CHIESA ED EBREI IN UN MANUALE DI DIRITTO CANONICO
DELLA FINE DEL XIX SECOLO
Premessa di Gian Pio Mattogno. Le pagine che seguono, che rivestono un sicuro interesse storico, soprattutto se rapportate all’andazzo dei nostri tempi, sono tratte da: Mgr. Anselme Tilloy, Traité théorique et pratique de droit canonique. Tome premier, Paris, 1895 (Titre III. Des personnes laïques. Chapitre II. Des rapports de l’Église avec ceux qui n’appartiennent pas à sa comunion. § IV. Des dispositions particulières du droit relativement aux Juifs, nn. 1987-2009, pp. 505-513).
Il manuale, indirizzato sia al clero parrocchiale che ai giuristi laici, è preceduto da una lettera dell’autore a Leone XIII e dalla risposta, tramite mons. Rinaldi, in cui il papa dichiara di aver gradito il devoto omaggio ed impartisce all’autore la Benedizione Apostolica.
Viene inoltre riportata una breve antologia di giudizi positivi tratti dalla stampa cattolica.
Nelle pagine che precedono (nn. 1973 sgg.) l’autore sottolinea che non appartengono alla comunione della Chiesa coloro i quali non hanno ricevuto il battesimo (come gli infedeli) e coloro i quali, pur avendo ricevuto il battesimo, si sono separati dalla comunione della Chiesa con l’eresia e lo scisma.
Egli precisa altresì che la Chiesa, regno di Cristo sulla terra, interprete della sua dottrina e depositaria del tesoro della redenzione, non può contrarre alleanze né col giudaismo, né col paganesimo, né con l’islamismo.
In via di principio la Chiesa condanna assolutamente l’infedeltà e l’eresia, ma poiché la fede è un dono di Dio e al tempo stesso un atto della volontà umana, essa non vuole trionfare sui suoi nemici con la violenza, ma con lo zelo e la carità e, all’occorrenza, persino col martirio. È per tale ragione che condanna le conversioni forzate alla fede cristiana, e quindi anche i battesimi coatti degli ebrei.
L’ab. Jean Anselme Tilloy (1824-1903), dottore in teologia e diritto canonico, è autore di: Le Péril Judéo-Maçonnique. Le mal. ‒ Le remède, Paris, 1897, che vinse il primo premio ex-aequo del concorso sulla questione ebraica organizzato nel 1896 da “La Libre Parole”, diretta da Drumont.
1987. ‒ Per certi versi la situazione religiosa degli Israeliti nei confronti della Chiesa differisce essenzialmente da quella degli altri infedeli (Can. Dist. II, c. 23, q. 8). Quale che sia l’ingratitudine degli Israeliti verso Dio, di cui sono stati il popolo privilegiato fino alla venuta del Redentore da essi misconosciuta; quale che sia la loro depravazione morale (Pignatelli, Consultationes, T. V. cons. 14, p. 55) e il loro odio per il nome e la fede cristiana, del quale si è potuto dire che esso ha superato di gran lunga quello dei pagani (Can. Nonne, 57, c.1, q.1), la Chiesa li ha sempre trattati con maggiore indulgenza di altri infedeli, ma al tempo stesso ha emanato numerose prescrizioni per prevenire i pericoli fin troppo reali ai quali la frequentazione degli ebrei esponeva i cristiani.
Possiamo altresì affermare che la legislazione della Chiesa nei riguardi degli ebrei è un modello di saggia tolleranza, moderata da una prudente e legittima severità, basata sulla necessità di salvaguardare la fede e gli interessi anche temporali della cristianità contro il proselitismo e le pratiche usuraie degli ebrei.
Tolleranza verso gli ebrei
1988. ‒ La tolleranza testimoniata agli ebrei dalla Chiesa è fondata sulle più elevate ragioni d’ordine religioso. In passato gli ebrei furono il popolo caro a Dio e la loro religione, che è una sorta di prologo del Vangelo, loro malgrado rende testimonianza alla Chiesa di Gesù Cristo. Essi hanno conservato i profeti e le predizioni che annunciavano l’avvento del Redentore, e vi sono rimasti attaccati con una costanza che ha eguali solo nella loro ostinata cecità.
