Gian Pio Mattogno
MATERIALI STORICO-BIBLIOGRAFICI PER LO STUDIO DELLA QUESTIONE EBRAICA.
ALLE ORIGINI DELL’ “ACCUMULAZIONE ORIGINARIA” DEL CAPITALE EBRAICO:
GLI EBREI E LA TRATTA DEGLI SCHIAVI AFRICANI.
Secondo gli studiosi anticonformisti della questione ebraica, nella genesi, formazione e sviluppo del sistema capitalistico e plutocratico mondialista, e nelle devastazioni spirituali e sociali che negli anni esso ha provocato, gli ebrei hanno avuto una parte tutt’altro che irrilevante.
L’effetto pratico più vistoso dell’emancipazione degli ebrei fu l’irruzione nella società cristiana del capitale ebraico.
Scrive Kleo Pleyer che è un errore vedere nell’emancipazione ebraica una mera espressione di sentimenti politici e ideologici.
L’emancipazione fu la conseguenza naturale del consolidamento della potenza economica degli ebrei avvenuto nei secoli precedenti, quando essi crearono le premesse della loro emancipazione, cioè dell’emancipazione del capitale ebraico dai vincoli restrittivi che fino ad allora ne avevano ostacolato la piena espansione e il pieno dominio (K. Pleyer, Das Judentum in der kapitalistische Wirtschaft, «Forschungen zur Judenfrage», II, 1937).
Il vero senso dell’emancipazione ebraica era stato perfettamente messo a fuoco già alla fine del XIX secolo non solo dalla rivista dei gesuiti «La Civiltà Cattolica», cosa in fondo pienamente comprensibile, ma paradossalmente anche da uno scrittore ebreo come Bernard Lazare.
Dopo aver sottolineato che la rivoluzione che aveva messo a soqquadro l’intero ordinamento cristiano di quasi tutti gli Stati nel corso dell’ultimo secolo era stata fatta a beneficio dei giudei, la rivista soggiungeva:
«Acquistata la più assoluta libertà civile e la parità in tutto coi cristiani e coi nazionali, si aperse agli ebrei la diga che prima li conteneva; ed essi, qual torrente devastatore, in breve penetrarono da per tutto e scaltramente di ogni cosa s’impossessarono: l’oro, il commercio, le borse, le cariche più elevate nell’amministrazione politica, nell’esercito e nella diplomazia; l’insegnamento pubblico, la stampa, tutto cadde in mano loro, o di chi da loro dovea dipendere. Per guisa che ai dì nostri la società cristiana incontra nelle stesse leggi e costituzioni degli Stati l’impedimento maggiore, a scuotere il giogo all’audacia ebraica impostole, sotto colore di libertà» (Della questione giudaica in Europa, «La Civiltà Cattolica», vol. VIII della serie decimaquarta, Roma, 1890, p. 20).
Utilizzando quasi la stessa analogia, così si esprimeva pochi anni dopo Bernard Lazare:
«Gli ebrei emancipati penetrarono nelle nazioni come stranieri, e, come abbiamo già visto, non poteva essere altrimenti, poiché da secoli essi costituivano un popolo fra i popoli, un popolo speciale che conservava le sue peculiarità grazie a riti rigidi e precisi, e grazie anche ad una legislazione che li teneva in disparte e serviva a perpetuarli. Essi penetrarono nelle società moderne non come ospiti, ma come conquistatori. Erano simili ad una mandria chiusa in un recinto; non appena le barriere caddero, si riversarono nel campo che era stato loro dischiuso (…) Essi fecero la sola conquista per la quale erano armati, quella conquista economica che s’erano preparati a fare da così lunghi anni.
