ACCUSATIO SANGUINIS.
LA QUESTIONE DELL’OMICIDIO RITUALE EBRAICO
IN UN DIZIONARIO DI ERUDIZIONE BIBLICA DEL XIX SECOLO
Premessa di Gian Pio Mattogno. ‒ Una delle accuse che più frequentemente ricorrono nella letteratura antigiudaica è quella secondo la quale il Talmud autorizza o ordina al pio giudeo di praticare l’omicidio rituale ai danni di vittime cristiane, per lo più bambini, al fine di mescolarne il sangue al vino del Seder di Pesach o aggiungerlo all’impasto delle azime.
Per lunghi anni la questione dell’omicidio rituale ebraico è stata oggetto di aspre controversie tra assertori e negatori, fino alle polemiche più recenti, a seguito della pubblicazione del discusso libro di Ariel Toaff Pasque di sangue (Bologna, 2007. Ed. rivista: 2008).
Altrove (Sorgente di morte. L’omicidio del non-ebreo nel Talmud e nella tradizione rabbinica, Effepi, Genova, 2019) ho scritto che in realtà la questione dell’omicidio rituale ebraico è: (a) un falso obiettivo polemico e (b) un falso problema.
(Naturalmente, un falso obiettivo polemico e un falso problema oggi, nel contesto della moderna polemica tra assertori e negatori. Non bisogna infatti chiudere gli occhi dinanzi al fatto che in passato, come viene ricordato anche nel testo, l’accusa di omicidio rituale non era un falso problema, ma un problema tragicamente reale, nel senso che ha provocato sofferenze reali a non pochi ebrei, i quali magari meritavano ogni altro genere di accuse, ma nella fattispecie non certamente questa).
(a) ‒ Un falso obiettivo polemico, perché non c’è bisogno di invocare l’esistenza di una tale pratica per denunciare la volontà omicida del pio giudeo talmudista nei confronti del non-ebreo. Che una tale volontà esista, è ampiamente documentato dalla letteratura rabbinica.
(b) ‒ Un falso problema, perché non esiste al riguardo alcuna prova, alcun documento, alcun accenno né nel Talmud, né in nessun altro testo della letteratura rabbinica.
È possibile ‒ ma anche qui si rimane nel campo delle ipotesi ‒ che certi ambienti cabalistici, fanatici e superstiziosi in passato si siano macchiati di questo crimine, come hanno scritto recentemente Ariel Toaff e molto prima di lui tra gli altri l’abate Luigi Chiarini (di cui si fa menzione nel testo) ed Herman De Vries De Heekelingen (Ebrei e cattolici, Effepi, Genova, 2015, pp. 51-67), ma non si può asserire che costoro abbiano messo in pratica dei precetti talmudici ed abbiano agito in conformità con gli insegnamenti della tradizione rabbinica ortodossa.
Si vedano anche le pagine equilibrate che mons. Félix Vernet ha dedicato alla questione dell’omicidio rituale: La Chiesa e la polemica antigiudaica. Storia, storiografia e bibliografia dalle origini agli inizi del sec. XX, andreacarancini.it.
Che dunque esista una pratica dell’omicidio rituale ai danni di una vittima cristiana, nelle modalità menzionate e limitata ad alcuni ambienti “fondamentalisti”, come scrive Toaff, è possibile.
Che tale pratica fosse la conseguenza di determinati precetti rabbinici, fino a prova contraria è falso.
Ma la questione dell’omicidio rituale ebraico, nelle modalità sopra ricordate, è un falso problema anche per un altro ordine di ragioni: altra cosa, infatti, è se la tradizione rabbinico-talmudica autorizzi o addirittura ordini l’omicidio del non-ebreo in quanto idolatra ed eretico, e se tale omicidio possa assumere la valenza di un omicidio rituale, se cioè sia da considerare un atto sacrificale in onore del Dio giudaico.
Qui, al contrario, come ho mostrato, le fonti non mancano e forniscono risposte esaustive.
In altre parole, così come, per dimostrare una volontà imperialistica di Israele, non è necessario ricorrere ai cosiddetti “Protocolli dei Savi Anziani di Sion”, un testo tanto falso, quanto grossolano, inutile e controproducente (Cfr. Perché possiamo fare a meno dei “Protocolli dei Savi Anziani di Sion”, andreacarancini.it), in quanto l’aspirazione giudaica al dominio mondiale è attestata ad abundantiam da numerose fonti della tradizione rabbinico-talmudica, allo stesso modo non è necessario impugnare l’argomento polemico dell’omicidio rituale ebraico per dimostrare una volontà omicida del pio giudeo nei confronti dell’empio goy, magari con risvolti rituali, essendo anche questa stabilita dagli insegnamenti dei rabbini talmudisti.
Quella che segue è la voce Duae Doctrinae, apparsa nel Dizionario di erudizione biblica propedeutico, storico, geografico, esegetico ed apologetico per G.G.F. Re. Volume III, Torino, 1891, pp. 300-315.
L’autore, che parteggia apertamente per i negatori, compendia egregiamente e obiettivamente i termini essenziali della questione dell’omicidio rituale ebraico, ma è in errore quando sembra negare che i giudei abbiano due morali e due dottrine, una per sé e l’altra per i non-ebrei.
Difatti il tratto che caratterizza l’essenza più profonda del giudaismo rabbinico-talmudico nei suoi rapporti con i non-ebrei è proprio la doppia dottrina e la doppia morale, con tutte le conseguenze che ciò comporta.
DUAE DOCTRINAE. ‒ Non occides. È antica l’accusa fatta ai Giudei di aver due morali e due dottrine, una per sé, l’altra pei gojim o non Giudei su diversi punti, uno dei quali è il quinto comandamento “Non occides”. Vuolsi che i Giudei ritengano come illecito uccidere un giudeo, ma non un gentile, un goi (CHIARINI, Théorie du Judaïsme); specialmente in certi casi. Ci occuperemo di questo. I Giudei negano che ciò sia, ma non pochi tra i Cristiani sostengono che ciò è vero. È poi a tutti noto quanto sia dibattuta anche ai giorni nostri la famosa disputa circa la “accusatio sanguinis”.
