Gian Pio Mattogno
IL MARXISMO BATTISTRADA DELLA SOVVERSIONE EBRAICO-CAPITALISTICA
CONTRO LA TRADIZIONE CRISTIANO-FEUDALE.
UN ARTICOLO DI MARX/ENGELS SUL “NEW YORK DAILY TRIBUNE”.
Le ricerche di Ottokar Lorenz hanno aperto la strada ad una interpretazione rivoluzionaria del marxismo. Rivoluzionaria, nel senso che ha spazzato via tutte le letture convenzionali, marxiste e antimarxiste, dell’ebreo di Treviri.
(Karl Marx als Schrittmacher des Kapitalismus, «Süddeutsche Monatshefte», Februar 1928; Karl Marx und der Kapitalismus, Schriften des Reichsinstituts für Geschichte des neuen Deutschland, Hanseatische Verlags-Anstalt, 1937; Karl Marx, «Forschungen zur Judenfrage», II, 1939. Cfr. G.P. Mattogno, Maschera e volto del marxismo. Karl Marx e la rivoluzione ebraico-capitalistica contro la civiltà cristiana, Effepi, Genova, 2016; Leggenda e realtà di Karl Heinrich Mordechai-Marx. Note per una lettura controcorrente del marxismo, andreacarancini.it).
Il marxismo, creatura dell’ebreo Karl Heinrich Mordechai-Marx, non è lo strumento di liberazione della classe operaia dallo sfruttamento capitalistico, come pretende la vulgata marxista.
Simulando una profonda avversione per il sistema capitalistico, ma in realtà celebrando la marcia trionfale della borghesia capitalistica sulle rovine dell’Antico Regime, l’ebreo di Treviri – in combutta col suo compare capitalista e socio della borsa londinese Friedrich Engels, ‒ fu in realtà l’agente della sovversione ebraico-capitalistica contro la “barbarie medievale”, contro la “reazione feudale”, contro lo “Stato cristiano-germanico”, cioè contro le istituzioni e i valori antiborghesi e anticapitalistici della tradizione cristiano-feudale.
Sovversione ebraico-capitalistica, e non semplicemente sovversione capitalistica, perché gli ebrei hanno giuocato un ruolo rilevante nella genesi e nell’ascesa del capitalismo, in particolare in Inghilterra (cfr. gli scritti su ebrei e capitalismo, plutocrazia, massoneria e imperialismo nella storia della Gran Bretagna in andreacarancini.it).
Il sistema di pensiero da lui concepito – il materialismo storico-dialettico ‒ non è che la giustificazione teorica e filosofica della strategia mistificatrice messa in atto per ingannare la classe operaia, esortandola a combattere al servizio del capitalismo contro la “reazione feudale” nella prospettiva “scientifica” che il capitalismo si sarebbe potenziato al massimo grado, per poi essere, altrettanto “scientificamente”, abbattuto da una ineluttabile rivoluzione socialista.
È come se, volendo eliminare un presunto nemico comune, si concepisse questa strategia “scientifica”: ogni giorno vengono forniti al presunto nemico dei pasti luculliani allo scopo di farlo ingrassare a tal punto che un giorno “scientificamente”, cioè “necessariamente” e “inevitabilmente”, dovrà scoppiare e andare al creatore.
Col risultato pratico che il presunto nemico finisce sì per scoppiare, ma di salute!
Non solo non viene eliminato, ma al contrario diventa più forte, cioè più vivo e più vegeto che mai.
Con tanti ringraziamenti a chi ha inventato questa geniale strategia!
È esattamente quello che ci ha insegnato la storia. Il sistema capitalistico, lungi dall’implodere “scientificamente”, si è ulteriormente rafforzato, imponendo ovunque il suo dominio. La vecchia talpa marxista ha ben lavorato, ingrassando il presunto nemico capitalista!
Eppure Marx ed Engels erano pienamente consapevoli delle devastazioni spirituali e materiali causate dall’ascesa del capitalismo. Engels in particolare le aveva descritte nel suo saggio sulla situazione della classe operaia in Inghilterra (1845).
