Gian Pio Mattogno
ALLE ORIGINI DELL’IMPERIALISMO EBRAICO.
«BENI SENZA PADRONE NEL DESERTO» (Baba Batra 54b).
CONSIDERAZIONI SU UN DISCUSSO TESTO TALMUDICO
Uno dei testi talmudici più controversi invocati da oltre un secolo dalla polemica antigiudaica per dimostrare la volontà imperialistica di Israele ai danni dei popoli non ebrei è Baba Batra 54b, che in generale viene citato in questi termini:
«I beni del non-ebreo sono come beni senza padrone nel deserto, e il primo che li prende se ne impadronisce».
In verità, questa accusa non era né nuova, né recente.
Già all’inizio del XVII secolo il teologo protestante Christian Gerson, nato ebreo, scriveva nella sua opera di confutazione del Talmud, la cui prima edizione risale al 1607:
«In Summa / der Thalmud schreibet Baba Bathra f. 54: Aller Christen und Heyden Güter sind preis / wie der Sand am Meer / und wer sie bekommt / der mag sie behalten».
(Des Jüdischen Thalmuds fürnehmster Inhalt und Widerlegung … durch Christian Gerson, Leipzig, M.DC.IIC, Parte Prima, Cap. XXIV, p. 167. La citazione di Gerson è stata ripresa da Johannis Wulferi, Theriaca Judaica, ad examen revocata …, Norimbergae, Anno MDC.LXXI, p. 86. Cfr. anche: Christian Gerson’s “Des Jüdischen Talmud Auslegung und Wederlegung“. Neu bearbeitet von Dr. Joseph Deckert, Wien, 1895, p. 112).
B. Pranaitis, Christianus in Talmude Iudaeorum sive Rabbinicae Doctrinae De Christianis, Petropoli, 1892, p. 96, riporta il testo originale ebraico, che traduce:
«Omnes facultates Goim sunt instar deserti; qui primus eas occupat, earum dominus est».
La citazione compare nella polemica antigiudaica dell’ultimo secolo e mezzo (soprattutto tedesca), a partire da August Rohling, Meine Antworten an die Rabbiner. Oder: Fünf Briefe über den Talmudismus und das Blut-Ritual der Juden, Prag 1883, p. 25, passando per altri autori, come Flavien Brenier, Le Juif et le Talmud, Paris, 1913, pp. 65-66, fino ad arrivare ad Alfred Rosenberg, Erich Bischoff, Johann Pohl ed altri ancora.
Gli apologeti giudei e i loro ausiliari replicano invariabilmente che il passo in questione è letto dalla propaganda antisemita al di fuori del contesto e che ne viene travisato e falsificato il vero significato.
Si vedano tra gli altri: D. Hoffmann, Der Schulchan=Aruch und die Rabbinen über das Verhältniss der Juden zu Andersgläubigen, Berlin, 1884, pp. 42 sgg.; J. Kopp, Zur Judenfrage nach den Akten des Prozess Rohling-Bloch, Leipzig, 1886, Zweite Aulage, pp. 79 sgg.; J. Bloch, Israel und die Völker nach jüdischer Lehre, Berlin-Wien, 1922, pp. 153 sgg.; A. Liebermann, Zur jüdischen Moral. Das Verhalten von Juden gegenüber Nichtjuden nach dem jüdischen Religionsgesetze, Berlin, s.d., pp. 56 sgg.; Eli Munk, Nichtjuden im jüdischen Religionsrecht, Berlin, 1932, pp. 73 sgg.
In effetti, Baba Batra 54b prende in esame il caso specifico di un ebreo che acquista un terreno da un non-ebreo, sulla base della legge ebraica, e non della legge del regno.
Il non-ebreo riceve il denaro dall’ebreo, e dunque non è più proprietario del terreno. Ma fino a che l’acquisizione non viene sancita con un atto formale (contratto scritto), il terreno non è ancora proprietà dell’ebreo, anche se ha versato il denaro. In questo frattempo il terreno è come un bene senza padrone nel deserto e chi ne prende possesso ne diventa padrone.
