Gian Pio Mattogno: Un cripto-sionista puritano nell’Inghilterra del XVII secolo

Gian Pio Mattogno 

UN CRIPTO-SIONISTA PURITANO NELL’INGHILTERRA DEL XVII SECOLO

Nel 1650 apparve a Londra un’opera dal titolo: Pisgah Sight of Palestine and the Confines thereof; With the History of the Old and New Testament Acted Thereon, del teologo e storico Thomas Fuller (1608-1661).

Nel libro V, Cap. II, Sect. III: Of the Jews’ Repossessing Their Native Country (cito dall’edizione: London, 1869, pp. 628-629) Fuller scrive:

«L’intenzione degli ebrei di oggi è di ritornare un giorno, sotto la guida del loro Messia, nel paese di Canaan e nella città di Gerusalemme, e di riaverne il pieno possesso (…) In questa speranza sono sostenuti da alcuni pastori protestanti, i quali pensano che gli ebrei fonderanno un giorno un commonwealth fiorente, fastoso e magnifico, e che, oltre ad altre azioni grandiose, combatteranno e conquisteranno Gog e Magog [la Turchia].

«Uno scrittore [in nota si specifica che si tratta di “Mr. Finch”] ha ampliato nelle sue pubblicazioni la futura estensione dello Stato ebraico a tal punto che, per questo, lo si è dovuto imprigionare, in quanto le sue parole, pronunciate senza discrezione o concepite in modo poco caritatevole, significano implicitamente che tutti i principi cristiani avrebbero finito per rimettere il loro potere nelle mani del supremo impero temporale della nazione ebraica».

A riprova di questa interpretazione, Fuller riportava passi biblici di Re, Deuteronomio, Isaia e Levitico.

“Mr. Finch” era Henry Finch (1558-1625) e l’opera incriminata aveva per titolo: The World’s Great Restauration, or Calling of the Jews, and (with them) of all the Nations and Kingdoms of the Earth, to the Faith of Christ, London, 1621.

Il passaggio in questione recitava così:

«Then shall be established that most glorious kingdom of Jerusalem, under which all the tribes shall be united. So ample shall be their dominion that not only the Egyptians, Assyrians, and the most extensive countries of the East, converted by their example, but even the rest, the Christians, shall of their own accord submit themselves and acknowledge their primacy».

Allora sarà ristabilito il gloriosissimo regno di Gerusalemme, sotto il quale tutte le tribù saranno riunificate. Il loro dominio sarà così grande che non solo gli Egizi, gli Assiri e le sconfinate terre dell’Oriente, convertite dal loro esempio, ma anche tutti gli altri, i cristiani, si sottometteranno volontariamente e riconosceranno la loro supremazia»)

(F. Kobler, Sir Henry Finch (1558-1625) and the first english Advocates of the Restoration of the Jews to Palestine, «Transactions (Jewish Historical Society of England)» 16 (1945-1951), p. 115; L. Ifrah, Sion, source d’éspérance et clef de la rédemption en Angleterre au XVIIe siècle, «Pardès», n. 45, 2009, pp. 60-62).

Finch era esperto uomo di legge, ma anche eccellente teologo.

La sua personalità rifletteva esattamente il tipo del puritano che, sebbene ultra-cristiano quanto alla propria fede, trovava nella Scrittura dell’Antico piuttosto che del Nuovo Testamento i princìpi basilari del proprio pensiero e della propria condotta.

Non sorprende che, in un’epoca assolutistica come quella in cui visse, l’opera abbia provocato violente opposizioni nella Chiesa, nel mondo universitario e in Giacomo I, di cui era noto l’atteggiamento ostile verso il puritanesimo.

Per giunta, l’apparizione del libro di Finch coincise con la persecuzione dei settari i quali, come John Traske e i suoi seguaci, auspicavano una stretta osservanza del Sabato ebraico e vennero sbattuti in galera con l’accusa di giudaizzare.

Quando il re lesse il libro si infuriò e si ritenne offeso dall’affermazione di Finch secondo cui nell’èra messianica tutte le nazioni, e dunque anche quelle cristiane, si sarebbero sottomesse all’impero di Israele. L’autore e il suo editore furono imprigionati.

Finch, che pure dovette riconoscere la sovranità di re Giacomo piuttosto che quella di un futuro re giudeo, perse reputazione, beni e salute, e di lì a poco morì (L. Wolf, Notes on the Diplomatic History of the Jewish Question. With Texts of Protocols, Treaty Stipulation and Other Public Acts and Official Documents, London, 1919, pp. 100-101; T. Ice, Sir Henry Finch: Early Chritian Zionist, pre-trib.org).

R.M. Curtis, Christian Philosemitism in England from Cromwell to the Jew Bill, 1656-1753. A Study in Jewish and Christian Identity, [Dissertation], University of Bristol, November 2018, p. 90, inquadra il filosemitismo britannico nel contesto delle correnti cristiane che si delinearono a partire dall’epoca dei puritani ed inserisce Henry Finch in un elenco di filosemiti inglesi dal 1550 al 1800.

Ma la vera importanza dello scritto di Finch  ‒ al di là dell’interesse scientifico per lo studio delle origini del sionismo cristiano, su cui esiste un’ampia letteratura (cfr. J. Nederveen-Pieterse, The History of a Metaphor: Christian Zionism and the Politics of Apocalypse, «Archives des sciences sociales des religions», n. 75, 1991, pp. 75-103; W. Watson, A History of Christian Zionism: Philo-Semitism and the Expectation of Israel’s Restoration, pre-trib.org) ‒ non risiede tanto nel fatto se sia stata più o meno opportuna un’esternazione che poteva ferire i sentimenti di un re cristiano, quanto piuttosto nella sua corretta interpretazione imperialistica del messianismo giudaico, che corrisponde perfettamente a quella tradizionale del giudaismo rabbinico-talmudico.

Ciò significa che nell’Inghilterra del 1600, come in tutti i paesi della diaspora, i sogni messianici di dominio mondiale di Israele erano ancora ben vivi, e tali sono rimasti lungo il corso della storia, fino ai giorni nostri.

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