Gian Pio Mattogno: Il dossier sul cristianesimo della commissione dottrinale del rabbinato francese

Gian Pio Mattogno 

STRATEGIE DELL’APOLOGETICA RABBINICO-TALMUDICA:

LE DOSSIER SUR LE CHRISTIANISME

DELLA COMMISSIONE DOTTRINALE DEL RABBINATO FRANCESE

Nel 1968 l’episcopato francese chiese all’allora Gran Rabbino di Francia Jacob Kaplan una sorta di dossier riguardo alle opinioni degli ebrei sul cristianesimo.

Era come chiedere all’oste com’è il vino.

Ed infatti il Gran Rabbino Kaplan si affrettò ad incaricare Charles Touati, presidente della Commissione dottrinale del rabbinato francese, di preparare questo documento con l’aiuto di altre personalità ebraiche.

La procedura e gli esiti di questa iniziativa sono stati raccontati successivamente dallo stesso Touati (Le dossier sur le christianisme, «Revue des Études Juives» 160 (2001), pp. 493-498).

Charles Touati, deceduto nel 2003, era una vera autorità.

Maître de Conférence dal 1968 al 1971 e Directeur d’Études dal 1971 al 1994 nella cattedra di giudaismo talmudico e rabbinico, studioso del Talmud e della letteratura rabbinica, autore di diverse opere e numerosi articoli d’argomento vario su riviste e enciclopedie, direttore della “Revue des Études Juives” dal 1981 al 1996, assiduo conferenziere sui temi del giudaismo rabbinico-talmudico, i cui riassunti erano pubblicati periodicamente sull’ “Annuaire de l’École Pratique des Hautes Études” (G. Nahon, Charles Touati (1925-2003), École Pratique des Hautes Études. Section des Sciences religieuses. Annuaire. Résumé des Conferences et Travaux, t. 112 (2003-2004), pp. 23-26), Touati sembrava il più adatto alla bisogna.

Il rabbinato francese affidò il compito di preparare il dossier ad una commissione di esperti, costituita dal filosofo Emmanuel Lévinas, professore all’Università di Paris-Nanterre, da Georges Vajda, ex professore al Seminario israelitico di Francia, e dallo stesso Touati, che fu incaricato della stesura materiale del dossier.

Il dossier doveva essere solo preparatorio ad una più ampia dichiarazione solenne.

Gli “esperti” si misero all’opera, ma con delle singolari riserve e con quest’ultima altrettanto singolare motivazione.

La Commissione si diceva «ben consapevole» che nel giudaismo si possono incontrare testi che contraddicono quelli riportati (come nel cristianesimo si possono trovare testi ostili al giudaismo), ma essa «ritiene che i testi scelti rappresentino quelli che esprimono al meglio [sic!] lo spirito del giudaismo e dei fedeli delle sue sinagoghe».

Un esemplare di questo dossier sarebbe stato distribuito a ciascun rabbino di Francia. Così fu fatto per dieci anni, fino a che il Congresso rabbinico decise di ritirare il dossier, che rimase dunque un documento privato.

Trent’anni dopo, essendo deceduti Lévinas e Vajda, Touati ritenne opportuno pubblicarlo e diffonderlo a titolo di documento puramente storico.

Questo documento è di estremo interesse perché è l’ennesimo esempio emblematico della strategia mistificatrice e menzognera dell’apologetica rabbinico-talmudica riguardo al cristianesimo.

Tanto più grave, in quanto gli estensori del documento si dichiaravano “esperti” in materia.

Nel mare magnum della letteratura rabbinica, che consta di migliaia e migliaia di pagine, gli “esperti” sono riusciti a scovare con il lanternino solo pochi striminziti testi presuntamente a loro favore, che difatti hanno provveduto ad interpretare ad uso e consumo degli ingenui goyim cristiani.

Il dossier è suddiviso in sei punti, ciascuno dei quali è seguito da un breve commento.

Per comodità di esposizione riporto, chiosandoli criticamente, i tratti salienti di ciascun punto.