Ancora ai nostri giorni essi rivendicano per i loro padri il supplizio e la morte del Salvatore, attestando così, contro di loro e malgrado loro, la veridicità della tradizione cristiana. La loro dispersione nel mondo, la distruzione del loro tempio, l’impossibilità di ricostituirsi in nazione dopo che hanno consumato il crimine del deicidio, attestano e testimoniano universalmente la maledizione divina che li ha colpiti e ciò, al tempo stesso, la divinità di Gesù Cristo e l’istituzione della Chiesa.
Queste considerazioni e, inoltre, la preghiera di David (Ps. LIX), quella che Gesù Cristo indirizzò per loro dall’alto della croce a suo Padre e la promessa del loro futuro ritorno alla Chiesa, spiegano e giustificano la mansuetudine che la Chiesa ha sempre avuto verso di loro e che li ha fatti beneficiare di una tolleranza di cui spesso hanno abusato (Rom. XI, 25, 26). Si può persino dir che il Papato ha sempre trattato gli ebrei con più mansuetudine di quanto abbiano fatto in passato le monarchie d’Europa.
1989. ‒ Così, quando i principi cristiani trattavano gli ebrei da paria e li espellevano dai loro regni, la Chiesa permetteva loro di risiedere fra i cristiani, e persino nei propri Stati. Essa dichiarava che, una volta ammessi in un paese cattolico, non li poteva espellere senza una grave ragione (Bened. XIV, const. A quo primum, § 4), né maltrattarli, né imporre loro tributi iniqui (5. C. Sicut Judaei, q. X, h. t.).
Essa consentì agli ebrei di conservare le proprie sinagoghe, che dichiarò inviolabili al pari dei loro cimiteri; ma proibì loro di costruirne di nuove, autorizzando una sola sinagoga nella stessa località (Paolo IV, P. const. Cum nimis absurdum. ‒ Giraldi, Exposit. Juris pontif. T. II, p. 604)). Potevano celebrare lo Shabbath e tutte le feste dell’antica alleanza in piena libertà. La Chiesa non pose alcun ostacolo all’osservanza dei loro riti (Can. Qui sincera, 3 D. 45), ma rifiutò loro di introdurvi innovazioni aventi per scopo di dare maggiore pubblicità alle proprie pratiche religiose (Conc. Narbon., can. 9, ann. 589).
1990. ‒ È in questo modo che la Chiesa usava tolleranza verso gli ebrei. Tale protezione era tanto più necessaria, in quanto la legislazione di molti Stati europei, ad es. in Germania e in Francia, era loro rigorosamente ostile e creava una situazione instabile e precaria, di modo che essi vedevano sempre sospeso sulle loro teste, come una spada di Damocle, quel principio generalmente ammesso, secondo cui l’imperatore aveva il diritto di sterminare tutti gli ebrei, di espellerli, e persino di annullare tutte le cause intentate da loro contro i propri debitori (Phillips, Des principes du Droit ecclésiastique, S. XCIX, T. 2).
Oggi sappiamo come Israele ha risposto alla mansuetudine e alla protezione della Chiesa. In tutte le intraprese dirette da un secolo a questa parte contro il cattolicesimo, si scopre l’azione, ora occulta, ora pubblica, e sempre perfidamente ostile, dei figli d’Israele.
- Disposizioni proibitive della Chiesa riguardo ai rapporti dei cristiani con gli ebrei
1991. ‒ I. La tolleranza accordata agli ebrei sotto certe riserve dalla legislazione ecclesiastica sarebbe stata piena di pericoli per la cristianità, se la Chiesa non l’avesse sottoposta a quelle leggi restrittive che la prudenza e l’interesse della cristianità le comandavano. L’odio ostinato del popolo deicida contro il nome cristiano, il suo ardore di proselitismo, la sua innata cupidigia, le sue pratiche usuraie, di cui la storia di tutti i secoli, senza eccettuare il nostro, e soprattutto quella del XIII secolo, offre così numerosi esempi, obbligarono la Chiesa ad emanare delle leggi proibitive che regolavano le relazioni dei cristiani con gli ebrei (Petra, Ad Const. Clem. IV. Turbato ex corde, n. 2, t. 3, p. 261).
