LA POSTA IN GIOCO DELLA POLONIA NELL’OLOCAUSTO
Germar Rudolf, 19 agosto 2022
Riproduciamo qui, per gentile concessione dell’autore, la prefazione contenuta nell’opera più recente di Carlo Mattogno Mis-Chronicling Auschwitz (Castle Hill Publishers, Dallastown. Penn., agosto 2022; vedere la recensione del libro in questo numero di “Inconvenient History”). Nel volume, Mattogno esamina uno dei testi più importanti mai pubblicati dall’ortodossia sul famigerato campo di Auschwitz: quello di Danuta Czech, The Auschwitz Chronicle, 1939-1945. Questo corposo volume elenca, tra l’altro, in ordine cronologico tutte le prove ritenute essenziali dal Museo di Stato polacco di Auschwitz per confermare la propria tesi, secondo la quale il governo tedesco del periodo bellico gestiva un campo di sterminio ad Auschwitz. Le versioni cartacee e gli eBook della confutazione dettagliata di Carlo Mattogno sono disponibili presso Armreg Ltd all’indirizzo armreg.co.uk/.
Per capire davvero il contesto del libro The Auschwitz Chronicle di Danuta Czech, dobbiamo comprendere le dinamiche delle relazioni tedesco-polacche degli ultimi 200 anni o giù di lì. O meglio, abbiamo bisogno di capire la dinamica degli ultimi 1.500 anni, quindi lasciate che vi conduca indietro nel tempo. In realtà, molto indietro nel tempo.
Grazie alla moderna tecnica di sequenziamento genico è stato recentemente scoperto che intorno al 5000 a.C. ci fu una grande invasione dell’Europa proveniente dall’Asia, che portò con sé un ceppo di peste fino ad allora sconosciuto in Europa. Prive di difese immunitarie contro quel morbo, in vaste aree dell’Europa la maggior parte delle popolazioni indigene del tempo sembrava essere stata spazzata via e sostituita dai conquistatori asiatici. Perciò, quelli che oggi chiamiamo “Europei” sono invece prevalentemente discendenti di questi invasori asiatici. Dico questo per chiarire che l’Europa non è mai stata la patria eterna di questo o quel gruppo etnico di popoli.
A rigor di termini, si potrebbe andare ancora più indietro nel tempo e insistere sul fatto che l’Europa è stata popolata per la prima volta dagli uomini di Neanderthal, che sono stati successivamente sostituiti dagli Umani Moderni (mi rifiuto di chiamarli Homo Sapiens, perché c’è poca saggezza nella nostra razza…), mentre in una certa misura, entrambi i gruppi si sono incrociati. Lo sappiamo perché, ancora una volta, le moderne tecnologie di sequenziamento genico ci hanno fatto capire cosa distingue il DNA dell’uomo di Neanderthal dal DNA umano moderno, e vediamo sequenze di DNA dei Neanderthal incorporate nel DNA dei moderni Europei (e degli asiatici). A prescindere dalle dinamiche che hanno sostituito la maggior parte degli uomini di Neanderthal con gli esseri umani moderni – malattie, guerre, maggiore successo riproduttivo – resta il fatto che gli abitanti umani originali dell’Europa – i Neanderthal – sono stati sostituiti con gli esseri umani moderni.
Illustrazione 1: Mappa dell’Europa centrale intorno al 50 d.C. che mostra le aree di insediamento approssimative di diverse tribù germaniche.
Ciò significa che le complete sostituzioni di popolazioni ricorrono regolarmente nella storia dell’umanità in generale, e dell’Europa in particolare. Il termine “indigeno” è quindi relativo. A parte alcune aree dell’Africa dove evidentemente gli esseri umani si sono evoluti, gli esseri umani sono in realtà, ovunque, una specie invasiva, non “indigena”. Vista da questa prospettiva, la sostituzione del primo gruppo di popoli “indigeni” dell’America da parte degli invasori europei attraverso malattie, guerre e un maggiore successo riproduttivo, a partire dal XVII secolo, è solo un ulteriore capitolo nella lunga sequenza di eventi simili nella storia del genere umano.
La storia moderna dell’area geografica che oggi chiamiamo Polonia e Germania, non fa eccezione a questa regola. Non essendo segnati da alcun tipo di confine naturale, in quella regione i “confini” etnici, politici e culturali si sono sempre spostati avanti e indietro.
Secondo le testimonianze storiche, il primo evento degno di nota fu il cosiddetto Periodo Migratorio che iniziò nel IV secolo d.C. e durò fino al VI secolo, innescato in una certa misura dalla pressione esercitata dagli Unni che invadevano l’Europa da est, ma anche dal declino dell’Impero Romano, che iniziò a stringere alleanze con i signori della guerra germanici nel tentativo di stabilizzare la parte occidentale dell’Impero. Senza entrare nei dettagli, si può dire con sicurezza che le precedenti ipotesi di una “migrazione di popoli”, in cui intere tribù germaniche si sarebbero messe in viaggio verso ovest e verso sud, provocando il crollo dell’Impero Romano, non sono più considerate vere. È molto più probabile che la maggior parte delle tribù germaniche sia rimasta dov’era, che alcuni gruppi abbiano deciso di emigrare verso i pascoli più verdi dell’Impero Romano e che alcuni signori della guerra germanici abbiano approfittato della debolezza dell’Impero romano per muovere guerra a Roma, o per stringere alleanze con Roma al fine di ottenere il controllo e il potere con il consenso di Roma. In ogni caso, la maggior parte dei membri dei popoli germanici che vivevano nell’Europa centrale era ancora lì al termine di questo periodo di migrazione.