Per le fonti rabbiniche, i riferimenti bibliografici e il dibattito storiografico rimando a:

Gesù di Nazareth e i cristiani nella letteratura rabbinica antica (Talmud, Tosefta, Midrash). Repertorio delle fonti, Effepi, Genova, 2018;

Il non-ebreo nello Shulhan Aruch. La battaglia di mons. Jouin contro la “Giudeo-Massoneria” e lo Shulhan Aruch, ivi, 2012;

Il Talmud e i cristiani nella disputa di Parigi del 1240, ivi, 2015;

Il filosofo talmudista. Note critiche sulla perizia di Hermann Cohen nel processo di Marpurgo del 1888, ivi, 2020.

  1. «Il rigetto del cristianesimo avrebbe potuto essere evitato».

Con un certo rammarico viene citato il passo del Talmud Sanhedrin 107b (passo parallelo: Sota 47a):

«La mano destra respinga e la mano destra accolga. Non come Eliseo che ha respinto Giezi con entrambe le mani o come Jeshua ben Perahiah che ha respinto Gesù con entrambe le mani».

Ma questo passo talmudico non è un testo estemporaneo capitato lì quasi per caso, quasi come un incidente di percorso, e verso il quale esprimere quindi il proprio rammarico, ma è uno dei testi talmudici (che il dossier si guarda bene dal riportare) per così dire “fondativi” della visione ufficiale talmudica di Gesù, «respinto» come mago, eretico, idolatra, istigatore all’apostasia e seduttore di Israele, che per i suoi crimini fu condannato alla pena capitale da un tribunale rabbinico.

(Cfr. D. Jaffé, “Jésus dans le Talmud”. Le texte sur Josué ben Parahyah et son disciple Jésus réexaminé, «Pardès», N. 35, 2003/2, pp. 79-92).

Questo testo talmudico dunque non è l’eccezione, ma la regola.

     Nella nota di commento si tiene a precisare che questo passo fu censurato dalla censura effettuata dai cristiani, e non dall’autocensura ebraica (che peraltro talvolta ha assecondato la censura cristiana), come se la colpa del contenuto fosse dei censori cristiani e non dei suoi redattori talmudisti!    

  1. «I cristiani non sono idolatri. Essi adorano il Dio che ha creato il mondo ed hanno in comune con gli ebrei un certo numero di credenze».

Il dossier assicura che i testi sono «numerosi».

In realtà si riduce a citarne una sparuta manciata (praticamente poco più che nulla rispetto ai testi di segno opposto che compaiono nel mare magnum della letteratura rabbinica e che rappresentano la normativa halachica ortodossa), senza peraltro spiegarne il vero senso.

Tosafot Bekhorot 2b:

«[I cristiani] giurano tutti nel nome dei santi che prendono per divinità. Sebbene menzionino il nome divino pensando a Gesù, essi non invocano mai degli idoli. Inoltre il loro pensiero è rivolto a Dio, creatore del cielo e della terra. Sebbene associno il nome di Dio ad altra cosa, quando li si fa giurare non si trasgredisce il divieto: lifney ‘iwwer lo titten mikhshol, poiché l’“associazione” non è vietata ai noachidi».

Il dossier non specifica di che genere di giuramento si tratti, cosa che invece è la chiave per comprendere il vero senso della citazione (vedi dopo).

Tosafot Sanhedrin 63b, Tosafot Aboda Zara 2a:

«Noi siamo sicuri che i non-ebrei i quali abitano tra di noi non sono idolatri».

(Le tosafot sono glosse critiche ed esplicative del Talmud, i cui autori (tosafisti) vissero in Francia e in Germania tra il XII e il XIII secolo).

Il dossier aggiunge che nei suoi commentari sul Talmud il tosafista Rabbenu Menahem ha-Meiri (1249-1316) insiste sempre sul fatto che le leggi talmudiche contro i pagani non hanno di mira né i cristiani, né i musulmani, che egli ritiene nazioni «rette da norme religiose». (Seguono altri testi analoghi nella stessa direzione).