Sebbene la maggior parte di tali leggi proibitive siano oggi cadute in disuso, e molte di esse non corrispondano più alla legislazione delle società moderne, non è inutile nondimeno richiamarle alla memoria, non foss’altro per dimostrare che la Chiesa ha compreso la questione ebraica meglio degli pseudo-liberali del nostro tempo, e che essa ha dato prova di saggia politica e di patriottismo, difendendo i popoli cristiani che si ispiravano ai suoi insegnamenti contro il pericolo delle frequentazioni coi figli d’Israele.
1992. ‒ 1. Papa Paolo IV proibì agli ebrei di abitare in case attigue a quelle dei cristiani. Furono loro assegnate determinate strade, e nelle città dove erano numerosi persino un quartiere particolare, interamente isolato dalle altre abitazioni (Const. Cum nimis, 4, § 1).
1993. ‒ 2. Per ovviare ai numerosi abusi, la Chiesa prescrisse agli ebrei di portare un abito che li distinguesse dai cristiani, e al tempo stesso proibì a questi ultimi di servirsi degli abiti degli ebrei, e più in generale di quelli degli infedeli, salvo il caso in cui questo non fosse che l’unico mezzo per sfuggire a morte certa (Formosini, Ad cap. In nunnillus, X h. t. 91, n. 7-13).
1994. ‒ 3. La Chiesa proibì formalmente di affidare agli ebrei ogni genere di cariche pubbliche (Can. Nullus 14, d. 54. ‒ c. Cum sit, 16, de Judaeis) che conferissero ai titolari una qualunque autorità sui cristiani. Il testo della legge dà una ragione molto perentoria di tale divieto: è assurdo che un bestemmiatore del Cristo eserciti il potere su dei discepoli del Cristo, cum sit nimis absurdum quod blasphemus Christi in Christianos vim potestatis exerceat.
In effetti, dice S. Gregorio VII, affidare funzioni pubbliche a degli ebrei significherebbe consentire all’oppressione della Chiesa (Epist. IX, epist. 2 ad Alphons. Reg. ‒ Oggi la Chiesa di Francia subisce questo obbrobrio umiliante. Un terzo della Francia è governato da prefetti ebrei!). Di conseguenza, chiunque affida una carica civile ad un Israelita o coopera tramite elezione alla sua promozione a tale carica, commette, a termine delle Decretali, un vero e proprio sacrilegio ed incorre nella scomunica; l’ebreo è decaduto dalla sua carica, e ciò che ha acquisito esercitandola gli viene tolto e distribuito ai poveri (Cap. Cum sit nimis cit.).
Tale esclusione si estende alla tutela, quando questa viene esercitata su dei cristiani (Berardi, p. 155) e alla locazione di tutti i rami del reddito pubblico (Conc. Matisc. I, ann. 581, c. 13), a meno che la riscossione non sia fatta tramite un intermediario cristiano (Nicollis, Praxis canon. t. 1, p. 754).
La ragione di tali proibizioni è di non fornire agli ebrei l’occasione di spogliare i cristiani: quoniam sub tali praetextu, christianis plurimum sunt infesti (C. Cum sit nimis).
1995. ‒ 4. Per la medesima ragione, e per impedire che si stabiliscano rapporti troppo intimi tra i cristiani e gli ebrei, i canoni proibiscono ai cristiani di porsi volontariamente al servizio di un ebreo (In cap. De Judaeis, Conc. Later. III). La ragione di tale proibizione è che i cristiani, liberi cittadini del regno di Gesù Cristo, non possono essere i servitori degli ebrei, razza diseredata, dicono i canoni, e contrassegnata dal marchio della maledizione divina: quia nefas est quem Christus redemit blasphemum Christi in servitutis vinculis detinere (Cap. Praesenti, t. X, h.t. conc. Tolet. IV, c. 66).
1996. ‒ 5. Il terzo concilio del Laterano proibisce alle donne cristiane d’essere nutrici di bambini ebrei (C. Ad haec). Questa proibizione ha la sua ragione nei pericoli ai quali i sentimenti in qualche modo materni della nutrice verso il bambino che ha allattato possono esporre la sua fede. La proibizione è assoluta. Le nutrici cristiane non possono in nessun caso prestare le loro cure ai bambini ebrei, né nella casa paterna, né altrove, il pericolo essendo ovunque lo stesso, a causa delle relazioni inevitabili con la famiglia del lattante (Phillips).
