Joseph Klausner
TOLEDOTH YESHU
(Più che il Talmud, dove i passi relativi a Gesù Cristo e ai cristiani, ancorché ignobili, sono relativamente pochi, la quintessenza dell’odio giudaico contro la religione cristiana è piuttosto l’infame libello conosciuto col titolo Toledoth Yeshu (Storie, Genealogie di Gesù), frutto della fantasia popolare e risultato di diverse tradizioni rabbinico-talmudiche anticristiane che si sono formate e giustapposte lungo i secoli, verosimilmente a partire dalla prima età medievale.
Nella Piccola Enciclopedia dell’Ebraismo, a cura di J. Maier e P. Schäfer ed edita in italiano nel 1985 dalla cattolicissima Marietti, possiamo leggere questo giudizio tra il surreale e il grottesco:
«Contrariamente alle opinioni correnti, le T.J. non contengono diffamazioni così sacrileghe come invece potrebbe sembrare stando alle polemiche medievali e dell’epoca moderna» (col. 612).
E questo a dispetto non solo di tutta una letteratura scientifica esistente in materia, ma anche di tutta una serie di testimonianze ebraiche le quali non solo non negano le blasfemie anticristiane contenute nel libello, ma se ne fanno addirittura un vanto!
Mala tempora currunt se ancora non molto tempo fa perfino il quotidiano dei vescovi poteva plaudire con masochistico entusiasmo alla realizzazione dell’edizione nostrana del Talmud (con i soldi dei contribuenti italiani), affidando alla storica ebrea Anna Foa il compito di glorificare il Talmud come «uno dei testi fondativi della nostra cultura» (sic!!)
A tanto è arrivata la deriva giudeofila della nuova Chiesa conciliare, più solerte a compiacere i “fratelli maggiori” che non a difendere le verità della tradizione
Sono oramai lontani, ahinoi!, i tempi in cui il padre Joseph Bonsirven definiva le Toledoth Yeshu un libello «odieux et ridicule», e Giuseppe Ricciotti denunciava le «calunnie e bestemmie» che vi sono contenute, ed addirittura remoti i tempi in cui l’ebraista cattolico Giovanni Bernardo De Rossi lo bollava come «nefandum ac pestilentissimum opusculum», senza contare il giudizio dell’ebraista protestante J. C. Wagenseil che parlava di questo ricettacolo di odio giudaico anticristiano, al quale si sono abbeverate intere generazioni di ebrei dall’inizio del medioevo fino ai nostri giorni, come di un «nefandum et abominabilem libellum», «cacatus a Satana».
Al giorno d’oggi vi sono ebrei che non hanno bisogno di nascondersi, ricorrendo alle tradizionali menzogne proferite “per amore della pace”.
Un esempio significativo è costituito dal sito ebraico Oraj HaEmet, orajhaemet.org, il cui compito precipuo è di combattere apertamente il cristianesimo e i pericoli dell’assimilazione.
Il sito contiene tra l’altro scritti su Gesù nel Talmud e il testo dell’Epistola allo Yemen di Maimonide, dove Gesù viene definito mamzer, bastardo, uomo malvagio e seminatore d’odio che fu giustiziato «con una punizione appropriata».
Riguardo al nostro specifico argomento, un’intera sezione è dedicata alle Toledoth Yeshu, dove vengono presentati e tradotti diversi manoscritti e frammenti del libello.
A mo’ d’introduzione generale viene riportata la traduzione spagnola dell’introduzione di Peter Schäfer al lavoro sulle Toledoth Yeshu da lui curato assieme ad altri studiosi: Toledot Yeshu (“The Life Story of Jesus”) Revisited. A Princeton Conference edited by Peter Schäfer, Michael Meerson, and Yaacov Deutsch, Tübingen, 2011.
Le pagine che seguono sono tratte, con qualche omissione, dalla versione francese dell’opera dello storico ebreo Joseph Klausner, docente di storia della letteratura ebraica all’Università di Gerusalemme: Jésus de Nazareth, Paris, 1933, pp. 55-65.
