Gian Pio Mattogno: Quando i perseguitati erano persecutori

Gian Pio Mattogno 

QUANDO I PERSEGUITATI ERANO PERSECUTORI.

NOTE STORICHE SUL RUOLO DEI GIUDEI

NELLE PERSECUZIONI DEI CRISTIANI NEI PRIMI DUE SECOLI

 

Quel che in generale rende insopportabile la lettura delle varie storie dell’antisemitismo confezionate dagli autori ebrei e dai loro Shabbath Goyim di complemento è quel tono piagnucoloso e vittimistico che si incontra quasi ad ogni rigo di ogni pagina, dove gli ebrei sono sempre belli e buoni, e gli antisemiti sempre brutti e cattivi.

Mai una volta che vengano, non dico spiegate, ma neppure accennate le vere ragioni della secolare ostilità antiebraica, le quali, come ebbe a rilevare onestamente uno scrittore ebreo come Bernard Lazare, vanno ricercate precipuamente nell’esclusivismo etnico-religioso del giudaismo rabbinico-talmudico, nella sua protervia, nel suo messianismo imperialistico, nel suo odio feroce antigentile e anticristiano.

A maggior ragione, invano si troverà il minimo accenno al ruolo che i giudei giuocarono nelle persecuzioni anticristiane dei primi secoli.

Sì, perché ‒ anche se i più non ne sono a conoscenza, e quelli, soprattutto fra certi cattolici, che ne sono a conoscenza, oggi preferiscono mettere la testa sotto la sabbia ‒ come scriveva il padre Joseph Bonsirven (Les Juifs et Jésus, Paris, 1937, p. 151), «nei primi secoli, i cristiani erano non persecutori, ma perseguitati dai giudei».

Se lontani appaiono i tempi del padre Bonsirven, addirittura antidiluviani sembrano i tempi in cui la «Civiltà Cattolica» (1886,2) poteva dare alle stampe una serie di articoli intitolati: Dell’ebraica persecuzione contro il cristianesimo.

Alcuni decenni dopo la «Revue Internationale des Sociétés Secrètes» (RISS) di mons. Jouin pubblicava L’offensive juive antichrétienne. Du Ier au IVe siècle (cfr. la silloge delle Editions Delacroix, Numéro 45, 2001).

Dopo aver stigmatizzato «quei tanti ebrei e non ebrei (…) insatanassati, indiavolati, spiritati e mossi insomma da odio satanico contro il nome cristiano» (p. 437), la rivista dei gesuiti poneva la questione se i cristiani abbiano perseguitato gli ebrei o non piuttosto gli ebrei abbiano in Cristo stesso perseguitati fin dal principio i cristiani e il cristianesimo, e rispondeva: «Voi ebrei ci dite sempre di essere stati perseguitati da noi cristiani. Noi cristiani diciamo invece di essere stati sempre perseguitati da voi ebrei» (p. 441).

L’ostilità giudaica contro i cristiani nacque nel momento stesso in cui Gesù, predicando la buona novella, si allontanò dallo spirito farisaico e si separò dalla comunità di Israele, e con gli apostoli il cristianesimo cominciò a fare proseliti, dapprima fra gli stessi ebrei, poi fra i gentili.

(Fonti e bibl.: Il non-ebreo nello Shulhan Aruch. La battaglia di mons. Jouin contro la “Giudeo-Massoneria” e lo Shulhan Aruch, Effepi, Genova, 2012, pp. 17 sgg.; Il Talmud e i cristiani nella disputa di Parigi del 1240, ivi, 2015, in particolare pp. 95 sgg.; Impia Judaeorum Perfidia. La Chiesa e la polemica contro il Talmud dalle origini al XV secolo, ivi, 2021; L’odio rabbinico-talmudico contro i cristiani nella liturgia: la Birkat ha-minim, andreacarancini.it).

Il momento culminante di questa ostilità fu la redazione della Birkat ha-minim (lett. “benedizione degli eretici”).

Dopo la distruzione del secondo tempio ad opera di Tito (70 d.C.), la città di Jabneh (o Jamnia) divenne il centro del giudaismo. Fu qui che, fra gli anni 80 e 100, nella preghiera Amidah, già in uso nelle comunità ebraiche e conosciuta anche come preghiera delle Diciotto (Shemoneh Esreh) benedizioni, fra l’undicesima e la dodicesima benedizione fu aggiunta una nuova “benedizione” (in realtà una maledizione), la Birkat ha-minim, la maledizione contro i minim (plur. di min, lett. “specie”, eretico).

In origine la preghiera era diretta anche contro i cristiani (in particolare, contro i cristiani d’ascendenza ebraica), successivamente soprattutto contro i cristiani (d’ascendenza ebraica o gentile), ed infine quasi esclusivamente contro tutti i cristiani.

Nelle varie recensioni (palestinesi e babilonesi) che ci sono pervenute, oltre che contro i minim il pio giudeo invocava la maledizione di Jahvè (e la loro “cancellazione dal libro dei viventi”) contro gli apostati (meshummadim), i nazareni (notzrim), i traditori (mosrim) e i delatori (lammalscinim).