1997. ‒ 6. È parimenti proibito alle ostetriche di assistere le donne ebree nei loro parti e ai medici cristiani di dare agli ebrei il soccorso della loro arte, se non in caso di necessità (Nicollis, Praxis canon. Tit. de Judaeis, t. I, p. 754).
1998. ‒ 7. È proibito ai cristiani di prendere degli ebrei per istitutori (Ivi, t. I, p. 755) o per medici (Can. Nullus). La ragione di queste due proibizioni è che la Chiesa vuole evitare che si stabiliscano rapporti troppo intimi fra cristiani ed ebrei. Una ragione ancora più grave che motiva la seconda proibizione è che uno dei doveri del medico è di esortare il malato a ricevere i sacramenti (Cap. Cum infirmitas, 13, X, de Poenit.); ora, come potrebbe un medico ebreo adempiere a questo dovere? È parimenti proibito ai cristiani di servirsi di medicamenti preparati dagli ebrei (Paolo IV, Const. Cum nimis, t. 10); ma è permesso loro di vendere agli ebrei il materiale per prepararli essi stessi.
1999. ‒ 8. È inoltre proibito a un cristiano di invitare un ebreo alla sua tavola (Glossa ad cap. Nullus) e di accettare un invito da parte sua (Can. Omnes, 14, c. Conc. Agath. ann. 506, can 40). In un solo caso eccezionalmente è consentito a un cristiano di sedersi alla stessa tavola di un Israelita: quando si incontra fortuitamente con lui in una locanda. Un cristiano non deve mai fare il bagno scientemente con un ebreo, a meno che il caso non l’abbia portato involontariamente nel suo stesso stabilimento (Can. Nullus).
Proibendo così severamente la commensalità tra ebrei e cristiani, la Chiesa non ha agito arbitrariamente. Questa proibizione è fondata su ragioni d’una grande gravità. Chi non sa che è nella natura delle relazioni di commensalità e dei piaceri della tavola, di per sé stessi così fecondi di seduzioni vive e coinvolgenti, di stabilire fra i commensali una stretta familiarità? Presso i Romani lo schiavo che si sedeva alla tavola del suo padrone per questo solo fatto era considerato libero.
2000. ‒ 9. La Chiesa ha formalmente proibito ai cristiani di frequentare le sinagoghe (Raiffenstuel, Jus can. t., n. 19, p. 26), perfino se vi fossero condotti dal desiderio di insegnare agli ebrei le verità del cristianesimo (Can. Infideles, 16, c. 23, q. 4); essa ha proibito loro anche ogni partecipazione alle solennità ebraiche, comprese le nozze e i funerali (Phillips).
2001. ‒ 10. Il commercio è ancora una frequente occasione di ingiustizie da parte degli ebrei a pregiudizio dei cristiani, soprattutto in materia di traffici usurai. Indubbiamente la Chiesa lascia tutta la libertà alle transazioni civili e commerciali fra ebrei e cristiani. Questi ultimi possono stipulare con loro dei contratti legittimi, ma essa proibisce ai cristiani di formare con gli ebrei qualunque tipo di società, a causa dei rapporti intimi che necessariamente si stabiliscono tra gli associati, e perché tali rapporti potrebbero essere occasione di lasciarsi coinvolgere in traffici usurai (L. Ut sit, D. pro socio, XVII, 2, affectio societatis). La Chiesa tollera che un ebreo presti il suo denaro a interesse (Marq. de Suzan., de Judaeis, p. I, c. 4, n. 13, fol. 39, vol. 34), anche ad un cristiano, ma gli proibisce di esigere un tasso esagerato che in qualche modo consumerebbe la ricchezza dei suoi debitori (Cap. Quanto, 18, X, de Usur. V. 19).
2002. ‒ 11. Per proteggere i cristiani dalle frodi cui gli ebrei si abbandonano così facilmente nei loro commerci, la Chiesa ha stabilito in anticipo la natura delle transazioni commerciali che erano loro permesse (Const. Cum minis, § 9). Essa proibisce loro non solo di percepire un interesse più alto del tasso legale, ma li obbliga a stipularlo nella lingua dei mutuatari. In caso di contestazione il giuramento dell’ebreo è nullo dinanzi all’affermazione del cristiano, poiché il giuramento ebraico, non godendo di alcuna fiducia, non è ammesso contro un cristiano, anche nella causa di un terzo (Can. Non potest, 24).