Così come erano pienamente consapevoli delle conseguenze devastanti dell’irruzione del capitale ebraico “emancipato” nella società.
Nel secondo dei due scritti sulla questione ebraica (1844), Marx vede nell’ebreo reale la quintessenza dello spirito mercantile capitalistico-borghese.
Il fondamento mondano dell’ebraismo, scrive, è il bisogno pratico, il proprio tornaconto. Il culto mondano dell’ebreo è il traffico, il suo Dio mondano è il denaro.
Egli riconosce nel giudaismo «un universale e tuttora presente elemento antisociale» che «si è impossessato della potenza finanziaria» e con lui «il denaro è divenuto la potenza mondiale».
Con il giudaismo, aggiunge, ma anche senza il giudaismo, in quanto secondo lui il giudaismo ha compenetrato a tal punto la società cristiana che lo spirito pratico ebraico è diventato lo spirito pratico dei popoli cristiani, cioè i tratti caratteristici dell’ebreo sono diventati i tratti caratteristici della società cristiana giudaizzata.
Nondimeno, contrariamente a Bruno Bauer, il quale sostiene che la condizione necessaria dell’emancipazione ebraica è innanzitutto l’emancipazione degli ebrei dal loro giudaismo, cioè la rinuncia alla propria religione, Marx si dichiara favorevole all’emancipazione politica degli ebrei, anche se la ritiene ancora imperfetta, la vera emancipazione essendo quella “umana”.
Il vero nocciolo del problema, al di là di tutte le oziose discussioni su un suo presunto antisemitismo, non è infatti se l’ebreo di Treviri sia stato o no antisemita, ma se sia stato o no favorevole all’emancipazione degli ebrei.
Le sue parole al riguardo non lasciano dubbi:
«Noi non diciamo dunque agli ebrei, con Bauer: voi non potete essere emancipati politicamente senza emanciparvi radicalmente dal giudaismo. Piuttosto, diciamo loro: per il fatto che potete essere emancipati politicamente senza abbandonare completamente e coerentemente il giudaismo, per questo l’emancipazione politica non è l’emancipazione umana».
Traduzione: anche se la vostra non è ancora una reale emancipazione umana, voi ebrei avete tutti i diritti di essere politicamente emancipati con tutto il vostro giudaismo.
Per Marx la vera emancipazione, quella umana, cioè l’emancipazione sociale, sarà possibile solo in una società che avrà soppresso «l’essenza empirica del giudaismo, il traffico e i suoi presupposti», per cui, in ultima analisi, paradossalmente «l’emancipazione sociale dell’ebreo è l’emancipazione della società dal giudaismo».
Campa cavallo, perché nel frattempo, grazie all’emancipazione politica invocata da Marx, l’ebreo, «elemento antisociale» per eccellenza per via della sua fede religiosa, non solo rimarrà tale, ma potrà ulteriormente accrescere la propria «potenza finanziaria» grazie alle nuove opportunità in quanto ebreo “emancipato”!
Invocando l’emancipazione degli ebrei, l’ebreo di Treviri legittima l’emancipazione del capitale ebraico e la sua irruzione nella società cristiana con tutte le sue conseguenze devastanti.
E quand’anche fosse vera l’interpretazione marxiana di una società cristiana largamente ebraizzata, l’irruzione del capitale ebraico non significherebbe altro che aggiungere fuoco sul fuoco.
Come è stato giustamente rilevato da Shlomo Avineri ed altri, la critica che nello scritto sulla questione ebraica Marx muove alla società borghese e al ruolo che in essa giuocavano gli ebrei, non gli impedì affatto di reclamare per gli ebrei i pieni diritti politici e civili, pur osservando che bisognava spingere l’emancipazione oltre lo stadio liberale.
È pienamente nel giusto un esponente dell’IKVI (Internationales Komitee der Vierten Internationale) quando scrive:
«La cosa più importante da notare è che il saggio di Marx è principalmente un appello alla completa emancipazione politica degli ebrei» (Ein Briefwechsel über Marx und die Frage des Antisemitismus (24. Mai 2002), wsw.org).
Marx è ritornato sull’argomento nella Sacra famiglia (1844), scritta in collaborazione con Engels, dove definisce «sottosviluppati» gli Stati che non hanno ancora accordato l’emancipazione politica agli ebrei.