La mappa della pagina precedente mostra le aree di insediamento di diverse tribù germaniche intorno al 50 d.C. Vediamo che i Vandali risiedevano normalmente in quella che oggi è la Polonia centrale, mentre si pensa che i Gutoni si siano stabiliti nell’area in seguito chiamata Pomerania orientale, Prussia occidentale e orientale. La Germania centrale – l’odierna Pomerania occidentale, Meclemburgo, Brandeburgo, Sassonia e Turingia – era la patria di un certo numero di tribù germaniche imparentate.
Dopo il crollo dell’Impero Romano e la fine del Periodo Migratorio, si succedono alcuni secoli con poche testimonianze scritte su ciò che stava accadendo nell’Europa centrale. Allorché Carlo Magno conquistò dei territori di quella che è l’odierna Germania occidentale (principalmente la Sassonia), la mappa era cambiata. Quando l’effimero impero franco di Carlo Magno si disintegrò, emersero i precursori delle odierne Germania e Francia, con la Germania limitata a un’area che coincideva all’incirca con quelle che sarebbero diventate l’Austria e la Germania Ovest dopo la Seconda guerra mondiale. Dal punto di vista linguistico, gran parte dei popoli che vivevano in quelle che oggi sono la Germania Est e la Polonia non erano più germanici bensì slavi, anche se non erano organizzati in alcun modo come unità politiche indipendenti, se mai lo fossero stati. Nel giro di uno o due secoli, i territori situati tra i fiumi Elba e Oder, che erano già tributari durante l’Impero franco, furono successivamente incorporati in quello che fu il precursore della Germania. La Polonia comparve sulla scena politica alla fine del X secolo, ed è qui che inizia la storia delle relazioni tedesco-polacche. Non discuterò qui dei tanti piccoli conflitti tra i vari duchi, re e imperatori di entrambe le nazioni, poiché hanno avuto scarso impatto sul popolo. Lasciate che vi spieghi perché.
A quei tempi, il governo politico aveva poco o nulla a che fare con le comunanze etniche. In altre parole, i governanti si aspettavano che i loro sudditi pagassero le tasse e prestassero servizio militare in un esercito, se richiesto, ma nessuno interferì mai con le lingue parlate dalle persone o le tradizioni culturali che seguivano. Le associazioni religiose erano importanti – le persone venivano convertite al cristianesimo con il fuoco e la spada, se necessario – ma poiché non esisteva né un sistema di istruzione centralizzato né alcun tipo di amministrazione pubblica strutturata, la lingua non aveva semplicemente alcun ruolo. La Chiesa parlò latino per molti secoli, e nella maggior parte dei Paesi europei qualsiasi tipo di attività governativa ufficiale si svolgeva anche in quell’antica lingua franca. Quindi, il fatto che una persona parlasse sorabo (una lingua slava occidentale) o sassone (un dialetto della Germania settentrionale) non faceva differenza per nessun funzionario. L’idea di nazionalità, etnia e lingua divenne importante per i governanti europei solo durante e dopo le guerre napoleoniche, quando la nobiltà europea ebbe bisogno di ottenere il sostegno popolare di massa per le sue guerre contro la Francia unificata e nazionalizzata.
Ora torniamo alle relazioni polacco-tedesche. Due decisioni di alcuni membri della nobiltà polacca hanno avuto un grande impatto su quel rapporto. La prima fu la decisione della dinastia polacca dei Piasti di Slesia verso la fine del XII secolo e per tutto il XIII secolo, di invitare i coloni nella loro regione, che era prevalentemente costituita da lande disabitate e boscose. Parecchi coloni tedeschi risposero a questa chiamata, molti di loro provenivano dalla Franconia (l’odierna Baviera settentrionale); tra loro anche i miei antenati paterni (ancora oggi, il cognome Rudolf (con la F) è più diffuso proprio in Franconia). Si stabilirono in una zona la cui città principale prende il nome dai coloni: Frankenstein (sì, quello famigerato, ma non ha un castello). Nel giro di due secoli, la popolazione della Slesia decuplicò, in parte a causa dell’immigrazione, in parte a causa del successo economico e quindi anche riproduttivo dei nuovi coloni. Nel XIV secolo, la Slesia era dominata dai nuovi coloni. Si trasformò: da area polacca scarsamente popolata divenne una regione tedesca densamente popolata. Questo sviluppo fu suggellato con il Trattato di Trenčin del 1335, con il quale l’imperatore del Sacro Romano Impero (che era eletto tra e dai re tedeschi) rinunciava a tutti i diritti sul territorio polacco, mentre il re polacco rinunciava a tutti i diritti sulla Slesia “per l’eternità”. Successivamente, la maggor parte del confine tra la Slesia tedesca e la Polonia divenne uno dei confini più stabili d’Europa per molti secoli.