I giudei però non si limitarono alle imprecazioni, ma giuocarono un ruolo tutt’altro che irrilevante nelle persecuzioni dei primi cristiani.

Come rileva E. Le Blant (Les Actes des martyrs. Supplement aux Acta Sincera de Dom Ruinart, «Mémoires de l’Institut nationale de France» 30 (1883), p. 138) «le ardenti dimostrazioni dei giudei contro i primi cristiani» non potevano mancare di essere richiamate nei testi degli Atti dei martiri.

«I primi martiri – osserva don Pierpaolo Caspani – sono vittime delle persecuzioni da parte dei Giudei. Stando al racconto degli Atti degli Apostoli, dopo la Pentecoste si ripropone la situazione che ha preceduto la morte di Gesù: mentre le conversioni si moltiplicano e la prima comunità cristiana si organizza, si organizza anche la reazione degli Anziani e degli scribi. Ritroviamo così sulla scena tutti gli artefici della condanna di Gesù: Caifa, Anna e i capi delle grandi famiglie di Gerusalemme.

«I discepoli di Gesù vengono a trovarsi in una situazione simile a quella del loro Maestro: il martire è colui che dà testimonianza, vivendo questa situazione come l’ha vissuta il Maestro. Non a caso, il primo martirio – quello di Stefano – è presentato come la perfetta imitazione della passione e della morte di Gesù» (P. Caspani, Il martirio e il suo significato spirituale, iqt.it).

Il martirio di Stefano risale a poco tempo dopo la morte di Gesù, intorno all’anno 36.

Stefano fu uno dei primi giudei convertiti al cristianesimo, ma soprattutto il primo cristiano ad essere martirizzato dai giudei.

Raccontano gli Atti degli apostoli che alcuni uomini della sinagoga sobillarono gli Anziani e gli scribi, i quali lo trascinarono via e lo condussero davanti al Sinedrio dove, di fronte al Sommo Sacerdote, Stefano ripercorse la Sacra Scrittura in tutti quei passi in cui si testimoniava la preparazione della venuta del Cristo.

Fremendo di rabbia e digrignando i denti contro di lui, i giudei presenti «gridando a gran voce, si turarono gli orecchi e si avventarono tutti insieme contro di lui e, cacciatolo fuori della città, lo lapidarono» (Atti 7,57-58).

Era presente il giovane Saulo, il quale «consentì all’uccisione di lui» (7,60).

Scrive la RISS (op. cit., p. 6) che, dopo la condanna criminale e il supplizio ignominioso di Gesù, l’odio dei «Cabbalisti» si rivolse al diacono Stefano, il quale senza un processo regolare venne abbandonato dal Sinedrio alla violenza della folla.

Dockx (Date et mort d’Étienne le Protomartyr, «Biblica» 55 (1974), pp. 65-73) avanza l’ipotesi che più che di un linciaggio si sia trattato di una esecuzione in piena regola. Approfittando dell’assenza del procuratore romano, il Sommo Sacerdote Caifa o Jonatan fece arrestare Stefano, istruì un processo a suo carico, lo condannò per blasfemia e lo fece lapidare dai testimoni a carico. L’esecuzione attirò una folla tumultuosa ostile a Stefano, ma l’incaricato d’affari Marcello non intervenne.

Lungo i secoli, la letteratura cristiana e l’iconografia hanno puntualmente rimarcato il ruolo dei giudei nel martirio del protomartire S. Stefano (F. Boespflug, “Voici que je contemple les deux ouvertes …” (Ac 7,55s). Sur la Lapidation d’Étienne et sa Vision dans l’art medieval (IXe  – XVIe siècles), «Revue des Sciences Religieuses» 66 (1992), pp. 263-295); R. Favreau, Controverses judéo-chrétiennes et iconographie. L’apport des inscriptions, «Comptes rendus des séances de l’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres», n. 3, 2001, pp. 1267-1303).

Scrive il canonico Giovanni Di Giovanni (L’ebraismo della Sicilia, Palermo, 1748, pp. 61 sgg.) che dal XIV secolo in Sicilia era diffusa l’usanza (poi abolita dal re Martino) di costringere a viva forza gli ebrei ad entrare nelle chiese, particolarmente dei giorni di Natale e S. Stefano, per poi farne bersaglio di lanci di pietre all’uscita, rendendo così loro quanto gli antichi giudei avevano fatto al protomartire cristiano.

Nel Martirologio Romano Giacomo il Maggiore compare come colui che, primo tra gli Apostoli, ricevette la corona del martirio.

Erode Agrippa, che regnò sulla Palestina dal 41 al 44, «mise mano a perseguitare alcuni della Chiesa. Uccise infatti con la spada Giacomo, fratello di Giovanni. Visto poi che la cosa era gradita ai giudei, procedette ad arrestare anche Pietro» (Atti 12, 1-3) (D. Bartolini, Cenni biografici di S. Giacomo Apostolo il Maggiore, Roma, 1885).

