UNA PAGINA DIMENTICATA
Di Vincenzo Vinciguerra
Il 22 novembre 1973, sul cielo di Porto Marghera, esplode l’Argo 16, un aereo in dotazione al Servizio informazioni difesa (Sid), nel quale perdono la vita il tenente colonnello Anano Borreo, il tenente colonnello Mario Grandi, il maresciallo Luigi Bernardini e il maresciallo Aldo Schiavone.
Il Sid utilizzava l’Argo 16 per operazioni clandestine come il trasporto di “gladiatori” nei campi di addestramento in Sardegna, e quello di arabi (non solo palestinesi) arrestati in Italia per aver tentato di colpire obbiettivi israeliani sul nostro territorio e restituiti alle organizzazioni di appartenenza dopo il loro trasferimento in Libia per mezzo del servizio segreto militare.
Il benevolo trattamento riservato agli arabi era frutto del così chiamato “Lodo Moro”, dal nome dell’esponente democristiano, Aldo Moro, che lo aveva formulato.
Il “Lodo Moro” garantiva identico trattamento agli israeliani, ai quali assicurava la più totale impunità per gli attentati e gli omicidi compiuti in Italia.
La neutralità italiana aveva trasformato il Paese in un campo di battaglia fra i protagonisti del conflitto mediorientale, ai quali concedeva totale libertà d’azione. Ma agli israeliani tanto non bastava.
Il 5 settembre 1973, su indicazione del Mossad, sono arrestati, nei pressi dell’aeroporto di Fiumicino, i palestinesi Ali Al Tayeb Al Fargani, Ahmed Ghassan Al Hadithi, Amin Al Hindi, Gabriel Khouri, Mohammed Nabil Mahmoud Azmi Kanj, armati con missili terra-aria Strela 7, con l’obbiettivo di abbattere un aereo civile israeliano.
Gli israeliani ne chiedono la consegna. Gli italiani rifiutano. Il 4 febbraio 1973, vengono scarcerati i due arabi arrestati a Roma il 16 agosto 1972 mentre tentavano di introdurre, tramite un’ignara turista, un giradischi esplosivo all’interno di un aereo civile israeliano in partenza dall’aeroporto di Fiumicino.
I due arabi vengono accompagnati in Abruzzo dal capitano dei carabinieri Antonio Varisco e, due giorni più tardi, scompaiono.
Il 6 aprile 1973, all’aeroporto di Fiumicino vengono fermati due uomini, con passaporto iraniano, trovati in possesso di pistole e bombe a mano.
Il giorno successivo, 7 aprile, una nota del Sid segnala che il rappresentante del servizio segreto israeliano in Italia, Asa Leven, ha espresso la sua preoccupazione per la “longanimità” con la quale vengono trattati i “terroristi” palestinesi.
È il primo avvertimento.
Lo stato di sudditanza dell’Italia nei confronti degli Stati Uniti e l’aiuto sempre prestato allo Stato d’Israele – compresa l’assistenza militare data durante il conflitto del mese di ottobre – inducono i servizi segreti italiani ad escludere la possibilità di rappresaglie israeliane per la “benevolenza” nei confronti dei militanti palestinesi, ma sbagliano.
Gli alleati americani e gli “amici” israeliani non hanno scrupoli nel perseguire i loro obbiettivi: in questo caso, quello di dissuadere l’Italia dal continuare a perseguire una politica favorevole agli arabi e, nel caso specifico, dal garantire impunità a quanto colpiscono – o tentano di farlo – obbiettivi israeliani nel nostro Paese.
Il secondo avvertimento, questa volta sanguinoso, giunge il 22 novembre 1973, con il sabotaggio dell’Argo 16 sul cielo di Marghera.
Il 17 dicembre 1973, un commando composto da cinque palestinesi giunge all’aeroporto di Fiumicino, dove lancia bombe incendiarie contro un aereo della Pan Am uccidendo 28 passeggeri e una hostess, e ferendone altri 16. Il commando uccide l’agente della Guardia di Finanza, Antonio Zara, e prende in ostaggio Domenico Ippoliti, che ucciderà successivamente ad Atene – dove i componenti del gruppo erano giunti con un aereo della Lufthansa con il quale erano fuggiti da Fiumicino – per arrivare infine nel Kuwait.
Dopo aver spacciato il sabotaggio dell’Argo 16 come incidente, la strage di Fiumicino viene attribuita con assoluta certezza, al gruppo palestinese “Settembre nero”.
Ne è certo il ministro degli Interni, Paolo Emilio Taviani, che, dopo averlo detto nel suo intervento alla Camera dei deputati il 18 dicembre, due giorni più tardi, il 20 dicembre, lo scrive nel suo diario specificando che “Settembre nero ha compiuto la strage per impedire che si stabiliscano buoni rapporti fra l’Italia e Arafat”.
È questa, affermata da Taviani, una “verità” di cui nessuno dubita e che permette ai parlamentari del Movimento sociale italiano, smaccatamente filo-israeliano, Clemente Manco, Giulio Caradonna e Ernesto De Marzio, di attaccare l’indulgenza con la quale vengono trattati in Italia i militanti palestinesi.