In primo luogo, per comprendere il vero senso di tutte queste esternazioni rabbiniche, bisogna ricordare il contesto storico in cui maturarono.

Fino al II secolo d.C. gli ebrei erano vissuti nella loro terra o nel paese del loro primo esilio, Babilonia. La società ebraica era praticamente autarchica ed ogni relazione coi non-ebrei era superflua.

Ma dopo il II secolo la diffusione della diaspora fra le nazioni pose nuovi problemi.

Fino ad allora i Saggi d’Israele (tannaiti ed amoraiti) avevano considerato il cristianesimo una pericolosa eresia idolatrica da combattere ed estirpare.

Ma ecco che improvvisamente alcuni tosafisti, a dispetto della normativa rabbinica tradizionale, cominciano a sostenere che i cristiani non sono idolatri.

Perché questa improvvisa marcia indietro?

E, soprattutto, questo nuovo atteggiamento a favore del cristianesimo era davvero sincero?

In realtà, la ragione era meramente economica.

La Halacha (normativa rabbinica) ingiungeva agli ebrei di non avere alcun rapporto commerciale con gli idolatri nei tre giorni che precedono le loro festività.

I cristiani rientravano nella categoria degli idolatri, per cui era proibito avere rapporti commerciali anche con loro.

Ora, la diaspora aveva disperso la stragrande maggioranza degli ebrei fra i paesi cristiani. Volenti o nolenti, nonostante l’autosegregazione volontaria per non essere contaminati dagli empi goyim, essi erano costretti a convivere con le abitudini, le necessità e il tempo religioso dei loro vicini cristiani.

E poiché nella società cristiana l’anno era scandito da un fitto calendario di festività, senza contare che il giorno di sabato (Shabbath) era proibita agli ebrei qualunque attività commerciale, il non poter fare affari con gli “idolatri” cristiani durante la settimana comportava un duro colpo per le loro risorse finanziarie e per la sopravvivenza stessa delle comunità ebraiche.

Affinché gli ebrei potessero avere rapporti commerciali con i cristiani nei tre giorni che precedono le loro festività, occorreva che i cristiani non fossero più ritenuti idolatri e che quindi le loro festività cessassero di essere considerate festività idolatriche.

Inoltre, non bisogna dimenticare che le operazioni commerciali venivano sigillate con un giuramento sacro. Se il giuramento era considerato idolatrico, esso non poteva essere accettato, e l’operazione commerciale non poteva  essere realizzata.

Perciò, agli occhi degli ebrei, il giuramento cristiano non poteva e non doveva più essere idolatrico.

I termini della questione sono stati messi a fuoco da Jacob Katz (Exclusiveness and Tolerance), il quale scrive che questa inversione di rotta fu una necessità oggettiva determinata dalle nuove condizioni di vita degli ebrei nella diaspora.

In realtà, fu solo un espediente esegetico strategico, confuso e contraddittorio, per poter operare tranquillamente – “per amore della pace” e … per i propri interessi economici – in seno alla società cristiana.

Il dossier non lo specifica, ma i testi citati delle tosafot appartengono a Rabbenu Tam (R. Jacob ben Meir) (1100-1171) il quale, contrariamente a quanto sostiene il dossier, propone una reinterpretazione dei passi talmudici relativi alle restrizioni commerciali, senza però cambiare né lo status dei cristiani, che restano idolatri, né quello del cristianesimo, che resta aboda zara (idolatria).

Con una acrobazia esegetica Rabbenu Tam sostiene che il giuramento che i cristiani prestano sul Vangelo non è idolatrico, in quanto i cristiani non considerano il Vangelo una divinità (sic), ed anche se associano il Dio creatore del cielo e della terra con altre divinità (qui allude alla Trinità), Rabbenu Tam afferma, mentendo, che questa associazione (in ebraico shittuf) non è proibita ai figli di Noè.