«Erano una tribù di mercanti e finanzieri, forse degradati dalla pratica del mercantilismo, ma, grazie a questa stessa pratica, in possesso di quelle qualità che diventavano preponderanti nella nuova organizzazione economica. Così fu facile per loro impadronirsi del commercio e della finanza e, lo ripetiamo ancora una volta, era impossibile che non agissero così» (B. Lazare, L’Antisémitisme. Son histoire et ses causes, Paris, 1894, pp. 222-223).
Il capitale ebraico si è formato lungo i secoli in primo luogo attraverso il commercio e l’usura, nonché attraverso l’attività degli ebrei fornitori e finanziatori di principi (Gli usurai ebrei nell’Italia medievale e rinascimentale. Antologia di studi cura di Gian Pio Mattogno, Edizioni della Lanterna, 2013; G.P. Mattogno, Filosofia classica tedesca, rivoluzione massonico-borghese e questione ebraica. Paradossi dell’antisemitismo da Kant a Hegel, Effepi, Genova, 2024), e, non da ultimo, attraverso il commercio e lo sfruttamento degli schiavi africani, soprattutto ad opera dell’Inghilterra (di altre aree geografiche e degli Stati Uniti d’America, si tratterà in altra occasione).
Anche a non voler dare interamente credito alla tesi, contestata e contestabile, di Werner Sombart, secondo cui gli ebrei avrebbero giuocato un ruolo decisivo nelle origini del capitalismo (Gli ebrei e la vita economica, Padova, I (1980); II (1989); III (1987); Il capitalismo moderno, Torino, 1967 (XVIII. Gli ebrei, pp. 286-305), è fuor di dubbio che, come osserva il padre Angelo Brucculeri, «se gli ebrei non hanno avuto una parte decisiva nella formazione del capitalismo, furono e sono tuttora i più abili a sfruttarlo senza scrupoli a loro vantaggio» (A. Brucculeri S.I., Il capitalismo, Roma, 1944, p. 18. Cfr. G.P. Mattogno, Maschera e volto del marxismo. Karl Marx e la rivoluzione ebraico-capitalistica contro la civiltà cristiana, Effepi, Genova, 2016, pp. 49-62).
Stranamente, la denuncia del ruolo degli ebrei nel commercio inglese degli schiavi africani, che fu la più importante e la più redditizia attività economica dell’epoca, è stato trascurato dalla letteratura fascista e nazional-socialista.
Solo per fare qualche esempio, né nel fascicolo speciale della «Difesa della Razza» dedicata agli «orrori dell’Inghilterra schiavista» (L’Inghilterra e la tratta degli schiavi africani, «La Difesa della Razza», n. 7, 1943), né in F. Graziani, Delitti di Albione contro le razze. La tratta dei negri d’America, ivi, n. 15, 1941, pp. 18-20), né nella fonte principale di essi (J. Sebezio, Tratta e schiavismo nella politica inglese dal 1562 al 1928, Roma, 1936), dove l’autore ricostruisce i tratti salienti del commercio inglese degli schiavi africani, fornendo dati statistici, cifre e circostanze storiche, ma non spende una sola parola sul coinvolgimento degli ebrei, si fa alcuna menzione del ruolo giuocato dal capitale ebraico.
Allo stesso modo, non troviamo alcun riferimento agli ebrei in Ernst A. Olbert, England als Sklavenhändler und Sklavenhalter, Berlin, 1940 (Trad. it.: L’Inghilterra schiavista, Berlino, 1940).
L’autore ribadisce bensì che questo commercio, già praticato da spagnoli e portoghesi, divenne ben presto monopolio dei britannici con la complicità dei loro monarchi, che ne trassero anche vantaggi personali, e, sulla base di fonti e testimonianze britanniche, si sofferma sulla bestiale crudeltà dei negrieri e sulle condizioni disumane cui gli schiavi erano ridotti, ma nulla dice circa la parte avuta dagli ebrei.
Lo stesso dicasi per Hilda von Hellmer-Wullen, Der Sklavenhandeln ‒ die historische Grundlage der Negerfrage in America (Statistische Aufzeichnungen 1492-1807, «Zeitschrift für Rassenkunde und die gesamte Forschung am Menschen», 1939, Bd. IX, Heft 2, pp. 97-103).
