900), pp. 112-115).

Michael Rodkinson, il primo traduttore del Talmud in inglese, la definì un’ «opera eccellente» (The History of the Talmud from the Time of its Formation, about 200 B.C. up to Present Time. Volume I. (XIX), New-York, 1903, p. 124).

Ismar Schorsch,  Chancellor Emeritus del Jewish Theological Seminary e docente di storia ebraica presso la cattedra Rabbi Herman Abramovitz, reputa «inestimabile» il lavoro di Bischoff, «uno dei rari studiosi cristiani del Talmud», sulle traduzioni del codice rabbinico (Missing in Translation. The Fate of the Talmud in the Struggle for Equality and Integration in Germany in Wissenschaft des Judentum Beyond Tradition.

Jewish Scholarship on the Sacred Texts of Judaism, Christianity, and Islam. Edited by Dorothea M. Salzer, Chanan Gafni and Hanan Harif, Berlin-Boston, 2019, p. 167).

Le cose cominciarono a cambiare all’inizio degli anni Venti, quando in Rabbinische Fabeln e Rabbi und Diakonos Bischoff riportò criticamente alcuni testi talmudici, midrashici e dello Shulhan Aruch presi di mira dalla polemica antisemita del tempo.

Ma già nella sua precedente ricerca su ebrei e sangue cristiano, pur negando l’esistenza dell’omicidio rituale ebraico, egli aveva sostenuto la tesi che la legge rabbinico-talmudica autorizza a versare sangue cristiano, e a riprova di ciò aveva citato i midrashim Lev. Rabbah e Num. Rabbah, nonché il Commentario sul Pentateuco di R. Bechai, testi che aveva tratto da Eisenmenger.

In Das Blut in jüdischem Schriftum und Brauch Bischoff riporta numerose fonti bibliche e rabbiniche, tra cui quelle in cui il non-ebreo viene assimilato agli animali e dedica alcune pagine ai reshaim (empi, malvagi), termine con cui nella letteratura giudaica vengono designati non solo gli empi e i malvagi di Israele, ma anche i non-ebrei, e al loro sangue, con precisi e puntuali riferimenti alle fonti rabbiniche.

Ma l’opera che ha fatto traboccare il vaso della polemica è indubbiamente l’ultima fatica di Bischoff, Das Buch vom Schulchan Aruch, che può essere considerata una sorta di summa scientifica e polemica di tutte le opere precedenti.

Dopo aver ricostruito la storia del codice di R. Joseph Caro, con le hagahoth (aggiunte) di R. Isserles, e dopo averne illustrato la struttura generale e dedicato alcune pagine alla letteratura polemica e scientifica, nonché alle traduzioni e ai giudizi su di esso, l’autore riporta e commenta diversi passi da tre delle quattro sezioni di cui è composto il codice: Orach Chaim, Jore Dea e Choshen hamishpat (la quarta sezione, Eben haezer, non viene presa in considerazione).

Dallo Shulhan Aruch e dai numerosi riferimenti al Talmud e a Maimonide, ma anche da altri testi rabbinici, da Bischoff puntualmente riportati, emerge inequivocabilmente il vero volto del giudaismo rabbinico-talmudico, con tutto il corollario di odio e di precetti discriminatori nei confronti dei non-ebrei in generale, e dei cristiani in particolare.

Fu allora che la Sinagoga mobilitò le sue truppe d’assalto.

Il fuoco incrociato contro Bischoff, che aveva avuto inizio già dopo la pubblicazione del volume sul sangue nella letteratura giudaica, si concentrò soprattutto dopo la pubblicazione del libro sullo Shulhan Aruch, tanto più che questo era stato edito dalla Hammer Verlag, la casa editrice fondata dal noto antisemita Theodor Fritsch.

Il rabbino Lazarus Golschmidt, il traduttore tedesco del Talmud babilonese, nella sua biografia scritta nel 1950, l’ultimo anno della sua vita, rammenta le polemiche antisemite contro il Talmud a partire dagli anni 1892-95.

I giornali conservatori che presero parte all’agitazione antisemita, scrive ripetendo la vecchia solfa, riportavano dei passi talmudici fuori dal loro contesto per dare l’impressione che si trattasse di un’opera satanica. Fu questa, scrive, la ragione che lo indusse a tradurre l’intero Talmud.

La stampa antisemita, lamenta, attaccò la sua traduzione.

Uno di questi articoli proveniva dal famoso Erich Bischoff, il quale, «durante la campagna diffamatoria contro gli ebrei sotto Hitler fu la principale fonte documentale (Stofflieferant) di Streicher» (Igor Itkin, Die Autobiographie des Lazarus Golschmidt – den Übersetzer übersetzen, talmud.de).