Eusebio (Hist. Eccl., II, 9, 1-4) riferisce che, sotto l’impero di Claudio, il re Erode prese ad infierire su alcuni della Chiesa e fece morire di spada Giacomo, fratello di Giovanni, e che Clemente Alessandrino, nel settimo libro delle Ipotiposi, cita un particolare degno di nota, così come gli pervenne dalla tradizione dei suoi predecessori: colui che aveva condotto Giacomo al tribunale rimase tanto commosso nel rendere testimonianza, che confessò d’essere anch’egli cristiano, per la qual cosa ambedue furono condotti al supplizio.

Intorno al 62 viene assassinato su ordine dei giudici del Sinedrio Giacomo il Minore: lapidato, assieme ad altri cristiani, secondo Giuseppe Flavio (Ant., XX, 200-203) ed Eusebio (H.E. II, 23, 21-22); colpito con un bastone da un cardatore di lana dopo che era stato gettato dal pinnacolo del tempio e, non essendo morto, avevano cominciato a lapidarlo, secondo Egesippo (apud Eusebio, H.E., II, 23, 3-18), con cui concorda Clemente Alessandrino (ivi, II, 23, 19).

Il Sommo Sacerdote e i sadducei fanno imprigionare gli apostoli, accusandoli di compiere prodigi e conversioni.

Un fariseo di nome Gamaliel esorta i correligionari a metterli in libertà. «Gli prestarono ascolto e, chiamati gli apostoli, dopo averli fustigati, ordinarono loro di non parlare nel nome di Gesù, quindi li lasciarono andare» (Atti 5, 17-40).

Paolo, sia da persecutore che da perseguitato, è la testimonianza vivente dell’odio rabbinico contro i cristiani.

Justin Taylor (Why did Paul persecute the Church?, in Tolerance and Intolerance in Early Judaism and Christianity, Cambridge University Press, 1998, pp. 100-101) sottolinea a ragione che i passi nei quali Paolo ricorda la sua vecchia vita di giudeo evidenziano la circostanza che egli fu un «excellent Jew». Questi passi associano la sua persecuzione della Chiesa con il suo essere giudeo, e il suo entusiasmo come persecutore con l’entusiasmo per la propria religione. La sua attività di persecutore non era che l’espressione del suo fariseismo, entusiasta sino al fanatismo, anche se, aggiunge, l’immagine di Paolo come persecutore è in contrasto con gli Atti, nei quali sono piuttosto i Sadducei a perseguitare la Chiesa.

Così il nuovo Paolo dipinge il vecchio Saulo ai Filippesi:

«Circonciso l’ottavo giorno, della stirpe d’Israele, della tribù di Beniamino, giudeo, figlio di giudei, fariseo quanto alla legge, quanto a zelo persecutore della Chiesa e quanto a giustizia secondo la legge, irreprensibile» (Fil. 3,5-6).

Ai Galati scrive:

«Certamente voi avete udito la mia condotta di una volta nel giudaismo, come fuor di misura perseguitavo la Chiesa di Dio e cercavo di annientarla, e progredivo nel giudaismo più di tutti i coetanei della mia stirpe, essendo assai più zelante di loro per le tradizioni dei miei padri» (Gal. 1, 13-14).

Dopo il martirio di Stefano «ci fu una grande persecuzione contro la Chiesa di Gerusalemme» (Atti 8,1). Fra i giudei più zelanti c’era proprio Saulo, il quale «intanto devastava la Chiesa irrompendo nelle case, trascinava via uomini e donne e li metteva in prigione» (Atti 8,3).

Saulo, «ancora spirante minacce e strage contro i discepoli del Signore, presentatosi al Sommo Sacerdote, gli chiese lettere per le sinagoghe di Damasco, affinché, se avesse trovato dei seguaci di questa via, uomini o donne, potesse condurli incatenati a Gerusalemme» (Atti 9,1-2).

Al re Agrippa confessa:

«Pure io, è vero, pensai di me stesso dover fare molte cose ostili contro il nome di Gesù Nazareno, il che feci a Gerusalemme, mettendo in prigione molti dei santi, ottenutone il potere dai Sommi Sacerdoti e dando il voto quando essi erano uccisi. Anzi, spesso in tutte le sinagoghe, con tormenti volevo indurli a bestemmiare, e oltre misura essendo furente contro di loro, li perseguitavo anche nelle città straniere» (Atti 26, 9-11).

Dopo la conversione, i giudei complottano per ucciderlo in quanto cristiano (Atti 9, 23-24).

Ad Antiochia di Pisidia i giudei, dopo aver istigato pie e ragguardevoli donne e i maggiorenti della città, «suscitarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba e li cacciarono fuori dei loro confini» (Atti 13,50). Ad Iconio Paolo e Barnaba sfuggono ad una sommossa organizzata da giudei e gentili per lapidarli (Atti 14,5). A Listri dei giudei sopraggiunti da Antiochia e da Iconio sobillarono la folla, «e lapidato Paolo, lo trascinarono fuori della città, credendolo morto» (Atti 14,19).