I. Accusatio sanguinis. ‒ Pretendono non pochi che nel Talmud ed altri libri rabbinici si trovi registrata una legge che comanda o per lo meno raccomanda od anche solo permette ai Giudei nel tempo pasquale uccidere un cristiano e preferibilmente un bambino innocente per averne il sangue e questo mischiare insieme col pane azimo ed anche col vino. Aggiugni altre virtù secondarie dello stesso sangue; come quella di guarir da certe malattie, agevolare i parti difficili, sollevare nelle loro agonie i moribondi, ecc.
Gli Ebrei chiamano ‘Alilath haddam [calunnia del sangue] «Actio sanguinis», l’uso vero o falso del sangue cristiano nei loro riti e superstizioni e specialmente nella celebrazione della Pasqua. Secondo alcuni il rito è noto soltanto ai grandi Chacami [Saggi] ebrei, secondo altri a tutti.
II. Historia. ‒ Noi daremo qui un cenno storico sull’andamento della disputa e chiameremo Antigiudei gli accusatori e Giudeofili i difensori, gli uni e gli altri assai numerosi. Si hanno esempi di tale accusa al fine del secolo IV (SCHWAB, Stor. Ebrei, Venezia, 1870, p. 69) e poi nel 1080 in Francia, nel 1252 e 1284 in Spagna; nel 1226 in Inghilterra; a Lincoln (1266); Milano (1443); Trento (1475); Venezia (1506).
Parlando di tempi meno antichi furono accusati gli Ebrei d’omicidio per motivi religiosi a Damasco (1840), a Rodi (1840), a Badia Rovigo (1857). Riaccese la quasi assopita disputa un libro comparso a Regensburg nel 1866, in cui sono raccolti 73 casi di uomini uccisi dai Giudei per aver sangue nella loro Pasqua (Cholewa de Pawlikoski, Der Talmud, etc., pp. 245-308). Altra raccolta di simili casi fu pubblicata a Budapest l’anno 1883.
In modo speciale fece rumore altro libro uscito a Munster nel 1871 (Aug. ROHLING, Talmudjude, 1ª ediz., 1871; 6ª ediz. 1877), cui tennero dietro parecchi altri dello stesso autore (Id., Judenspiegel). [In realtà l’autore di Judenspiegel non è Rohling, ma Aron Israel Brimann con lo pseudonimo di Dr. Justus, come indicato anche dopo].
Si associarono nella lotta contro il Giudaismo in Germania parecchi giornali ed anche scrittori tra i quali uno chiamato Clemens Victor che alcuni credono non essere che uno pseudonimo del sopracitato scrittore (Judenfrage, Leipzig, 1887), più dottor Rebbert (Christenschutz nicht Judenhatz, Paderborn, 1883, 4ª ediz.), un avvocato anonimo (Der Mauscheljude, Paderborn, 1883), Konrad Martin (Blicke in Talmud. Judenth., Paderborn, 1883), doctor Justus Ahron Briman (Judenspiegel, Paderborn, 1883; Die Cabbala, Innsbruck, 1885), Theod. Fritsch (Die Juden und Christenblut, Leipzig, 1892).
In Francia Enrico Desportes in un libro di pagine XXXII-370, pubblicato a Parigi (Le mystère du sang, Paris, 1890).
In Italia La Civiltà Cattolica (Anno 1881 e 1882) e specialmente L’Osservatore Cattolico di Milano che in una lunga serie di articoli riferisce più di 150 casi di simili assassinii compiuti o tentati (Anno 1892, marzo, aprile).
Sorsero a combattere gli antigiudaici libri: Franz Delitzsch (Rohling Talmudjude, Leipzig, 1881), Jos. Bloch (in Wien. Allgem. Zeitung, 1882).
Tra gli intelligenti in letteratura giudaica si associarono a negar vera l’antica accusa Stade e Dillman a Berlino, Ebers e Fleischer a Lipsia, Kalkar a Kopenhagen, De Lagarde a Gottinga, Merx ad Heidelberg, Luigi Mueller a Graz, Fed. Mueller a Vienna, Noeldeke a Strassburg, Riehm a Giessen, Sigfried a Jena, Wuensche a Dresda, Sommer a Koenigsberg. Insomma si dichiarò in favore degli ebrei la grande maggioranza; per non dire quasi totalità dei moderni ebraizzanti cristiani Europei (Christliche Zeugnisse etc., Berlin, 1882; Loewenstein, Damascia, Frankf., 1843; Blutbeschuldigung, Wien, 1883; Hamburger Encycl., II, p. 1319). Specialmente si distinsero per zelo nel difendere gli Ebrei e dimostrarli innocenti: Hermanno Strack, professore di teologia protestante a Berlino (Blutaberglaube, Munchen, 1892, 4ª ediz.), e Levinsohn (Blutlüge, Berlin, 1892).
La disputa fu agitata dall’una e dall’altra parte con indescrivibile calore. Uno degli Antigiudei giunse perfino a confermar con una specie di giuramento la sua intima convinzione che l’accusa del sangue non è mica una calunnia ma una verità. «Al cospetto della morte e del mio eterno giudice non posso dire diversamente». Anzi L’Osservatore Cattolico finì per proporre un premio di 10.000 lire a chi si sentisse in forza di confutar i suoi articoli ed i fatti da esso riferiti.
Non mancarono tra i Giudeofili di cotali che accettarono la sfida a patto che i giurati per decidere fossero tre professori tedeschi anche due su tre cattolici, purché conosciuti nel mondo letterario come idonei all’alto incarico. Le condizioni non piacquero e la sfida andò a monte.