Oggi il coinvolgimento degli ebrei nel traffico degli schiavi africani è un dato storicamente accertato e pacificamente riconosciuto da tutti.
Il problema che ha fatto sorgere numerose controversie e polemiche riguarda l’entità di tale coinvolgimento.
La questione, già affrontata fra gli altri nel 1968 da Walther White Jr., Wo Brought the Slaves to America? (islam-radio.net) e nel 1990 da Charsee McIntyre, The Continuity of the International Slave Trade and Slave System (islam-radio.net), è venuta prepotentemente all’ordine del giorno con la pubblicazione di The Secret Relationship Between Blacks and Jews (1991), a cura di Nation of Islam di Louis Farrakhan (trad. franc.: Les relations secrètes entre les Noirs et les Juifs, vho.org dalla quarta ristampa del 1994), che è una dura requisitoria, ampiamente documentata sulla base di fonti per lo più ebraiche, contro il commercio degli schiavi africani perpetrato dagli ebrei nei secoli passati.
In un suo discorso tenuto nel 1991, il prof. Leonard Jeffries, del City College di New York, ribadì le tesi sostenute nel libro, e il prof. Tony Martin, docente di studi africani al Wellesley College, nel 1993 osò addirittura proporre ai suoi studenti estratti di The Secret Relationship come testo di studio.
Per tutta risposta, il giudaismo internazionale approntò un ampio fuoco di sbarramento, mobilitando immediatamente le sue Università, i suoi docenti e i suoi ausiliari e propagandisti allo scopo di confutare le tesi in questione.
R.M. Benjamin, The Bizzarre Classroom of Dr. Leonard Jeffries, «The Journal of Blacks in Higher Education», n. 2, Winter 1993-1994, pp. 91-96.
Behind the Headlines: Experts contest Farrakhan Claim that Jews predominated in Slave Trade, by Pamela Druckerman, JTA, February 15, 1994 (Daily News Bulletin).
W.D. Jordan, Slavery and the Jews. A Review of The Secret Relationship Between Blacks and Jews: Volume One, «The Atlantic», September 1995.
F.-X. Aymar, Les Juifs, la traite des esclaves et l’histoire des Étas Unis: Étude d’un courant anti-Semite au seine de la communauté noire américaine dans les années 1990, «Sources. Revue d’études anglophones», n. 13, 2002, pp. 62-75.
Where the False Claim that Jews Controlled the Slave Trade Comes From, myjewishlearnig.com.
N. Bernard, Un avatar du “complot juif mondial”; les Juifs et l’esclavage des Noirs, conspiracywatch.info.
Il prof. Jeffries fu espulso dal City College (poi reintegrato da un giudice federale) «per aver rilasciato dichiarazioni antisemite», come sentenziò la Corte Suprema, che aveva respinto il ricorso di Jeffrey (JTA, October 2, 1995).
Evidentemente, per gli ebrei talmudisti e i loro utili idioti Shabbath goyim, ma anche per certa magistratura che pretende di imporre la verità storica ufficiale a colpi di sentenze, il semplice denunciare il coinvolgimento degli ebrei nell’infame traffico è “antisemitismo”!
Da parte sua, il prof. Martin fu condannato da molti dei suoi colleghi, ma rimase alla facoltà fino al suo pensionamento nel 2007. Egli ha replicato a tutte le accuse nel suo libro: The Jewish Onslaught. Despatches from the Wellesley Battlefront, Dover, 1993.
Il prof. Martin scrive esplicitamente che la vera ragione degli attacchi contro di lui era di aver insegnato «that Jews were implicated in the African trade» (p. VII) sulla base del libro The Secret Relationship, il quale documenta il coinvolgimento «considerable» degli ebrei nel commercio degli schiavi africani (p. 3), e come essi abbiano giuocato un ruolo di primo piano nel commercio degli schiavi in Brasile, Curaçao, Suriname, Newport, Rhode Islan e altrove (p. 10).