L’intero passo di Baba Batra 54b-55a suona così:
«Rav Yehuda afferma che Shmuel afferma: Riguardo alla proprietà di un goy venduta ad un ebreo per denaro, questa è senza proprietario come un deserto finché l’acquirente non compie un atto di acquisizione. Chiunque nel frattempo ne prenda possesso la acquisisce. Qual è la ragione di ciò? Il goy rinuncia alla proprietà dal momento in cui il denaro giunge nelle sue mani, mentre l’ebreo che l’ha acquistata non la acquisisce fino a che non gli giunge l’atto di acquisto. Pertanto, nel periodo di tempo tra la consegna del denaro e la ricezione dell’atto, la proprietà è come un deserto, e chiunque ne prenda possesso la acquisisce.
«Abaye disse a Rav Yosef: Shmuel ha davvero detto questo? Ma Shmuel non dice forse che la legge del regno è la legge, cioè che la halacha [legge ebraica] obbliga gli ebrei ad osservare le leggi del luogo in cui risiedono, e il re ha detto che la terra non può essere acquisita senza un documento? Pertanto, il semplice prenderne possesso [senza documento] non dovrebbe avere alcun valore per l’acquisizione.
«Rav Yoseph gli disse: Non so come conciliare questa contraddizione, ma c’è stato un caso nel villaggio di Dura, fondato da pastori, dove c’era un ebreo che acquistò della terra da un goy dando denaro, e nel frattempo arrivò un altro ebreo e la arò un po’. I due ebrei si presentarono davanti a Rav Yehuda per una sentenza, e [Rav Yehuda] stabilì che la proprietà andasse al secondo individuo. Ciò concorda con la sentenza di Shmuel, secondo cui la proprietà è senza padrone finché un ebreo non compie l’atto di acquisizione».
Nel prosieguo del testo R. Abaye replica che il caso citato non può fornire alcuna prova, in quanto lì a Dura i campi erano tenuti nascosti al fisco per non pagare la tassa fondiaria al re, e il re dice che solo chi paga la tassa fondiaria può trarre profitto dalla terra. Pertanto, in quel caso il goy che vendette la sua proprietà non ne era l’effettivo proprietario, e di conseguenza, secondo le leggi del regno, non poteva venderla. Per contro, chi prese possesso della proprietà la acquisì in conformità con la legge del regno, poiché si impegnò a pagare la tassa fondiaria.
Altrove invece non si poteva acquisire il terreno finché non si riceveva un atto di vendita dal goy. La Gemarah racconta che Rav Huna acquistò un terreno da un goy. Arrivò un altro ebreo e la arò un po’. Rav Huna e l’altro ebreo si presentarono davanti a Rav Nahman, il quale assegnò la proprietà all’altro ebreo. Rav Huna gli chiese se avesse emesso questa sentenza in base all’affermazione di Shmuel che la proprietà di un goy è come un deserto, e chiunque ne prenda possesso la acquisisce.
(Baba Batra 55a) Ma allora in tal caso, dice Rav Huna, bisognerebbe tener conto di un’altra affermazione di Shnmuel, secondo cui chi ara una proprietà senza padrone acquisisce soltanto la parte di terreno che ha arato. Rav Nahman replica dicendo di essersi attenuto alla halacha: Una volta colpita la terra con la zappa, acquisì l’intera proprietà.
La Gemarah racconta poi che Rav Huna ben Avin emanò questa sentenza: Nel caso di un ebreo che ha acquistato un terreno da un goy, e poi è venuto un altro ebreo e ne ha preso possesso, il terreno non viene sottratto al possesso del secondo ebreo. «E così anche R. Avin, R. Ilea e tutti i nostri rabbini concordano su questo punto».
Almeno in questo, e limitatamente a Baba Batra 54b, la propaganda ebraica e filoebraica ha ragione.
Qui in effetti non si parla del furto della proprietà di un non-ebreo, considerata come un bene senza padrone nel deserto, da parte di un ebreo.
Lo stesso caso specifico viene riproposto in due passi dello Shulhan Aruch: Choshen ha-mishpat 194,2 e 274,1.