2003. ‒ 12. Nel concilio di Vienne, Clemente V si pronunciò contro il privilegio abusivo, di cui gli ebrei godevano in certi paesi, di non poter essere convinti dalla testimonianza di un cristiano. Per decisione di questo Papa gli ebrei furono esclusi dal diritto di testimonianza nei processi (I. Quoniam, 21. Cod. de Haereticis 1,8), ma anche dal diritto di intentare un’azione giudiziaria (Can. Definimus I, c. 4, q. 1). Un’ultima esclusione riguarda gli ebrei. La Chiesa rifiuta loro l’onore di figurare, come eredi o legatari, nel testamento di un cristiano (Cap. Si quis Episcopus, 4). Vi è una sola eccezione a questa proibizione, ed è quella in cui il testatore ha un debito personale verso l’ebreo (Berardi, p. 52). Questa disposizione giuridica che in apparenza sembra severa aveva per scopo di ostacolare gli eccessi della cupidigia degli ebrei, di impedire che i beni dei cristiani passassero nelle loro mani e fossero sottratti alla loro vera destinazione, che è di alimentare le fonti della carità cristiana.
2004. II. La Chiesa non si è limitata a regolare i rapporti dei cristiani con gli ebrei e di imporre a costoro le diverse prescrizioni che abbiamo ricordato; in più circostanze la Chiesa ha proceduto contro di loro, sebbene essi non le appartenessero in virtù del battesimo. La ragione è che la posizione degli Israeliti verso la Chiesa differisce, sotto vari riguardi, da quella degli altri infedeli. Il popolo ebraico ha ricevuto la legge, di cui il Vangelo è il compimento. Quando dunque gli ebrei violano questa legge divina; quando, malgrado le profezie che detengono nelle loro mani e che Gesù Cristo ha compiuto nella sua persona, essi si rifiutano di riconoscerlo come il Messia promesso e venuto; quando designano Gesù Cristo come un uomo ordinario, la Chiesa che, per diritto divino, succede alla sinagoga, ha il diritto di punirli, come quando, e soprattutto, diffondono false dottrine circa la loro propria legge e scritti empi che travestono la storia di Gesù Cristo, della Santa Vergine e dei principali personaggi evangelici di racconti odiosi e burleschi, come le leggende rabbiniche contenute nei libri del Talmud (Pignatelli, T.V., Consult., 14, p. 57).
C’è da stupirsi che questi racconti odiosi abbiano suscitato l’orrore del mondo cristiano quando, nel XIII secolo, si scoprì la dottrina segreta degli ebrei? [L’autore allude al processo di Parigi del 1240]. La cristianità, la quale rappresentava allora tutto il mondo civilizzato, non poteva accettare l’oltraggio immeritato fatto alla sua fede e al suo culto da un popolo cosmopolita che rispondeva alla tolleranza che essa gli accordava con una ostilità segreta e ostinata. Si capisce dunque perché il Talmud sia stato bruciato pubblicamente (Jun. IV, Const. Impia Judaeorum. Ann. 1244).
Malgrado tutti i tentativi fatti in diverse epoche per purgare questo libro dei suoi passi più scandalosi, Giulio II si vide costretto a condannarlo di nuovo (1554). Più tardi, papa Clemente VIII, con la sua Costituzione Cum Hebraeorum, proibì assolutamente il Talmud ai cristiani e agli ebrei.
2005. ‒ Queste misure di prevenzione e di repressione sono basate sul diritto nativo che ogni società ha di difendere la propria fede, la propria costituzione politica e sociale, i propri interessi religiosi ed economici contro ogni partito o sètta che minaccia di comprometterli.
Nel medio evo gli interessi religiosi e gli interessi economici della cristianità erano gravemente colpiti dal proselitismo e dalle pratiche usuraie degli ebrei. La Chiesa, cui i popoli dell’Europa avevano affidato la salvaguardia della loro fede e della loro costituzione sociale, era nel pieno diritto di far opera di sana previdenza dal duplice punto di vista degli interessi religiosi ed economici della cristianità.