Professor Tony Martin & the Jewish Onslaught: Jewish Attack on Black Academics by Tony Martin (islam-radio.net).
Tactics of Organized Jewry in Suppressing Free Speech (islam-radio.net).
Oltre a Leonard Jeffries e a Tony Martin, altri hanno preso posizione a favore della tesi del coinvolgimento degli ebrei nella tratta degli schiavi africani:
The Jews and the Slavery (Cap. VIII di: When Victims Rule, islam-radio.net).
Jews, Sugar, & Black Slavery (islam-radio.net).
Jews and Black Holocaust (islam-radio.net), che riporta una lunga lista di ebrei implicati nel traffico schiavistico.
The Ways of the Jewish Slave Traders (unz.com).
G. Valli, Problemi di traffico. Il volto nascosto della schiavitù, «Orion», n. 11, Novembre 1997, pp. 18-34.
G. Valli, Il volto nascosto della schiavitù, «L’Uomo libero», n. 64, Ottobre 2007, pp. 65-93.
Le critiche a The Secret Relationship ‒ «apparentemente un’opera accademica ricca di una breve bibliografia e di un’enorme raccolta di note a pié di pagina (…) estremamente difficili da controllare» (W.D. Jordan cit.) – sulla base delle ricerche di alcuni studiosi, tra cui Eli Faber, Jews, Slaves, and the Slave Trade. Setting the Record Streight, New-York-London, 1998 (Faber ha insegnato al John Jay College di New York), possono essere riassunte laconicamente così:
Gli ebrei non hanno avuto la preminenza, ma un ruolo marginale, nell’istituzione della schiavitù e nel commercio degli schiavi africani. Il loro coinvolgimento è stato estremamente limitato, ed anche con le eccezioni di Lindo in Giamaica e Rodrigues Rivera e Aaron Lopez nel Rhode Island, nel complesso essi hanno influito per una parte infinitesimale nel commercio degli schiavi intrapreso dai mercanti britannici (e americani).
Faber impiega un metodo puramente statistico, confrontando il numero dei negrieri ebrei con il totale dei negrieri coinvolti nel traffico, senza però tener conto del fatto che la popolazione ebraica era un’assoluta minoranza rispetto a quella non ebraica, e che pertanto il coinvolgimento degli ebrei aveva in proporzione un peso specifico maggiore.
Ma a mio avviso questo attacco “scientifico” contro The Secret Relationship non è che un falso problema, sollevato per ragioni meramente strumentali.
Difatti nel libro incriminato non si sostiene mai la tesi che gli ebrei abbiano avuto una parte preminente nel commercio generale degli schiavi africani, ad eccezione di alcuni casi, di alcune determinate aree geografiche e di alcuni periodi particolari (cosa su cui conviene lo stesso Faber).
La tesi di fondo del libro può essere compendiata con queste parole che compaiono nell’Introduzione:
«Gli ebrei furono coinvolti nel più grande crimine mai commesso contro un’intera razza umana, un crimine contro l’umanità: l’olocausto dei Neri africani».
Coinvolgimento non significa preminenza, e meno che mai monopolio.
L’autore non parla mai di predominio o preminenza, ma, citando fonti ebraiche, si limita a sostenere che, per tutto il medio evo e oltre, fra i principali negrieri figuravano anche degli ebrei, e che gli ebrei erano spesso al centro di questo commercio.
Ad es., sempre sulla scorta di una bibliografia prevalentemente ebraica, egli scrive che degli ebrei possedevano azioni della Compagnia Olandese delle Indie Orientali, ma non ne erano proprietari; che furono gli olandesi a conquistare il Brasile e gli altri territori, e che gli ebrei «presero parte» alle conquiste, si installarono nelle regioni conquistate e si interessarono subito alla tratta degli schiavi (numerosi elenchi e tabelle riportano i nomi degli ebrei implicati nel traffico degli schiavi e dei proprietari ebrei di schiavi).
