Gian Pio Mattogno: Una “maligna furfanteria” del rabbino Joseph Samuel Bloch contro August Rohling

 

 

Gian Pio Mattogno 

STRATEGIE DELL’APOLOGETICA RABBINICO-TALMUDICA:

UNA “MALIGNA FURFANTERIA” DEL RABBINO JOSEPH SAMUEL BLOCH

CONTRO AUGUST ROHLING

Studiando i vari aspetti dell’apologetica rabbinico-talmudica, ci si imbatte in un opuscolo intitolato: Contro l’antisemitismo. Confutazione del Dr. J.S. Bloch. Versione italiana edita da G. Zerkowitz, Trieste, 1883 (Versione italiana di: Gegen die Anti-Semiten. Eine Streitschrift, von Dr. J.S. Bloch, Wien, 1882)

L’opuscolo comprende la traduzione italiana di due brevi scritti di Joseph Samuel Bloch:

Prof. Rohling und Wiener Rabbinat oder: „Die arge Schelmerei“. Von Bezirks-Rabbiner Dr. J.S. Bloch. Wien-Floridsdorf, Wien, 1882.

Des k.k. Prof. Rohling neueste Fälschungen. Von Bezirks-Rabbiner Dr. J.S. Bloch. Wien-Floridisdorf, Wien, 1883.

Joseph Samuel Bloch (1850-1923) era un rabbino e leader politico, deputato al Parlamento austriaco.

L’opuscolo è una veemente filippica contro il discusso e in parte discutibile Der Talmudjude (L’ebreo talmudista) del teologo cattolico tedesco August Rohling (1839-1931), apparso nel 1871 e a più riprese ristampato e tradotto (dopo essere stato emendato degli errori più vistosi).

Bloch spara nel mucchio delle citazioni riportate da Rohling e lo accusa di ben sette “maligne furfanterie” e di tutta una serie di invenzioni e falsificazioni di passi tratti dal Talmud, dallo Shulhan Aruch e da altri testi della letteratura rabbinica.

La seconda “maligna furfanteria” consisterebbe nell’avere Rohling scritto che nel trattato talmudico Aboda Zara 6a i cristiani «“vengono abbastanza precisamente indiziati come idolatri (…) sommando la nostra domenica alle feste dei pagani”» (p. 11).

Il rabbino Bloch così replica:

«Però è un’orribile calunnia che i Cristiani nel Talmud siano indiziati come idolatri, una maligna menzogna che Abodà zarà 6a, la domenica sia sommata coi giorni festivi degli idolatri» (pp. 11-12).

E questa sarebbe la “prova”:

«Un semplice dizionario, signor Prof. Rohling,  ‒ scrive con fiero cipiglio il rabbino Bloch ‒ l’avrebbe potuto ammaestrare che l’espressione “Abodà zarà” nel citato passo talmudico Ab. Zar. 6a, dev’essere tradotta non con “culto idolatra” ma con “culto straniero”. “Abodà” vuol dire “culto”, “zara” vuol dire “straniero”! Non è chiaro? Il culto cristiano è detto nel Talmud culto straniero, non culto legale dell’Israelita.

     «Quand’ella sollevò per la prima volta tale accusa nel Talmud-Jude era soltanto una crassa ignoranza; dopoché frattanto il Prof. Delitzsch le ha chiarito in quattro differenti parti, pag. 11, 26, 27 e 98 della sua confutazione che fu stampata in 7 edizioni, dunque 28 volte, e castigata quale orribile calunnia, quale era il suo dovere qual prete cattolico?

«Nella cieca fiducia, nell’impura sua fonte, ella ha proclamato nel mondo un’orribile calunnia contro un’intiera società religiosa; le si fece conoscere il di lei torto, ed ella è prete cristiano; qual era in questo caso il suo dovere come uomo, come cristiano e come sacerdote?

«Il cristianesimo non è idolatria, questo le ha mostrato il signor Prof. Delitzsch, il cui zelo per la dottrina di Cristo è altrettanto, quanto smisurata è la di lei vanità ed ignoranza che vuol dir molto» (p. 12).

Più in là il rabbino Bloch precisa meglio la “prova”, rispondendo alla replica di Rohling:

«Io le feci presente cioè, che non ha tradotto giustamente le semplici parole “Abodà Zarà”, imperocché quelle parole non indicano già l’idolatria, ma bene un culto estraneo. “Abodà” significa culto, “Zarà” significa estraneo. A questo ella risponde: “Che Bloch ha torto, e lo attesta lo stesso Delitzsch il quale l. c. scrive che certamente il Talmud comprende il culto cristiano sotto il generico concetto di Abodà Zarà pari a idolatria. Questo è già sufficiente”.