La seconda decisione fu presa nel 1226 dal duca dei Piasti Corrado I di Masovia, quando chiese aiuto all’Ordine Teutonico nel suo tentativo di conquistare le tribù prussiane pagane di lingua baltica che vivevano in quella che sarebbe poi diventata la Prussia occidentale e orientale (vedere Illustrazione 2). Avevano resistito per molti anni alla cristianizzazione e alla conquista da parte del duca polacco. L’Ordine Teutonico, che era stato formato per condurre le famigerate crociate in “Terra Santa”, aveva già il controllo delle regioni appena ad ovest del territorio prussiano. I cavalieri liquidarono in quattro e quattr’otto la questione relativa ai Prussiani, conquistandoli e battezzandoli in rapida successione con il fuoco e la spada, espandendo in seguito il raggio d’azione fino al Golfo di Finlandia, conquistando così quelle che sarebbero poi diventate Lituania, Lettonia ed Estonia.
Illustrazione 2: Aree di insediamento di varie tribù prussiane nel XIII secolo in quella che sarebbe poi diventata la Prussia occidentale e orientale.
Il dominio dei Cavalieri Teutonici in questa parte d’Europa terminò, quando furono sconfitti in un’importante battaglia contro un esercito misto polacco-lituano nel 1410, e poi di nuovo circa 40 anni dopo, dopo di che l’Ordine Teutonico poté mantenere il controllo solo sulla Prussia orientale, ad eccezione di un piccola striscia di terra in mezzo ad essa, che era controllato dalla Polonia (la Varmia). Ormai, il controllo del Sacro Romano Impero (vale a dire: principalmente tedesco) sulla maggior parte dell’Europa stava diminuendo, mentre la Polonia divenne una grande potenza in Europa. Tuttavia, quest’epoca terminò alla fine del XVIII secolo, quando la mancanza di una solida guida fece dello stato polacco una vittima dei suoi vicini, che, tra il 1772 e il 1795, se lo spartirono nelle cosiddette spartizioni della Polonia.
Ancora una volta, devo sottolineare che nessuno di questi regni aristocratici, militari o nobiliari su una certa regione o popolo ha avuto una grande influenza sul modo in cui le persone organizzavano la propria vita, su quali tradizioni culturali seguivano e su quali lingue parlavano. I cambiamenti nelle lingue parlate sono stati principalmente motivati dal successo riproduttivo e dagli sviluppi economici. Se la gente viveva in una regione in cui essere in grado di parlare tedesco, polacco o lituano costituiva un vantaggio ai fini del successo economico, allora era ciò che facevano le persone.
Tutto cambiò quando gli eserciti di Napoleone dilagarono in Europa. Napoleone ristabilì uno stato polacco, dopo aver sconfitto l’esercito prussiano e invaso la Russia, ma ciò non doveva durare. Con la ritirata di Napoleone dalla Russia e dalla Germania, tutti i territori polacchi assegnati per un breve periodo a uno stato polacco furono ancora una volta inghiottiti dalla Prussia, dalla Russia e dall’Austria. Questa volta, tuttavia, si era risvegliato il nazionalismo tra la nobiltà europea, tra le élite politiche, finanziarie, economiche e intellettuali e, in un modo o nell’altro, tra la gente comune. Entrambe le amministrazioni della Prussia e della Russia introdussero delle politiche, nei loro territori abitati principalmente da polacchi, che esercitavano pressioni affinché diventassero buoni cittadini rispettivamente tedeschi o russi. Con l’unificazione della Germania, nel 1871, s’innescò un’ondata di nazionalismo tedesco, la politica della Germania nei confronti della minoranza polacca si radicalizzò. In Germania, tutte le scuole, comprese quelle situate nelle aree a maggioranza polacca, dovevano insegnare tutte le materie in tedesco (tranne la religione). Il tedesco divenne obbligatorio per tutte le questioni statali in ambito giudiziario, legislativo ed esecutivo. Anche se questa pressione per l’uso del tedesco come lingua non raggiunse mai un livello che potesse essere definito persecutorio, la minoranza polacca non era contenta, per usare un eufemismo. Questo modo “gentile” di forzare l’assimilazione di una minoranza è abbastanza comune tra le nazioni che occupano aree abitate da minoranze. La Francia lo ha fatto in Alsazia, e l’Italia nel Sud Tirolo, per esempio. Per farla breve: l’autodeterminazione è stata negata alla minoranza polacca, e questo si sarebbe ritorto contro i Tedeschi in seguito.
Dopo poco più di 100 anni, alla fine della Prima guerra mondiale, i fatti sarebbero stati messi alla prova. Sebbene la Germania avesse creato uno stato polacco, una “monarchia”, già durante la guerra, concedenndogli i territori etnicamente polacchi un tempo occupati dalla Russia, ma non un centimetro dei territori etnicamente polacchi che la Germania stessa occupava, questa costruzione ebbe vita breve come lo era stata la creazione di Napoleone.