Di nuovo, prendere parte e interessarsi non significa predominare o monopolizzare.
L’autore si limita inoltre a sottolineare che il ruolo degli ebrei nella grande migrazione verso Ovest è largamente sottostimato, in quanto essi «hanno partecipato al processo che ha ridotto in schiavitù e provocato la morte di milioni di Africani», il che non significa affatto che ne siano stati i principali responsabili.
Quanto alle colonie nordamericane, l’autore scrive che «gli ebrei di Newport e di New York avevano organizzato un fruttuoso traffico marittimo transatlantico», non che lo dominassero o che lo monopolizzassero, e che anche gli ebrei possedevano schiavi.
Parla di una crescente influenza degli ebrei in Pennsylvania e altrove, ma non di preminenza.
Anche nei territori del Sud c’erano famiglie ebraiche proprietarie di schiavi e negrieri ebrei proprietari di battelli che hanno preso parte alla tratta degli schiavi africani, senza per questo monopolizzarla.
In realtà, in tutta questa faccenda la realtà sembra essere un’altra.
Ciò che ha suscitato la virtuosa indignazione del giudaismo internazionale e dei suoi ausiliari non è tanto di avere The Secret Relationship presuntamente sovrastimato, per inconfessati fini antisemitici, l’entità del coinvolgimento degli ebrei nella tratta degli schiavi africani, quanto piuttosto di aver denunciato il puro e semplice coinvolgimento degli ebrei ‒ sì, proprio loro, gli ebrei, i buoni e bravi per antonomasia ‒ nell’infame traffico, e, peggio ancora, di aver osato appropriarsi del vocabolo magico “Olocausto”, di cui essi rivendicano l’assoluta esclusività.
Ora, il capitale ebraico non avrà giuocato un ruolo preminente nel traffico degli schiavi africani, ma che nel complesso la sua parte sia stata tutt’altro che irrilevante, e che in alcune aree geografiche sia stato addirittura centrale, viene riconosciuto anche da diversi scrittori ebrei.
Roger Dommergue Polacco de Ménasce, il quale viene presentato come “un ebreo in disaccordo con la giudeopatia mondialista totalitaria”, parla esplicitamente di martirio e di olocausto dei negri (Le martyre et l’holocauste des nègres par les Juifs trafiquants esclavagistes, «Gazette du Golfe et des Banlieues», 49, 1er Février 2005).
Lady (Kate) Magnus, Outlines of the Jewish History, Philadephia, 1890, p. 107, sottolineando la vocazione degli ebrei al traffico degli schiavi, scrive che nel medio evo «i principali mercanti di schiavi si trovavano fra gli ebrei. A quel tempo erano così largamente diffusi, che sembravano essere sempre e ovunque a portata di mano per comprare e sembravano ugualmente avere a disposizione denaro per pagare».
Nella voce Slave Trade dell’«Encyclopaedia Judaica» leggiamo che «gli ebrei sembrano essere stati fra i maggiori retailers nel Brasile Olandese (1630-54), poiché possedevano già denaro ed erano disposti a commerciare gli schiavi per lo zucchero», che a Curaçao l’ebreo Manuel Alvares Correa «fu attivo per molti anni nel commercio locale degli schiavi», che «fra i mercanti ebrei giamaicani che sembrano essersi specializzati vi erano David Henriques, Hyman Levy e specialmente Alexander Lindo (1753-1812), che furono i maggiori importatori di schiavi durante il periodo 1782-92», e che «nella terraferma del Nord America numerosi ebrei parteciparono attivamente all’infame commercio triangolare» (coll. 1662 sgg.).
