Gian Pio Mattogno: Strategie dell’apologetica giudaica talmudista

Gian Pio Mattogno

STRATEGIE DELL’APOLOGETICA GIUDAICA TALMUDISTA.

UNA MISTIFICAZIONE ESEMPLARE DEL GRAN RABBINO SOLOMON KLEIN

 

A più riprese nelle mie ricerche ho documentato e denunciato le strategie mistificatrici, menzognere e truffaldine dell’apologetica giudaica talmudista, a partire da R. Yehiel in occasione del processo di Parigi del 1240 (La disputa di Parigi del 1240. Il Talmud e i cristiani, Effepi, Genova, 2015) fino ai giorni nostri, passando per quell’altro mentitore che è il filosofo Hermann Cohen (Il filosofo talmudista. Note critiche sulla perizia di Hermann Cohen nel processo di Marpurgo del 1888, ivi, 2020. Per ciò che segue cfr. Sorgente di morte. L’omicidio del non-ebreo nel Talmud e nella tradizione rabbinica, ivi, 2019).

Chi in futuro volesse occuparsi criticamente della storia dell’apologetica talmudista e delle sue miserie non avrebbe che l’imbarazzo della scelta.

Fra il materiale a disposizione non dovrebbe assolutamente mancare uno scritto apologetico come quello del Gran Rabbino Solomon Klein (1814-1867) (Klein, Solomon, «The Jewish Encyclopedia», vol. 7, p. 522):

Le Judaïsme ou la vérité sur le Talmud par S. Klein, Gran-Rabbin de la Circonscription de Colmar, Mulhouse, 1859.

L’anno successivo apparve una versione tedesca dell’opera:

Das Judenthum oder die Wahrheit über den Talmud …, Basel, 1860.

Come scrive nell’Introduzione, il rabbino Klein si propone di replicare al «fanatismo religioso e incredulo» ed ai «giudizi ingiusti e appassionati portati contro il Talmud» (p. 4).

Il rabbino Klein ci assicura che «la morale insegnata dal Talmud è una morale eccellente e nient’affatto antisociale» (p. 64).

Fra gli esempi di morale talmudica “eccellente” egli ricorda quanto riportato nel trattato talmudico Aboda Zara, dove è scritto che «anche l’idolatra che si occupa della Legge è simile al Sommo Sacerdote» (p. 63).

Questo passo talmudico viene spesso invocato dagli apologeti per dimostrare l’eccellenza della morale ebraica, aperta anche ai non-ebrei a tal punto da equipararli addirittura al Sommo Sacerdote (kohen gadol), nell’antica religione ebraica il capo della classe sacerdotale.

In realtà, l’esegesi del rabbino Klein è un classico esempio di quella strategia esegetica menzognera, mistificatrice e truffaldina che da sempre caratterizza l’apologetica talmudista.

L’insegnamento talmudico riportato dal rabbino Klein si colloca nel contesto dei precetti relativi al divieto di “idolatria” (cioè il culto sotto qualunque forma di qualunque divinità al di fuori del Dio giudaico Jahvè), che compaiono fin nei primissimi folii del trattato Aboda Zara (lett. culto straniero), e che costituisce il primo e fondamentale comandamento della Torah.

Al fine di evitare l’interazione con i goyim (non-ebrei, gentili) idolatri, coi quali gli ebrei vivevano a stretto contatto, soprattutto nella diaspora, il Talmud proibisce di intrattenere rapporti commerciali con essi nei tre giorni precedenti le loro festività (Aboda Zara 2a).

Nello stesso folio R. Hanina bar Papa insegna che alla fine dei tempi Dio darà una ricompensa a tutti coloro i quali si saranno impegnati nello studio e nell’apprendimento della Torah.

A tale riguardo poco più in là viene riportato l’insegnamento di R. Meir relativo all’idolatra e al Sommo Sacerdote.

Il passaggio talmudico in questione, che il rabbino Klein indica con un generico «Aboda Zara page 3, col.», suona precisamente così:

«È stato insegnato: R. Meir era solito dire: Da dove sappiamo che un gentile che studia la Torah è simile ad un Sommo Sacerdote? Dal seguente versetto: “Osserverete dunque i miei statuti e le mie prescrizioni, e se un uomo (ha-adam) li osserva, vivrà per essi” (Lev. 18,5). Non dice: Se un Sacerdote, un Levita o un Israelita li osserva vivrà per essi, ma un “uomo” (ha-adam). Da ciò potete apprendere che persino un gentile che studia la Torah è simile ad un Sommo Sacerdote. Questo dimostra che i gentili vengono ricompensati per avere adempiuto alle mitzvoth (comandamenti), nonostante non sia loro ordinato di farlo» (Aboda Zara 3a).

Ma il vero senso della citazione non è affatto quello attribuitole dal rabbino Klein e dagli apologeti giudei talmudisti, come appare chiaramente da tutto il contesto.

Il vero senso si comprende da ciò che precede, che il rabbino Klein omette, e da altri passi, sia del Talmud che di Maimonide, che il rabbino Klein si guarda bene parimenti dal riportare.