«Sì, questo è sufficiente per smascherare lei signor Rohling, poiché in Delitzsch io leggo a pag. 26: “Certamente il Talmud comprende il culto cristiano, del quale però pochissimo si parla, nel concetto generico di culto estraneo (Abodà Zarà)”. Ella dunque ha tramutato tosto in Delitzsch il “culto estraneo” in “idolatria” per nascondere così la di lei sconfitta» (p. 42).

Ora, chi ha letto (e riletto) il passo di Aboda Zara 6a, rimane allibito dinanzi all’interpretazione del rabbino Bloch.

Ma nel suo zelo apologetico e nella sua furia contro Rohling, il rabbino Bloch va persino oltre.

Rohling scrive che il Talmud è ostile a Gesù e ai cristiani.

Il rabbino Bloch etichetta tutto ciò come “quinta furfanteria”, e ancora una volta chiama in causa il prof. Franz Delitzsch, il quale a p. 11 del suo scritto contro il Talmudjude  scrive che il Talmud non ha che pochissime relazioni intorno alle cose cristiane, e per di più queste poche cose non sono sicure.

A p. 64 Delitzsch, scrive il rabbino Bloch, analizza più dettagliatamente e comprova «“che la persona di Gesù pel giudaismo del Talmud era scomparsa nella nebbia di un’oscura diceria”».

Ed aggiunge: «Ella però insiste e sostiene con giuramento ufficioso che il Talmud sia ostile ai Cristiani!» (pp. 20-21).

Di fronte a questi sproloqui non si può che rimanere doppiamente allibiti.

Il rabbino Bloch è certamente un mentitore che mente sapendo di mentire.

Ma il prof. Franz Delitzsch, che era un’autorità nel campo degli studi giudaici, come può aver scritto cose del genere sul Talmud e i cristiani?

Le note che seguono prendono brevemente in esame sia la ridicola esegesi di Aboda zara 6a fatta dal rabbino Bloch, sia le esternazioni di Delitzsch su Talmud e cristiani.

Ora, Rohling avrà pure scritto delle stupidaggini, ma sia nel caso del passo talmudico in questione che in quelli relativi a Gesù e i cristiani nel Talmud ha pienamente ragione.

Che Aboda Zara significhi solo culto estraneo e non già culto idolatrico è una scempiaggine colossale, ma la cosa più grave è che il rabbino Bloch fa dire questa scempiaggine anche al povero prof. Delitzsch!

È bensì vero che in ebraico zara significa letteralmente “estraneo” (nel senso di “straniero”), ma nel lessico rabbinico “estraneo” (o “straniero”) è sinonimo di “idolatra”.

Cito solo alcune gocce nel mare magnum del talmudismo rabbinico, perché non è necessario bere tutta l’acqua del mare per sentire che è salata.

L’edizione digitale The William Davidson Talmud (sefaria.org) ci insegna che il trattato talmudico Avodah Zarah (“Idolatry”), appartenente al Sefer Nazikim (danni), tratta del divieto di idolatria e delle norme sulle interazioni tra ebrei e idolatri, non tra ebrei ed “estranei”!!

Michael L. Rodkinson (The Babylonian Talmud. Translated by Michael L. Rodkinson, 1918) traduce Aboda Zara con “idolatry”.

Nell’Introduzione al trattato Aboda zara dell’ed. inglese del Talmud (Soncino Press) leggiamo che aboda zara significa letteralmente “strange worship”, e che questo «è il termine comune nella letteratura rabbinica per indicare l’idolatria».

Vittorio Castiglioni, il primo traduttore italiano dell’intera Mishnah, scrive che avodah zarah «significa culto straniero, ossia appunto idolatria» (Mishnaiot, Roma, 1962. Introd. al trattato ‘Avodàh Zaràh, p. 245).

Nella sua versione francese del Talmud palestinese (Le Talmud de Jérusalem. T. onzième et dernier, Paris, 1899), Moïse Schwab traduce Aboda zara “de l’idolâtrie”.

La Jewish Encyclopedia (vol. 1, p. 79) traduce aboda zara con “Idolatrous Worship”.

La Encyclopaedia Judaica (vol. 2, p. 745) rende parimenti avodah zarah con “Idolatrous Worship”.

Lazarus Goldschmidt, il primo traduttore tedesco del Talmud (con testo ebraico a fronte), traduce il trattato talmudico Aboda Zara con “vom Götzendienst” (“dell’idolatria”), come pure Jacob Fromer, Der Babilonysche Talmud, Berlin, 1925.

L’edizione tedesca della Mishnah Aboda Zara (Leipzig, 1909) curata da Hermann Strack, quest’ultimo peraltro menzionato dal rabbino Bloch a difesa delle proprie tesi, reca il titolo: Trattato della Mischnah “Gözendienst” , cioè idolatria.