III. Hinc inde. ‒ La lotta fu combattuta non solamente con calore ma eziandio con acrimonia da ambedue i lati. Secondo gli Antigiudei il Giudaismo talmudico e rabbinico è in genere un emporio di dottrine le più assurde, antisociali, empie, framassoniche; i Giudei in genere gente pessima, ladra, assassina. I Giudei, poi, se vogliono vivere secondo le leggi rabbiniche e talmudiche, fa d’uopo che siano gente nemica della società, peste del genere umano, specialmente arrabbiata contro Cristo ed i suoi seguaci.
Dal loro canto i Giudeofili accusano i loro avversari: 1° di ignorantoni che parlano di Talmud e di libri rabbinici senza saperne leggere e capire neppure una linea; 2° di plagiarii che compilano scritti calunniatori contro gli Ebrei razzolando testi e fatti da autori per lo più antichi e noti per le loro antipatie antisemitiche; 3° credenzoni che prendono favole per storie vere; 4° falsarii che se non per malizia, certo per ignoranza, falsificano testi, interpretano a rovescio, fan dire e insegnare e scrivere dagli Ebrei cose che mai non sognarono né di dire, né di insegnare, né di scrivere; 5° i travisatori delle dottrine giudaiche sono talvolta così strani, che meriterebbero non d’essere confutati, ma condotti al manicomio; 6° aggiungono i Giudeofili che alcuni tra i collettori di casi non ebbero altro in mira che di ingrossare l’elenco abborracciando fatti e fatti senza critica e senza discernimento, facendo comparire anche due o tre volte con diverse parole uno stesso caso; 7° che gli Antigiudei si servono per denigrare il giudaismo di un metodo il quale guai se fosse buono! Raccogliere cioè brani di qua e di là isolati, staccati, scuciti, male tradotti e pessimamente interpretati, col quale metodo non sarebbe difficile provare che la Bibbia contiene più assurdità che il Talmud. Per es., è lecito perseguitare, maledire, odiare, rubare, imprecare, ferire, uccidere ecc., per es. «Odium habebis inimicum tuum, qui non odit patrem suum non est me dignus, ecc.»; 8° l’accusa più grave fu d’aver alcuno fra gli Antigiudei confermato con giuramento le sue false citazioni per acquistare maggior fede presso i profani, quindi, cosa inaudita, pubblicamente tacciato dai Giudeofili come spergiuro.
La lotta giunse a punto tale che alcuni tra gli Antigiudei diedero persino querela presso i tribunali per ingiurie ed insulti; dall’altra parte i Giudeofili presentarono alle autorità domanda di eleggere una commissione di arbitri competenti per esaminare e decidere se le accuse contro il Talmud e i Rabbini siano o no fondate e porre così una volta un termine ad un sistema di falserie tutte rivolte ad ingannare i non intelligenti ed a far vedere al mondo lucciole per lanterne. La querela dei primi, quando stava per essere discussa, fu ritirata e la supplica dei secondi non fu dall’autorità esaudita.
IV. Contra accusationem. ‒ Argomento non lieve contro l’accusa del sangue ed in favor dei Giudei è che Antonio Margaritha, Paolo Medici, Wagenseil, Leone Modena, Bartolocci, Buxtorfio, Pfefferkorn Giovanni e altri molti scrittori di cose e di riti giudaici, non fecero mai dell’uso del sangue nessun cenno. Wagenseil anzi deplora che per siffatte maledette menzogne migliaia e migliaia di Ebrei siano stai maltrattati e torturati e messi a morte! (Apud Guidetti, Pro Judaeis, p. 305).
L’abate Chiarini, uno dei più zelanti fra gli Antigiudei ed anche uno dei più intelligenti in materia talmudica, avendo intrapreso e non terminato una versione del Talmud, ammette come vera l’uccisione dei bambini per opera degli Ebrei, ma con due limitazioni: 1° che tale uccisione non è uso comune, ma «fanatisme d’un petit nombre du bas peuple»; 2° che dal Talmud non risulta se l’uccisione sia fatta per averne il sangue o solo per rinnovar la memoria della crocifissione di Gesù o se sia per ambedue queste ragioni (Théorie du Judaïsme, I, p. 355).
Altro argomento è che tutto ciò che gli Ebrei usano si può dire che tutto è scritto nei loro libri editi od inediti. Ora gli Antigiudei sfidati più volte a dire in qual libro e in qual luogo sia comandato o raccomandato l’uso rituale del sangue finora nessuno poté rispondere alla sfida. Si trovarono anzi in alcuni libri giudaici che ebbero per autori uomini seri ed onesti non rare volte insegnamenti ed anche proteste contro la famosa accusa (CANTARINI, Vindex Sanguinis, Amstelodami, 1681), Isaac Abravanel, Samuel Usque, Jehuda Karmi, con cento altri e specialmente Zunz e Friedlaender (FRIEDLAENDER, Blutbeschuldig, Brunn, 1883; ZUNZ, D. Synagogale Poesie, p. 27).
Manasse ben Israel giunse a far giuramento al cospetto di Dio creatore del mondo ed autore della legge, che egli ebreo instrutto in tutto ciò gli Ebrei insegnano e fanno, in tempo di sua vita non ha mai visto, né letto, né sentito fra i suoi correligionarii nulla di tale uso (Apud STRACK, p. 136). Manasse ben Israel, nato a Lisbona nel 1604, visse molta parte di sua vita ad Amsterdam.
Mosè Mendelssohn, dotto ebreo, si dichiarò pronto a ripetere lo stesso giuramento. La stessa disposizione a giurare manifestarono Salomone Hirschell, gran Rabbino di Londra, David Meldola, gran Rabbino degli Israeliti Portoghesi a Londra ed altri ancora. E sebbene ciascuno possa degli Ebrei pensare ciò che crede, tuttavia dubitare dell’onestà e della veracità dei citati scrittori e di altri non citati, pare che sia uno spingere all’esagerazione la diffidenza.
Aggiugni le testimonianze di Ebrei convertiti, tra i quali Strack cita i seguenti:
1° Fried. Alb. Christiani molto pratico in letteratura rabbinica, stato battezzato a Strassburgo nel 1674 (Juden Glaube und Aberglaube, Leipzig, 1705; An. IV), il quale afferma che durante la sua vita nell’ebraismo non sentì mai a parlare del barbaro uso rituale del sangue cristiano.