«Cinque volte dai giudei ho ricevuto quaranta colpi meno uno, – scrive ai Corinzi – tre volte sono stato battuto con le verghe, una volta sono stato lapidato» (2 Cor. 11, 24-25).

Diversi autori hanno avanzato l’ipotesi che l’accusa mossa ai cristiani di aver provocato l’incendio di Roma del 64 sia stata suggerita a Nerone dai giudei romani, la cui influenza a corte, esercitata tramite l’imperatrice Poppea, era notevole.

Se per E. Renan, (L’Antéchrist, Paris, 1873, pp. 43, 133, 156 sgg.) questa è solo un’ipotesi, per la CC e per mons. Umberto Benigni è una certezza.

L’organo dei gesuiti (Dell’ebraica persecuzione cit., p. 549) scrive che Nerone era convinto che gli incendiari fossero i giudei, perché il fuoco non aveva toccato la zona di Porta Capena, dove essi erano numerosi, e nemmeno la zona di Trastevere, dove erano numerosissimi. Costoro avevano nel palazzo imperiale dei protettori potenti nella proselita Poppea e in Tigellino, e riuscirono a rivolgere sui cristiani la pubblica vendetta.

Che sotto Nerone i giudei fossero potenti e ascoltati, afferma mons. Benigni (Storia sociale della Chiesa, I, Milano, 1906, pp. 80-87, doncurzionitoglia.com), lo dimostra proprio la persecuzione neroniana dei cristiani, alimentata da un lato dalla benevolenza verso i giudei che era tradizionale nella casa Giulia-Claudia, e dall’altro da quella stessa invidia (uponon) giudaica per via della quale Gesù era stato consegnato a Pilato e che, secondo Clemente Romano, ispirò anche la persecuzione di Pietro e Paolo.

Jean Beaujeu (L’incendie de Rome en 64 et les Chrétiens, «Latomus» 19 (1960), pp. 305-306), che ha ricostruito i fatti e le interpretazioni relativi all’incendio, è del parere che Nerone, per allontanare i sospetti dalla sua persona, volle incolpare degli innocenti. I cristiani fecero al caso suo. Non è impossibile che il loro nome sia stato suggerito da Poppea, la quale contava fra i suoi amici dei giudei in grado di fornirle informazioni e di spingerla ad accusare la nuova setta.

Queste ipotesi sono state respinte da altri studiosi (H. J. Leon, The Jews of Ancient Rome, Philadelphia, 1960, p. 28; L. Hermann, Les Juifs et les persécutions des chrétiens par Néron, «Latomus» 20 (1961)), I quali obiettano che non c’è alcuna prova che i giudei abbiano istigato Nerone contro i cristiani, e che non è neppure vero che essi siano stati così influenti nell’entourage dell’imperatore, sottolineando che la stessa Poppea aveva protetto l’antisemita Gessio Floro.

In effetti, sul filogiudaismo di Poppea siamo informati unicamente da alcune scarne notizie di Giuseppe Flavio. Poppea «era timorata di Dio e favorevole ai giudei» (Ant. XX, 8, 195). Dopo aver fatto amicizia con il mimo Alituro, «di nazionalità giudaica, assai gradito a Nerone», grazie a lui Giuseppe Flavio viene presentato a Poppea. Allora si affretta a scongiurarla di far liberare alcuni sacerdoti giudei arrestati ingiustamente. «Ottenuto da Poppea non solo questo beneficio, ma anche altri grandi favori, me ne tornai in patria» (Vita 3,16).

Una leggenda riferita dal Talmud racconta una presunta conversione di Nerone al giudaismo.

Inviato a combattere contro i giudei durante la guerra del 66 e giunto nei pressi di Gerusalemme, Nerone scaglia quattro frecce verso i quattro punti cardinali, ma tutte e quattro si dirigono verso la città. Un bimbo gli recita un versetto di Ezechiele, dove si profetizza la vendetta di Jahvè contro Edom/Roma (Ez. 25,14), ed allora Nerone «disertò, se ne andò e si fece proselito, e da lui discese Rabbi Meir» (Gittin 56a) (Cfr. S.J. Bastomsky, The Emperor Nero in Talmudic Legend, «The Jewish Quarterly Review» 59 (1969)).

L’epigrafe Diatagma Kaisaros (Editto di Cesare), nota anche come Editto di Nazareth, un rescritto imperiale sulla violazione delle sepolture, può fornire ulteriori ragguagli circa i rapporti fra Nerone, giudei e cristiani.

Con ogni probabilità l’autore dell’editto, che comminava la pena capitale ai violatori delle sepolture e ai trafugatori dei corpi, è lo stesso Nerone. L’editto riecheggia l’accusa fatta ai discepoli di Gesù di averne sottratto il corpo dalla tomba.