Alla fine del 1918, la Germania accettò le condizioni dell’armistizio come suggerito nel Programma di 14 punti di Woodrow Wilson, che, tra le altre cose, prometteva l’autodeterminazione per i popoli d’Europa – o meglio solo per quelli che erano controllati dagli Imperi centrali. Se queste condizioni fossero state mantenute, la Germania avrebbe avuto poco da temere. Ma non era destino. Non appena la Germania e i suoi alleati ebbero deposto le armi, le altre potenze belligeranti avrebbero dovuto fare lo stesso, ma invece usarono le loro armi per imporre agli Imperi centrali una pace che aveva poco a che vedere con l’autodeterminazione. Al contrario, iniziarono a spartirsi i territori degli Imperi centrali senza mai chiedere alla maggior parte delle popolazioni interessate se erano d’accordo. L’Alsazia-Lorena fu attribuita alla Francia – senza alcun plebiscito (e con la successiva espulsione di circa 100.000 Tedeschi che erano immigrati in quella regione sin dal 1871). I territori di Eupen e Malmedy furono annessi al Belgio – senza alcun plebiscito. L’Alto Adige fu assegnato all’Italia, senza alcun plebiscito (e di fronte alle aggressive politiche di assimilazione di Mussolini, circa 75.000 Tedeschi lasciarono l’area entro il 1943). La Carinzia meridionale fu data a un paese instabile e mai visto prima chiamato Jugoslavia – senza alcun plebiscito. La città di Ödenburg fu assegnata all’Ungheria – senza alcun plebiscito. L’intera regione della Boemia, della Moravia e della Slovacchia fu integrata in un paese instabile e mai visto prima chiamato Cecoslovacchia – senza alcun plebiscito (il che ebbe, in seguito, come risultato la crisi dei Sudeti e, infine, la disintegrazione di quello stato). La maggior parte della Prussia occidentale e la provincia di Posen/Poznan furono attribuite alla Polonia – senza alcun plebiscito (un plebiscito nell’area di Posen/Poznan sarebbe stato forse l’unico che i Tedeschi avrebbero potuto perdere).
Le sole aree in cui si tennero dei plebisciti furono: a) l’area di confine tra Danimarca e Germania – e il suo giusto risultato fu onorato da tutte le parti; e b) alcune aree rivendicate dalla nuova Repubblica Polacca: alcune contee orientali della Prussia occidentale, della Prussia orientale meridionale e dell’Alta Slesia. Ma qui, le cose non sono andate come previsto. In particolare nell’Alta Slesia, la situazione è sfuggita al controllo. Infatti, non appena la Germania depose le armi, alla fine della Prima guerra mondiale, le unità paramilitari polacche presero le armi nel tentativo di conquistare la regione di Posen e l’Alta Slesia, un bottino di guerra molto ambito a causa delle sue ricche miniere di carbone e industrie metallurgiche. Il nuovo governo polacco era ben determinato a mettere le mani su questa zona, e fece di tutto per costringere la popolazione locale a votare per la Polonia nell’imminente plebiscito, che si tenne solo nel marzo 1921, quindi a più di due anni dalla fine della guerra. Questa campagna per ottenere il controllo includeva “insurrezioni” armate di unità paramilitari polacche guidate da Wojciech Korfanty e rifornite di armi dal governo polacco, il che significa che la parte polacca cercò di forzare una separazione di queste aree dalla Germania conducendo una guerra aperta contro la popolazione locale, avendo come risultato qualcosa di molto simile a una guerra non dichiarata tra le forze paramilitari delle due nazioni. Quando il plebiscito fu vinto dalla Germania nell’Alta Slesia (solo poche contee nell’estremo sud-est contavano una maggioranza polacca) i Polacchi temendo di non riuscire ad ottenere il controllo delle aree che volevano, organizzarono un’altra “insurrezione”. Alla fine, per calmare i Polacchi, le aree con le più importanti miniere di carbone furono cedute alla Polonia, sebbene anche alcune di queste avessero votato per la Germania.
Illustrazione 3: Se gli abitanti delle aree sottoposte a un plebiscito avessero votato secondo la loro lingua principale dichiarata, la Polonia avrebbe ottenuto parti della Prussia orientale meridionale.
La situazione della Prussia orientale e occidentale non era proprio così surriscaldata, dal momento che la maggior parte della Prussia occidentale non avrebbe mai partecipato ad alcun plebiscito, perché la Polonia sosteneva che questa zona era abitata principalmente da Polacchi e perché, in base ai 14 punti di Wilson, era stato promesso alla Polonia l’accesso al Mar Baltico, cosa che avrebbe presumibilmente richiesto la creazione di un corridoio attraverso il territorio tedesco., a prescindere da cosa ne pensasse la popolazione locale. Inoltre, la Polonia aveva sperato che la popolazione delle aree della Prussia occidentale e della Prussia orientale meridionale (Masuria) avrebbe votato per la Polonia, poiché erano abitate in misura considerevole da persone di lingua madre polacca, secondo un censimento tedesco del 1910.
Tuttavia, quando arrivarono le votazioni effettive, dopo il plebiscito del luglio 1920, anche i Tedeschi furono sbalorditi. Ad esempio, gli abitanti della contea di Ortelsburg nel sud della Prussia orientale dei quali , circa il 70% aveva dichiarato come lingua principale il polacco solo dieci anni prima, votarono al 99% per la Germania. La situazione era simile nella Prussia occidentale. Qui, la contea di Marienwerder, la contea più a ovest ad aver mai partecipato a un plebiscito, che aveva una minoranza di lingua polacca autodichiarata del 10% circa, vide il 93,5% di tutti i votanti esprimere il proprio voto per la Germania.
Illustrazione 4: I risultati effettivi del plebiscito indicano che la stragrande maggioranza dei Polacchi di madrelingua preferiva ancora vivere in Germania piuttosto che vedere la propria regione d’origine passare alla Polonia.
Un’eccezione a questa continua lotta tra Germania e Polonia in questi territori era la città di Danzica, che doveva servire come porto di accesso della Polonia al Mar Baltico. Questa città, che era stata dominata dai Tedeschi per secoli – indipendentemente da chi fosse al potere – nel 1910 aveva una minoranza di madrelingua polacca del 2% soltanto. Se si fosse votato lì, il risultato avrebbe potuto facilmente dare il 99,9% dei voti a favore della Germania. In tali circostanze, la Società delle Nazioni decise di separare la città con ampie aree circostanti dalla Germania, ma invece di darla alla Polonia, fu posta sotto l’amministrazione della Società delle Nazioni, che, tanto per incominciare, non ebbe mai alcun potere reale. Questa situazione impossibile sarebbe diventata il punto focale che avrebbe innescato la Seconda guerra mondiale vent’anni dopo.