La «Encyclopaedia Judaica» scrive che Bischoff fu uno studioso della Bibbia e del Talmud, più volte chiamato come perito in procedimenti giudiziari relativi all’etica del Talmud e dello Shulhan Aruch etc. Sebbene si sia sempre rifiutato di essere etichettato come antisemita o filosemita, e affettasse di essere obiettivo nei suoi giudizi sull’ebraismo, «il suo lavoro travisò le fonti ebraiche e venne pienamente sfruttato dai nazisti» (Bischoff, Erich, EJ, Second Edition, 2007, p. 724).

Dunque, l’“erudito”, l’esperto di letteratura rabbinica che aveva “ben meritato della scienza del giudaismo”, l’autore di opere “eccellenti”, improvvisamente non sapeva più leggere e interpretare le fonti ebraiche, ed aveva cominciato a travisarle!

Altrove leggiamo che, dietro la maschera mansueta dell’obiettività, si annidava il lupo antisemita (sic!). Nel 1929 Bischoff ebbe l’ardire di pubblicare la sua opera sullo Shulhan Aruch presso la casa nazista Hammer Verlag di Lipsia, che – horribile dictu! – aveva edite anche le opere di Sigfried Passarge.

In quest’opera, leggiamo ancora, «l’antisemita Bischoff» riprese tutto il materiale che a partire da Eisenmenger era stato utilizzato per l’agitazione antisemita (Christoph Daxelmüller, Volkskunde – eine antisemitische Wissenschaft?, in Hans Otto Horch (Ed.) et al., Conditio Judaica. Teil 3: Judentum, Antisemitismus und deutschsprächige Literatur vom Ersten Weltkrieg bis 1933/1938, Tübingen, 1992, pp. 214 sgg.).

Per Alan E. Steinweis, l’opera di Bischoff, «discepolo di Theodor Fritsch» (sic!!), sullo Shulhan Aruch fu l’attacco più aggressivo portato contro il Talmud in quegli anni.

Ripetendo la solita cantilena, Steinweis assicura che la metodologia di questa come di altre opere era di riportare passi tratti dal mare magnum talmudico al di fuori del loro contesto originale testuale o storico (Studying the Jew. Scholarly Antisemitism in Nazi Germany, Harvard University Press, 2006, p. 77).

Da parte sua, David Biale ci informa che Bischoff aveva le competenze linguistiche e la conoscenza delle fonti ebraiche tali da dare credibilità ai suoi pregiudizi nei vari processi che si celebrarono durante la repubblica di Weimar.

I suoi lavori comprendevano studi su Gesù e i rabbini, e sullo Shulhan Aruch, nonché traduzioni di testi rabbinici e scritti sulla cabala.

Ma, aggiunge, un esame di queste opere rivela che Bischoff non era quello studioso obiettivo che pretendeva di essere. Dopo la prima guerra mondiale egli imboccò una strada sempre più “antisemita” (Blood and Belief. The Circulation of a Symbol between Jews and Christians, Berkeley-Los Angeles-London, 2007, pp.132 sgg.).

Insomma, se studi e interpreti i testi del giudaismo rabbinico-talmudico secondo i canoni ermeneutici della Sinagoga sei un eccellente studioso etc. etc., ma se disgraziatamente ti azzardi a fare diversamente diventi ipso facto “antisemita”, e dunque “scientificamente” inattendibile!

Ma l’attacco frontale più deciso a Bischoff venne portato dal rabbino Eli Munk di Londra, che diede alle stampe: Nichtjuden im jüdischen Religionsrecht. Theorie und ausgewälte Vorschiften nach Talmud, Schulchan aruch u. Maimonides, Berlin, 1832.

Nelle sue intenzioni quest’opera voleva essere una confutazione sistematica delle accuse mosse da Bischoff al Talmud, a Maimonide e allo Shulhan Aruch, ma, nonostante le acrobazie esegetiche, finisce per confermarne sostanzialmente la veridicità e giustezza.

Nell’Introduzione il rabbino Munk illustra i punti salienti della normativa rabbinica relativa ai non-ebrei stabilita dal Talmud, ripresa senza soluzione di continuità da Maimonide e ribadita dallo Shulhan Aruch.

La Torah – scrive – è un testo che vale unicamente per il popolo ebraico.

Nessun non-ebreo è tenuto ad osservare le leggi e i comandamenti dati da Jahvè al popolo d’Israele.