“I ribaldi – afferma De Marzio riferendosi ai palestinesi – sanno che in Italia possono beneficiare di leggi indulgenti, quelle stesse leggi che, interpretate con liberale larghezza, hanno consentito la scarcerazione di due componenti del commando arabo che si proponeva di abbattere un aereo israeliano”.
I frequenti casi di scarcerazione, anche per reati gravissimi, di arabi arrestati in Italia per decisione di una magistratura chiaramente dipendente dalle sollecitazioni governative, spiegano la rappresaglia israeliana del 22 novembre 1973, con il sabotaggio dell’Argo 16, non la strage di Fiumicino.
L’opinione del ministro degli Interni, Paolo Emilio Taviani, su un’azione condotta da “Settembre nero” per danneggiare i rapporti intercorrenti fra l’Italia e Yasser Arafat non ha riscontro nella realtà, perché la protezione italiana era estesa a tutti i gruppi arabi operanti in Medio Oriente contro Israele, e non solo a quello di Al Fatah guidato da Arafat.
Esclusa la possibilità di una operazione politicamente suicida da parte di “Settembre nero”, le motivazioni della strage di Fiumicino del 17 dicembre 1973 vanno cercate altrove.
Una raggelante verità, alternativa a quella ufficiale, venne offerta al giudice istruttore di Venezia, Carlo Mastelloni, il 23 ottobre 1997, dall’ex sottosegretario alla Difesa, il democristiano Pietro Buffone.
Dopo aver affermato, per quanto a sua conoscenza, che il sabotaggio dell’aereo Argo 16 era stato compiuto dagli israeliani con la complicità degli americani, Buffone chiama in causa il generale Vito Miceli, all’epoca direttore del Sid, che avrebbe organizzato, a Fiumicino, il 17 dicembre 1973, un’azione dimostrativa finalizzata alla distruzione di un aereo civile americano privo di passeggeri come risposta all’abbattimento dell’Argo 16 e alla [conseguente] morte di quattro militari italiani.
Pietro Buffone, fonte autorevole per l’incarico che ricopriva, inserisce nella sua versione dei fatti un particolare degno di riflessione specificando, infatti, che l’aereo della Pan Am, bersaglio del commando palestinese, doveva essere vuoto ma, per una tragica fatalità, l’aereo che avrebbe dovuto condurre i passeggeri a Beirut era in ritardo di tre ore e, a quel punto, la compagnia aveva fatto salire a bordo i passeggeri in attesa.
Il fatto è vero e la domanda sorge spontanea: può un commando palestinese giungere dalla Spagna a Roma-Fiumicino per distruggere un aereo americano vuoto?
Perché vuoto doveva essere l’aereo della Pan Am quando i palestinesi lo hanno attaccato con bombe incendiarie. Se la compagnia non avesse fatto salire i passeggeri per ovviare al ritardo dell’aereo che doveva prenderli a bordo, la strage non ci sarebbe stata.
L’operazione era stata concordata con il Sid e predisposta dal suo direttore, Vito Miceli, come affermato da Pietro Buffone?
In caso positivo, nulla è andato come stabilito, a cominciare dall’omicidio immotivato da parte dei palestinesi dell’agente della Guardia di Finanza, Antonio Zara.
Non possiamo affermare – e non lo affermiamo – che questa sia la verità sulla strage di Fiumicino del 17 dicembre 1973, ma gli elementi nuovi offerti dall’ex sottosegretario alla Difesa, Pietro Buffone, meriterebbero un serio approfondimento perché la sua non è una ricostruzione carente di indizi e di logica.
In uno Stato subalterno alla potenza egemone e al suo alleato israeliano era inutile attendersi uno scatto d’orgoglio da parte dei dirigenti politici come l’apertura di una inchiesta giudiziaria seria, una protesta ufficiale nei confronti dei governi americano ed israeliano, l’adozione delle misure necessarie per difendere la vita dei cittadini dagli attacchi di Paesi stranieri.
Dinanzi alla certezza che tutto sarebbe stato coperto e negato, come difatti è puntualmente avvenuto, gli impotenti spioni italiani possono aver progettato una reazione che avrebbe suonato come avvertimento ai padroni americani ed agli “amici” israeliani.
Un’operazione indolore, senza vittime, come la distruzione di un aereo civile dell’americana Pan Am a Fiumicino che, però, non ha valutato a sufficienza l’affidabilità dei palestinesi reclutati per la bisogna e la possibilità di imprevisti come il ritardo di un aereo che induce la compagnia a far salire i passeggeri su un aereo vuoto.
Potrebbe essere andata così? Gli indizi per sospettarlo ci sono, non le prove a meno che non si riaprano le indagini prendendo, finalmente, in considerazione la testimonianza di Pietro Buffone.
Sappiamo che non accadrà, anche perché il responsabile dell’operazione, il generale Vito Miceli, dopo essere stato costretto a rassegnare le dimissioni dalle Forze armate, è stato eletto senatore nelle fila del Msi-Dn, i cui eredi sono oggi al governo.
Nel Paese delle verità negate, il dubbio comunque rimane ed abbiamo il dovere di esternarlo per affermare che anche sul sabotaggio dell’Argo 16 e la successiva strage di Fiumicino la verità ufficiale, come tante volte è accaduto, non è forse la verità ma una menzogna come tante, di un regime che sulle menzogne basa la sua sopravvivenza.
Opera, 2 giugno 2025
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