«Esso rivela infatti l’accettazione, da parte di Nerone, di un’accusa che gli avversari giudaici del cristianesimo avevano mantenuta viva, ma che, prima del diatagma, non era stata presa in considerazione da nessuno (al punto che Marco e Luca non ne parlano) e che solo con Nerone, in un preciso momento del suo regno, diviene attuale (perdendo poi di nuovo ogni efficacia, così che Giovanni non sente più il bisogno di parlarne» (E. Grzybek – M. Sordi, L’Édit de Nazareth et la politique de Néron à l’égard des chrétiens, «Zeitschrift  für Papyrologie und Epigraphyk» 120 (1998), p. 289).

Il momento preciso è il 62, l’anno delle nozze con Poppea, «che coincide con la nuova influenza assunta presso di lui da Poppea e Tigellino, che Tacito (Ann. XV, 61,4) descrive come intimi consiglieri della crudeltà del principe (…) l’azione di Poppea come portavoce di accuse giudaiche ai discepoli di Cristo diventa a questo punto probabile ed appare confermata dall’allusione all’iniqua gelosia che Clemente Romano (1 Cor. 5 e 6) indica come causa del martirio di Pietro e Paolo e della persecuzione neroniana contro i cristiani di Roma, con l’uso di termini che gli autori cristiani più antichi usano di solito per indicare attacchi provenienti da ambienti giudaici (…)

«Il diatagma fu dunque ispirato da Poppea, in seguito ai suggerimenti degli avversari giudaici dei cristiani alla fine del 62 o agli inizi del 63 nello stesso periodo indicato da Giuseppe Flavio per gli interventi filogiudaici di Poppea su Nerone (…) Anche se sollecitata da Poppea, portavoce di accuse provenienti dalla Giudea (e tuttora vive nella regione, come attesta Matteo), l’iniziativa dell’editto fu dunque probabilmente neroniana. Esso mirava a colpire, nella provincia di Giudea, i discepoli ancora viventi di Gesù, indicati come colpevoli dello spostamento della pietra che ne chiudeva il sepolcro e della sottrazione del corpo» (pp. 290, 291).

Su questa interpretazione dell’editto di Nazareth sono stati avanzati dei dubbi (G. Purpura, L’Editto di Nazaret “De violatione sepulchrorum”, «Iuris Antiqui Historia» 4 (2012)), ma anche se non vi sono prove dirette che i giudei abbiano istigato l’imperatore contro i cristiani, è certo comunque che in più occasioni essi sobillarono le autorità romane contro i cristiani, e nulla vieta di sospettare che lo abbiano fatto anche con Nerone.

Come attestano le fonti, i giudei non si limitarono infatti a perseguitare direttamente i cristiani, ma li fecero anche oggetto di calunnie e maldicenze, accusandoli presso le autorità romane di essere dei pericolosi sovversivi.

Già davanti a Pilato i giudei avevano accusato Gesù di andare contro gli statuti di Cesare (Lc 23, 2 sgg.; Gv 19,12).

Qualche anno dopo, i giudei di Tessalonica trascinano Giasone, che ha dato ospitalità a Paolo e Sila, e ad alcuni fratelli, davanti alle autorità della città, gridando: «Costoro che hanno sconvolto il mondo, si trovano anche qui e Giasone li ha ospitati. Tutti costoro agiscono contro i decreti di Cesare, proclamando esserci un altro re, Gesù» (Atti 17, 6-8).

A Corinto «i giudei si sollevarono all’unisono contro Paolo e lo trascinarono davanti al tribunale dicendo: “Costui persuade gli uomini ad adorare Dio contro la legge”» (Atti 18,12-13). Il proconsole dell’Acaia, Gallione, si dichiarò non competente in materia, e li allontanò dal tribunale.

A Cesarea il Sommo Sacerdote Anania, alcuni anziani e un retore di nome Tertullo trascinano Paolo davanti al governatore Felice, accusandolo di essere un «uomo pestifero e istigatore di sedizioni fra tutti i Giudei del mondo e capo della setta dei nazareni» (Atti 24,5).

Nella lettera alla Chiesa di Smirne, Giovanni denuncia le calunnie che i cristiani debbono sopportare da parte della «Sinagoga [comunità] di Satana»: «Ecco, il diavolo sta per gettare alcuni di voi in carcere perché siate tentati e per dieci giorni avrete tribolazione» (Apoc. 2,9-10).

Nella “Prima Lettera ai Corinzi”, scritta verso la fine del I secolo, Clemente Romano attribuisce all’ «invidia» e alla «gelosia» dei giudei le persecuzioni di Pietro e Paolo.

Karesztes (Nero, the Christians and the Jews in Tacitus and Clement of Rome, «Latomus» 43 (1984, p. 410) sottolinea la circostanza che mai Clemente biasima Nerone o le autorità romane come persone la cui gelosia provocò il massacro dei cristiani di Roma.

«Vi sono pochi dubbi che, vedendo le attività e il grande successo di Paolo e degli altri capi della Chiesa di Roma, come Pietro e Paolo, la Sinagoga, mossa da gelosia e invidia (…) istruì Nerone e il governo imperiale circa la setta che attendeva l’avvento del regno di Dio. Così Pietro e Paolo e molti altri, secondo Clemente, furono arrestati, condannati e messi a morte dopo molte torture» (p. 411). Fu dunque la Sinagoga a denunciare i cristiani come una setta sovversiva e antiromana (p. 412).