Su Joseph Klausner, il primo ad aver scritto in ebraico moderno su Gesù, e le polemiche suscitate dal suo libro, cfr. D. Jaffé, Le Jésus de Joseph Klausner: une oeuvre pionnière et courageuse parmi les historiens juifs, «Cristianesimo nella storia» 30 (2009), pp. 151-166.
Una sola annotazione allo scritto di Klausner.
Nella conclusione l’autore cerca in qualche modo di giustificare le Toledoth con la motivazione che esse sarebbero state la risposta degli ebrei alle persecuzioni di cui furono fatti segno da parte dei cristiani. Quest’affermazione, ripetuta costantemente dagli apologeti talmudisti, non ha alcun fondamento di verità, le persecuzioni avendo tutt’al più acuito un odio giudaico contro i goyim in generale e i cristiani in particolare già presente anteriormente alle persecuzioni e connaturato all’essenza stessa della religione ebraica).
JOSEPH KLAUSNER: TOLEDOTH YESHU
Ai nostri giorni questo libro è diventato raro. Una volta era molto diffuso tra il popolo con diversi titoli: Toledoth Yeshu, Maasseth Talui [Storia dell’appeso], Maasseth d’otho b’no [Storia di quello e di suo figlio], sia in ebraico che in jiddish, ma neppure gli ebrei colti disdegnavano di dargli una scorsa le notti di Nital (Natale)[1].
Oggi fra il popolo poche persone leggono l’ebraico, ad eccezione degli ebrei di Russia e Polonia, ma lì il libro era proibito dalla censura. Si può tuttavia trovarlo, sia stampato che manoscritto, presso qualche ebreo colto[2].
Le nostre madri ne conoscevano il contenuto per tradizione orale – naturalmente con tutte le corruzioni, omissioni e aggiunte tipiche dell’immaginazione popolare – e lo trasmettevano ai loro figli.
Esistono parecchie versioni manoscritte dell’opera, le une abbastanza estese, le altre abbreviate. Alcune seguono più da vicino le leggende talmudiche su Ben Stada, Pandera, Pappos ben Yehuda, Myriam M’gadd’la Neshaya e Yeshu, le altre se ne allontanano.
Ma sebbene siano talvolta considerevoli, le differenze vertono di norma solo su dettagli e soprattutto sui nomi propri. È vero che, in talune versioni, si sono intercalati episodi più o meno estesi, mentre in altre sono stati omessi episodi conosciuti; ma lo spirito, lo svolgimento generale del racconto e i suoi aspetti essenziali risultano ovunque identici.
La storia narrata è grosso modo la seguente.
Un certo Yohanan, “versato nella conoscenza della Legge e timorato di Dio”, e che apparteneva alla Casa di David (in alcune versioni che si riallacciano al Talmud è Pappos ben Yehuda), si fidanzò con Myriam di Bethleem, figlia di una vedova sua vicina, fanciulla casta e pura.
Ma Myriam piaceva pure a un furfante, un bel giovane di nome Joseph Pandera (o ben Pandera) il quale, una sera di Shabbath, venne a trovarla mentre era impura.
Myriam, che aveva scambiato Pandera per il fidanzato Yohanan e, sebbene avesse opposto resistenza, aveva dovuto cedergli, era stupita di questo atto di un uomo che credeva pio.
Quando questi si recò da lei, ella gli espresse tutta la sua meraviglia per la sua condotta biasimevole. Yohanan sospettò Pandera e confidò i suoi sospetti a Rabbi Shimeon ben Shetah.
Quando Myriam fu incinta, Yohanan, sapendo che il figlio non era suo, ma non potendo provare di chi fosse, fuggì a Babilonia.
Myriam mise al mondo un figlio che chiamò Yehoshua, dal nome del fratello della madre.
Quando Yehoshua ebbe abbandonata la retta via lo chiamò Yeshu.
Il fanciullo studiò la Torah sotto la direzione di un brillante professore, che era anche un noto erudito, ma si rivelò un ragazzo impudente.
Passava con la testa scoperta davanti ai Dottori (secondo un’altra versione tenne discorsi sfrontati su Mosè e Jethro).