Ma, come vedremo, qui gli apologeti giudei fanno esattamente ciò che generalmente rimproverano agli odiati antisemiti: estrapolano il passo talmudico in questione e quelli dello Shulhan Aruch da un contesto ancora più ampio, che ne rivela il significato più autentico.
I termini esatti della questione sono illustrati da Herman De Vries De Heekelingen ed Erich Bischoff.
Nella perizia presentata in occasione di un processo del 1940 relativo alla diffusione di opuscoli antisemiti, Vries De Heekelingen (Il Talmud e il non-ebreo, in J.Pohl – K.G. Kuhn – H. De Vriees De Heekelingen, Studi sul Talmud, Parma, 1992, p. 82) scrive che in effetti Baba Batra 54b si riferisce al caso speciale della vendita di un terreno ad un ebreo da parte di un non-ebreo.
L’imputato, scrive, avrebbe invece dovuto riferirsi ad un passo dello Shulhan Aruch, Choshen ha-mishpat 156, 5 hagah (glossa di R. Isserles), nel quale si solleva la questione se un ebreo può sottrarre ad un altro ebreo un cliente non ebreo.
Il contesto è il seguente: si discute se un ebreo può sottrarre ad un altro ebreo un cliente abituale non ebreo (maaruphja) (col quale il primo ebreo fa evidentemente buoni affari). Alcuni lo proibiscono, altri lo permettono «poiché i beni del non-ebreo sono beni senza padrone, e il primo (che ne prende possesso) è nel giusto (ad agire così)».
Come scrive anche Erich Bischoff (Rabbinische Fabeln über Talmud, Schulchan Aruch, Kol Nidrê usw., Leipzig, 1922, pp. 67 sgg.; Das Buch vom Schulchan aruch, Leipzig, 1936, pp. 99 sgg.), lo Shulhan Aruch applica a questo caso specifico la massima che i beni dei non-ebrei sono beni senza padrone e il primo che se ne impossessa agisce legalmente.
Il principio che i beni dei non-ebrei sono beni senza padrone ed appartengono per diritto divino ad Israele ha il suo fondamento giuridico-religioso nella stessa teologia giudaica, basata sull’esegesi rabbinica della Torah.
(Cfr. I fondamenti teologici della Torah, «La Questione Ebraica», 1. Agosto 1998, pp. 23-40).
Una pagina illuminante di Bernard Lazare, che interpreta fedelmente il pensiero rabbinico, ne illustra alcuni tratti essenziali cogliendone la vocazione imperialistica:
«Senza la Legge, senza Israele per praticarla, il mondo non esisterebbe. Dio lo farebbe rientrare nel nulla. E il mondo conoscerà la felicità unicamente quando sarà sottomesso all’impero universale di questa legge, cioè all’impero degli ebrei. Di conseguenza, il popolo ebraico è il popolo scelto da Dio come depositario delle sue volontà e dei suoi desideri. Solo col popolo ebraico la Divinità ha fatto un patto; esso è l’eletto del Signore.
«Nel momento stesso in cui il serpente tentò Eva, dice il Talmud, la corruppe col suo veleno. Israele, ricevendo la rivelazione sul Sinai, si liberò dal male, mentre le altre nazioni non poterono guarirne. Così, se esse hanno ciascuna il proprio angelo custode e le proprie costellazioni protettrici, Israele è posto sotto l’occhio stesso di Jahvè.
«È il figlio prediletto dell’Eterno, e solo lui ha diritto al suo amore, alla sua benevolenza, alla sua speciale protezione, mentre gli altri popoli sono posti al di sotto degli ebrei. Solo per pietà essi hanno diritto alla munificenza divina, poiché solo le anime degli ebrei discendono dal primo uomo.
«I beni concessi alle nazioni appartengono in realtà ad Israele (…)» (L’antisémitisme. Son histoire et ses causes, Paris, 1934, t. I, pp. 50-51).
Le fonti rabbiniche confermano pienamente questa interpretazione.
Come ho mostrato nei miei lavori, se tutta la terra appartiene per diritto divino a Jahvè e al suo rabbinicamente “popolo eletto”, ogni sorta di sotterfugi e inganni, di ruberie e spoliazioni è permessa ai danni dell’empio e perverso goy idolatra.