Ad ulteriore riprova che dietro le persecuzioni romane vi sia stata anche la mano dei giudei, senza andare oltre nel tempo le fonti riportano il martirio di Policarpo, avvenuto poco dopo la metà del II secolo (P. Allard, Histoire des persécutions pendant les premiers siécles d’après les documents archéologiques, Paris, 1892, pp. 300 sgg.).

Le fonti principali sono costituite dal Martyrium Polycarpi, scritto in forma di lettera, subito dopo la morte del Santo, inviata dalla Chiesa di Smirne alla Chiesa di Filomelo, in Frigia, e pervenutaci tramite Eusebio (H.E. IV, 15, 3-14, 15-45, 46), e dal Corpus Polycarpianum (IV secolo), che comprende fra l’altro una leggendaria Vita Polycarpi

(V. Saxer, L’authenticité du “Martyr de Polycarpe”: bilan de 25 ans de critique, «Mélanges de l’École Française de Rome» 94 (1982). Oltre alle ed. tradizionali, cfr. A.L. Graziani, Le sette lettere genuine di S. Ignazio e quella di S. Policarpo agli Efesini, Roma, 1833, pp. 201 sgg.; A. Butler, Florilegio di vite de’ Santi, Volume I, Parte I, Monza, 1834: S. Policarpo Vescovo di Smirne (26 gennaio), pp. 125 sgg.; G.A. Moehler, Patrologia ossia Storia Letteraria Cristiana, Volume Primo, 1842, pp. 140 sgg., 170 sgg.).

A raccogliere legna e fascine per il rogo al quale Policarpo era stato condannato si prodigarono «soprattutto i giudei con più zelo, come è loro costume» (Martyrium Polycarpi  XIII, 1).

Poiché il fuoco lo aveva miracolosamente risparmiato, il confector (esecutore, boia) finì Policarpo con un pugnale.

Alcuni, «per le istigazioni e le insistenze dei giudei, che ci sorvegliavano se noi volessimo prenderlo dal rogo» (XVII,2) suggerirono a Niceta, padre dell’irenarca Erode, di andare dal governatore affinché non consegnasse le spoglie, giacché «lasciando da parte il crocifisso (…) incominceranno a venire da lui (…) Il centurione, avendo vista la contesa dei giudei, poste nel mezzo le spoglie le fece bruciare, com’era d’uso» (XVIII,1).

È stato osservato che il Martirio di Policarpo «non argomenta affatto l’ideologia antistatale del cristianesimo primitivo (…) Nel Martirio di Policarpo l’avversario principale del martire non è Roma o il suo rappresentante, il proconsole. Lo è se mai il potere locale, cioè l’irenarca Erode, e più ancora il popolo anticristiano riunito nell’anfiteatro, in specie la sua componente giudaica» (S. Ronchey, Il martirio di san Policarpo e gli antichi Atti dei Martiri da Baronio a oggi: dottrina ufficiale e realtà storica. Orientalia Christiana Analecta, 251, Pontificio Istituto Orientale, 1996, p. 661).

Sul ruolo avuto dai giudei circa il rifiuto di consegnare il corpo di Policarpo, Saxer (op. cit., pp. 993-994) sostiene che la ragione da loro addotta (evitare che i cristiani soppiantassero il culto della croce con quello del Santo) non era che un pretesto. Il vero motivo era di colpire i sentimenti più cari e profondi dei cristiani verso i loro defunti, soprattutto i più gloriosi.

È stato anche affermato che la storicità del martirio di Policarpo non è attendibile, in quanto le fonti applicherebbero al passato le istanze e le problematiche antigiudaiche del presente (S. Ronchey, Indagine sul martirio di san Policarpo. Critica storica e fortuna agiografica di un caso giudiziario in Asia Minore, Roma, 1990, pp. 173-174).

Marcel Simon (Verus Israel, Paris, 1948, pp. 149-151) afferma che nella vasta letteratura degli Acta Martyrum i documenti che coinvolgono i giudei nelle persecuzioni sono piuttosto scarsi. I racconti dove i giudei giuocarono un ruolo importante sono quasi tutti relativi ad avvenimenti del I secolo e in Palestina. Per l’epoca successiva i documenti si riducono a poca cosa. L’autore del Martirio di Policarpo ha voluto sottolineare il perfetto parallelismo tra il martirio del Santo e quello del Cristo. Era indispensabile che in questo martirio i giudei avessero un ruolo. Anche se uno solo fosse stato coinvolto, era necessario che il racconto gli desse un risalto particolare.

Ma queste tesi della retroattività sono confutate dalla storia stessa delle relazioni tra giudei e cristiani fin dalle origini del cristianesimo. Che necessità c’era di applicare al passato problematiche che in quel passato erano state sempre vive e che senza soluzione di continuità si erano propagate, rimanendo vive, fino al presente?