2° Luigi di Sonnenfels, anch’esso ebreo convertito, scrisse un libro intiero per difendere gli Ebrei dall’accusa del sangue, in latino e tedesco (Judaica sanguinis causa, Viennae, 1753), nel quale dice che egli non darebbe torto a coloro che condannarono gli Ebrei ad esser passati a fil di spada, bruciati vivi, sbranati dai cani e tagliati a pezzi se l’accusa del sangue fosse vera; ma egli che ha vissuto tutta la sua giovinezza sotto la guida d’un padre, gran Rabbino a Berlino, attesta, alla presenza di Dio, che l’accusa del sangue è una delle più nere bugie che siano state dette dacché il mondo è mondo.
Un neofito, Thomas, interrogato dal re spagnuolo Alfonso X, rispose l’accusa del sangue essere calunnia (Shebet Juda apud Eisenmenger, Entd. Judenth., II, p. 225). La stessa cosa disse a Benedetto XIII il convertito Hieronymus de Santa Fè.
3° Più di tutti questi ed altri protestò contro l’accusa del sangue il celebre ebreo convertito predicatore viennese Emmanuel Weith, stato battezzato nel 1816 e morto il 1876. Racconta perfino uno scrittore F.J. Molitor, che l’anno 1840, Weith, predicando l’8 maggio, festa dell’Ascensione, prese il crocifisso in mano e con esso giurò solennemente che l’accusa del sangue è una falsità (STRACK, p. 141).
4° Alessandro Mc Caul pubblicò una dichiarazione sottoscritta da 58 Israeliti convertiti, in cui l’accusa del sangue è rigettata come falsa.
5° A questi Ebrei convertiti sono da aggiugnere ancora altri (Christliche Zeugnisse gegen Blutbschuld. d. Juden, Berlin, 1882). Francesco Delitzsch in una lettera del 13 ottobre 1882 dice d’aver avuto relazioni per 50 anni con ebrei convertiti ed assicura innanzi a Dio che nessuno di questi sapeva qualche cosa di quell’uso assassino (GUIDETTI, p. 260).
La facoltà teologica (protestante) di Lipsia il giorno 8 maggio 1714 dichiarò che tra gli Ebrei convertiti neppur uno ha confermato la favola dell’uso del sangue cristiano nei riti giudaici. Fu da alcuni citato un libro di un ex rabbino anonimo moldavo il quale attesta che presso gli Ebrei esiste l’uso rituale del sangue. Ma i Giudeofili fecero notare che questo ex rabbino non era né rabbino né ebreo, perché se fosse stato o l’uno o l’altro non sarebbe caduto in tanti spropositi parlando di cose ebraiche. Per es. che gli Ebrei piangono la distruzione del tempio il 9 luglio invece di 9 Ab e che festeggiano il trionfo di Ester il 14 febbraio invece di 14 Adar, quasi che l’anno solare e l’anno lunare fossero d’accordo ed il 9 Ab ed il 9 luglio fossero lo stesso giorno, come pure 14 Adar e 14 febbraio.
Aggiugni che l’ex rabbino moldavo parla di usanze ebraiche nella Moldavia che in nessun altro luogo del mondo sono dagli Ebrei conosciute neppure nella Moldavia oggidì. Quindi tutt’al più potrebbe essere che l’uso rituale del sangue fosse nel numero delle predette usanze moldave di quel tempo. Provar ciò non è ancora provare esser detto uso da ascrivere al giudaismo in genere, come non sono da attribuire alla Chiesa cattolica certe opinioni e certe superstizioni di qualche luogo e di qualche tempo.
Ciò si ha da intendere come «datum sed non concessam» poiché, stando alle parole dell’ex rabbino, nella Moldavia tutti gli anni dovrebbero scomparire fanciulli a bizzeffe all’epoca di Pasqua dagli Ebrei uccisi; ora questo non consta che succeda, come non consta che si usi nella Moldavia all’epoca di Pasqua nascondere i fanciulli per sottrarli alle unghie degli Ebrei; non consta neppure che nella Moldavia si abbia di ciò paura più che in altro luogo del mondo, per esempio a Roma od a Torino dove i fanciulli al tempo di Pasqua vanno e vengono tranquilli come pesci. Inoltre la conversione di un rabbino non è un fatto leggero da passare inosservato e dimenticarsi in poco tempo; ora non consta che nella Moldavia si sia conservata memoria di alcun rabbino che si sia fatto cristiano circa l’anno 1803 epoca della conversione del suddetto rabbino moldavo.
Tra i Cristiani poi non mancarono di quelli che tolsero a materia di studio serio ed imparziale la famosa accusa e la provarono falsa: Gottfried Olearius (1751), Fried. von Meyer (1841), Joseph Molitor (1841), Binterim (1834-1891), Dalman (1883), Ort (1883), ecc. Scrisse anzi Wagenseil un libro intiero per la difesa degli Ebrei su questo punto (Der denem Juden falsich beygemess. Gebrauch d. Christenbluts, Leipzig, 1705): la qualcosa fece pure un anonimo di Berlino nel 1882 (Christlich. Zeugnisse gegen Blutbeschuld, Berlin, 1882).
Il sopra citato professore Franz Delitzsch dichiarò (1882) con due attestati che l’accusa è pura immaginazione e che nei due Talmud non v’ha una parola sola che l’appoggi.
La Facoltà teologica di Amsterdam invitata dai Rabbini radunati a Buda-Pest il 5 luglio 1882 a dare il suo giudizio sulla famosa accusa del sangue, dichiarò che, a giudizio di tutti gli intelligenti, in nessun libro religioso ebreo è fatto cenno di un tal uso.
Una simile dichiarazione emanò la Facoltà teologica di Lipsia.
Mons. Kopp, vescovo di Fulda, il 4 novembre 1882 dichiarò ritenere per una maligna bugia l’accusa del sangue la quale non si poté finora in nessun modo provare.