Il rabbino Marc Lee Raphael, professore di storia in diverse università americane, sostiene parimenti che «anche gli ebrei presero una parte attiva (an active part) nel commercio coloniale olandese degli schiavi» (Jews and Judaism in the United States: A Documentary History, New York, 1982, p. 14).
A Curaçao nel XVII secolo, come pure nelle colonie britanniche delle Barbados e della Giamaica nel XVIII secolo, i mercanti ebrei giuocarono un ruolo centrale (major role) nel traffico degli schiavi. In tutte le colonie americane, francesi (Martinica), britanniche o olandesi, «jewish merchants frequently dominated» (ivi).
Nell’America del Nord, «dove per tutto il XVIII secolo gli ebrei presero parte al commercio triangolare», essi trasportavano schiavi dall’Africa alle Indie Occidentali, dove li scambiavano con melassa.
«Isaac Da Costa di Charleston negli anni 1750, David Franks di Filadelfia negli anni 1760 ed Aaron Lopez di Newport alla fine degli anni 1760 e all’inizio degli anni 1770 dominavano il commercio ebraico degli schiavi nel continente americano» (ivi).
La tratta degli schiavi era una caratteristica rilevante della vita economica degli ebrei del Suriname, che costituiva una base importante nel commercio triangolare.
Sia nel Nord America che nei Caraibi gli ebrei «played a key role in this commerce».
I registri di vendita di schiavi del 1707 rivelano che i dieci maggiori acquirenti ebrei spesero più del 25 per cento del totale dei fondi scambiati (38.605 fiorini) (p. 24). In particolare, a Curaçao, dove una comunità ebraica era sorta dopo la vittoria dei Portoghesi nel 1654, e che appena un decennio dopo possedeva già l’80 per cento delle piantagioni, gli ebrei furono i beneficiari di privilegi garantiti dalla Compagnia Olandese delle Indie Occidentali. La vita economica della comunità ebraica di Curaçao ruotava attorno alla proprietà di piantagioni di zucchero, all’importazione di beni di consumo e ad un «heavy involvement in the trade slave» (ivi).
Sulla scorta della documentazione contenuta nel database del Centre for the Study of the Legacies of British Slave-ownership, Nathan Abrams (Bangor University) sostiene che gli ebrei certamente non erano sovrarappresentati nella tratta degli schiavi, ma nondimeno quella storia «non è poi così comoda per gli ebrei inglesi».
Il database «rivela la misura in cui l’anglo-giudaismo fu coinvolto nel commercio transatlantico degli schiavi, che la schiavitù coloniale ha contribuito a plasmare il moderno anglo-giudaismo e che gli ebrei inglesi vivono ancora con questa loro eredità. A Londra, gli ebrei poterono investire nelle società che gestivano il commercio transatlantico degli schiavi dal 1660 in poi.
«In altre città portuali, come Bristol e Liverpool, i profitti e i prodotti della schiavitù toccarono tutti gli abitanti, compresi gli ebrei, che vi furono attratti per le opportunità mercantili che si offrivano loro. In effetti, l’impatto della schiavitù ha permeato l’intero stile di vita britannico. Come afferma il sito web dell’ UCL “la schiavitù coloniale ha plasmato la Gran Bretagna moderna e tutti noi viviamo ancora con la sue eredità. I proprietari di schiavi rappresentavano un mezzo molto importante col quale i frutti della schiavitù venivano trasmessi alla Gran Bretagna metropolitana”».
Riguardo al libro di Faber e alla tesi secondo cui gli ebrei avrebbero avuto un ruolo del tutto marginale nella tratta degli schiavi africani, Abrams così si esprime:
«Sembra esserci un elemento di auto-scusa in tutto questo scagionare gli ebrei dall’accusa di aver “controllato” il commercio transatlantico degli schiavi, una teoria del complotto sostenuta, tra gli altri, da Louis Farrakhan e da Nation of Islam.