L’ebreo di Treviri era favorevole all’emancipazione degli ebrei perché sperava che questa potesse infliggere dei colpi allo Stato cristiano.
Nel marzo 1843 il rappresentante della comunità ebraica di Colonia gli chiede di stilare una petizione al Landtag a favore degli ebrei (chissà perché proprio a lui!).
Marx scrive ad Arnold Ruge che, per quanto gli sia ripugnante la fede ebraica, lo farà di buon grado: «Bisogna infliggere quanti più colpi possibile allo Stato cristiano per intaccarlo e farvi penetrare di contrabbando, nella misura delle nostre forze, la ragione».
Una dozzina d’anni dopo, il giornale americano “New York Daily Tribune” (Friday, January 4, 1856, p. 4) pubblica un articolo dal titolo: The Russian Loan.
L’articolo, comunemente attribuito ad Engels, compare nel volume The Eastern Question. A Reprint of Letters written 1853-1856 dealing with events of the Crimean War. By Karl Marx. Edited by Eleanor Marx Aveling and Edward Aveling, London, 1897, pp. 600-606.
Marx o Engels, la cosa non cambia granché.
L’autore muove dall’occasione dell’emissione di un prestito russo, il quale fornisce un esempio del sistema del prestito in Europa.
Questo prestito, di cinquanta milioni di rubli, da emettere in obbligazioni al cinque per cento, è stato stipulato sotto gli auspici della casa bancaria Stieglitz, che il defunto zar Nicola fece barone russo.
«Così troviamo ogni tiranno sostenuto da un ebreo, così come ogni Papa da un gesuita. In verità, le brame degli oppressori sarebbero senza speranza, e la praticabilità della guerra fuori questione, se non ci fosse un esercito dei gesuiti a soffocare il pensiero e una manciata di ebrei a saccheggiare le tasche».
Stieglitz è «un ebreo tedesco intimamente legato a tutti i suoi correligionari nel commercio dei prestiti» e «un esponente della massoneria ebraica, esistita in tutte le epoche», dedita ad ogni sorta di speculazioni finanziarie.
Stiegliz opera in combutta con altre case bancarie, le quali prestano il prestigio del loro nome, «ma il vero lavoro è svolto dagli ebrei, e può essere svolto soltanto da loro, poiché essi monopolizzano la macchina dei misteri del prestito concentrando le loro energie sul baratto dei titoli, sul cambio del denaro e sulla negoziazione di cambiali che in gran parte ne derivano».
Un esempio tipico è costituito da Amsterdam, «una città che ospita molti dei peggiori discendenti degli ebrei che Ferdinando e Isabella cacciarono dalla Spagna».
Ora nella sola Amsterdam se ne contano non meno di 35.000, molti dei quali impegnati «in questo gioco d’azzardo e imbroglio di titoli».
Questi banchieri ebrei hanno i loro piccoli agenti un po’ ovunque.
Questi piccoli agenti ebrei traggono i loro rifornimenti dalle grandi case ebraiche, come quelle di Hollander e Lehren, Königswarter, Raphael, Stern, Sichel, Bischoffsheim di Amsterdam, Ezekiels di Rotterdam.
Hollander e Lehren appartengono alla setta ebraica portoghese e praticano apparentemente una grande devozione verso la religione della loro razza.
I Königswarter hanno filiali a Francoforte, Parigi, Vienna e Amsterdam, i Raphael a Londra e Parigi, gli Stern, originari di Francoforte, a Parigi, Berlino, Londra e Amsterdam.
I Bischffsheim sono, dopo i Rothschild e gli Hope, la casa bancaria più influente del Belgio e dell’Olanda. Hanno sedi a Londra, Amsterdam, Parigi, Bruxelles, Anversa, Francoforte, Colonia e Vienna.
«Questa organizzazione ebraica di prestatori è pericolosa per il popolo quanto l’organizzazione aristocratica dei proprietari terrieri. È nata principalmente in Europa da quando Rothschild fu nominato barone dall’Austria, arricchitasi con il denaro guadagnato dagli Assiani combattendo la rivoluzione americana. Le fortune accumulate da questi prestatori sono immense, ma i torti e le sofferenze che questo comporta per il popolo e l’incoraggiamento così offerto ai loro oppressori restano ancora da raccontare».