La seconda Repubblica Polacca degli anni tra le due guerre fu una dittatura, mai seriamente interessata a tenere dei plebisciti. Aveva accettato la decisione delle potenze occidentali a questo riguardo solo controvoglia. Dove mancavano questi vincoli di politica di potere internazionale, mostrò il suo vero volto: in concomitanza con i plebisciti ai suoi confini occidentali, la Polonia iniziò una massiccia guerra di conquista sul suo confine orientale invadendo la neonata Unione Sovietica, allora ancora invischiata in una massiccia guerra civile. La Polonia “ebbe fortuna”, perché, all’epoca, l’Unione Sovietica era debole, così alla fine, ampie aree di territori bielorussi e ucraini, abitate solo da una minoranza polacca in genere debole, furono sottratte all’Unione Sovietica e integrate nella Polonia del periodo compreso tra le due guerre, senza che vi si tenesse mai alcun plebiscito. Inutile dire che i Polacchi non si fecero degli amici a Mosca, con questa mossa, che in seguito si ritorse contro di loro quando Stalin e Hitler si accordarono per dividere nuovamente la Polonia nel 1939.
Non appena i suoi confini furono teoricamente consolidati, la Polonia iniziò la missione di trasformare il suo nuovo territorio in un paese etnicamente monolitico. Qualsiasi lituano, bielorusso, tedesco, ebreo o ucraino che non fosse d’accordo con l’assimilazione e con l’essere un buon Polacco cattolico sentiva la pressione aumentare. L’obiettivo dichiarato era quello di cacciare chiunque non volesse assimilarsi. L’obiettivo finale era quello di minare qualsiasi potenziale rivendicazione futura di qualsiasi paese vicino per una revisione dei confini, che poteva essere rafforzata dal fatto che i cittadini stranieri vivevano in aree precedentemente controllate da quel paese. La situazione era quindi particolarmente grave per i Tedeschi residenti in regioni un tempo tedesche, in particolare nella Prussia occidentale. Si moltiplicavano le misure legali ed extra-legali della società polacca per alienarli al punto che l’unica opzione ragionevole era l’emigrazione in Germania. Già nel 1921 ci furono alcune rivolte contro i Tedeschi e alla fine di quell’anno quasi il 50% dei residenti di lingua tedesca in Polonia aveva lasciato il paese e si era trasferito in Germania. Come ha detto lo storico americano Richard Blanke:[1]
“Sotto molti aspetti, il trattamento della Polonia nei confronti della minoranza tedesca [inizialmente] assomigliava alla politica prussiana polacca prima del 1918: molestie alle organizzazioni politiche e alla stampa delle minoranze, indebolimento delle scuole delle minoranze, attacchi alla proprietà terriera della minoranza e discriminazione economica da parte dello stato”.
Nel frattempo, la politica estera polacca cercò molte volte senza successo di convincere la Francia a unirsi a loro in una guerra “preventiva” contro la Germania, cercando di ottenere dal Paese vicino ulteriori territori, fino ai fiumi Oder e Neisse. La posizione minacciosa della Polonia aumentò quando morì il leader polacco, il maresciallo Józef Piłsudski, nel 1935 e fu sostituito da politici più aggressivi. Il punto culminante fu raggiunto dopo che la Gran Bretagna diede il suo famigerato assegno in bianco alla Polonia alla fine del mese di marzo 1939, promettendo di combattere al fianco della Polonia in “qualsiasi azione che minacciasse chiaramente l’indipendenza polacca”, anche se si trattava di un’aggressione polacca contro la Germania che portava a un conflitto tra le due nazioni. I media polacchi suscitarono successivamente un’isteria anti-tedesca in Polonia che portò a un’escalation di attacchi contro la popolazione di etnia tedesca e le sue istituzioni, sfociando, nell’estate del 1939, in un esodo di massa dalla Polonia di molti dei Tedeschi rimasti. I discorsi su una guerra rapida contro la Germania, accompagnata da minacce contro la minoranza tedesca in Polonia, erano dilaganti nei media polacchi. A tutti i tentativi di negoziato da parte della Germania i Polacchi fecero orecchie da mercante. Quando, infine, scoppiò la guerra, le unità tedesche che avanzavano in Polonia scoprirono che in molti casi i membri della minoranza tedesca erano stati uccisi dalla folla polacca durante quello che può essere descritto solo come un pogrom in tutto il Paese. Il più importante di questi fu il cosiddetto Bromberg Bloody Sunday.