Nel suo lavoro Einleitung in den Talmud (Leipzig, 1908, pp. 51-52), Strack traduce aboda zara ancora con “Götzendienst”.

Nella sua versione della Mishnah e Tosefta di Aboda Zara (Aboda zara. Mishna und Tosefta, Nürnberg, 1916, pp. 5, 43) e in altri suoi lavori Hans Blaufuss traduce con “Fremder Dienst” (“culto straniero”), specificando in nota che questo vale in astratto, in concreto essendo l’espressione impiegata molto frequentemente per indicare ogni oggetto del culto pagano.

Günter Stemberger, che ha aggiornato il lavoro di Strack (Introduzione al Talmud e al Midrash, Roma, 1995, p. 163) traduce aboda zara con “idolatria”.

Nei Contributi alla letteratura biblica e patristica Textes and Studies, il vol. VIII (2004) ha per titolo: The Mishnah on Idolatry ‘Aboda zara.

Si potrebbe andare avanti all’infinito, poiché tutti gli studiosi, ebrei e non, tutti i rabbini, tutti coloro che hanno una qualche competenza in materia, tutti i dizionari, tutti i siti ebraici traducono invariabilmente l’espressione aboda zara con idolatria (a tutto ciò si aggiunga che il primo comandamento del codice del noachismo è il divieto di aboda zara, cioè il divieto di idolatria).

Il rabbino Bloch accusa Rohling di furfanteria per aver detto che in Aboda Zara 6a la domenica cristiana viene associata alle feste idolatriche pagane, e che di conseguenza anche i cristiani sono idolatri.

Ma è esattamente questo che dice il testo in questione!

Nella Mishnah Aboda Zara (1, 1 sgg.) viene insegnato che tre giorni prima delle feste degli idolatri è proibito fare qualunque genere di affari con loro.

Le feste idolatriche menzionate nella Gemarah Aboda Zara 6a sono: kalenda, saturnalia e kratesis (vittoria).

Ma viene riportato anche l’insegnamento di R. Shemuel, che a sua volta riporta l’insegnamento di R. Ishmael, secondo cui la proibizione vale anche per la domenica:

«Secondo quanto afferma R. Ishmael, è sempre proibito fare affare con i cristiani, poiché la loro festa cade di domenica» (Aboda Zara 6a).

Sacha Stern si chiede per quale ragione nel Talmud il cristianesimo sia menzionato solo rare volte, e risponde che ciò si deve alla circostanza che, secondo la Halacha (normativa rabbinica), esso è assimilato, insieme alle altre religioni, alla categoria di aboda zara (Talmud, in A Dictionary of Jewish-Christian Relations, Cambridge, 2005, p. 416).

     In altre parole, al cristianesimo viene applicata la medesima normativa di tutti gli altri culti ritenuti idolatrici.

In particolare, Stern fa riferimento ad Aboda Zara 6ab, dove, scrive, per R. Shemuel «Christianity belongs to the category of avodah zarah» (ivi).

La domenica viene chiamata anche Yom Notzri, giorno del nazareno (D. Jaffé, Le judaïsme et l’avènement du christianisme, Paris, 2007, pp. 263-264 n.).

Secondo J. Maier (Gesù Cristo e il cristianesimo nella tradizione giudaica antica, Brescia, 1994, p. 263) nel testo talmudico comparirebbe originariamente l’espressione Yom rishon (“primo giorno”, corrispondente alla domenica del calendario gregoriano). Perciò tanto la lezione Yom notzri, quanto il riferimento alla domenica sarebbero un prodotto della polemica anticristiana medievale, condotta innanzitutto da Rashi.

Ma nei manoscritti più antichi (come ad es. quello di Monaco) in luogo di Yom rishon figura proprio Yom notzri (Background on the Daily Daf. Avodah zarah, shemayisrael.com).

Jacob Katz scrive che «i cristiani sono esplicitamente inclusi nella proibizione contro “ogni forma di commercio con loro [gli idolatri] durante i loro giorni di festa”, secondo la lettura originale nel Talmud babilonese, Aboda Zara 7b)» (Exclusion et Tolérance, Paris, 1987, p. 56, n. 4).

In ogni caso, come rileva il rabbino Simchah Roth, per R. Shemuel è del tutto naturale che «Christianity is avodah zarah» (Tractate Avodah Zarah. Chapter One. Misrach two, bmv.org.).

Cfr. L.A. Chiarini, Théorie du Judaïsme, appliquée à la réforme des Israélites de tous les pays de l’Europe … Tome premier, Paris, 1830, pp. 307-310.