Tutti questi creditori ebrei, cui vanno aggiunti i vari Bleichröder, Frankel di Varsavia, Meldelssohn di Berlino, Benedetto di Stoccolma, Hambro di Copenaghen, Magnus e Jacobson di Berlino, Ries e Heine di Amburgo, in Europa sono legati da legami familiari che, oltre alle affinità legate al lucro, conferiscono alle loro operazioni una compattezza ed una unità che ne assicurano il successo.
«Non si creda che noi siamo troppo severi con questi signori usurai (loan-mongering). Il fatto che 1855 anni fa Cristo abbia cacciato i cambiavalute ebrei dal tempio, e che i cambiavalute della nostra epoca schierati dalla parte della tirannia siano di nuovo principalmente ebrei, forse non è altro che una coincidenza storica. Gli ebrei usurai d’Europa fanno solo su scala più ampia e odiosa ciò che molti altri fanno su scala più piccola e meno significativa. Ma è solo perché gli ebrei sono così forti che è opportuno smascherare al più presto e stigmatizzare la loro organizzazione».
Questo scrivevano nel 1856 Marx o Engels.
I due compari sapevano dunque perfettamente come stavano le cose.
Eppure rivendicavano con forza l’“emancipazione” del capitale ebraico!
Nel marzo 1890 un impiegato bancario austriaco, Isidor Ehrenfreund, in qualità di membro dell’Associazione degli impiegati delle banche e degli istituti di credito viennesi scrisse ad Engels, lamentando che una parte notevole della popolazione di Vienna era antisemita e recepiva volentieri la propaganda contro il capitale ebraico (Il marxismo e la questione ebraica. Testi scelti, presentati e annotati da Massimo Massara, Milano, 1972, pp. 249 sgg.).
Engels rispose il 19 aprile 1890 con una lettera pubblicata dal giornale socialdemocratico di Vienna “Arbeiter-Zeitung” nel numero 19 dell’8 maggio.
Dopo aver sottolineato che «l’antisemitismo è la caratteristica di una cultura arretrata, ed è per questo motivo che lo si incontra solo in Prussia, in Austria o in Russia», Engels scrive che quando il capitale distrugge da cima a fondo le classi «reazionarie» della società «compie solo il suo dovere».
«Capitale e lavoro salariato sono oggi inseparabili. Più è forte il capitale, più è forte del pari la classe operaia, e, quindi, più vicina è la fine del dominio capitalistico [sic!!] A noialtri tedeschi, e con ciò intendo anche i viennesi, auguro dunque un rapido sviluppo dell’economia capitalista».
Proprio noi, aggiunge, «dovremmo fare dell’antisemitismo per lottare contro il capitale?».
Non sia mai!
«Noi dobbiamo troppo agli ebrei. Senza parlare di Heine e di Börne, Marx era ebreo puro sangue. Lassalle era ebreo. Un gran numero dei nostri migliori compagni sono ebrei. Il mio amico Victor Adler, che in questo momento sta espiando nelle carceri di Vienna la sua devozione alla classe operaia, Eduard Bernstein, redattore del “Sozialdemokrat” di Londra; Paul Singer, uno dei migliori membri della nostra frazione parlamentare ‒ tutte persone delle quali sono fiero di essere amico ‒ tutti ebrei! Io stesso non sono stato presentato come ebreo dalla “Gartenlaube”? E in verità, se dovessi scegliere, piuttosto ebreo che “Herr von”!».
Marx ed Engels auspicavano dunque «un rapido sviluppo dell’economia capitalista» e del capitale ebraico “emancipato” contro le classi «reazionarie».
Il marxismo aveva gettato definitivamente la maschera e si rivelava per quello che veramente era: l’oppio giudeo-borghese della classe operaia.
L’ebreo di Treviri e il suo degno compare di merenda e socio della borsa di Londra hanno ben meritato tutta la riconoscenza della Sinagoga!
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