Pur rispettando negli ebrei la dignità della natura umana, persino accordando il diritto di risiedere nei propri Stati, essa rifiutava loro il diritto di cittadinanza; essa voleva che il territorio cristiano e il suo governo restassero ai cristiani, e non divenissero terra di conquista dei nemici della loro fede e delle loro tradizioni.
2006. ‒ I governi moderni, oggi emancipati dall’autorità della Chiesa, hanno creduto di fare meglio di lei, accordando agli ebrei il diritto di cittadinanza, con tutti i privilegi che ciò comporta. Essi hanno creduto che un certificato di naturalizzazione concesso al popolo d’Israele avrebbe la virtù di assimilarlo alla razza ariana, ai suoi costumi e alle tradizioni cristiane che hanno impregnato la civiltà europea. Ahimè! I fatti contemporanei dimostrano ai più ciechi che la razza semitica era irriducibile e assolutamente refrattaria ad ogni assimilazione col genio e i costumi dei popoli dell’Europa.
2007. ‒ Investiti così del diritto di cittadinanza, gli ebrei si sono affrettati ad approfittarne, a loro beneficio e a detrimento dei cristiani. Legati tra di loro da una stretta solidarietà, essi hanno intrapreso l’assedio di tutte le vie della fortuna pubblica, e vi si sono acquartierati. Quasi dappertutto li si vede sfruttare con un aggiotaggio senza scrupolo la fortuna dei privati e la fortuna nazionale. Ovunque possono godere della protezione dei pubblici poteri, si mostrano i nemici più perfidamente accaniti della civiltà cristiana.
La crisi rivoluzionaria che da un secolo attraversa l’Europa, e la Francia in particolare, ha come fattori e agenti principali degli ebrei, in combutta coi peggiori nemici del cristianesimo, i frammassoni.
Nel suo libro molto ben documentato Les Précurseurs de la Franc-Maçonnerie, il dotto e compianto Claudio Jannet ha provato inequivocabilmente che al di sopra della frammassoneria c’è l’ebreo, che ne è l’agente più attivo, più potente e più perfidamente abile.
È lui che ispira la sètta, è lui che la dirige; è lui che per mezzo di essa da un secolo rivoluziona il mondo. Questo senza-patria sembra aver giurato di vendicarsi della maledizione divina che pesa su di lui, cercando di annientare nel mondo la terra patria dei cristiani e di perpetuare, attraverso i secoli, nella persona dei suoi discepoli, il deicidio del Divino Redentore crocifisso dai loro padri.
Sono due ebrei, Stephen Morin e Franken, che hanno fondato in America il rito scozzese antico e accettato. Nei 33 gradi che compongono questo rito ve ne sono almeno undici a marchio israelitico, e sono precisamente quelli dove si formula espressamente la sostituzione dei diritti dell’uomo al diritto superiore della rivelazione. Gli interpreti di questi gradi, nel XVIII secolo e nella prima metà di questo, hanno travestito la storia di Gesù Cristo e dei principali personaggi evangelici di racconti burleschi tratti dalle leggende rabbiniche contenute nel Talmud, e che provocarono l’indignazione e l’orrore del mondo cristiano quando, come già detto, si scoprì la dottrina segreta degli ebrei.
2008. ‒ Alla fine del XVIII secolo Lessing, che fu in Germania il grande propagatore della Frammassoneria, tendeva la mano agli ebrei. È in un salotto ebraico di Berlino, quello di Mendelsohn, che Mirabeau si legava agli Illuminati; e al suo ritorno in Francia egli si faceva avvocato dell’emancipazione ebraica nel suo libro Sur la réforme politique des Juifs.
Nel 1790 la municipalità di Parigi, composta quasi esclusivamente di frammassoni, prendeva la decisione di far ottenere agli ebrei l’uguaglianza dei diritti civili e politici, indicando come ragione a sostegno di ciò la parte che essi avevano avuto nella rivoluzione che faceva la guerra al cristianesimo.
