Gian Pio Mattogno: Bestialità di Adamo nell’esegesi rabbinico-talmudica (Yebamoth 63a)

Gian Pio Mattogno 

PERVERSIONI DELL’ESEGESI SCRITTURALE RABBINICO-TALMUDICA.

BESTIALITÀ DI ADAMO (YEBAMOTH 63a)

 

Ha scritto Vries De Heekelingen che gli antichi rabbini talmudisti avevano la pessima abitudine di attribuire agli empi goyim le loro stesse perversioni.

Raccontano le Scritture (Gen. 2, 1 sgg.) che, dopo aver creato il cielo e la terra e tutte le altre schiere, e dopo aver benedetto e consacrato il settimo giorno, il Signore Iddio (YHWH ELOHIM) plasmò l’uomo (adam – Adamo) con la polvere della terra, soffiò nelle sue narici e l’uomo divenne un essere vivente.

Dopo averlo collocato nel giardino di Eden perché lo coltivasse e lo custodisse, e dopo averlo ammonito affinché non mangiasse dell’albero del bene e del male, il Signore Iddio decise di dargli una compagna perché non rimanesse solo.

Fece scendere un torpore su Adamo, il quale si addormentò. Gli tolse una costola e con questa plasmò una donna, che Adamo chiamerà Eva (Gen. 3,20).

Allora Adamo esclamò: “Questa volta ella è ossa delle mie ossa e carne della mia carne” (Gen. 2,23).

Che significa “questa volta”, o “finalmente”, come altri traducono?

Forse che prima Adamo aveva fatto qualcos’altro di particolare?

Il testo biblico recita:

“E il Signore Iddio disse: Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli sia simile. Allora il Signore Iddio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e di tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche, ma l’uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile” (Gen. 2, 18-20).

Qui il testo biblico dice semplicemente che l’uomo non trovò fra gli animali alcun “aiuto” che gli fosse simile (altri traducono: “adatto”; il termine ebraico per “aiuto” è ozr kngdu, che significa letteralmente: “un aiuto che gli corrisponda”).

Anche a voler condividere l’interpretazione “sessista”, nel racconto della creazione nessun animale fu trovato comunque “adatto” a unirsi con Adamo. Il Signore Iddio creò gli esseri umani per avere rapporti sessuali con altri esseri umani, maschi e femmine, non con gli animali.

Ma ecco venirci in soccorso nel Talmud un autorevole rabbino, R. Elazar.

Nella sua personalissima esegesi di questi versetti R. Elazar esordisce affermando che un uomo che non ha moglie non è un uomo vero e proprio, poiché è scritto: “Maschio e femmina li creò … e diede loro il nome di uomo” (Gen. 5,2).

Il testo talmudico così prosegue:

«R. Elazar disse inoltre: Cosa intende il testo scritturale: “Questa volta ella è ossa delle mie ossa e carne della mia carne”? Questo insegna che Adamo, nella ricerca della sua compagna, ebbe rapporti sessuali con ogni bestia ed animale, e la sua mente non era tranquilla, in conformità col versetto: “E per Adamo non trovò un aiuto che gli fosse simile” (Gen. 2,20), finché non ebbe rapporti con Eva» (Yebamoth 63a).

In verità fra gli esegeti giudei non v’è un consenso unanime su questa interpretazione, e dunque non tutti i rabbini la pensano come R. Elazar.

Ad es. R. Isaac Arama (sec. XV) scrive nel suo Akedat Yitshak (Gen. Sha’ar 8) che non era certamente intenzione di Adamo di avere rapporti sessuali con gli animali, ma piuttosto di valutare la loro natura, e che non ne fu soddisfatto, poiché nessuno di essi era sua alla sua altezza.

(Cfr. Did Adam have intercourse with animals?, mi yodeya, judaism.stackexange.com, ma soprattutto: Eric Lawee, The Reception of Rashi’s Commentary on the Torah in Spain: The Case of Adam’s Mating with the Animals, «The Jewish Quarterly Review» 97 (2007), pp. 33-66).

Il rabbino Gil Student (Adam’s Mating with the animals, Torah Musings, torahmusings.com), che si basa sul saggio di Lawee, scrive che l’esegesi di Rashi su Gen. 2,23 è, «per usare un eufemismo, un’ipotesi sorprendente».

Sarà pure un’ipotesi sorprendente, ma è pur sempre un fatto, come lo è l’esegesi del rabbino talmudista Elazar.

A meno che non sia invece nel giusto Rav Ron Chaya, il quale su un sito ebraico, ad un corrispondente che gli chiede se è vero che in Yebamoth 63a leggiamo che Adamo ebbe rapporti sessuali con tutti gli animali del giardino di Eden, risponde:

«Questo è vero, ma è chiaro che non stiamo parlando di un uomo di carne, quindi non del rapporto sessuale come lo intendiamo noi, ma della conoscenza, come è scritto del rapporto sessuale che Adamo ebbe con Eva nel giardino di Eden» (26 août 2009, myleava.fr).

Oppure, a meno che non sia nel giusto Rav Gabriel Dayan quando, su un altro sito ebraico, scrive che nell’insegnamento riportato in Yebamoth 63a «i nostri Saggi fanno riferimento alla saggezza di Adamo, che fu in grado di classificare tutti gli animali, designandoli in base alla loro natura e dando loro un nome. Ma riconobbe che nessuno di loro poteva soddisfarlo. Vedi Midrash Gen. Rabba 17,4» (Adam s’est-il accouplé avec tous les animaux?, Grand Appel de Roch Hachana, torah-box.com).

Oppure, a meno che, come leggiamo altrove, la vera spiegazione non sia la seguente: Adamo arrivò a capire la loro esistenza spirituale e perciò li chiamò con nomi propri (Talmud, mail-archive.com, 20 luglio 1999).

Senza parlare del rabbino Adin Steinsaltz, il quale si spinge più in là nell’interpretazione “sessista” e chiosa:

«Secondo un’interpretazione riportata dal Maharsha, ciò non significa che egli abbia avuto letteralmente rapporti sessuali con gli animali, ma piuttosto che abbia condotto un’indagine per trovare una creatura adatta ad essere la sua compagna, senza successo» (Yevamoth Daf 63a, steinsaltz-center.org).

Evidentemente, come quelle del Signore, le vie dell’esegesi scritturale rabbinico-talmudica sono infinite.   Rimane nondimeno il fatto che un autorevole rabbino come R. Elazar ha effettivamente concepito un’esegesi del genere (che fu attaccata duramente dai cristiani già a partire dal processo di Parigi del 1240), e che questa stessa esegesi è stata recepita, tra gli altri, anche da un rabbino ancora più autorevole come Rashi nel suo commentario ad loc.

Ma soprattutto rimane aperta un’altra questione: è vero che il testo biblico non è sempre di facile interpretazione, ma perché fra le tante scegliere proprio l’esegesi più perversa?

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