Non si tratta di azioni moralmente riprovevoli, ma di una specie di “riappropriazione” pienamente legittima di beni, appartenenti a Israele, di cui i non-ebrei si sono indebitamente appropriati.
I rabbini muovono dalla loro esegesi del precetto biblico: “Non opprimere il tuo prossimo, né spogliarlo” (Lev. 19,13), che interpretano nel senso che si può spogliare un non-ebreo perché non è il prossimo.
Il Talmud (Baba Kamma 38a) ne precisa il fondamento e la giustificazione rabbinico-teologica.
La Mishnah afferma che il proprietario ebreo di un bue che ha incornato il bue di un gentile è esente da responsabilità, mentre il proprietario gentile di un bue che ha incornato il bue di un ebreo è tenuto a risarcire l’intero danno.
Nella Gemarah R. Abbahu spiega la ragione di questa discriminazione invocando il versetto di Abacuc 3,6: “Egli si fermò e scosse la terra: guardò e fece tremare le nazioni”:
«Questo è interpretato omileticamente nel senso che Dio vide i sette comandamenti che i discendenti di Noè accettarono di osservare. Ma poiché non li osservarono, Egli si alzò e consegnò il loro denaro [i loro beni] al popolo ebraico, così che in certi casi gli ebrei non sono responsabili per i danni causati ai gentili.
«R. Yohanan disse che la stessa cosa si poteva dedurre da qui (Deut. 33,2): “Il Signore venne dal Sinai e si levò da Seir verso di loro; apparve dal monte Paran”, che è interpretato omileticamente in questo senso: Dal momento in cui Dio venne dal monte Paran, quando diede la Torah, apparve il denaro delle nazioni, cioè fu rivelato e concesso al popolo ebraico».
Nel prosieguo dello stesso testo si racconta che un giorno il regno romano inviò due funzionari presso i Saggi d’Israele affinché fossero edotti sulla Torah. I funzionari lessero, rilessero e ripeterono più volte la Torah. Al momento della loro partenza, dissero ai Saggi:
«Abbiamo esaminato tutta la vostra Torah, ed è vera, tranne per quest’unica cosa che affermate, cioè riguardo al fatto che il proprietario ebreo di un bue che ha incornato il bue di un gentile è esente da responsabilità, mentre il proprietario gentile di un bue che ha incornato il bue di un ebreo, sia esso recidivo o no, deve risarcire l’intero danno (…) Ed aggiunsero: Ma di questo non informeremo il regno» (Questo racconto compare con delle varianti anche nel Talmud di Gerusalemme (Baba Kamma 4,3)).
Rashi ad loc. così chiosa:
«Per via della sua pericolosità, essi (i rabbini) non rivelarono loro (ai funzionari romani) la vera ragione di questa norma, che cioè (prendere) il denaro di un non-ebreo è come impadronirsi di un bene senza padrone (hephker)» (Cit. in E. Bischoff, Das Buch vom Schulchan aruch, p. 101).
In Pesachim 68a R. Yosef così interpreta Is. 5,17 (“e sulle rovine deserte s’ingrasseranno i capretti”): i beni degli empi saranno ereditati dai giusti. “I capretti” designa Israele; i “giusti” sono gli ebrei fedeli alla Torah. Gli “empi” sono soprattutto i goyim idolatri che, dice la Gemarah, vivranno vite estremamente lunghe, e di cui è scritto: “E gli stranieri staranno a pascolare i vostri greggi, e i figli dello straniero saranno i vostri contadini e i vostri vignaioli” (Is. 61,5).
In Baba Kamma 113b R. Ashi vede in un vigneto un tralcio spezzato con un grappolo d’uva e incarica il suo domestico di andare a prenderlo, ma solo nel caso che la vigna appartenga ad un non-ebreo; se la vigna appartiene ad un ebreo, gli ordina di lasciare il grappolo lì.
