Gian Pio Mattogno
ISRAELE E LE TRADIZIONI ANTIGENTILI.
UNA ONESTA RECENSIONE DELL’OPERA DI ISRAEL SHAHAK
In mezzo alle tante miserie dell’apologetica talmudista, ogni tanto fortunatamente si incontra qualche ebreo, critico e autocritico, che non teme di dire le cose come stanno.
È questo il caso della recensione del libro di Israel Shahak, Storia ebraica e giudaismo. Il peso di tre millenni a cura di Ari Alexander.
(Ari Alexander, Israel and the Anti-Gentile traditions, My Jewish Learning, myjewishlearning.co. Il sottotitolo suona: La teoria di Israel Shahak secondo cui le tradizioni anti-gentili hanno influenzato la politica israeliana è ben nota sia negli ambienti arabi che in quelli antisemiti, ma gli ebrei non l’hanno ancora affrontata adeguatamente).
Co-fondatore e co-direttore esecutivo di Children of Abraham, un’organizzazione internazionale dedita alla promozione del dialogo tra adolescenti ebrei e musulmani in tutto il mondo e co-fondatore in Francia della Génération Dialogue, in questa recensione Ari Alexander esorta la comunità ebraica internazionale a ripensare criticamente la propria storia e la propria identità.
Alexander ricorda che Shahak, «sopravvissuto all’Olocausto» e deceduto nel 2001, è stato per molti anni professore di chimica all’Università di Gerusalemme ed ha guidato la Lega Israeliana per i Diritti Civili dalla metà degli anni ’70 al 1990.
Alexander esordisce affermando che quello di Shahak non è il classico libro introduttivo sul giudaismo, e che è più probabile trovarlo in una scuola musulmana di Damasco che in una scuola ebraica di New York, su un sito web nazista che non nella locale sinagoga.
Il libro di Shahak offre una panoramica del giudaismo e del sionismo, concentrandosi sulle tradizioni ostili ai gentili (goyim, non-ebrei)
Pur riconoscendo che molti di questi insegnamenti non siano più validi al giorno d’oggi, Shahak ritiene che abbiano avuto comunque una profonda influenza sullo sviluppo dell’identità ebraica lungo il corso dei secoli.
Essi si sono infiltrati nell’ideologia sionista ed hanno influenzato il modo in cui Israele interagisce coi suoi cittadini e vicini non ebrei.
«In Israele era una figura controversa, ma era venerato dalla sinistra internazionale come un difensore instancabile dei diritti umani».
Nel suo libro Shahak cita numerosi testi e sentenze legali a dimostrazione dell’ostilità degli ebrei verso i non-ebrei.
Un passo del Talmud afferma che Gesù viene punito nell’inferno fra gli escrementi bollenti.
La tradizione ebraica insegna al pio giudeo di bruciare copie del Nuovo Testamento e di maledire le madri dei defunti non ebrei quando passa dinanzi a cimiteri non ebraici.
Shahak evidenzia l’interpretazione rabbinica del passo del Levitico che comanda all’ebreo di amare il prossimo come sé stesso nel senso particolaristico e anti-gentile che “prossimo” debba riferirsi solo all’ebreo (e che quindi solo l’ebreo è degno di amore).
Shahak sostiene inoltre che la tradizione rabbinica attribuisce maggiore importanza alla vita dell’ebreo che non a quella del non-ebreo.
Egli cita da un lato Maimonide, il quale nel suo Mishneh Torah (Leggi sull’omicidio 2,21) scrive che chi uccide un ebreo è passibile della pena capitale, mentre chi uccide un non-ebreo ne è esente, e dall’altro il commentatore ebreo Rabbi Yoel Sirkis (Bayt Hadash, commentario su Bet Yosef, Yore Deah 158), secondo cui causare indirettamente la morte di un non-ebreo non è per nulla peccato.
Shahak menziona il noto insegnamento ebraico secondo il quale il dovere di salvare una vita prevale su tutti gli altri obblighi, ma sottolinea che i rabbini interpretarono questo principio come applicabile unicamente alle vite degli ebrei.
Egli riporta questo passo talmudico: «I gentili non debbono essere tratti su [da un pozzo dove siano caduti], né buttati giù» (Avoda Zarah 26b) (il cui vero senso è: non bisogna gettare giù in un pozzo un non-ebreo per timore di ritorsioni, ma se vi è caduto accidentalmente non si faccia nulla per salvarlo).