(Nel commento si afferma esplicitamente che secondo le tosafot lo shittuf non è proibito ai noachidi, lasciando intendere che secondo altri autori lo shittuf è proibito anche ai noachidi. In realtà, la normativa rabbinica tradizionale stabilisce che lo shittuf è una credenza idolatrica per tutti, e dunque è proibito a tutti).

Insomma, per Tabbenu Tam la Trinità è idolatria per gli ebrei, ma non è idolatria per i cristiani. In via di principio i cristiani sono idolatri, ma se fanno affari con gli ebrei e questi ne approfittano per accrescere le proprie ricchezze, cessano di essere idolatri!

Diversamente da Rabbenu Tam, è bensì vero che Rabbenu Menahem ha-Meiri (1249-1316) considera lo status del cristianesimo in via di principio non idolatrico, ma si tratta di una visione del tutto personale che non ha alcun fondamento giuridico tradizionale e non rappresenta assolutamente il pensiero giudaico ortodosso (e dunque non ha alcun senso menzionarlo a supporto della propria tesi).

Nel tentativo di conciliare Halacha e prassi, il Meiri comincia col distinguere i non-ebrei dell’epoca talmudica dai gentili cristiani suoi contemporanei.

I primi sono idolatri ed è a loro, dice, che si riferisce la normativa rabbinica discriminatoria; i secondi, invece, che chiama ummot ha-gedurot be-darekhe ha-datot (popoli dotati di un codice di condotta religioso e morale), anche se le loro credenze sono lontane da quelle giudaiche, non sono idolatri, poiché l’idolatria è pressoché scomparsa ed essi servono comunque Dio, per cui sono da considerare sullo stesso piano degli israeliti.

Il cristianesimo, dunque, dice il Meiri, non è idolatria.

Ma per giustificare questa radicale marcia indietro rispetto alla normativa tradizionale, il Meiri doveva superare delle difficoltà di non poco conto.

Nei testi talmudici non ricorre a più riprese il termine notzrim (nazareni) per designare i cristiani, apostati e idolatri?

Niente paura, egli risponde che questi notzrim in realtà non sono i cristiani, ma … i babilonesi!

La sua esegesi è talmente grottesca che vale la pena riportarla per intero:

«La vera spiegazione [circa il permesso di avere rapporti commerciali coi cristiani nei loro giorni festivi] mi sembra la seguente: tutti questi precetti [riguardanti i non-ebrei] erano validi solo in riferimento a coloro che adoravano gli dèi pagani, le loro immagini e i loro idoli, ma ai giorni nostri è permesso [fare commercio coi gentili cristiani].

«E a proposito di ciò che è stato stabilito dalla Gemara, secondo cui “è proibito far affari con un notzri”, io spiego il termine notzri come derivato dal versetto di Geremia 4,16: “I notzrim [assedianti] vengono da una terra lontana”. Geremia chiama quella nazione notzrim dal nome di Nevuchadnetsar (Nabucodonosor) ed è noto che il sole fosse l’idolo di Babilonia e fosse adorato da tutta la nazione di Nevuchadnetsar. E tu sai che il giorno del sole è il “primo giorno” ed è per questo che fu chiamato il giorno di notzri»

(Beit ha-behira su Aboda Zara 2a. Nel testo biblico citato compare il termine ntzrim).

E poiché i cristiani non sono idolatri, si possono dunque ben avere rapporti commerciali con essi anche nei loro giorni festivi.

Ma vi è di più.

Come spiegare allora i passi talmudici contro Gesù, e segnatamente Sota 47a, dove Yeshu ha-notzri (Gesù di Nazareth) viene descritto come un eretico che istigava Israele all’idolatria e al peccato?

Anche qui il Meiri ha la risposta pronta. Questo Yeshi ha-notzri non è il Gesù di Nazareth dei cristiani, ma un personaggio omonimo vissuto in altra epoca, e che l’aggettivo notzri (nazareno) aggiunto in alcuni manoscritti talmudici fu … l’errore di un copista! (Beth ha-behira su Sota 47a).