Il proprietario, che è un goy, se ne accorge e chiede al rabbino se è giusto rubare la proprietà di un non-ebreo (Steinsaltz traduce: to steal the property of a gentile). Al che l’astuto R. Ashi risponde di sì, adducendo questa grottesca motivazione: «Un gentile prende soldi per la sua uva, ed io intendevo pagarla, mentre un ebreo non prende soldi per la sua uva, ed io volevo prenderla senza pagare».
La «Jewish Encyclopedia» scrive che quella di R. Ashi fu una risposta «abile e sarcastica», ed aggiunge che R. Ashi concordava con le autorità rabbiniche (anche se, si affretta a sottolineare, l’opinione unanime era contraria a queste autorità) secondo le quali, «poiché si presume (as the presumption) (sic!) che il gentile abbia ottenuto la proprietà con la forza (by seizure), la proprietà è considerata proprietà pubblica, come la terra non reclamata nel deserto (BB 54b» (Gentile, J.E, vol. 5, p. 620-621).
Il principio giuridico applicato ad un caso specifico in Baba Batra 54b, qui viene indicato come principio assoluto.
Nel midrash Lev. Rabbah 13,2 la spoliazione del non-ebreo è associata da Rav allo spargimento del suo sangue.
Muovendo dal versetto di Abacuc 3,6, R. Shimon ben Yohai dice che il Santo valutò tutte le nazioni, ma non trovò una nazione degna di ricevere la Torah se non gli Israeliti della generazione del deserto. Segue l’insegnamento di Rav.
«Rav disse: «Egli (il Santo) permise (di versare) il sangue dei Cananei e permise le loro proprietà: Permise il loro sangue, come è detto: “Non permetterai che un’anima rimanga in vita” (Deut. 20,16). Permise le loro proprietà, come è detto: “Consumerai il bottino dei tuoi nemici” (Deut. 20,14)».
È bensì vero, come tendono a rimarcare gli apologeti giudei, che il testo in questione si riferisce specificatamente alle antiche popolazioni che abitavano la Palestina, ma nell’esegesi rabbinica non solo la “Terra Promessa”, ma il mondo intero è di proprietà di Jahvè e di Israele, e dunque quei precetti si estendono nello spazio e nel tempo a tutti i popoli della terra che, in quanto “idolatri”, non si sottomettono al Dio giudaico e al suo “popolo eletto”.
Nella sua esegesi di Abacuc 3,6 Rashi parla esplicitamente delle «settanta lingue», ovverosia dei settanta popoli che secondo la tradizione rabbinica formano l’umanità.
Le fonti rabbiniche attestano inequivocabilmente che il non-ebreo è un essere idolatrico, impuro e malvagio, verso il quale è lecita e doverosa ogni sorta di discriminazione, e che nell’èra messianica tutti i popoli non ebrei che si ribelleranno alla sovranità universale di Jahvè saranno sterminati e/o asserviti, e i loro beni passeranno nelle mani di Israele.
(Cfr. Sorgente di morte. L’omicidio del non-ebreo nel Talmud e nella tradizione rabbinica, Effepi, Genova, 2019; L’imperialismo ebraico nelle fonti della tradizione rabbinica, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma, 2009, Il filosofo talmudista. Note critiche sulla perizia di Hermann Cohen nel processo di Marpurgo del 1888, Effepi, Genova, 2020).
Il midrash Lev. Rabbah fu redatto tra il 400 e il 500. Secoli dopo ritroviamo quasi alla lettera lo stesso insegnamento nel Nizzachon Vetus e nel Sepher ha-Ikkarim.
Nel Nizzachon Vetus, un’opera anonima di polemica anticristiana scritta probabilmente nel XIII secolo, l’autore invoca la morte dell’«incirconciso e impuro» che rifiuta di accettare il dominio di Israele:
«Se essi [i non-ebrei] strillano e dicono che ad un incirconciso e impuro non è permesso di servire gli ebrei, di’ loro al contrario che se essi non servono gli ebrei sono rei di rovina e di morte, come è scritto nel profeta Isaia (60,1): “Sorgi, splendi, ché la tua luce viene”, e (60,12): “Sì, quella nazione e quel regno che non ti vogliono servire periranno e le nazioni saranno annientate”» (Liber Nizzachon Vetus. Ex Ms. Bibliothecae Argentoratensis, in J.C. Wagenseil, Tela Ignea Satanae, Altdorf, M.DC.LXXXI, p. 243).