I Dottori ne dedussero che era un bastardo e figlio d’impurità.
Myriam confessò (secondo il racconto del trattato Kallah) e Shimeon ben Shetah si rammentò di ciò che il suo discepolo Yohanan gli aveva raccontato.
Yeshu fuggì allora a Gerusalemme e nel Tempio apprese “il Nome che non si deve pronunciare”.
Dei cani di bronzo appesi alla porta dell’edificio riservato ai sacrifici abbaiavano contro tutti quelli che avevano appreso questo Nome e strappavano loro la memoria (ciò ricorda la leggenda dei leoni del trono di Salomone, che si trova nel “Secondo Targum” sul libro di Esther).
Affinché i cani non gli facessero dimenticare il Nome, Yeshu lo scrisse su una cinghia di cuoio che cucì nella carne della coscia.
A Bethleem radunò attorno a sé un gruppo di giovani ebrei e si proclamò il Messia e il Figlio di Dio.
In risposta alle proteste che alcuni levavano contro le sue pretese, egli accusò costoro di “cercare la propria grandezza e di voler regnare su Israele”. E per dare maggior peso alle sue parole guariva uno zoppo e un lebbroso con la potenza del “Nome che non si deve pronunciare”.
Lo condussero davanti alla regina Elena, che regnava in Israele[3], e lo accusarono di stregoneria e di impostura. Ma Yeshu resuscitò un morto e la regina, spaventata e sbalordita, cominciò a credere in lui.
Successivamente si recò nell’Alta Galilea, dove operò molti miracoli e attirò a sé un gran numero di persone.
I Dottori d’Israele si videro allora nella necessità di far apprendere a uno dei suoi discepoli, Yehuda Iscariota (alcuni dicono: Yehuda il Pio), “il Nome che non si deve pronunciare”, affinché potesse competere con Yeshu e, come lui, compiere prodigi.
Yehuda e Yeshu comparvero davanti alla regina. Yeshu si librò in aria, ma Yehuda volò più in alto di lui, lo sporcò di urina e Yeshu cadde a terra.
La regina lo condannò a morte e lo consegnò ai Dottori d’Israele. Questi lo condussero a Tiberiade, dove lo misero in prigione.
Ma egli aveva convinto i discepoli che tutte le sventure che gli sarebbero capitate erano appunto quelle che, dalla creazione del mondo, erano state destinate al Messia, Figlio di Dio, e predette da tutte le profezie. Così i discepoli di Yeshu entrarono in conflitto coi Dottori d’Israele, liberarono Yeshu e fuggirono con lui ad Antiochia.
Da qui Yeshu si recò in Egitto e ne riportò degli incantesimi (è ciò che racconta il Talmud a proposito di ben Stada); ma Yehuda (Iscariota o “il Pio”) s’era mischiato ai suoi discepoli e gli sottrasse il “Nome”. Yeshu ritornò allora a Gerusalemme per apprenderlo di nuovo, ma Yehuda avvertì i Dottori d’Israele che si trovavano a Gerusalemme e disse loro che, all’ingresso di Yeshu nel Tempio, egli si sarebbe prostrato dinanzi a lui: così i Dottori avrebbero potuto distinguere Yeshu dai suoi discepoli, poiché i loro vestiti erano dello “stesso colore” di quelli del maestro (o, secondo un’altra versione, poiché i discepoli avevano giurato di non dire mai: “È lui”).
E così avvenne. I Dottori d’Israele riconobbero Yeshu e lo arrestarono. Lo appesero, la vigilia di Pasqua, un venerdi (ciò è esattamente conforme a molte versioni talmudiche), ad un cavolo di palma, poiché nessun albero aveva voluto sostenerlo. Difatti Yeshu per tutta la vita aveva scongiurato gli alberi di non accettare il suo corpo, qualora fosse appeso, in virtù del “Nome che non si deve pronunciare”; ma il cavolo si era sottratto a questa supplica perché non è considerato un albero.