In realtà, quello del Meiri è un fenomeno talmente unico nella storia dell’esegesi rabbinica, che non pochi fra gli stessi studiosi ebrei si sono chiesti se le sue opinioni fossero davvero sincere oppure se, più semplicemente, fossero confezionate ad hoc “per amore della pace”.

Come è stato giustamente osservato, questa sua singolare dottrina della tolleranza non è fondata su nessun testo talmudico o midrashico.

Propinare, come fa il dossier, questi testi come testi esemplari della tradizione rabbinica, oltre che un grossolano falso storico, è anche un insulto al buon senso.

  1. «Salvezza eterna dei cristiani»

Per dimostrare questo assunto, il dossier riporta due fonti.

La prima è di Judah Halevi (c. 1085 – 1140), che definisce «il più esclusivista dei nostri pensatori»:

«Non neghiamo ad alcun uomo, a qualunque comunità religiosa appartenga, la ricompensa di Dio a motivo delle sue buone opere» (Kuzari I, 111).

«La ricompensa per aver voi glorificato Dio non andrà perduta» (Kuzari III, 21).

La seconda è di Isaac Arama (c. 1420-1494):

«Tutto Israele ha una parte nell’olam ha-ba [mondo a venire] nel senso di giusto delle nazioni» (Aqedat Yishaq, Shemini 60).

Questi testi esprimono solo la convinzione che Dio, cioè il Dio d’Israele, ricompenserà con la vita eterna i non-ebrei che lo “glorificano” compiendo “buone opere”, vale a dire tutti coloro i quali riconoscono la sua sovranità, e che sono equiparati ai noachidi.

Ed infatti, nel prosieguo della prima citazione, si afferma che il bene più perfetto viene ottenuto dagli uomini che durante la loro vita sono più vicini a Dio, lasciando intendere che questi ultimi non possono essere che gli ebrei.

Judah Halevi (ca.1075-1141) non fu affatto quell’uomo così tollerante verso la religione cristiana che pretende il dossier.

Il dossier fa un’allusione al suo “esclusivismo”. Altri parlano addirittura di razzismo nei confronti dei popoli non ebrei.

La verità è che nel Kuzari Halevi afferma esplicitamente l’ineluttabilità del futuro dominio universale di Israele su tutti i popoli della terra, i quali un giorno adoreranno l’unico vero Dio, il Dio d’Israele.

Israele, «è fra le nazioni quel che il cuore è rispetto agli altri organi» (II, 36).

Gli Israeliti, figli di Giacobbe, sono tutti «degli eletti e tutti simili al cuore». Essi sono stati separati da tutti gli altri uomini, egualmente figli di Adamo, «per via di privilegi divini che hanno fatto di loro una specie diversa, una specie angelica» (I, 103).

Al pari dei maomettani, i cristiani «hanno cercato il divino là dove non si trova», ed inoltre «hanno alterato la maggior parte dei precetti tradizionali» (IV, 13).

David Lemler, docente di pensiero ebraico medievale al Dipartimento di studi arabi ed ebraici dell’Università Sorbonne-Paris, sostiene che Hallevi ha concepito un pensiero che rivendica la superiorità intrinseca e assoluta degli ebrei sui non-ebrei, della lingua ebraica su tutte le altre lingue e della terra d’Israele su tutte le altre terre. Queste tesi, aggiunge, hanno poi permeato molti testi successivi, specie cabalistici, e costituiscono lo sfondo del sionismo religioso (Les Khazars, les Juifs et nous: le délire de l’origine et la question du sionisme (14 mai 2025), k-larevue.com).

Rav Shaoul David Botschko (Le Kouzari. Défense et illustration du judaïsme, Jérusalem, 2015, p. 66) scrive che il razzismo di Hallevi è «assez révoltante».