Il cardinale Manning, arcivescovo di Westminster, in un meeting tenuto per protestare sui mali trattamenti contro gli Ebrei in Russia afferma che egli respinge con incredulità e disgusto le accuse fatte agli Ebrei; e quando fossero vere, l’assassinio, le abominazioni d’ogni specie si guariscono coll’oltraggio? (GUIDETTI, p. 370). Tra le cose dette nel Congresso cattolico di Malines nel 1865 una è che «nessun uomo serio crede oggi che gli Ebrei si tengano autorizzati dalla loro religione ad uccidere cristiani» (Congresso cattolico di Malines, 1865).
V. Testimonia R. Pontificum. ‒ Non sarà fatica perduta riferir qui il giudizio che portarono sulla famosa accusa i romani Pontefici o meglio quelli tra essi che della stessa s’occuparono. Premettiamo una notizia:
«Riguardo ai processi per l’assassinio di fanciulli non basterebbe un volume per raccontare tutte le vittime che essi fecero in così tanti anni di autodafè ed enormi sanzioni» (REINACH, Hist. Israélit. , p. 177).
Che queste parole non siano esagerate lo provano le seguenti testimonianze.
È noto che non una volta sola sorsero i Papi in difesa dei perseguitati Giudei, specialmente in certi casi in cui la crudeltà dei persecutori oltrepassò i limiti del credibile. Per es. Gregorio IX scrisse che «Vestigiis inhaerens felicis memoriae Calixti, Eugenii, Alexandri, Clementis, Coelestini, Innocentii, Honorii» minaccia la scomunica a coloro che «in festivitatum suarum celebratione fustibus vel lapidibus Judaeos perturbant» (Mon. Germ. Epist. R. Pont., saec. XIII, I, p. 530).
Pare che se i citati pontefici avessero dato peso alle accuse lanciate contro gli Ebrei, specialmente a quella del sangue, sarebbero stati verso gli Ebrei meno teneri; venendo poi a quelli che parlarono esplicitamente o quasi dell’accusa, tre ne troviamo.
In Germania (Vienna) l’anno 1247 essendo stato trovato il cadavere di una fanciulla stata assassinata, pel solo sospetto che i rei fossero gli Ebrei, furono questi «cruci affixi nec convicti, nec confessi, nec eorum excusatione excepta, alii coesi per medium, alii igne combusti, aliis extracti testiculi et mulieribus mammillae» (BERGER, Registres d. Innocence IV, Paris, 1884, I, p. 420).
L’anno 1171, nella città di Blois, furono per questa accusa bruciati vivi tutti gli ebrei, in tutto 50 persone; soffrirono la stessa pena a Troyes 13 ebrei l’anno 1288. Con questi sospetti erano gli ebrei generalmente «spogliati, lacerati, uccisi» (BERGER, Registres d. Innoc. IV, I, p. 420). «Ejusdem rei praetextu anno 1279 statim post Pascha (die secunda aprilis) multi Judaei Londoniae suspensi vel equis distracti» (Flor. Wigorniensis monachi chron., ed. Thorpe, II, p. 222).
Pieno d’orrore per queste ed altre simili atrocità contro gli Ebrei, Innocenzo IV in una lettera indirizzata «Archiepiscopis et episcopis Alamanniae» (5 luglio 1247), biasima coloro che accusavano gli Ebrei «quod in solemnitate Paschae se communicent corde pueri interfecti», «dicente illis scriptura non occides et prohibente illos in solemnitate Paschali aliquid morticinum non contingere» ordina «se exihere (Judaeis) favorabiles et benignos»; minaccia la scomunica contro coloro che «per hoc et alia complura figmenta seviebant in Judaeos» come pure «contra praelatos, nobiles et potentes» che avessero d’allora in poi ingiustamente molestato gli Ebrei «super his vel similibus» (Mon. Germaniae Epist. Pont. saec. XIII, II, p. 247).
Or bene, se Innocenzo IV avesse detto, come taluno gli fece dire, «Considerando che gli Ebrei non si comunicano col cuore (pueri occisi), ma solamente col loro sangue, condanniamo quelli che li molestano e che non sono loro (favorabiles et benigni)!», Innocenzo avrebbe parlato non da Papa ma da pazzo. Perciò poi in modo più esplicito lo stesso Pontefice altra volta minacciando la scomunica contro coloro che perseguitano gli Ebrei col pretesto che «utuntur humano sanguine in ritu suo, cum in vetere testamento praeceptum sit eis quod quolibet sanguine non utantur, ut taceamus de sanguine humano» (ROESSLER, Deutsche Rechtsdenkmaeler, etc., Prag, 1845, I, p. 178). Due altre lettere, sullo stesso argomento, scrisse Innocenzo IV una il 28 maggio 1247 (BERGER, I, p. 420) ed un’altra nel settembre dello stesso anno.
Gregorio X in una bolla del 7 ottobre 1272 conservata negli archivi di Innsbruck e stata in parte copiata e comunicata al professore Strack dal padre Mattia Flunk della Società di Gesù, biasima coloro che «asserunt falsissime quod Judaei pueros clam et furtim subtraxerint et quod ex corde et sanguine eorum sacrificent cum lex eorum hoc praecise inhibeat. Statuimos quod in casu huiusmodi occasione frivola liberentur» (Apud STRACK, p. 149).
Martino V in una bolla del 20 febbraio 1422 scrisse che «plurimi Christiani ut Judaeos redimi facere et bonis ac substantiis expoliare possint asserunt eorum azymis humanum sanguinem immiscuisse et venenum injicere fontibus; scelera eis injuste obiecta» (Analecta juris pontificii XII, 1873, p. 387).