Aboda Zara 2a tosafot assimila esplicitamente la domenica cristiana al giorno di festa menzionato da R. Ishmael: «La maggior parte delle loro [dei cristiani] festività deriva dai santi e, in ogni caso, ogni settimana dedicano un giorno al nazareno».

Maimonide nel Mishneh Torah (Avodat Kochavim 9,4) scrive che i cristiani (termine successivamente sostituito dalla censura con “cananei”) sono idolatri, la domenica è il loro giorno di festa, ed è proibito fare affari con loro, oltre che la domenica, anche nei giorni di giovedì e venerdì di ogni settimana (il sabato, Shabbath, è proibito in ogni caso).

Nel suo commento ad Aboda Zara Maimonide scrive:

«Sappi che i cristiani che rivendicano la messianicità [di Gesù], a qualunque scuola appartengano, sono tutti idolatri. È proibito fare commercio con loro, come prescrive la norma talmudica riguardo i giorni di festa degli idolatri durante le loro festività» (Mishnah Aboda Zara 1,3, in R. Simchah Roth, Tractate Avodah Zarah. Chapter One. Mishnah Two (recap), bmv.org).

Tutto ciò è confermato dai commenti dei curatori ebrei delle opere di Maimonide.

Poiché il rabbino Bloch chiama in causa Franz Delitzsch, non è inopportuno, a conclusione, riportare le parole stesse dello studioso tedesco nella sua opera contro Rohling (Rohling’s Talmudjude beleuchtet, Leipzig, 1881).

Scrive Delitzsch:

«Debbo anche dichiarare falso che ovunque il Talmud parla degli idolatri (Götzendiener), esso alluda ai cristiani. Certamente il Talmud considera il culto cristiano un culto straniero (fremder), come tutti i culti non legali dal punto di vista ebraico, ma nel Talmud “gli adoratori delle stelle e dei pianeti” sono solo i pagani, e questo non ammette nessun’altra interpretazione. In generale, il Talmud contiene solo pochissimi riferimenti diretti alle cose cristiane, e per di più queste pochissime cose non sono tutte accertate» (p. 11).

Le cose, aggiunge, cambiarono nel medioevo, quando sembrò che la venerazione di Maria, dei santi, delle reliquie e delle immagini  avesse una somiglianza ingannevole con il culto pagano.

Più in là scrive ancora:

«Certamente il Talmud comprende il culto cristiano, del quale peraltro si parla pochissimo, nel concetto più ampio di culto straniero (aboda zara)», anche se i tosafisti medievali sostengono che i cristiani non sono idolatri (p. 26).

Delitzsch dunque sostiene semplicemente, e a ragione, che gli idolatri menzionati nel Talmud non sempre sono i cristiani, ma che i cristiani sono sempre idolatri.

Riguardo alla persona di Gesù nel Talmud, Delitzsch scrive che nei passi censurati Gesù nasce fuori dal matrimonio, diviene discepolo di Joshua b. Perachia, riporta dall’Egitto le arti magiche e viene impiccato a Lydda la vigilia di Pasqua. Il fatto che per il giudaismo talmudico la persona di Gesù «è svanita nelle nebbie di oscure dicerie» fa dubitare che si tratti del Gesù dei cristiani (p. 64).

Forse per un eccessivo zelo apologetico filo-giudaico, Delitzsch interpreta in modo assolutamente erroneo i riferimenti talmudici a Gesù, e non fornisce la vera spiegazione per cui i tosafisti non ritenevano il cristianesimo un culto idolatrico (cosa peraltro non del tutto vera).

(Cfr. Strategie dell’apologetica rabbinico-talmudica: “Le dossier sur le christianisme” della Commissione dottrinale del rabbinato francese, andreacarancini.it).

Ma la cosa più grottesca in tutta questa faccenda è che il rabbino Bloch, distinguendo a proprio uso e consumo “straniero” da “idolatra”,  fa dire a Delitzsch che per il Talmud il cristianesimo non è idolatria, quando Delitzsch afferma esattamente il contrario!

Anni dopo (Israel und die Völker nach jüdischer Lehre, Berlin-Wien, 1922, p. 35) il rabbino Bloch ritorna sull’argomento.

Ricorda l’interpretazione di Rohling ma stavolta riporta correttamente il passo di Aboda Zara riferito al “giorno del nazareno” (tra parentesi: “la domenica dei cristiani”), cui fa seguire il seguente commento dei “due esperti cristiani” Nöldecke e Wünsche:

«Qui tuttavia Samuel [Shemuel] considera la domenica dei cristiani una “festa dei goyim”».

Per uno che distribuisce  a raffica patenti di “maligne furfanterie”, tutto questo si commenta da sé.

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