Ciò che ho riportato finora sono informazioni che si possono ricavare da fonti comuni accessibili a tutti. Anche una ricerca su Wikipedia confermerà ciò che ho scritto qui. Non sono scritti polemici. Tuttavia, quando si tratta di eventi risalenti all’occupazione tedesca della Polonia, le opinioni divergono. Un fatto è certo: nemmeno la Germania nazionalsocialista si preoccupava dei plebisciti, se poteva aggirarli con la forza. Questo atteggiamento fu palese, quando i Tedeschi occuparono la la regione Ceca all’inizio del 1939, e lo dimostrarono di nuovo in Polonia. Mentre la Germania di Hitler, in tempo di pace, aveva avanzato diverse proposte per ottenere dei plebisciti nel Corridoio, una volta che i Tedeschi governarono la regione a partire dal settembre 1939, non si preoccuparono mai di chiedere a nessuno se il loro governo fosse bene accetto. Inoltre, la Germania annesse dei territori a sud della Prussia orientale che non erano mai stati abitati da un numero significativo di popolazioni di etnia tedesca. In seguito, le politiche attuate nei territori “recuperati” e in quelli appena conquistati furono concepite per invertire e sostituire i risultati della politica polacca di pressione etnica condotta tra le due guerre, volta a liberare l’area dai Tedeschi. Questa volta, i Polacchi furono reinsediati fuori da queste aree e, oltre ai nuovi residenti vi si stabilirono nuovamente i Tedeschi che vi avevano già risieduto. Questo è incontestato.
Ciò che è contestato è il numero di civili polacchi periti durante la guerra. Le fonti convenzionali ripetono pappagallescamente l’affermazione polacca secondo cui sono morti sei milioni di persone. Sì, avete letto bene. Il numero delle vittime è lo stesso di quello sostenuto per gli ebrei vittime della Germania nazionalsocialista, le sue basi sono altrettanto traballanti e viene usato esattamente allo stesso modo per giustificare le rivendicazioni contro la Germania e per instillare un eterno senso di colpa e pentimento nei Tedeschi. Qui, gli interessi e i programmi polacchi ed ebraici nella storiografia coincidono.
Ci sono due problemi con il numero delle vittime. Il primo è che si dice che gli ebrei residenti in Polonia costituissero la metà di queste vittime. Non discuterò qui delle fondamenta traballanti di tale affermazione. L’altra metà si basa sull’affermazione che la Polonia nei suoi confini attuali ha perso tre milioni di persone rispetto alla popolazione che vi risiedeva prima della guerra. Il problema è che vaste aree di quella che è l’odierna Polonia non erano polacche e furono colonizzate dai Polacchi solo alla fine della guerra. Si trattava di province tedesche abitate quasi esclusivamente da tedeschi, che fuggirono o furono espulsi da queste terre alla fine della guerra o poco dopo (Prussia orientale, Pomerania orientale e Slesia), molti dei quali morirono in questi frangenti. Non si tratta di vittime polacche della guerra, ma di vittime tedesche della pulizia etnica polacca.[2]
Il che ci porta all’immediato dopoguerra. Durante la Conferenza di Potsdam, nell’estate del 1945, i vincitori alleati elaborarono un accordo di base su cosa fare della Germania. In primo luogo, la Germania è stata definita come Paese entro i confini del 31 dicembre 1937, quindi prima delle conquiste territoriali che ha ottenuto dopo quella data (Austria, Sudeti, regione di Memel). Poi, nella Sezione XII. dell’Accordo della Conferenza sul “Trasferimento ordinato delle popolazioni tedesche”, leggiamo:
“I tre governi, dopo aver considerato la questione sotto tutti i suoi aspetti, riconoscono che dovrà essere intrapreso il trasferimento in Germania delle popolazioni tedesche, o di elementi di esse, rimaste in Polonia, Cecoslovacchia e Ungheria,. Concordano sul fatto che qualsiasi trasferimento dovrebbe essere effettuato in modo ordinato e umano”.
Tenete presente che le popolazioni tedesche “rimaste in Polonia” dovevano essere trasferite, che la Germania era stata definita entro i confini del 31 dicembre 1937 e che le aree di quella stessa Germania ad est della cosiddetta Linea Oder-Neisse erano poste solo “sotto l’amministrazione dello Stato polacco” (punto VIII.B. dell’Accordo), ma “concludendo la determinazione finale della frontiera occidentale della Polonia” non facevano – ancora – parte della Polonia vera e propria. Quindi, a rigor di termini, se preso alla lettera, questo accordo NON implicava che la popolazione tedesca che viveva all’interno della Germania del 1937 ma ad est della linea Oder-Neisse dovesse essere espulsa. Ma questo è esattamente ciò che è stato fatto in seguito. Mio padre e la sua famiglia furono espulsi dalla loro casa centenaria, situata nella contea di Frankenstein, nel 1946, insieme a milioni di altri Tedeschi della Slesia – ricordate il Trattato di Trentschin: la Polonia rinunciò a tutte le pretese sulla Slesia “per l’eternità” – della Pomerania orientale, della Prussia occidentale e orientale (anche se la stragrande maggioranza dei Tedeschi era già stata evacuata dalla Prussia orientale alla fine della guerra).
Rispetto al bestiale massacro perpetrato contro le popolazioni di etnia tedesca nella Repubblica Ceca e in Slovenia alla fine della guerra, che costò la vita a centinaia di migliaia di Tedeschi, la pulizia etnica in atto nelle province della Germania orientale fu relativamente “umana” – se una pulizia etnica può mai essere umana, e considerando il fatto che milioni di persone furono espulse con poco più di quello che potevano portare con sè, verso le regioni più occidentali della Germania, che erano devastate, in totale rovina, affamate e colpite da epidemie. Molti morirono di sfinimento e di fame semplicemente perché, date le circostanze, un viaggio sicuro era impossibile.