Poco prima (A.Z. 2b) viene riportato un insegnamento secondo cui Dio vide le sette mitzvoth (comandamenti) che i discendenti di Noè accettarono su di sé, e vide che però non le osservarono, e per tale ragione egli annullò ai noachidi il comandamento di osservare queste mitzvoth.

Il Talmud si chiede se i noachidi non traggano vantaggio dal non obbedire, dal momento che sono stati liberati dall’obbligo di osservare questi comandamenti. Se così fosse, infatti, un peccatore trarrebbe profitto dalla sua trasgressione.

Si riporta quindi l’insegnamento di Mar figlio di Ravina, il quale ha detto: Allora ciò significa che, anche se osservano i sette comandamenti noachidi, i gentili non ricevono alcuna ricompensa per il loro adempimento.

Ed è a questo punto che viene riportato l’insegnamento di R. Meir che equipara il non-ebreo che studia la Torah ad un Sommo Sacerdote.

In altre parole: per R. Meir questo non-ebreo viene ricompensato non perché fa una cosa che gli è stata comandata di fare, ma perché fa una cosa che non gli è stata comandata di fare, cioè per aver osservato le mitzvoth nonostante non gli sia stato ordinato di farlo.

È evidente dunque che il non-ebreo in questione assimilato al Sommo Sacerdote non è, come vuol dare ad intendere il rabbino Klein, un qualunque goy idolatra, ma bensì un noachide.

     Al non-ebreo idolatra è assolutamente proibito studiare la Torah.

     Ciò riceve un’ulteriore conferma da altri passi talmudici, dove non solo il non-ebreo che studia la Torah non riceve alcuna ricompensa, né tantomeno viene equiparato al Sommo Sacerdote, ma al contrario lo si dichiara passibile della pena capitale.

In Pesahim 49b leggiamo che al non-ebreo che studia la Torah dev’essere comminata la pena capitale, poiché la Torah è patrimonio e retaggio esclusivo (morashah) e al tempo stesso, con un gioco di parole, promessa sposa (me’orashah) di Israele.

Ricollegandosi a questo insegnamento, il Talmud riporta le parole di R. Yohanan, per il quale nemmeno al noachide è permesso di studiare la Torah:

«Inoltre R. Yohanan ha detto: un gentile che studia la Torah merita la morte, come è detto: “A noi Mosè ha dato la legge in eredità” (Deut. 33,4). A noi l’ha data, non a loro. Allora perché questo precetto non figura fra i sette comandamenti noachidi? Se si legge morashah (eredità), costui è un ladro; se si legge me’orashah (fidanzata), costui è colpevole come chi viola una fanciulla fidanzata e viene lapidato» (Sanhedrin 59a).

Questo passo va letto in parallelo con un altro passo talmudico, che proibisce di insegnare la Torah ad un non-ebreo:

«R. Ami ha detto: I segreti della Torah possono essere comunicati soltanto a chi possiede queste cinque qualità: “Capo di cinquanta, notabile, consigliere, artigiano ed esperto di incantesimi” (Is., 3,3). R. Ami inoltre ha detto: È proibito comunicare gli insegnamenti della Torah ad un gentile, come è detto: “Non fece così con le altre nazioni, le leggi non le conoscevano” (Sal. 147,29)» (Hagiga 13a).

Maimonide non solo ribadisce che il non-ebreo il quale studia la Torah, osserva lo Shabbath e istituisce una nuova religione viene condannato a morte (non da un tribunale secolare, ma per mano di Dio), ma afferma altresì che lo studio della Torah è precluso anche al noachide:

«Un gentile che studia la Torah è condannato a morte. Egli dovrà dedicarsi esclusivamente allo studio dei sette comandamenti (noachidi) (…) Se un gentile studia la Torah (…) il tribunale ebraico dovrebbe batterlo, punirlo e informarlo che merita la morte. Tuttavia non dev’essere giustiziato» (Mishneh Torah, Leggi dei re 10,9).

Riepilogando:

     La regola generale è che al non-ebreo idolatra non è permesso di studiare la Torah.

  1. Meir sostiene che è permesso di studiare la Torah anche al non-ebreo noachide.

     Maimonide ribadisce invece l’altro insegnamento che neppure al noachide è permesso di studiare la Torah.

«Il divieto di insegnare la Torah ai non-ebrei è ben noto agli studiosi del diritto ebraico (…) Il codice noachide è la “Torah” dei non-ebrei» (Contemporary Halakhic Problems. Vol. II. Part II. Chapter XVI. Teaching to Non Jews, sefaria.org).

In nessun caso, a dispetto dell’esegesi mistificatrice e menzognera del rabbino Klein, al non-ebreo idolatra – cioè praticamente all’intera umanità – è permesso di studiare la Torah, e meno che mai il  non-ebreo idolatra è assimilabile al Sommo Sacerdote.

     Il non-ebreo cui allude R. Meir (e che il rabbino Klein indica come fulgido esempio della presunta “eccellenza” della morale ebraica), non è dunque un qualunque non-ebreo, il non-ebreo in generale, ma unicamente il non-ebreo noachide, il non-ebreo giudaizzante e giudaizzato, cioè il non-ebreo su misura, il non-ebreo ideale, che si sottomette alla sovranità del Dio giudaico e del suo popolo.

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