Il corpo fu deposto quando il giorno che precedeva lo Shabbath non era ancora finito (per non violare il divieto: “Il suo corpo non resterà sul patibolo durante la notte” (Deut. 21,23) e fu subito sepolto. Ma Yehuda il giardiniere tolse il corpo dalla tomba, lo gettò in una condotta d’acqua e lasciò colare l’acqua come d’abitudine.
Quando vennero e non trovarono il corpo nella tomba, i discepoli di Yeshu annunciarono alla regina che Yeshu era resuscitato. La regina lo credette e volle far mettere a morte i Dottori d’Israele per aver messo le mani sull’Unto [= Messia] del Signore.
Di fronte a questo terribile decreto tutti gli ebrei si lamentarono e piansero e digiunarono, fino a che R. Tanhuma [vissuto quattrocento anni dopo Gesù!] non ebbe trovato, grazie all’ispirazione divina, il corpo nel giardino di Yehuda. I Dottori d’Israele se ne impadronirono, lo attaccarono alla coda di un cavallo e lo portarono dinanzi alla regina, affinché potesse vedere in che modo era stata ingannata.
Si narra in seguito che i discepoli di Gesù fuggirono e si sparsero fra tutte le genti. Tra questi discepoli vi erano i dodici apostoli che fecero molto male agli ebrei. Proprio per tale ragione uno dei Dottori d’Israele, Shimon Kepha (roccia, in greco Petros; in aramaico Kepha), decise di separare i discepoli di Yeshu dagli ebrei e di dar loro delle leggi morali, affinché non potessero più nuocere agli ebrei[4].
Vi riuscì fingendo di credere in Yeshu, poi se ne andò a vivere da solo in una torre costruita appositamente per lui e che portava il suo nome (allusione alla basilica di San Pietro a Roma), dove compose inni e salmi che inviò ovunque si trovassero degli ebrei e che si recitano ancor oggi nelle sinagoghe[5].
Le Toledoth Yeshu parlano anche di “Nestore il Prete” e della sua dottrina, ma ciò non rientra nel nostro tema.
Una lettura anche superficiale di questo libro dimostra che siamo in presenza di una creazione della fantasia popolare, dove si mescolano confusamente i racconti e le leggende talmudiche e midrashiche antiche e più recenti, i racconti e le leggende evangeliche (che l’autore trasforma in racconti sgradevoli nei riguardi di Gesù) ed altre leggende popolari, alcune delle quali sono menzionate da Celso, Tertulliano e, più tardi, da altri Padri della Chiesa e che Samuel Krauss etichetta come narrazioni “folkloristiche”[6].
Quel che occorre notare in modo particolare è l’atteggiamento dell’autore delle Toledoth Yeshu di fronte ai racconti evangelici: egli non nega quasi nulla di essi, ma si accontenta di volgere il male in bene e il bene in male.
Sia i Vangeli che le Toledoth Yeshu sostengono che Gesù operò dei miracoli: i primi dicono per intervento dello Spirito Santo, i secondi perché Gesù si serviva del “Nome che non si deve pronunciare”, che aveva appreso con intenzioni maligne, e di incantesimi che aveva riportato dall’Egitto.
Per gli Evangelisti Gesù fu concepito dallo Spirito Santo; per l’autore delle Toledoth Yeshu egli è il frutto dell’inganno e della violenza fatti alla fidanzata di un altro.
I Vangeli raccontano che dopo l’inumazione non si ritrovò il corpo di Gesù nella tomba; le Toledoth Yeshu concordano con questa versione, ma spiegano la sparizione con l’intervento di Yehuda il giardiniere, che avrebbe tolto il corpo dalla tomba, mentre gli Evangelisti sostengono che Gesù era resuscitato.
Vi sono altri racconti ugualmente alterati; questo prova che il libro non contiene informazioni storiche attendibili. Può darsi che taluni racconti, inseriti più tardi, siano circolati fra gli ebrei all’inizio del II secolo, come indicano le citazioni di Celso e Tertulliano. È anche possibile che alcuni dotti ebrei abbiano avuto fra le mani, fin dal V secolo, un libro intitolato Toledoth Yeshu, ma diverso per contenuto, forma e stile dalle Toledoth attuali, e che l’arcivescovo di Lione Agobardo ne sia venuto a conoscenza, poiché menziona un’opera dello stesso genere nel suo De judaicis superstitionibus, composto verso l’830 in collaborazione con altri vescovi.