Tuttavia, gli ebrei hanno il dovere di incoraggiare tutti gli uomini a riconoscere e mettere in pratica i cosiddetti “sette comandamenti noachidi” (che secondo alcune fonti della tradizione rabbinica sarebbero stati dati da Jahvè prima ad Adamo ed Eva, e successivamente ai “figli di Noè”, cioè all’intera umanità): proibizione dell’idolatria (leggi: riconoscimento dell’unica sovranità del Dio giudaico e di Israele), dell’incesto, dell’omicidio, di mangiare carne di un animale ancora vivo, di bestemmiare, di rubare, obbligo di formare corti di giustizia.

Chi non osserva questi comandamenti è obed aboda zara, servitore di un culto straniero, cioè un idolatra. Chi invece li osserva appartiene ai “pii” o “giusti delle nazioni”, ed ha parte nel mondo a venire (beatitudine eterna).

Vi sono tre categorie di non-ebrei:

i non-ebrei idolatri, cui non è permesso di abitare nella terra d’Israele;

i non-ebrei noachidi, equiparati al ger toshab (straniero residente);

i non-ebrei proseliti, i quali, come gli ebrei, osservano tutti i comandamenti della Torah, vengono equiparati al ger zedeq (straniero giusto) e sono assimilati completamente agli ebrei.

     I non-ebrei idolatri secondo la legge ebraica non hanno alcun diritto alla vita («keine Lebensberechtigung»).

I non-ebrei noachidi, che per gli ebrei costituiscono il tipo ideale di non-ebreo, godono dei diritti fondamentali di tutti gli uomini.

I non-ebrei proseliti sono ebrei a pieno titolo e ne godono tutti i diritti.

Il rabbino Munk è costretto a riconoscere che per Maimonide – il quale ancora oggi rappresenta la più autorevole fonte normativa dopo il Talmud, e che a sua volta costituisce la principale fonte normativa dei successivi codici (in primo luogo lo Shulhan Aruch) ‒ i cristiani appartengono alla categoria degli idolatri, anche se si affretta a precisare, mentendo sapendo di mentire, che questa identificazione non è più valida al giorno d’oggi.

E quand’anche fosse vero, ciò significa che al tempo di Maimonide, il quale al riguardo riprendeva e chiosava fedelmente la normativa talmudica, i cristiani erano considerati idolatri, e che dunque Bischoff aveva pienamente ragione nell’interpretare i testi rabbinici in questo senso!

(Sulla figura di Maimonide e per una confutazione di alcune critiche a Bischoff e della difesa d’ufficio dei testi rabbinici da parte del rabbino Munk cfr. Il sicario della Sinagoga. L’odio rabbinico-talmudico contro il non-ebreo negli scritti di Moshe Maimonide, Effepi, Genova. Sullo Shulhan Aruch: Il non-ebreo nello Shulhan Aruch. La battaglia di mons. Jouin contro la “Giudeo-massoneria” e lo Shulhan Aruch, Effepi, Genova, 2012).

Nella Conclusione il rabbino Munk ribadisce schematicamente che per Maimonide (e quindi anche per il Talmud e per lo Shulhan Aruch) idolatri sono tutti i non-ebrei che non osservano i sette comandamenti noachidi e si pongono con ciò al di fuori del vivere civile; che i cristiani della sua epoca sono idolatri; che non è permesso uccidere un non-ebreo noachide.

Poiché il primo e fondamentale comandamento noachide è il divieto di idolatria (tutti gli altri essendo subordinati al primo), se la logica ha un senso, ne consegue che, essendo i noachidi praticamente inesistenti,  tutti i non-ebrei (cioè l’intero genere umano) sono idolatri e, in quanto idolatri, a tutti i non-ebrei si applica la normativa rabbinico-talmudica discriminatoria, ribadita dallo Shulhan Aruch: nessuno di essi «ha diritto alla vita» e, a maggior ragione, li si può ingannare, derubare etc. (come riconoscono gli studiosi ebrei più onesti e … quelli più impudenti).

Esattamente come denunciato ‒ sulla scorta dei testi rabbinici “travisati” ‒ dal famigerato “antisemita” Erich Bischoff!

One Comment
    • a.carancini
    • 19 Ottobre 2025

    Nel predetto articolo di Gian Pio Mattogno c’è un punto sul quale vorrei esplicitare il mio dissenso: quello relativo alla domanda retorica rivolta ai propri lettori dal giornale nazista “Heidelberger Beobachter”, la domanda secondo cui l’antisemitismo fosse davvero una “vergogna culturale”. Secondo il sottoscritto, l’antisemitismo nazista fu davvero una vergogna culturale. Altra cosa è l’antigiudaismo religioso di matrice cattolica: quello professato dai Padri della Chiesa come S. Giovanni Crisostomo, e in vigore nella Chiesa cattolica fino al Concilio Vaticano II. Un antigiudaismo che, a parere del sottoscritto, ogni cattolico dovrebbe riscoprire e fare proprio.

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