In un passo del Sepher ha-Ikkarim (III, 25) di R. Joseph Albo (sec. XV), a suo tempo tradotto e pubblicato, con il testo ebraico a fronte, dall’ex rabbino P.L.B. Drach (De l’Harmonie entre l’Église et la Synagogue, Paris, I, 1844, p. 167 nota a) leggiamo il seguente insegnamento:
«Poiché la vita dell’idolatra è a discrezione dell’ebreo, a maggior ragione lo sono i suoi beni».
Il testo (ed. in quarto di Venezia, 1544) era stato così riportato da Eisenmenger nel suo Entdecktes Judenthum:
«E nel libro di Rabbi Joseph Albo Sepher Ikkarim, fol. 92, col. 2, capitolo 25 del terzo Maamar su Deut. 23,20: “Ad uno straniero puoi prestare ad usura” è scritto: “Tale (straniero) è colui che pratica l’idolatria e non vuole osservare i sette comandamenti noachidi, come uno straniero che ha abitato (nell’antichità) nella terra promessa ha fatto colpevolmente; secondo l’unanimità di tutte le religioni il suo corpo è permesso (che lo si uccida). Anzi i filosofi hanno permesso che si versi il suo sangue e hanno detto: uccidete colui che non ha religione. Anche la legge di Mosè ha messo in guardia contro gli idolatri e ha ordinato (Deut. 20,16): “Non devi lasciare in vita nessun’anima”. È permesso uccidere il corpo di un idolatra, come anche (prendere) i suoi beni, e non avere compassione di lui» (Johann Andreas Eisenmenger e il Giudaismo Svelato. Con un’antologia su ebrei e non-ebrei secondo gli insegnamenti rabbinici, Edizioni di Ar, Padova, 2008, p. 116).
Rohling invoca questo passo per dimostrare «l’assioma rabbinico che, se la vita del non-ebreo è a discrezione dell’ebreo, a maggior ragione lo sono i suoi beni» (Meine Antworten an die Rabbinen cit., p. 4).
Poiché, come anche in questo caso, gli apologeti giudei e i loro ausiliari accusano gli autori antigiudei di estrapolare le citazioni dal contesto distorcendone e falsificandone il vero significato, leggo l’intero testo e contesto utilizzando il Sepher Ikkarim nell’ed. di Francoforte del 1844, a cura di W. Schlesinger, e quella di Filadelfia del 1946, a cura di I. Husik, nonché la traduzione del rabbino Joseph Bloch:
«Nella parte dei comandamenti concernente le relazioni fra uomo e uomo e che chiamano “judiciales”, la legge di Mosè è più perfetta d’ogni altra legge. Essa infatti inculca l’amore per gli uomini (Lev. 19,18: “Ama il prossimo tuo come te stesso”) e proibisce l’odio (Lev. 19,17: “Non odiare in cuor tuo il tuo fratello”).
«Riguardo allo straniero dice (Deut. 10,19): “Amate lo straniero”, e ci ingiunge di non ingannarlo ( Deut. 23,17: “Resti con te, in mezzo a te, nel luogo che avrà scelto, entro una delle tue città, dove gli piaccia: non fargli alcun sopruso”). E questo non si riferisce solo al proselito, ma anche a chi non si è convertito all’ebraismo, a condizione però che non serva alcun idolo.
«Inoltre, la Torah ordina di essere ben disposti verso di lui (Deut. 14,21: “Dallo allo straniero che è entro le tue città, affinché ne mangi”). Questo si riferisce allo straniero che vive in Israele (residente proselito), che può mangiare la carne di un animale morto di morte naturale.
«È permesso prendere interessi solo dallo straniero che adora gli idoli, come dice la Bibbia: “Fa’ pagare interessi allo straniero” (Deut. 23,21).
