Gian Pio Mattogno: Derive propagandistiche della polemica antigiudaica

 

Gian Pio Mattogno 

DERIVE PROPAGANDISTICHE DELLA POLEMICA ANTIGIUDAICA.
LA PROFEZIA DI BENJAMIN FRANKLIN

E LA LETTERA DEL RABBINO BARUCH LÉVY A KARL MARX

Da sempre la polemica antigiudaica è come un fiume in piena, che trascina con sé detriti d’ogni genere.

E come è giusto denunciare le mistificazioni e le strategie truffaldine degli apologeti ebrei, con tutto il codazzo di avvocati di Israele e di Shabbath goyim in soccorso della Sinagoga, allo stesso modo non si possono chiudere gli occhi dinanzi a certe falsificazioni propagandistiche di segno opposto, tanto grossolane quanto inutili e controproducenti, per lo più frutto di ignoranza e superficialità, e talora, perché no, anche di malafede.

A tale riguardo, la presunta “profezia” di Benjamin Franklin e la presunta “lettera” di tal Baruch Lévy a Karl Marx ne sono due esempi emblematici.

Durante la Constitutional Convention di Filadelfia (1787), Franklin avrebbe pronunciato una dura requisitoria contro gli ebrei, accusandoli di costituire una grave minaccia per gli Stati Uniti d’America. Se non verranno espulsi quanto prima dal paese, avrebbe dichiarato Franklin, questi vampiri affluiranno in tal numero che ci domineranno e ci distruggeranno, e i nostri figli si ridurranno a lavorare nei campi per nutrire gli ebrei:

«Esiste un grande pericolo per gli Stati Uniti d’America. Questo grande pericolo è costituito dall’ebreo. Signori, in ogni terra in cui gli ebrei si sono insediati, hanno degradato il livello morale e il livello di onestà commerciale. Sono rimasti isolati e non assimilati. Oppressi, tentano di strangolare la nazione finanziariamente, come nel caso del Portogallo e della Spagna. Per più di 1700 anni si sono lamentati del loro doloroso destino, ovverosia di essere stati cacciati dalla loro madrepatria. Ma, Signori, se il mondo civile dovesse oggi restituire loro la Palestina e le sue proprietà, essi troverebbero immediatamente una ragione impellente per non ritornarvi. Perché? Perché sono vampiri, e i vampiri non possono vivere di altri vampiri, non possono vivere tra di loro. Devono vivere fra cristiani e fra altri che non appartengono alla loro razza.

«Se non saranno espulsi dalla Costituzione, fra meno di cento anni essi si riverseranno in questo paese in un numero tale che ci governeranno, ci distruggeranno e cambieranno la nostra forma di governo, per la quale noi americani abbiamo versato il nostro sangue e sacrificato la nostra vita, le nostre proprietà e la nostra libertà personale.

«Se gli ebrei non saranno espulsi, entro 200 anni i nostri figli lavoreranno nei campi per sfamare gli ebrei, mentre loro se ne staranno negli uffici amministrativi, fregandosi allegramente le mani.

«Vi avverto, Signori: se non escluderete gli ebrei per sempre, i vostri figli e i nipoti dei vostri figli vi malediranno nella tomba. Le loro idee non sono le idee degli americani, nemmeno se hanno vissuto tra di noi per dieci generazioni. Il leopardo non può cambiare le sue macchie. Gli ebrei sono un pericolo per questa terra e, se viene loro permesso di entrarvi, essi metteranno a repentaglio le nostre istituzioni. Dovrebbero essere esclusi dalla Costituzione» (S.J. Singer, Benjamin Franklin and the Jews, Jewish Press, Juny 28, 2023, jewishpress.com; D.S. Seligman, The Franklin Prophecy. America’s most virulent anti-semitic forgery is all about the Benjamins, baby, «Tablet», August 05, 2021).

La prima menzione della “profezia” di Franklin compare in un articolo di William Dudley Pelley nel suo giornale «Liberation» del 3 febbraio 1934. Pelley, che era il capo del movimento di ispirazione nazional-socialista Silver Shirts, sosteneva di aver rintracciato il documento nel diario segreto di Charles Pinckney, deputato della Carolina del Sud ed uno degli ispiratori della Costituzione americana.

La “profezia”, che conobbe una certa fortuna negli U.S.A., venne ripresa nell’agosto dello stesso anno dal bollettino antiebraico «Weltdienst», stampato ad Erfurt in tedesco, inglese e francese; alcuni giorni dopo dal «Volksbund», organo dei nazional-socialisti svizzeri, e a settembre da «Der Stürmer» di Julius Streicher.

Nel 1935 la “profezia” viene citata nell’Handbuch der Judenfrage di Theodor Fritsch.

Il 9 marzo 1937 la «Deutsche Allgemeine Zeitung» pubblica un articolo dal titolo: Gli ebrei divoreranno l’America. Una profezia di Benjamin Franklin, con il testo del discorso.

Lo stesso giorno il documento compare in un articolo di «Der Angriff», il giornale di Goebbels, intitolato: Franklin ha ragione. “Gli ebrei divoreranno gli U.S.A.”.