(F. Vernet, Juifs et chrétiens, DAFC, Paris, 1915, coll. 1654-1659. Vernet riferisce anche il martirio di Pionio (Passio s. Pionii) e gli atti di Ponce di Cimiez (261) e di Marciano di Cesarea (303), i quali «ci mostrano parimenti i giudei incitare i pagani contro i martiri» (col. 1658); Id., Juifs (Controverse avec les), DTC, t. VIII, 2, 1925, coll. 1870-1876. Cfr. F. Vernet, La Chiesa e la polemica antigiudaica. Storia, bibliografia e storiografia dalle origini agli inizi del sec. XX, andreacarancini.it).

È stato anche scritto che, per via del fatto che i resoconti e le notizie circa le discussioni fra giudei e cristiani nel II secolo sono quasi esclusivamente di parte cristiana, ciò «non consente di stabilire con certezza se la polemica antigiudaica corrisponda sempre a situazioni reali o non sia piuttosto una finzione letteraria senza alcun fondamento storico» (G. Otranto, La polemica antigiudaica negli scritti cristiani del II secolo, in Quando i cristiani erano ebrei, Brescia, 2010, p. 131).

Nessuno pensa seriamente che tutte le persecuzioni romane siano state istigate da giudei, ma la scarsità delle fonti non testimonia affatto di una non volontà dei giudei di perseguitare i cristiani, bensì caso mai di una loro impossibilità oggettiva di farlo a loro piacimento.

Che il martirio di Policarpo non fu una finzione letteraria, lo riconosce a denti stretti e in una maniera puttosto anodina, tra gli altri anche Salomon Reinach (Saint Polycarpe et les Juifs de Smyrne, «Revue des Études Juives» 11 (1885), pp. 235-238).

Reinach, il quale riporta un paragrafo del testo greco della Vita e scrive che Policarpo sostenne a più riprese delle controversie pubbliche con i giudei di Smirne e che subì il martirio il 23 febbraio 155, non dice però esplicitamente che i giudei parteciparono al supplizio del martire, ma più prudentemente che «la lettera circolare della Chiesa di Smirne fa intervenire i giudei nel racconto del martirio del vescovo» (p. 237).

La tesi del non coinvolgimento dei giudei nel martirio di Policarpo sarebbe discutibile se quello fosse il primo ed unico caso, ma essa cozza contro la realtà storica del coinvolgimento dei giudei nelle altre persecuzioni anticristiane.

E questo vale anche per Pionio, uno dei compagni di martirio di Policarpo, il quale, come scrive la CC (op. cit., p. 556) s’era lagnato pubblicamente dinanzi agli stessi giudei di Smirne per le accuse giudaiche di essere il cristianesimo una sètta empia, atea, immorale, nemica del genere umano e rea di ogni delitto più nefando e infame:

«Gli atti del suo martirio sono ritenuti per sinceri ed autentici dal Baronio e dai Bollandisti, i quali li riportano integralmente al giorno 1° di febbraio. In essi si legge:

«“Venuti i cristiani al foro, essendo giorno di Sabato, vi erano innumerevoli donne ebree curiose di vedere … Pionio prese a parlare dicendo (tra le altre cose): Ora i giudei se la ridono di noi e ci insultano dicendo che abbiamo avuta finora troppa libertà … per qual motivo i giudei ci sbeffeggiano cotanto crudelmente? Se anche, come essi dicono, noi fossimo loro nemici, pure siamo uomini. Dicono che offesi da noi, essi hanno il diritto di dire di noi ciò che vogliono, liberamente. Ma chi mai fu da noi offeso? Chi ucciso? Chi perseguitato? Io girai per tutta la Giudea e la vidi percossa dalla divina vendetta per i tanti peccati dei suoi abitanti uccisori, violatori e cacciatori degli ospiti … Dicono che Cristo fu puro uomo e negromante. Non sono essi uomini pieni di delitti e scellerati? E poi da giovanetto mi ricordo aver udite queste invenzioni giudaiche” della necromanzia di Gesù Cristo.

«E notisi che sopra questa necromanzia di Gesù Cristo è fondato quel pessimo dei libelli ebraici detto Toldos Iescu ossia Generazione di Gesù, di cui altrove parlammo. Ondeché da queste parole di san Pionio si potrebbe arguire aver quest’infame calunnia e forse anche questo libretto girato per ghetti, fin dal secondo secolo della Chiesa, quando cioè san Pionio martirizzato nell’anno 251, era ancora giovanetto».

Non a torto è stato osservato che «il ruolo attribuito ai giudei nella Passione di Pionio evoca irresistibilmente il martirio di Policarpo».