Hallevi sostiene esplicitamente che l’ebreo per natura è superiore a tutti gli altri uomini, anche se non li assimila agli animali, come fa la tradizione rabbinica. Per lui gli ebrei possiedono una dimensione divina di rango decisamente superiore, non appartengono allo stesso mondo dei non-ebrei, sono totalmente differenti da essi.

Di conseguenza, il goy convertito alla fede giudaica non possiede quella dimensione divina presente nell’ebreo come una sorta di gene spirituale. Gli sarà assicurata una parte della felicità dell’ebreo, ma non sarà mai in tutto e per tutto un ebreo.

«Il proselito – scrive ancora Rav Botschko – non sarà uguale a noi. Noi possediamo per nascita il carattere innato della dimensione divina attraverso il quale Dio si lega a noi. È per questo che noi abbiamo ricevuto la Torah, non le altre nazioni del mondo, e l’ebreo rimarrà sempre al di fuori da tutto ciò» (p. 74).

Quanto al cristianesimo, se quello ebraico è il vero popolo di Dio, l’ebraismo è l’unica vera religione. Halevi nega che le altre fedi possano avere un qualche accesso alla verità (Dan Arbib, Philosophie et Révelation dans le Kuzari de Juda Hallévi, «Revue des sciences philosophiques et théologiques» 109 (2025), pp. 3-24).

Quanto a Isaac Arama, questi afferma che Dio ha concesso una cura amorevole speciale al suo popolo d’Israele, e che per tale ragione tutto Israele ha una parte nel mondo a venire (vita eterna). Ma, aggiunge, il termine Israele (israelita) non si applica semplicemente a uno che è di discendenza ebraica, bensì a chi vive in conformità con gli insegnamenti appresi sul Sinai. È a questa persona che viene assicurata la vita eterna. Perciò il termine Israele va inteso come persona giusta.

I “giusti” delle nazioni, cui, secondo la tradizione rabbinica, è riservata la vita eterna, non sono semplicemente i goyim che vivono una vita eticamente impeccabile, cioè “giusta”, ma coloro che riconoscono la sovranità del Dio d’Israele. Essi sono assimilati ai noachidi.

  1. «Israele deve ispirarsi ai cristiani, ai musulmani etc

Sulla base dei detti talmudici «voi non avete agito come i più saggi (fra i non-ebrei), ma avete agito come i più depravati» (Sanhedrin 39b) e «Chiunque pronuncia una parola saggia, anche fra le nazioni del mondo, si chiama hakham» (Megilla 16a), Bahya Ibn Paquda (prima metà dell’XI secolo) (Hobot ha-lebabot, Prefazione) giustificherebbe il fatto che l’ebreo deve ispirarsi ai saggi delle nazioni.

In primo luogo, è bensì vero che nella Prefazione effettivamente l’autore, che conosceva la letteratura filosofica greca, romana ed araba, loda come esempi da seguire le parole dei filosofi, gli insegnamenti degli asceti e le loro lodevoli usanze, ma egli non fa il minimo esplicito riferimento ai cristiani.

In secondo luogo, la normativa rabbinica proibisce di apprezzare e lodare la saggezza dei gentili, secondo l’insegnamento della Torah: “Non mostrare loro favore” (Deut. 7,2). Perciò in generale non li si deve ammirare. Tuttavia è permesso lodare i successi dei gentili nelle scienze, nelle arti etc. nei casi in cui questa lode è finalizzata a lodare Dio che ha creato persone tanto intelligenti e degne d’ammirazione, e comunque aggiungendo sempre «non così intelligenti come i nostri Saggi» (Complimenting Non-Jews, Halachipedia, halachipedia.com; Rabbi Doniel Neustadt, Do not Them Favor, torah.org).

  1. Assieme all’Islam, il cristianesimo ha contribuito a migliorare l’umanità

Tra le presunte fonti che proverebbero questo assunto il dossier cita l’autorità di Maimonide, Guida dei perplessi III [recte: II], cap. 39:

«Al giorno d’oggi noi vediamo la maggior parte degli abitanti della terra glorificare (Dio) di comune accordo e benedirsi in grazia della sua (di Abramo) memoria».