È possibile che Rabano Mauro, il quale divenne arcivescovo di Magonza nell’847, abbia posseduto questo libro, di cui parla nel suo Contra Judaeos, dove descrive le leggende ebraiche relative a Gesù, leggende che in molti punti richiamano quelle che si trovano nelle Toledoth Yeshu che possediamo oggi.
Alcuni frammenti aramaici, che sono dei racconti diffamatori su Gesù, pubblicati da Krauss nel suo Leben Jesu[7], testimoniano altresì dell’esistenza di un libro antico dello stesso genere. Ma dato lo stato della lingua, anche nelle versioni più antiche, e la natura dei racconti che vi sono contenuti e che fanno pensare ad un’epoca più recente, non possiamo credere, con Krauss, che il libro sia stato composto quasi interamente intorno al 500.
Ad esempio è nel trattato Kallah e non prima che si incontra per la prima volta il passo sull’ “impudenza” di Yeshu, dove R. Akiba “riconosce” che Yeshu è “un bastardo e un figlio d’impurità”. Ma questo trattato è posteriore al 500 d.C., come si vede in numerosi passi delle halachoth e delle hagadoth che contiene (…)
Questo libro, così come lo possediamo, anche nella forma ebraica più antica, non è anteriore al Yosippon che ci è pervenuto, cioè non fu redatto prima del X secolo[8]. Non può dunque avere il minimo valore storico e non può servire da documento per lo studio della vita di Gesù.
Tuttavia, a tale riguardo, dobbiamo limitarci ad alcune considerazioni.
Le Toledoth ci informano sul modo in cui gli ebrei, dal V al X secolo, consideravano la vita e la dottrina di Gesù, la sua attività e il suo insegnamento, poiché un gran numero delle indicazioni che il libro contiene circolavano oralmente in un’epoca certamente anteriore alla sua redazione, esattamente come i passi del Talmud relativi a Gesù ci informano sull’atteggiamento degli ebrei nei suoi confronti nei primi cinque secoli.
Scrive giustamente Krauss:
«Lungi da me l’intenzione di cercare la soluzione di un problema di così grande portata come quello della verità della religione cristiana basandomi sulle indicazioni offerte dalle Toledoth Yeshu: il libro non vi si presta affatto. A mio avviso non ci si può basare sulle Toledoth Yeshu per decidere della verità dei dogmi fondamentali del cristianesimo. Ma esse possono rivelarci quale opinione gli ebrei si formavano del cristianesimo. In altre parole, il loro valore non è oggettivo, ma soggettivo: l’autore non sa come gli eventi si siano svolti realmente, ma come sono stati interpretati dagli ebrei»[9].
Se vi cerchiamo solo una verità soggettiva, il libro acquista ben altra importanza: ci insegna che l’atteggiamento degli ebrei nei confronti di Gesù divenne sempre più ostile a mano a mano che i gentili cominciavano ad abbracciare la nuova fede e a disprezzare il giudaismo; e che, soprattutto, le cose peggiorarono ancor di più allorché quei gentili ed ebrei che s’erano fatti cristiani cominciarono a perseguitare gli ebrei e a “gettare pietre nei pozzi dove si erano dissetati”.
Gli ebrei, nell’impossibilità di vendicarsi materialmente dei loro potenti nemici, fecero ricorso alla parola e allo scritto. Così le favole e le leggende piene di odio, e ancor più spesso lo scherno mordace e tagliente, contro il cristianesimo e il suo Fondatore e contro i cristiani si moltiplicarono.
Non si negava nulla del contenuto dei Vangeli; se ne faceva solo un oggetto di derisione e di biasimo.
Così gli ebrei del medioevo non dicevano: “Gesù non ha operato miracoli”; essi riconoscevano (e ciò mostra il loro atteggiamento spirituale in quell’epoca) che li aveva fatti veramente, ma – dicevano – solo perché si era servito del “Nome che non si deve pronunciare” e di arti magiche, e tutto ciò con intenzioni maligne.