«Ma il coinvolgimento degli ebrei sia nel Regno Unito che nel resto del mondo è evidente, e la più ampia comunità ebraica inglese ne ha sicuramente beneficiato» (N. Abrams, Why wee need more research how Anglo-Jewry profited from slavery, jewthink.org).
A proposito di Aaron Lopez, A. Hertzberg, Gli ebrei in America, Milano, 1993, pp. 30-31, scrive che questi era il principale armatore ebreo d’America.
Dopo che morì annegato, un giornale di Newport lo celebrò come colui che aveva rappresentato «le più amabili perfezioni e virtù cardinali che possono abbellire l’anima umana».
Fu anche un ebreo molto pio.
«Al Sabbath, Aaron Lopez teneva chiusa la sua attività e, durante le festività ebraiche, si rifiutava di veder chiunque si presentasse per affari persino a casa sua».
Peccato che quest’uomo così devoto era anche il più attivo mercante di schiavi della città, proprietario di oltre trenta navi transoceaniche e di più di cento imbarcazioni costiere.
Cfr. B.M. Bigelow, Aaron Lopez: Colonial Merchant of Newport, «The New England Quarterly» 4 (1931), pp. 756-776.
Virginia Bever Platt, “And Don’t Forget the Guinea Voyage”. The Slave Trade of Aaron Lopez of Newport, «The William and Mary Quarterly» 32 (1993), pp. 601-618, lamenta che l’attività negriera di Aaron Lopez, lui stesso proprietario di schiavi, venga sottovalutata dagli storici, e documenta, sulla scorta delle carte commerciali Lopez depositate negli archivi di varie associazioni culturali e università americane, nonché di un’ampia bibliografia scientifica, il ruolo di questo «prominent» capitalista ebreo, in combutta col suocero Jacob Rodrigues Rivera, nel traffico negriero dei suoi vascelli, che fra il 1761 e il 1775 compirono almeno 14 viaggi accertati. Si stima che le sue navi abbiano trasportato oltre 1100 schiavi dall’Africa alle Indie occidentali e alle colonie del Sud.
Se A Guide to the Microfilm Edition of Papers of the American Slave Trade. Part 2: Aaron Lopez Collection, 2004, si affatica a sottolineare che negli anni 1760 Aaron Lopez ha sì trafficato schiavi africani, ma «assigned only a small percentage of his ships to the slave trade» (p. V), altrove leggiamo che nondimeno «he was probably the major slave trader in the colony’s principal slave-trading town» (S. Lemon, Rhode Island and the Slave Trade, «Rhode Island History», 60:4, Fall 2002, pp. 95-104.
Aaron Lopez e il suo degno suocero ebreo Jacob Rodrigues Rivera (su cui cfr. M.I. Kohler, The Lopez and Rivera Families of Newport, «Publications of the American Jewish Historical Society» 2 (1894), pp. 101-106) erano gli stessi che nel 1772 scrissero ad uno dei capitani dei loro vascelli negrieri tra l’altro quanto segue:
«Quando Dio vorrà che tu arrivi lì sano e salvo, converti il tuo carico in buoni schiavi, alle migliori condizioni possibili» (When please God arrive here safe Convert your cargo into good Slaves; on the best terms you can) (Rivera and Lopez to captain William English, 1772. Newport, November [27], 1772, in E. Donnan, Documents Illustrative of the History of the Slave Trade to America. Volume III. New England and Middle Colonies, Washington D.C., 1932, p. 264).
Sui traffici di Aaron Lopez e sulla sua corrispondenza col capitano English si veda anche:
S. Birmingham, The Jews in America Trilogy, New York, 1991, pp. 62 sgg.
Nella sua emblematicità la storia dell’ebreo Aaron Lopez fa il paio con quella del cristiano John Newton riportata da N. Ferguson, Impero. Come la Gran Bretagna ha fatto il mondo moderno, Milano, 2007, pp. 75 sgg.