«Chi adora gli idoli e rifiuta di osservare i sette comandamenti noachidi, come fa invece il residente proselito, può essere privato della vita e su ciò concordano tutte le religioni. Anche i filosofi affermano che è permesso versare il loro sangue, quando dicono: “Uccidete chi non ha religione”.
«Riguardo agli idolatri, la Torah ordina la stessa cosa: “Non lasciare nessuno in vita” (Deut. 20,16). E se è permesso prendere la vita di un idolatra, a maggior ragione è permesso prendere i suoi beni, poiché l’idolatra merita di essere ucciso senza pietà».
(Buch Ikkarim, Grund= und Glaubenslehren der Mosaischen Religion von Rab. Joseph Albo. Nach den ältesten und correctensten Ausg. in’s Deutsche übertragen von Dr. Schlessinger [Schlesinger], Rabbiner zu Sulzbach und Dr. Ludw. Schlesinger, Lehrer der neuen Sprache, Frankfurt a.M., 1844, p. 344; J. Albo, Sefer ha-Ikkarim, Philadelphia, 1946, vol. III, p. 238; J. Bloch, Israel und die Völker cit., pp. 157-158).
A parte il furbesco richiamo all’autorità dei «filosofi» (peraltro essi stessi “idolatri” secondo la legge ebraica, e dunque anch’essi meritevoli di spoliazione e di morte!), e a dispetto delle acrobazie esegetiche degli apologeti giudei, il testo di R. J. Albo riflette pienamente gli insegnamenti rabbinici tradizionali: chi non adora il Dio giudaico e non osserva i comandamenti noachidi è un “idolatra”, da discriminare, derubare e persino uccidere. Nell’esegesi rabbinica la legge di Mosè inculca l’amore unicamente per l’ebreo, il proselito, il ger, lo straniero residente che riconosce la sovranità di Jahvè e di Israele, e il noachida, il cui primo comandamento è quello di rigettare l’“idolatria”, cioè di adorare Jahvè, unico Dio.
Ed è proprio a questi “idolatri” (cioè praticamente all’intero genere umano) che R. Joseph Albo riserva un destino di spoliazione e di morte.
Ancora nel XIX secolo il rabbino capo Hisch B. Fassel, interpretando la tradizione rabbinica relativa al nostro argomento, poteva scrivere:
«Gli idolatri non sono uomini, e pertanto sono al di fuori della legge. La loro vita non va risparmiata e i loro beni sono da considerarsi come beni senza padrone (ihr Eigenthum ist als herrnlos zu betrachten)» (H.B. Fassel, Die mosaisch-rabbinische Tugend- und Rechtslehre …, [II ed.], Gross-Kanizsa, 1862, p. 187, cui segue la spiegazione).
Gli studiosi israeliani antitalmudisti di Daat Emet così compendiano il vero senso dell’intera questione dei “beni senza padrone”:
«Gli ebrei religiosi pensano che Dio abbia creato il mondo, e che lo possieda e lo governi. Secondo loro, la proprietà dell’uomo è un imprestito da parte di Dio, come è scritto: “Mio è l’argento e mio è l’oro, dice il Signore degli eserciti” (Aggeo 2,8). Per questa ragione affermano con arroganza che Dio ha reso il denaro dei gentili come se fosse senza padrone, e quindi qualsiasi danno causato all’animale di un gentile dal bue di un ebreo non richiede risarcimento: “Egli si fermò e permise il loro denaro agli ebrei” (Baba Kamma 38a).
«Allo stesso modo considerano anche la conquista di terre altrui (come la conquista di Israele da parte di Giosuè sottratta alle mani delle genti del luogo).
«Essi affermavano: “Se le nazioni del mondo dicono a Israele: ‘Siete dei banditi, perché avete conquistato la terra delle Sette Nazioni’, rispondono che il mondo intero appartiene al Santo, egli sia benedetto. Lui lo ha creato e lo dà a chi ritiene opportuno. Quando ha voluto, lo ha dato a loro, e quando ha voluto, lo ha preso a loro e lo ha dato a noi” (Rashi su Gen. 1,1)» (Questions & Answers. Israeli Independence Day and the theft of Israeli lands, daatemet.org).
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