Il biasimo e la condanna di Martino V ripeté pure Paolo III con la bolla del 12 maggio 1540 contro coloro i quali «Judaeorum capitales inimici odio vel invidia aut quod verosimilius videtur avaritia obcoecati ut ipsorum bona valeant cum aliquo colore usurpare asserunt quod infantes occidant, eorum sanguinem bibant, aliaque varia et enormia crimina eis falso impingunt, sicque conantur simplicium Christianorum animos contra eos irritare, quo fit ut saepe non solum bonis sed etiam vita injuste priventur» (Österreich. Wochenschrift, VI, 1889, N. 19).
Per mezzo del cardinale Corsini, Clemente XIII scrivendo a monsignor Nunzio apostolico a Varsavia, dichiarò l’accusa del sangue mal fondata e ciò dopo diligente disamina (GUIDETTI, p. 318).
Benedetto XIV affidò allo studio del celebre francescano Ganganelli l’esame dell’accusa. Il francescano allora consultore del Santo Officio rispose essere insussistente (Berliner Gutachten etc., Berl., 1888).
Gli Antigiudei si fanno ancora forti sopra un numero grandissimo, oltre a 150, di fatti in cui gli Ebrei furono uccisori di fanciulli a scopo rituale.
VI. Facta in genere. ‒ Invece di fatti bisogna scrivere accuse, poiché l’esser stati 150 0 200 volte gli Ebrei accusati non prova che fossero colpevoli; ce ne assicurano le bolle dei Pontefici riferite sopra, nelle quali non si parla mai d’altro che di calunnie, di accuse ingiuste, di pretesti fondati sull’odio, sull’invidia, sull’avarizia. E non solo di accuse e di calunnie, ma di processi bugiardi e di condanne inique e di esecuzioni feroci; anzi di confessioni estorte dai pretesi colpevoli a forza di tormenti e di torture «tamdiu poenarum diversarum afflixit donec ipsi ore, sicut dicitur, sunt confessi quod eorum conscientia non didicit, eligentes potius uno tormento, quam vivere et poenarum afflictionibus cruciari»; così innocenzo IV (BERGER, l.c.; STRACK, p. 123).
Casimiro il grande, re di Polonia, vietava l’anno 1345 ai suoi sudditi di accusare gli Ebrei domiciliati nel circuito dei suoi dominii circa l’uso del sangue umano e ciò per due ragioni: 1° perché risulta essere l’uso del sangue agli Ebrei vietato dalla loro stessa legge; 2° perché tal divieto è in conformità colle ordinazioni pontificie (TUGENHOLD, Der alt. Wahn, apud Hamburger, Encycl. Jud., p. 1320). Un decreto affatto simile emanò pure nel secolo XV Casimiro IV, altro re della Polonia, «parimenti in conformità alle prescrizioni papali» (Idem, ibid.).
Dopo ciò che dissero i Pontefici non sarà temerario il credere che siano un po’ vere le seguenti parole: «Un fanciullo cristiano era scomparso senza che si sapesse l’autore del crimine? I sospetti ricadevano immediatamente sugli Ebrei. Confessioni strappate con la tortura prendevano il posto di prove, e le cataste di legno si illuminavano» (REINACH, Hist. Isr., p. 162).
Tutto questo è detto pei casi in cui ebbe luogo un processo ed una condanna, ma per la gran parte dei fatti citati non si parla di processi, ma di Ebrei condannati a morti infami «innocentiae suae excusatione et defensione non ammissis, sine judicio, non accusati, non confessi, non convicti», così ancora Innocenzo IV. Ciò in generale.
VII. Facta singularia. ‒ Venendo ad alcuni casi particolari, diciamo non esserne quasi alcuno che sia anteriore al sec. XII; uno dei più antichi è quello di Blois (1171) quando tutti gli ebrei della città (50 persone) furono, per detta accusa, bruciati vivi.
Senza trattenerci a lungo dei tempi antichi ebbero luogo processi celebri in tempi da noi meno lontani; uno ebbe luogo a Rovigo avanti il tribunale provinciale addì 1° ottobre 1856, la sentenza fu che il racconto della fanciulla Giuditta Castilliero, che si finse vittima sfuggita dalle unghie giudaiche dopo sei salassi, era una pretta invenzione.
Anche in Mantova s’era sparsa la voce nell’anno 1824 di una fanciulla stata uccisa dagli ebrei, ma più tardi fu trovata.
Nel 1889 Max Bernstein, ebreo di Breslau, fu accusato d’aver estratto sangue dalle dita di un fanciullo cristiano, Severino Hacke. Dal processo risultò che lo stesso delitto era già stato da lui commesso su due altri fanciulli ebrei per fine superstizioso, in cui il rito pasquale non ci entrava per nulla, e che il delinquente era affetto da mania cronica religiosa (Vierteljahrschrift für Gerichtl. Medizin, 1891, p. 207, april).
Altro processo più celebre fu quello di Tisza Eszlar, nell’Ungheria, iniziato dai protestanti, non dai cattolici. La sentenza fu tre volte assolutoria (1883).
Altri processi come quello di Tisza Eszlar furono intentati in questo secolo contro i Giudei di Siria, Egitto, Romania, Russia. Nel 1880 a Kutais, nella Transcaucasia; nel 1881 in Alessandra d’Egitto; a Corfù nel 1891 e nello stesso anno a Xanten, in Germania; a Damasco nel 1890 una seconda edizione di altro processo fatto nel 1840.
Meritano qualche parola in particolare e più in diffuso alcuni di tali processi, ed innanzi quello del beato Simoncino da Trento, venerato dalla Chiesa come infante martirizzato dai Giudei. Secondo Atti inediti, conservati a Roma, del suo martirio, sarebbe stato il beato Simoncino da Ebrei nelle loro feste pasquali ucciso nel 1475 a questo scopo, per averne il sangue e servirsene nella formazione degli azimi.
Ora che Simoncino sia santo e martire ed anche ucciso dagli Ebrei noi lo crediamo, ma se si parla del modo e specialmente del fine, gli Atti romani sul martirio del beato Simoncino, meritano fede cieca tanto da doversi credere senz’altro? Noi non siamo di questo avviso per le seguenti ragioni.