Quei Tedeschi che decisero di rimanere – o il milione circa di Tedeschi dell’area industriale dell’Alta Slesia, che furono trattenuti perché la loro esperienza nella gestione delle fabbriche era necessaria alla Polonia – dovettero assimilarsi rapidamente o subire un duro trattamento da parte dei loro nuovi padroni polacchi. Infatti, i campi precedentemente istituiti dai nazionalsocialisti per incarcerare criminali, dissidenti, minoranze perseguitate e prigionieri di guerra, furono occupati dai nuovi padroni polacchi e utilizzati per incarcerare i Tedeschi non disposti a piegarsi alla volontà dei loro nuovi padroni. John Sack ha giustamente riportato nel suo libro Occhio per occhio la situazione di questi campi di sterminio polacchi, dove morirono migliaia di Tedeschi. Chiunque parlasse tedesco in quella che i nuovi residenti polacchi consideravano la loro nuova patria correva il rischio di essere derubato, stuprato, assassinato o gettato in prigione. L’ebreo tedesco e sopravvissuto all’Olocausto Josef G. Burg ha raccontato ciò che ha vissuto nella devastata capitale della Slesia, Breslavia, all’inizio del 1946, mentre vi transitava, diretto verso un campo di sfollati vicino a Monaco:[3]
“La città è stata orribilmente distrutta. […] L’odio ora non era solo predicato, ma anche praticato. Le notti erano inquietanti. Ancora e ancora, abbiamo sentito spari e persone che gridavano aiuto. Furti, rapine e omicidi erano all’ordine del giorno. La maggior parte delle volte, quando le persone chiedevano informazioni in merito, veniva detto loro: “Era solo un Tedesco ad essere fucilato! E a nessuno importava. […]
Sono andato a fare una passeggiata con la mia famiglia e alcuni conoscenti nei vicoli della città in rovina. Era il mese di gennaio del 1946, e naturalmente stavamo parlando in yiddish. All’improvviso alcuni bambini seminudi si precipitarono fuori da una buca del terreno e corsero attraverso la neve bagnata verso di noi. Piangendo, ci chiesero qualcosa da mangiare.
In un primo momento indietreggiai. Ma poi capii subito, perché i bambini parlavano tedesco. La guerra li aveva risparmiati, e come animali si erano nascosti nelle caverne, dove ora conducevano una vita indescrivibile. Pensavano che il nostro yiddish fosse tedesco. Pensavano di essere tedeschi.
Ma prima che potessi reagire, uno dei miei compagni diede un calcio brutale a uno dei bambini, cosicché la bambina – che poteva avere sei anni –cadde a terra. Mia moglie, che sostanzialmente non condivideva le mie opinioni, intervenne […]. Mentre mia moglie si occupava dei bambini, entrai nella panetteria più vicina e comprai un sacchetto pieno di panini da portare ai bambini mezzi morti di fame”.
Nel dopoguerra la Polonia era in preda alla pulizia etnica del proprio territorio e anche dei territori tedeschi orientali appena conquistati, sottratti a milioni di persone di etnia tedesca. I pogrom che erano iniziati all’inizio della Seconda guerra mondiale divennero una caratteristica costante della vita quotidiana dei Tedeschi che, nei primi anni, vissero sotto il dominio polacco. Chiunque fosse tedesco e fosse rimasto, doveva biasimare solo se stesso. Coloro che sapevano parlare polacco, potevano mimetizzarsi. Coloro che non potevano o insistevano per parlare tedesco dovevano aspettarsi il peggio. Anche se, per quanto ne so, parlare tedesco nella Polonia del dopoguerra non è mai stato ufficialmente vietato, parlare tedesco ha sicuramente portato a dure reazioni tra i nuovi padroni polacchi. Hanno fatto di tutto per spazzare via tutto ciò che ricordava loro la secolare storia tedesca dei territori appena conquistati. Sono stati distrutti monumenti; rimosse lapidi o iscrizioni tedesche cesellate; gli archivi e tutti i tipi di documenti dei tribunali, dei centri amministrativi comunali e regionali, delle chiese, dei media, delle aziende, ecc. sono stati chiusi negli scantinati o semplicemente gettati via o bruciati. Tutto ciò accadde sotto il mendace slogan che questi vecchi territori polacchi erano stati finalmente recuperati dopo secoli di oppressione tedesca…
In altre parole, come quasi tutte le nazioni vittoriose sulla Germania, la Polonia fu coinvolta in nella frenesia genocida anti-tedesca del dopoguerra. Qualsiasi accusa di atrocità tedesche alimentò quel fuoco e fu accolta con favore dal nuovo sistema che cercava qualsiasi scusa per incolpare i Tedeschi di qualsiasi cosa, in modo da avere una “giustificazione” per la sua politica di pulizia etnica. Alla fine della giornata, tuttavia, i nuovi padroni polacchi erano ben consapevoli degli efferati crimini che stavano commettendo. Mai prima d’ora nella storia documentata era avvenuta una tale rapina di territori in concomitanza con una pulizia etnica su così larga e di tale portata. Come potrebbe una persona di buon senso pensare di poterla fare franca?
Se è vero che l’occupazione tedesca della Polonia durante la guerra ha causato vittime e molti danni, ciò non giustifica la trasformazione dei Tedeschi in vittime dopo la guerra. Due torti non fanno una ragione.