Principio ribadito da Maimonide:
«Riguardo ai gentili coi quali non siamo in guerra … non bisogna causare direttamente la loro morte, ma non li si deve neppure salvare se sono in pericolo di vita. Se ad esempio vediamo uno di loro cadere in mare non dobbiamo salvarlo, perché è scritto: “Non levarti contro al sangue del tuo prossimo” [Lev. 19,16], ma un gentile non è il tuo prossimo» (Mishneh Torah, Leggi dell’omicidio 4,11).
Come sottolinea Alexander, Maimonide è al centro di gran parte dell’analisi di Shahak, il quale ritiene che questo filosofo e talmudista del XII secolo non fosse che un razzista e un odiatore dei gentili.
Egli riporta l’affermazione di Maimonide secondo cui «la loro [dei turchi e dei negri] natura è come quella degli animali muti, e secondo la mia opinione essi non sono al livello degli esseri umani» (Guida dei perplessi, Libro III, Capitolo 51).
(Su Maimonide cfr. Il sicario della Sinagoga. L’odio rabbinico-talmudico contro il non-ebreo negli scritti di Moshe Maimonide, Effepi, Genova, 2022).
Shahak ritiene che molte di queste tradizioni oggi non vengano messe in pratica, ma aggiunge che, lungi dall’essere affrontate, in generale esse sono occultate.
A sostegno di questa affermazione, Shahak menziona un altro passo violento di Maimonide, che non è riportato nell’aggiunta bilingue alla “Guide” pubblicata a Gerusalemme nel 1962, e che reputa un deliberato inganno da parte dei curatori.
Il passo in questione, relativo al dovere di uccidere gli ebrei infedeli, recita testualmente così:
«È un dovere sterminarli con le proprie mani. Come Gesù di Nazareth e i suoi discepoli, e Tzadoq e Baitos [i fondatori dei Sadducei] e i loro discepoli, possa il nome dei malvagi marcire».
(Oggi però questo passo è riportato regolarmente in tutte le edizioni del Mishneh Torah).
Shahak lamenta che queste “tradizioni del disprezzo” si siano infiltrate nell’ideologia sionista e che abbiano influenzato la politica israeliana nei confronti dei suoi cittadini arabi e dei palestinesi, e ciò si è verificato sia in relazione al diritto di residenza che a quello al lavoro e all’uguaglianza di fronte alla legge.
Così Alexander chiosa infine il lavoro di Shahak:
«Qualunque sia la vostra opinione su Shahak e sulle sue argomentazioni, Storia ebraica e giudaismo dovrebbe essere presa sul serio, e ciò per diverse ragioni.
«Innanzitutto, i testi citati da Shahak sono autentici (sebbene l’uso sporadico di note a piè di pagina da parte di Shahak renda difficile verificarli tutti). Spesso l’interpretazione di questi testi è discutibile e la loro importanza trascurabile, ma nondimeno essi sono parte della tradizione giudaica e di conseguenza non possono essere ignorati. E difatti non vengono ignorati. Come accennato in precedenza, l’opera di Shahak è molto popolare sia negli ambienti arabi che in quelli musulmani (Radio Islam possiede il testo completo dell’opera di Shahak), così come fra gruppi spesso apertamente antisemiti (David Duke e Bradley Smith includono il libro di Shahak sui loro siti web).
«Altri utilizzano l’opera di Shahak nella loro presentazione del giudaismo, e questo fatto da solo dovrebbe renderla rilevante per gli ebrei contemporanei.
«Shahak era un fervente laicista (secularist) e anti-sionista, ma scrisse il suo libro come una sfida agli ebrei, affinché affrontassero gli elementi sciovinisti e disumanizzanti della tradizione giudaica e contribuissero a creare un moderno ebraismo autocritico e sensibile.
«È vero che ha scandagliato la tradizione rabbinica alla ricerca di passi odiosi, spesso – ma non sempre – fraintendendoli o decontestualizzandoli, ma non è questo il punto.
«Esistono testi ebraici che possono essere considerati veementemente xenofobi, e lo sono.
«Questi testi debbono essere affrontati, spiegati e, se necessario, apertamente e onestamente ripudiati».
In attesa che Ari Alexander ci spieghi dove esattamente Shahak avrebbe «spesso» (?) frainteso e decontestualizzato i passi da lui riportati e di quali testi in particolare la sua interpretazione sarebbe «discutibile», non possiamo che apprezzare la sua onesta e coraggiosa presa di posizione.
Leave a comment