In primo luogo, non è paradossale che i nostri “esperti”, per suffragare le loro tesi “universalistiche”, abbiano deciso di scomodare proprio Maimonide, cioè uno dei più accesi odiatori dei gentili in generale e dei cristiani in particolare di tutta la storia del pensiero ebraico?

(Cfr. Il sicario della Sinagoga. L’odio rabbinico-talmudico contro il non-ebreo negli scritti di Moshe Maimonide, Effepi, Genova).

In secondo luogo, il senso di queste espressioni è davvero quello di un universale riconoscimento della Torah da parte delle nazioni, come pretende il dossier?

Seguendo la normativa rabbinica tradizionale, Maimonide sostiene che solo i “giusti” e i “pii” delle nazioni hanno una parte nel mondo a venire, mentre tutti gli altri – cioè praticamente l’intero genere umano ‒ sono condannati alle pene dell’inferno.

Quindi, secondo gli autori del dossier, a glorificare il Dio giudaico di comune accordo sarebbero quelle stesse nazioni condannate all’inferno come idolatriche, ed in particolare i cristiani, che in altre sue opere Maimonide reputa degli eretici da estirpare dalla faccia della terra e il cui fondatore egli insulta con le parole più ingiuriose!  

  1. Assieme all’Islam, il cristianesimo apre la via alla venuta del Messia

A supporto di questa tesi, il dossier cita due fonti:

     Kuzari IV, 23: Dio ha un disegno segreto che riguarda la religione di Mosè.

«Sebbene esteriormente la respingano, tutte le religioni apparse dopo di essa in realtà sono delle varianti di questa religione. Esse non fanno che aprire la via e preparare il terreno per il Messia, oggetto delle nostre speranze, che è il frutto».

Maimonide, Mishneh Torah, Hilkhoth Melakhim 11, 4: il cristianesimo e l’Islam «non fanno che aprire la via alla venuta del Messia e al miglioramento del mondo intero per servire Dio di comune accordo».

Ma il senso di queste citazioni è completamente diverso dall’interpretazione che ne danno gli “esperti”.

Nel prosieguo del primo testo (non riportato) è detto chiaramente che allora le altre religioni riconosceranno il Messia e «l’albero ritornerà unico», cioè il cristianesimo, nato dall’albero della religione mosaica, scomparirà e sarà assorbito nell’unica vera religione, la religione giudaica.

Non meno infelice è il riferimento a Maimonide, e non meno mistificatrice è l’interpretazione che ne dà il dossier.

Maimonide infatti afferma senza mezzi termini che il Messia purificherà il mondo intero per servire tutti insieme Dio. Ma questo Messia, precisa subito dopo, non può essere Gesù di Nazareth, che aspirava ad essere il Messia e che fu giustiziato da un tribunale rabbinico.

Non vi è nulla infatti, aggiunge, che possa costituire un ostacolo maggiore del cristianesimo.

Tutte le azioni di Gesù di Nazareth (e di Maometto) serviranno solo a preparare la via alla venuta del Messia e al “miglioramento” del mondo intero, quando tutti invocheranno il nome di Dio e lo serviranno.

Ma il Messia che purificherà il mondo è il Messia giudaico, e il Dio da tutti invocato e servito non può che essere l’unico vero Dio, il Dio giudaico.

Maimonide scrive esplicitamente che nell’èra messianica «tutti faranno ritorno alla vera religione» (Hilk. Mel. 12,1).

Di conseguenza, a sentire Maimonide e Juda Halevi (nonché gli “esperti” della Commissione dottrinale del rabbinato francese), il cristianesimo ‒ adoperandosi a preparare l’avvento dell’èra messianica, la quale, secondo la tradizione rabbinica, riserverà morte, distruzione e asservimento ai popoli del mondo non disposti ad accettare la sovranità di Jahvè e di Israele ‒ si adopera per il proprio futuro annientamento!

Leave a comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Recent Posts
Sponsor