Il 20 marzo 1930 il governatore della Banca d’Italia Vincenzo Azzolini segnala in una lettera a Mussolini l’articolo della «Deutsche Allgemeine Zeitung».

All’indomani delle leggi razziali, in data 7 ottobre 1938 il ministro della Cultura Popolare, Dino Alfieri, invia un telegramma all’ambasciata italiana di Washington, in cui si segnala una dichiarazione che avrebbe fatto Franklin e si prega di volerne controllare l’autenticità. Non sappiamo se questa richiesta sia stata accolta, ma il 24 dicembre 1938 il «Corriere della Sera» e «Il Popolo d’Italia» pubblicano due articoli intitolati rispettivamente: Il terribile anatema di Franklin contro gli ebrei e Come Beniamino Franklin giudicava gli ebrei.

Anche uno scrittore come Giovanni Preziosi credeva alla autenticità della “profezia” di Franklin. Ne «La Vita Italiana» del gennaio 1939 egli criticò il colpevole ritardo con cui a suo avviso la stampa italiana aveva fatto menzione del documento, attribuendolo ad una sorta di congiura del silenzio.

Successivamente, prima e dopo la guerra, la “profezia” è stata ripresa da altri propagandisti antigiudei ed ancora oggi è largamente diffusa sulla rete.

Ora, fino a prova contraria la “profezia” è un falso.

Nel 1938 apparve negli U.S.A. un opuscolo di una quindicina di pagine dal titolo: Benjamin Franklin Vindicated. An Expositure of Franklin “Prophecy” by American Scholars, nel quale alcuni studiosi confutavano l’autenticità del discorso di Franklin.

Carl van Doren, biografo di Franklin, scrisse che il diario di Pinckney, dove comparirebbe il testo del discorso, se pure è esistito, non è mai stato trovato, e che il Franklin Institute di Filadelfia non possiede il presunto manoscritto.

Lo storico Charles A. Beard asserì che non v’è alcuna prova che Pinckney abbia mai tenuto un diario segreto. Franklin, spirito tollerante in materia di religione, era lungi dal nutrire sentimenti antiebraici. Al contrario, dimostrò simpatia per gli ebrei, come quando firmò un appello per raccogliere fondi necessari alla costruzione di una nuova sinagoga a Filadelfia, ed egli stesso diede un contributo.

Altri storici hanno fornito ulteriori prove, dirette e indirette, della falsificazione, anche se il falsario (alcuni pensano sia stato lo stesso Pelley) è sconosciuto.

Anche la presunta lettera di Baruch Lévy a Marx ha una storia.

Secondo diversi scrittori antisemiti questo Baruch Lévy avrebbe scritto a Marx una lettera, nella quale profetizzava un futuro dominio messianico del popolo ebraico sul resto dell’umanità. Sarà edificata una Repubblica universale, costituita dai governi di tutte le nazioni; le nazioni saranno governate da Israele; la proprietà privata sarà abolita dai governanti di razza giudaica, i quali amministreranno i beni pubblici; il perseguimento di tali fini sarà facilitato se qualcuno dei figli d’Israele saprà porsi alla testa del movimento operaio (il riferimento a Marx, che era di origini ebraiche, è palese).

La fonte di questo documento viene indicata come segue: Salluste, Les origines secrètes du bolchevisme. Henri Heine et Karl Marx, «La Revue de Paris», 1er juin 1928, p. 574.

Salluste era lo pseudonimo di Flavien Brenier, una discussa figura di antimassone e antisemita, autore tra l’altro di uno scritto sul Talmud, il quale collaborò per diverso tempo anche con mons. Jouin, salvo poi allontanarsene in malo modo.

Ho sotto gli occhi la rivista in questione, ed effettivamente nell’articolo compare la presunta lettera, che riporto integralmente:

«Il popolo ebraico, considerato nella sua totalità, sarà egli stesso il Messia. La sua sovranità su tutto il mondo sarà raggiunta tramite l’unificazione delle altre razze umane, l’eliminazione delle frontiere e delle monarchie, che sono i bastioni del particolarismo, e tramite la creazione di una repubblica universale, che accorderà ovunque agli ebrei i diritti civili.

«In questa nuova organizzazione dell’umanità, i figli di Israele, sparsi fin d’ora su tutta la superficie della terra, appartenenti tutti alla stessa razza e alla stessa tradizione, senza tuttavia formare una nazionalità distinta, diverranno ovunque, senza incontrare ostacoli, l’elemento direttivo, soprattutto se riusciranno a imporre alle masse operaie la direzione di qualcuno di loro.

«I governi delle nazioni che formeranno la repubblica universale cadranno tutti, senza difficoltà, con l’aiuto del proletariato, nelle mani degli israeliti. La proprietà privata sarà abolita dai governanti di razza ebraica, i quali amministreranno ovunque il patrimonio pubblico. Così sarà adempiuta la promessa del Talmud, che gli ebrei avranno il controllo dei beni di tutti i popoli della terra».

Chi era questo Baruch Lévy?

Come e quando avrebbe scritto questa lettera?