Costui, devoto uomo di chiesa e compositore di inni religiosi, per sei anni fu mercante di schiavi e capitano di navi negriere, e portò centinaia di schiavi dalla Sierra Leone nei Caraibi. Newton era un compratore attento. Dal suo diario per l’anno 1750-51 apprendiamo che, quando comandava la nave negriera Duke of Argyle, evitava di trasportare donne vecchie “col seno cadente”. Una volta scambiò otto schiavi con una certa quantità di legno e avorio, ma poi, avendo scoperto che uno degli schiavi aveva una “pessima bocca”, si adombrò per averlo pagato più del dovuto.
Un’altra volta scoprì un complotto fra gli schiavi durante uno dei suoi viaggi negrieri e riuscì a debellarlo “con l’aiuto della provvidenza”. L’anno successivo un gruppo di schiavi venne trovato in possesso di coltelli, pietre, fionde, e perfino di uno scalpellino, e i colpevoli vennero puniti col collare e lo schiacciamento dei pollici.
Tutto ciò non gli impediva tuttavia di tenere servizi religiosi per l’equipaggio durante le tratte negriere.
La storia del traffico negriero è piena di Aaron Lopez e Jacob Rodrigues Rivera, ma anche di John Newton.
Per limitarci all’Inghilterra, il coinvolgimento del capitale ebraico nel traffico triangolare britannico è dunque tale che non è affatto peregrino parlare in questo caso di commercio anglo-giudaico degli schiavi africani.
Resta infine la questione se il capitale accumulato con la tratta degli schiavi abbia contribuito in qualche misura a finanziare la rivoluzione industriale, un evento che ha determinato l’affermazione del capitalismo, consegnando non solo la classe operaia, ma l’intera società nelle mani della plutocrazia, e se quindi il capitale ebraico accumulato nello stesso modo abbia avuto una parte nella creazione del sistema plutocratico allora dominante soprattutto in Inghilterra (ma ciò vale anche per altre aree geografiche, a partire dagli Stati Uniti d’America).
Al di là delle polemiche e controversie che questo problema ha alimentato negli anni (e su cui esiste tutta una letteratura), la risposta non può che essere affermativa.
Il capitale ebraico è stata certamente una delle concause della rivoluzione industriale e dell’affermarsi del capitalismo e del sistema plutocratico.
Nel suo classico lavoro, Eric Williams, Capitalismo e schiavitù, Bari, 1964, documenta in che modo il traffico triangolare abbia favorito lo sviluppo industriale e la creazione del capitalismo in Inghilterra, fornendo un triplice incentivo all’industria britannica: gli schiavi negri venivano acquistati con manufatti inglesi; trasportati nelle piantagioni, essi producevano zucchero, cotone, indaco, melassa ed altri prodotti tropicali, la cui trasformazione creava nuove attività industriali in Inghilterra.
Nel 1750 le città commerciali inglesi erano tutte in qualche modo collegate col traffico triangolare. I profitti ricavati costituirono uno dei principali elementi di quell’accumulazione del capitale che finanziò in Inghilterra la rivoluzione industriale. Tutta l’industria ebbe rapporti intensi e continuativi col traffico triangolare, a partire dalla navigazione e dalla cantieristica. Il capitale accumulato dalle città portuali si riversò nell’entroterra, e le merci prodotte per il mercato africano venivano trasportate dalle navi negriere. La stessa industria metallurgica e molte banche ebbero legami con la tratta degli schiavi.
Si veda la replica di S. Heblich, S. Redding e H.-J. Voth a chi sostiene che i livelli di profitto derivanti dal commercio degli schiavi erano piccoli rispetto alle dimensioni dell’economia britannica, e che lo schiavismo ebbe un ruolo marginale nello sviluppo industriale della Gran Bretagna (Slavery and British Industrial Revolution, «Centre for Economic Performance», n. 1884, November 2022).
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