Essi non negavano neppure che nella dottrina di Gesù vi fossero cose moralmente buone; ma secondo loro queste erano state introdotte nella nuova religione abbracciata dai gentili da Shimon Kephas (Pietro), il giudeo-cristiano col quale Paolo era entrato in conflitto perché continuava ad osservare le leggi cerimoniali. Perciò esse derivavano tutte dalla religione alla quale, fino alla morte, Pietro era restato segretamente fedele.
Questo è lo spirito che domina le Toledoth Yeshu e che fu certamente quello di tutti gli ebrei all’inizio del medioevo.
Per tale ragione, anche se il libro è senza valore per la conoscenza degli eventi storici relativi a Gesù, al suo carattere o alla sua dottrina, è invece oltremodo interessante perché ci informa sulla condizione spirituale degli ebrei in una determinata epoca.
[1] Le opere antiche che trattano delle Toledoth Yeshu o Maasseth Talui si trovano indicate in Wagenseil, Tela Ignea Satanae, Altdorf, 1681. Questi dà le Toledoth in ebraico (versione riveduta, buon testo) con una traduzione latina ed una confutazione. Tutto l’apparato scientifico relativo a questo libro è stato riunito, con molta cura ed erudizione, da S. Krauss, Das Leben Jesu nach jüdischen Quellen, Berlin, 1902. Krauss dà tre diverse versioni ebraiche e alcuni frammenti provenienti da altri manoscritti, fra i quali alcuni manoscritti aramaici. L’autore non ha trascurato nulla di tutto ciò che riguarda le Toledoth Yeshu (…) Il libro Toledoth Yeshu (…) è stato pubblicato da E. Bischoff, in jiddish e in caratteri gotici col titolo Ein jüdisch-deutsches Leben Jesu, Leipzig, 1895. La maggior parte della versione ebraica si trova nell’ Helkat Mehokek di Gerson Bader, Cracovia, 1893. L’autore pretende di aver attinto il suo materiale unicamente a dei manoscritti, ma in realtà si è ispirato solo alle Toledoth Yeshu e ad alcune fonti cristiane. Nel libro di Richard von der Alm (Ghillany), Die Urteile heidnischer und jüdischer Schriftsteller der vier christlichen Jahrhunderte über Jesus und die ersten Christen, Leipzig, 1869, si trova una preziosa documentazione sulle leggende delle Toledoth Yeshu e sulla loro origine.
[2] Una nuova edizione del Maasseh Talui è apparsa recentemente senza indicazione di luogo di stampa né di data.
[3] Sembra che Elena, regina di Adiabene, madre del re Monobaz, ed Elena, moglie del primo imperatore cristiano Costantino, siano state confuse con Shelom-Zion (Salomé Alexandra), la regina che, secondo il Talmud, era la sorella di Shimeon ben Shetah (Berakhot 48a, Genesi Rabbah, 91, Qohelet su VII,11).
[4] Si tratta indubbiamente di un’eco lontana del conflitto tra Pietro e Paolo sull’osservanza delle pratiche rituali, difesa da Pietro e attaccata da Paolo.
[5] Vi è certamente una confusione tra Simon Pietro ed il compositore di inni religiosi R. Shimon.
[6] Krauss, op. cit., pp. 154-236 e note pp. 249-298.
[7] Cfr. S. Krauss, Fragments araméens du Toldoth Yeshu, «Revue des Études Juives», LXII (1928), 1, pp. 324-338.
[8] Non si può trarre una conclusione sulla data di composizione delle Toledoth Yeshu aramaiche basandosi sullo scarso numero di frammenti conosciuti e sui racconti di Agobardo e di Rabano Mauro. In ogni caso, L. Ginzberg, Ginze Schechter, I, pp. 325-328, ha dimostrato che la stessa versione aramaica, sebbene più antica di quella ebraica, è stata composta in un’epoca in cui l’aramaico non era più una lingua parlata.
[9] Op. cit., p. 237.
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