(H. Grégoire, P. Orgels, J. Moreau, Les martyrs de Pionios et de Polycarpe, «Bulletin de la Classe des lettres et des sciences morales et politiques» 47 (1961), p. 78. S. Pionio martire e Passione di San Pionio e de’ suoi compagni martiri (A.D.S. 250), in F.M. Luchini, Atti sinceri de primi martiri della Chiesa Cattolica, t. II, Roma, 1778, pp. 131-165; W. Ameling, The Christian lapsi in Smyrna, 250 A.D. (“Martyrium Pionii” 12-14), «Vigiliae Christianae» 62 (2008), pp. 147 sgg.; P. Allard, Les chrétiens après Septime-Sevère, «La Controverse et le Contemporain», t. IV, 1885, pp. 577 sgg.; Id., Histoire des persecutions pendant la première moitié du troisième siècle, Paris, 1905, pp. 402 sgg.).

Alla fine del suo saggio su cristiani e impero romano, Marta Sordi (I cristiani e l’impero romano, Milano, 2023, pp. 292 sgg.) scrive che, quando, soprattutto nella seconda metà del II secolo, si delineò nella cultura dominante e in una parte della classe dirigente romana l’opposizione al cristianesimo, è possibile individuare gli ambienti che ispirarono, o comunque alimentarono, nelle folle ostilità e pregiudizi.

Certi pregiudizi esistevano nel popolo assai prima delle accuse neroniane del 64, ma è escluso che sia stato lo stesso Nerone a creare il pregiudizio popolare, tanto più che fino al 62 il governo imperiale e Nerone non avevano manifestato alcuna ostilità preconcetta contro i cristiani.

Vale allora la pena, aggiunge, di domandarsi quali occasioni e quali spinte abbiano generato il diffondersi di tale ostilità e di tale pregiudizio nelle folle pagane in un momento in cui né il governo imperiale, né le classi dirigenti romane, né la cultura dominante avevano manifestato alcun interesse a eccitare contro i cristiani l’opinione pubblica.

Il racconto degli Atti degli Apostoli e, in parte, le osservazioni delle lettere apostoliche, permettono di tentare una risposta a questa domanda.

Anche se in taluni casi l’iniziativa nasce in ambienti pagani e viene alimentata da essi, «nella maggior parte di questi casi si tratta delle comunità giudaiche locali che incitano contro i discepoli di Cristo» (p. 293).

L’autrice parla esplicitamente di «istigazione giudaica delle folle pagane».

«Il fenomeno negli Atti è strettamente collegato con la predicazione di Paolo, ma diventa poi, specie in alcune città dell’Asia Minore, un elemento ricorrente della persecuzione anticristiana alla fine del I e nel II secolo, come rivelano per Smirne un accenno dell’Apocalisse (II,9) e il Martirio di Policarpo. La prima manifestazione di tale fenomeno si può cogliere nell’azione contro Paolo dei “Giudei residenti a Damasco” (Atti IX,22-23) databile al 36 circa d.C.; il fatto si rinnova ad Antiochia di Pisidia, intorno al 48 (ibid., XIII,50), quando, essendo la predicazione di Paolo rivolta ai pagani, “i Giudei invitarono le donne timorate (sebomenai, cioè aderenti al giudaismo) e i primi della città e sollevarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba”.

«Lo strumento della sobillazione sono qui le donne “timorate” delle classi alte, che agiscono a loro volta sui protoi della città: le folle non sono in questo caso chiamate in causa. Anche a Iconio (XIV,2 sgg.) sono i Giudei a sollevare e a inasprire contro i “fratelli” ”le anime dei gentili” e a provocare l’iniziativa ostile.

«Le folle sono ricordate per la prima volta a Listri, persuase dai Giudei venuti da Antiochia e da Iconio (XIV,19).

«A Tessalonica sono ancora i “Giudei” invidiosi per la conversione dei Greci (ibid., XVII, 5 sgg.), a riunire la folla con l’appoggio di alcuni agitatori e a tentare un assalto alla casa di Giasone, presso il quale Paolo e Sila erano ospiti, per condurli di fronte al popolo, turbando con i loro discorsi la folla e provocando l’intervento dei poliarchi; gli stessi Giudei di Tessalonica raggiungono poi Paolo e Beroia “incitando e turbando le masse” (ibid., XVII,13). A Corinto, invece, l’azione condotta dai Giudei (ibid., XVII 12 sgg.) si svolge in modo unanime davanti al tribunale di Gallione e, di fronte al deciso rifiuto del proconsole romano di intervenire, finisce con una dura lezione inferta al capo della sinagoga dai pagani presenti» (pp. 293-294).

I giudei tentarono di «trasferire sui Cristiani i pregiudizi e l’ostilità che gravano da secoli nella diaspora sulle comunità giudaiche: e questo potrebbe spiegare, in parte, l’accusa di “odio del genere umano” che al tempo di Nerone, secondo Tacito, veniva attribuito ai Cristiani e che da secoli era appunto l’accusa che i pagani rivolgevano, specie nei paesi di lingua greca, ai seguaci del giudaismo» (p. 296).

Opinione che, a parte i “pregiudizi” di cui le comunità giudaiche della diaspora sarebbero state vittime (l’odio contro il genere umano essendo la caratteristica precipua del giudaismo rabbinico-talmudico), si può senz’altro condividere.

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