1° L’accusato principale del processo, dopo aver detto e confessato, costretto da insopportabile tortura, si ritrattò dicendo che «omnia quae dixerat non erant vera», e non confermò ciò che aveva detto innanzi, se non costretto da altre torture (Civiltà Cattolica, serie XI, vol. VIII, p. 350).
Ora è forse impossibile che qui sia uno dei casi, in cui gli Ebrei confessaronno vera l’accusa per questo solo, perché costretti dalla tortura «eligentes potius necari uno tormento, quam vivere et poenarum afflictionibus cruciari», come disse Innocenzo IV? Quel confessare costretto da tortura e poi sconfessare e poi di nuovo confessare in seguito a nuove torture, non lascia luogo a sospettare che la cosa sia come noi abbiam detto?
2° Cresce il sospetto se si notano le cento contraddizioni che si incontrano in quegli Atti. Per esempio: da prima si dice che gli Ebrei non possono celebrar la Pasqua senza sangue cristiano, perché «si de decto sanguine non poneret in fustigatiis, feterent apud omnes», cioè presso Ebrei e non Ebrei; altrove, che il sangue era usato come elemento indispensabile da non potersi fare a meno, anche a costo di non celebrar la Pasqua. Ora è detto che nella Pasqua il sangue cristiano era necessario, ora solamente che «optimum esset», ora che questa necessità era nota a tutti gli Ebrei, ora solamente ad alcuni tra i maggiori, ai Rabbini, ai Chacami, ora che l’uso del sangue è scritto nel Talmud ed altri libri, ora che è tradizione solamente orale.
L’accusato, interrogato se l’uso del sangue avesse anche altri significati (cioè la contumelia a Cristo), rispose «se nescire» e altra volta poi rispose che scopo dell’infanticidio era l’ «opprobium Christianorum et ut sanguinem haberent».
3° Negli Atti romani vi sono delle cose evidentemente false. Per es., dal fanciullo ucciso non si poté avere che una scodella e mezzo di sangue, e ciò avrebbe bastato ad impastare l’azimo per tutti gli Ebrei di Trento per l’anno 1475 (naturalmente anche per alcuni anni seguenti) ed ancora a tutti gli Ebrei delle città vicine. Interrogato ancora l’accusato come avesse avuto sangue cristiano negli anni antecedenti, rispose averne avuto dal suo padre un mezzo bicchiere quattro anni innanzi, ma poi, richiesto a mostrare il bicchiere, l’asino cascò e disse «se nescire ubi sint» (Civiltà Cattolica, serie XI, volume VIII, p. 351).
E poi, ciò che rende ancor più sospetta la veracità degli Atti romani sono le testimonianze in contrario di personaggi contemporanei o quasi. Sparsasi la voce dell’uccisione dell’infante Simoncino e di altri delitti, il romano Pontefice, per esser bene informato, mandò a tale scopo a Trento il vescovo di Ventimiglia, perché ricercasse e riferisse. Il commissario del Papa non confermò la voce che l’assassinio avesse per iscopo l’uso rituale del sangue.
È cosa ridicola il dire che il commissario s’era lasciato guadagnar dagli Ebrei, che lo avrebbero, coll’oro, indotto a non dir il vero. Il commissario fu creduto dal Papa; tant’è che Sisto IV, poco dopo il delitto, disse correre voce che Simone «per Judaeos post multa tormentorum genera cruci affixum et occisum». Del sangue pasquale nessuna parola (LAMBERTINI, Canoniz., I, p. 105); anzi la crocifissione indica scopo dell’uccisione esser stato tutt’altro.
Sisto V approvò l’uffizio di S. Simoncino per Trento, e Gregorio XIII inserì nel martirologio il suo nome (LAMBERTINI, Canon. Sanctorum, I, p. 105), ma coll’aggiunta «qui a Judaeis saevissime trucidatus est». Le quali parole escludono che scopo dell’uccisione fosse il bisogno d’aver sangue. Essendo stato piuttosto l’astio contro Cristo e la rabbia contro i Cristiani. Aggiugni che, pochissimo tempo dopo il processo, Pietro Mocenigo, doge di Venezia (da cui dipendeva allora Trento) scriveva: «Credimus rumorem de puero necato esse commentum et artem, XXII aprilis 1475» (GUIDETTI, Pro Judaeis, p. 279). La veracità dunque degli Atti romani del martirio del B. Simoncino non è del tutto sicura. Il culto reso al Beato fu non ostante quegli Atti, sospeso dal Pontefice: se fu ristabilito più tardi, lo fu in vista di altre testimonianze.
Altro processo diventato celeberrimo è quello del 1840 a Damasco. Un cappuccino (padre Thomas) essendo stato ucciso a Damasco nel febbraio dell’anno 1840, furono accusati di tal delitto gli Ebrei. I supposti autori dell’assassinio, posti in prigione e sottoposti, secondo il solito, a durissima tortura, finirono alcuni, parimente secondo il solito, a confessare il delitto vero o non vero.
Circa la tortura non tutti s’accordano; alcuni negano, altri tacciono, altri affermano che essa, per opera dei Turchi, fu così barbara e raffinata, che due degli accusati ne furono vittima. Raccontano anzi perfino dieci modi in cui gli accusati furono tormentati; tra questi figurano le spine sotto le unghie, le candele sotto al naso, la barba incendiata, non risparmiati neppure gli organi della vista e della generazione. Quest’affermazione è difficile a negarsi, essendo d’uomini serii, ed alcuni testimoni oculari (Loewenstein Damascia. Roedelteim, 1840, 1841, 1843; PIERITZ, Persecution, etc., London, 1840).
Gli Atti di questo processo furono pubblicati a Parigi l’anno 1846 in due volumi. Essendosi sparsa la voce che gli Ebrei avevano, dagli archivi del Governo francese, fatto scomparire i documenti relativi a questo processo, il Ministero degli Affari Esteri della Francia fece pubblicare, nel 1892, una dichiarazione attestante la falsità di tal voce. Checché ne sia, il risultato fu che, per intercessione di tre Israeliti europei Cremieux, Munk, Mosè Montefiore, il pascià del Cairo mise in libertà i carcerati, e poco dopo un firmano del Sultano dichiarava l’accusa affatto insussistente.