Nel testo non vi è alcun riferimento bio-bibliografico. L’intero articolo del resto è privo di note. La sola indicazione di Salluste è che Baruch Lévy sarebbe stato un «Néo-Méssianiste».

Nella stessa rivista (1er août 1928) intervenne il gran rabbino Maurice Liber, il quale contestò l’autenticità della lettera, lamentando che nella letteratura antisemita esisteva già tutta una serie di falsi, a partire dai cosiddetti “Protocolli dei savi Anziani di Sion”, ed invitò Salluste a fornire le prove.

Salluste replicò, ma circa la lettera di Baruch Lévy non disse nulla.

Ora, non si può che essere d’accordo con il gran rabbino Liber quando scrive che, «fino a prova contraria, questa lettera è un falso».

Di questa lettera non si trova traccia né nella corrispondenza di Marx, né nelle sue opere, né nella sua biografia.

E neppure di Baruch Lévy si trova traccia, né nelle biografie rabbiniche, né nella letteratura, né nelle enciclopedie ebraiche.

Semplicemente, “Baruch Lévy” non è mai esistito.

Il falsario non si è affaticato troppo: un po’ di “Protocolli”, un pizzico di anti-talmudismo, una spruzzata di concetti marxiani, e il gioco era fatto.

Nondimeno, la lettera ha conosciuto una certa fortuna nella polemica antisemita.

Perfino uno scrittore solitamente bene informato e affidabile come Julius Evola, nelle sue annotazioni a I Protocolli dei Savi Anziani di Sion (1938), non ha resistito alla tentazione di citare questo documento senza verificarne l’autenticità.

È verosimile che a confezionare questo falso sia stato lo stesso Brenier, che conosceva qualche citazione talmudica, o qualcuno della sua cerchia.

Dicevo che falsi di questo genere sono inutili e controproducenti.

     Inutili, perché non vi è alcuna necessità di confezionare documenti falsi per suffragare le proprie argomentazioni, quando ve ne solo di autentici e di ben altra forza probativa.

     Controproducenti, perché fanno il gioco della propaganda avversaria e finiscono per screditare la polemica antigiudaica più seria.

Non vi è alcuna necessità di inventare una falsa profezia per dimostrare che gli ebrei hanno giocato un ruolo rilevante nella storia degli Stati Uniti d’America, penetrando con la loro potenza economica nel tessuto sociale americano, influenzando pesantemente e controllando, direttamente o indirettamente, la vita politica e sostenendo l’imperialismo yankee.

Allo stesso modo, non vi è alcuna necessità di inventare un Baruch Lévy e mettergli in bocca espressioni come «Così sarà adempiuta la promessa del Talmud, che gli ebrei avranno il controllo dei beni di tutti i popoli della terra», quando il Talmud e la letteratura rabbinica sono pieni di espressioni di questo genere.

Un altro esempio da non seguire assolutamente riguarda ancora una volta Theodor Fritsch.

Nella sua edizione dei Protocolli del 1936 egli cita alcuni brani tratti dal secondo tomo della Histoire de l’économie politique des anciens peuples de l’Inde, de l’Egypte, de la Judée et de la Grèce (Paris, 1878, pp. 274 sgg.) dell’«economista ebreo» Jules Du Mesnil-Marigny.

Du Mesnil-Marigny scrive che l’epoca attuale (sec. XIX) è dominata dall’oro e che gli ebrei sono i sovrani dell’oro. Essi già dominano le banche, le ferrovie, il commercio, la cultura, la stampa e la vita politica. L’ascesa di Israele è ormai imminente, e tra non molto lo vedremo governare le nazioni dopo essersi impadronito di tutte le loro ricchezze.

Ho verificato direttamente sul testo di Du Mesnil-Marigny l’esattezza della citazione di Fritsch.

Il problema però è un altro.

Du Mesnil-Marigny proveniva dalla borghesia provinciale francese nata dalla Rivoluzione, ma con un colpo di bacchetta magica ecco che Fritsch lo trasforma in un «economista ebreo».

Ma vi è di più.

Non solo Du Mesnil-Marigny non era ebreo, ma al contrario nutriva sentimenti di avversione nei confronti degli ebrei.

Tra l’altro Du Mesnil-Marigny cita, condividendolo, un giudizio del padre Ratisbonne che, in quanto ex ebreo convertito al cattolicesimo e acerrimo nemico del giudaismo rabbinico-talmudico, conosceva gli ebrei come pochi altri. Nel suo scritto La Question juive (1858) il padre Ratisbonne deplorava il fatto che gli ebrei stessero conquistando a poco a poco tutte le leve del potere economico, politico e culturale e tenessero in pugno tutta la società cristiana.

La previsione di un economista ostile agli ebrei, che degli ebrei teme l’ascesa inarrestabile, diventa così in Fritsch la confessione di un ebreo circa la volontà di dominio universale di Israele!

In qualunque polemica, ed ancor più nella polemica sulla questione ebraico-talmudica, la serietà e il rigore scientifico (al netto dei possibili errori e fraintendimenti) non debbono mai venir meno, e queste deve valere per tutti.

Leave a comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Recent Posts
Sponsor