2009. ‒ Oggi possiamo renderci conto della vastità del male causato alle nazioni dell’Europa dall’intervento degli ebrei negli affari pubblici. La loro emancipazione e la loro posizione privilegiata nell’amministrazione politica e finanziaria del paese costituiscono un pericolo temibile. Le recenti leggi contro la libertà della Chiesa (leggi sulla scuola, laicizzazione delle scuole, servizio militare imposto al clero, leggi fiscali che minacciano la fortuna e compromettono l’avvenire delle congregazioni religiose) sono altrettante misure di persecuzione ispirate dalle logge e reclamate dagli organi della stampa ebraica.
D’altra parte, gli scandali finanziari, divenuti così frequenti al giorno d’oggi che sembrano non stupire più l’opinione pubblica, i ricatti spudorati, le speculazioni disoneste, che hanno per scopo di sfruttare la credulità del popolo e di rovinarlo, i crimini di spionaggio e di tradimento ‒ non hanno come principali agenti degli ebrei?
È temerario prevedere che la loro posizione privilegiata nella ripartizione delle cariche pubbliche avrà come risultato inevitabile di renderli padroni tra non molto delle finanze del paese e, di conseguenza, di esercitare un’influenza preponderante sulla sua amministrazione, a loro profitto e a nostro detrimento?
Gli ebrei non rappresentano in Francia che un’infima minoranza della popolazione, un trentesimo appena. Ora, non è incostituzionale che in un paese a suffragio universale, dove la maggioranza dei cittadini costituisce legalmente il potere sovrano, un’infima minoranza di questa popolazione, estranea alla nostra razza, ai nostri costumi, al nostro genio e alle nostre tradizioni nazionali, per di più nemica irriducibile del principio cristiano che ha compenetrato il nostro carattere cavalleresco fatto di fede e di onore, goda di una posizione privilegiata, che le permette di occupare tutte le vie del potere, di farsi padrona della fortuna pubblica coi suoi accaparramenti, i suoi abituali metodi di aggiotaggio, e soprattutto con quella formidabile potenza dell’oro che le permette di determinare a suo esclusivo beneficio e profitto le fluttuazioni dei prezzi del nostro mercato nazionale?
Non è contrario al principio di uguaglianza e di giustizia distributiva, al quale ogni governo preoccupato del suo onore deve ispirarsi, che la religione di questa infima minoranza di ebrei che abitano la Francia goda d’una piena e completa libertà e sia affrancata, nell’esercizio del culto, da ogni ostacolo, mentre la religione della maggioranza dei francesi, cui l’Europa deve la sua civiltà, è sottoposta dal potere politico ad ostacoli che limitano fortemente il normale e legittimo esercizio del proprio culto e della propria giurisdizione, non lasciandole altro privilegio che il merito della persecuzione?
Inoltre, è proprio di una politica saggia e previdente, di un patriottismo intelligente e che abbia a cuore gli interessi della cosa pubblica che, in un paese come il nostro, minacciato da nemici esterni e interni, gli interessi finanziari, la fortuna pubblica e, nel caso eventuale di una crisi politica o sociale, l’avvenire stesso del paese, possano essere abbandonati alla mercé di un’infima minoranza di cittadini, di origine straniera e nuova, per lo più venuti nella famiglia francese senza altro legame col paese, senza altra garanzia di dedizione alla cosa pubblica che la finzione giuridica di un certificato di naturalizzazione?
Ed infine, è proprio di una politica saggia, previdente e patriottica che, in simili condizioni, gli ebrei, che risiedono in Francia e che non sono francesi, vi occupino nondimeno una posizione privilegiata, e persino preponderante, la quale permette loro di essere iniziati ai segreti di Stato e ai segreti della difesa del paese; che un terzo della Francia sia amministrato da prefetti e sottoprefetti ebrei; che la giustizia sia assicurata da magistrati ebrei e che nei ministeri, nell’esercito e in tutte le amministrazioni, dei correligionari del traditore Dreyfus occupino posizioni di alto livello?
Questa intrusione della razza israelitica nell’amministrazione del paese ha preso ai nostri giorni proporzioni tali che a ragione si è potuto dire che essa costituisce un pericolo sociale, una sorta di nuova invasione di barbari all’interno della Francia, tanto più temibile, in quanto sembra tollerata da quelli stessi che hanno la missione e il dovere di respingerla.
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