Non è possibile passar in rivista i quasi duecento casi citati in favor dell’accusa; ma poco importa, poiché, secondo noi, anche ammettendone alcuni come veri, niente si proverebbe.
VIII. Facta non probant. ‒ Infatti, in che cosa sta la questione? In questo:
1° È vero che nel Talmud o nei libri rabbinici è comandato o raccomandato o almeno permesso l’uso del sangue cristiano nel rito pasquale, mescolandolo coll’azimo o col vino?
2° Qualora nulla di questo risultasse dagli scritti talmudici e rabbinici, sarà almeno quanto sopra una tradizione orale segreta, trasmessa di padre in figlio?
Sulla prima questione gli Ebrei rispondono sfidando i loro avversari a citar il passo dello scritto talmudico o rabbinico in cui detto comando o raccomandazione siano contenuti.
Quando il Talmud era un libro sigillato con sette sigilli era facile far credere che in esso era contenuto il famoso precetto od almeno consiglio; ma quando il Talmud diventò libro letto e capito da parecchi anche non Ebrei, allora, non trovandosi in esso nulla, si cominciò a dire non trattarsi qui di cosa scritta, ma tradizionale, tramandata di padre in figlio e forse anche solo da Chacamo a Chacamo.
Solamente che le cose serie non basta dirle; bisogna provarle. Ora, quando, da chi, in che modo detta arcana tradizione sia stata provata non sappiamo. Il sotterfugio della tradizione, tanto più senza prove, naturalmente non appagò nessuno, tanto meno i Giudeofili. Allora si ritornò a frugare meglio negli scritti, ed in alcuni si scoprì qualche cosa, vale a dire che il Talmud e la cabbala, non solo non detestano l’uccisione d’un goj, ma la consigliano come cosa gradita a Dio (ROHLING, Die Polemik und das Menschenopfer, Paderborn, 1883).
Il piccolo libro propugnante questa tesi, uscito il 29 luglio 1883, fu esaurito in nove giorni. Ma che? Mentre il popolo applaudiva, sei membri della Società Orientale tedesca sollevansi contro le idee antigiudaiche che si andavano da parecchi anni spargendo; tra i quali Wünsche, cristiano protestante, intelligentissimo in materia rabbinica, come ne fanno fede i suoi scritti (Beitrage zur Erlaeuturung d. Evang. aus Talmud und Midrash, Goetting., 1878) e la sua traduzione d’una gran parte del Talmud, uscita di fresco [In realtà Wünsche tradusse solo delle porzioni haggadiche del Talmud babilonese e palestinese, oltre ad alcuni Midrashim]. A questi sei, di religione protestante, sono da aggiugnere altri parecchi Ebrei.
Secondo i sei orientalisti, il Talmud e i libri rabbinici sarebbero stati tradotti male ed interpretati peggio. Quando una interpretazione è combattuta da sei intelligenti, ha poco diritto ad esser ammessa come vera (F. DELITZSCH, Schachmatt den Blutluegnern Rohling und Justus, Erlangen, 1883).
Così durarono le cose fino al 1891, allorquando, in un giornale antigiudaico (Antisem. Correspond., 22 novembre), fu annunziata la scoperta d’un testo talmudico, in cui l’uso rituale del sangue cristiano si diceva provato ad evidenza. Si legge questo nel trattato Ketuboth 102b. In esso è detto che «il fanciullo senza padre convien lasciarlo crescere presso la madre, non presso i fratelli, perché potrebbe darsi che a questi venisse l’ingordigia di averne l’eredità e l’uccidessero la vigilia di Pasqua».
Ciò sembra provare che gli Ebrei per la loro Pasqua talvolta uccidono i bambini proprii, quanto più quelli dei cristiani? «Quod nimis probat nihil probat». L’interpretazione antigiudaica si fonda sulle parole «vigilia di Pasqua». Ora, la vigilia di Pasqua è designata come giorno di speciale pericolo pei bambini di cui si parla, non perché il fanciullo potesse servir di vittima, ma perché, essendo in tal sera il mondo giudaico tutto affaccendato nei preparativi della imminente solennità, sarebbe stato più facile tener occulto il delitto.
IX. Conclusio. ‒ La conclusione è che, sintanto che non vengano fuori argomenti migliori, noi riteniamo per ora l’accusa del sangue come non provata e quindi come una calunnia. Anche ai Cristiani dei primi secoli fu inflitta un’accusa simile, quella di cannibalismo o mangiatori di carne umana (WORM, De veris causis cur calumniati Christiani etc., Ilafniae, 1695; ULRICH, De calumniis in primaevos Christianos, Taurini, 1744) ed anche quella di odiatori e nemici accaniti di tutto l’uman genere (GRUNER, De odio generis humani Christianos obiecto, Coburgi, 1755).
Intorno alla condotta da tenere riguardo agli Ebrei, non tutti s’accordano.
A taluni piace un sistema satirico, mordace, talvolta anche apertamente sprezzante ed ingiurioso, ad altri un sistema di benignità e di conciliazione, come quello che usava S. Francesco di Sales coi calvinisti e come quello che cogli stessi Ebrei usavano gli Apostoli.
A noi piace il sistema dei romani pontefici, vale a dire non crediamo esser conveniente «Judaeos quorum conversionem Deus miseratus exspectat iniuste vexare» essere «pietati dissonum reliquias ipsorum quibus benignitas Salvatoris, quae salutiferae passionis mortisque gratiam repromisit, variis affligere molestiis» (Innocenzo IV), «conari simplicium Christianorum animos contra eos irritare » (Paolo III), «iis qui ad Christianam fidem convertentur si pie et humane tractarentur, dare materiam in perfidia perurandi» (Martino V). Crediamo esser molto meglio «se eis exhibere benignos et favorabiles» (Innocenzo IV).
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