I governi della Germania Ovest dei primi due decenni successivi alla guerra la vedevano certamente in questo modo, e insistevano sul fatto che la Polonia non doveva passarla liscia per questa rapina. Infatti, ad eccezione del partito comunista, tutti i partiti politici della Germania Ovest, dalla socialista SPD alla conservatrice CDU, hanno insistito, durante le prime campagne elettorali nazionali della Germania Ovest, sul fatto che quei territori tedeschi derubati dovevano essere recuperati. Almeno questo è quello che hanno detto ai loro elettori. In quegli anni, un buon 15% di loro erano cittadini tedeschi espulsi dalla Germania dell’Est e dall’Europa dell’Est. Ma considerando che il mondo era bloccato in una Guerra Fredda con entrambe le parti armate fino ai denti con armi nucleari, con la Germania evirata e divisa proprio nel mezzo di questo confronto mondiale, non c’è mai stata una possibilità realistica che qualcosa venisse restituito a qualsiasi parte della Germania.[4] Ma è facile parlare col senno di poi. A quei tempi, le persone non potevano (o non volevano) semplicemente immaginare che un’ingiustizia così grande potesse mai essere accettata.
I Polacchi, per quanto estremamente nazionalisti fossero allora, non potevano certo immaginare che i Tedeschi avrebbero mai accettato questo tipo di trattamento. Nessun Polacco avrebbe mai acconsentito a un simile trattamento della propria nazione, quindi perché avrebbe dovuto farlo un Tedesco?
La Polonia oggi (contorno rosso): circa il 50% del suo territorio attuale è stato annesso, dopo essere stato sottratto alla Germania dopo le due guerre mondiali: Giallo: territorio trasferito alla Polonia e alla Lituania (Territorio di Memel, nel nord-est) dopo la prima guerra mondiale dal Trattato di Versailles; arancione: “Città Libera” di Danzica, tedesca al 95%, staccata dalla Germania e posta sotto il controllo della Società delle Nazioni. Verde e arancione: territori annessi dalla Polonia dopo la Seconda guerra mondiale. Rosa: territorio annesso dall’Unione Sovietica dopo la Seconda guerra mondiale. La giustizia formale richiederebbe la restituzione di tutti i territori verdi, rosa e arancioni, più alcuni di quelli gialli (Memel, Prussia occidentale, che collega la Prussia orientale al Reich). Tuttavia, tale giustizia formale non poteva essere la base di alcuna pace. L’eterna inimicizia tra Germania e Polonia è esattamente ciò che l’Unione Sovietica voleva seminare con questa tragedia. Oggi, poiché a tutti è permesso vivere dove vogliono nell’Unione Europea, non c’è praticamente più alcun confine tra Germania e Polonia. Quindi, se i Tedeschi vogliono tornare, possono farlo. Inoltre, le popolazioni di entrambi i Paesi stanno vivendo un collasso demografico, perciò le popolazioni e i territori non sono davvero all’ordine del giorno di nessuno nell’Europa moderna. Ma tra gli anni ’40 e ’80, stroncare sul nascere ogni possibile futura rivendicazione territoriale tedesca era una delle principali preoccupazioni polacche, e fu affrontata con la propaganda delle atrocità. (Vedere online la versione a colori.)
I Tedeschi alla fine acconsentirono, ed ecco come avvenne:
Nel clima tossico e violentemente anti-tedesco esistente in Polonia nell’immediato dopoguerra, il nuovo regime polacco-stalinista tenne processi contro molti Tedeschi accusati di ogni tipo di crimini di guerra. Date tutte le circostanze, questi processi non potevano essere altro che processi farsa stalinisti. I verdetti di colpevolezza erano praticamente inevitabili, indipendentemente dalle accuse. La magistratura della Germania Ovest era ben consapevole della natura inaffidabile delle conclusioni di questi tribunali stalinisti, così, inizialmente, nessun tribunale o procura della Germania Ovest chiese aiuto alle istituzioni di un Paese comunista per le indagini penali della Germania Ovest contro i Tedeschi accusati di aver commesso atrocità durante l’era nazionalsocialista. La situazione cambiò, tuttavia, nel 1958, quando il Comitato Internazionale di Auschwitz fece pressioni per aprire un’indagine penale contro Wilhelm Boger, un ex impiegato del Dipartimento Politico del Campo di Concentramento di Auschwitz. Il Comitato Internazionale di Auschwitz era un’organizzazione di propaganda comunista polacca fondata nel 1952 con sede a Cracovia, ma poiché all’epoca non molti in Occidente prendevano sul serio qualsiasi cosa provenisse da un’organizzazione comunista polacca, istituirono un Segretariato Generale a Vienna, nella neutrale Austria. (Significativamente, la sua sede è ora a Berlino.) Da Vienna, il comunista e sopravvissuto ad Auschwitz Hermann Langbein guidò una campagna lanciata nel 1958 per avviare un importante processo nella Germania Ovest contro gli ex membri della guarnigione SS del campo di Auschwitz (vedere Rudolf 2003). Si può dire con certezza che Langbein stava coordinando attentamente questi tentativi con i suoi burattinai di Cracovia e Varsavia.
Una volta che le indagini contro Wilhelm Boger furono ufficialmente aperte nell’agosto del 1958 – e presto si estesero a molti altri imputati – i Polacchi si misero a preparare una serie di documenti di grande importanza: Danuta Czech del Museo polacco di Auschwitz usò i documenti a sua disposizione per scrivere un resoconto giornaliero di ciò che le autorità comuniste polacche volevano far credere al mondo fosse accaduto nel campo di Auschwitz durante la guerra. Doveva creare un resoconto semplificato a sostegno delle conclusioni già “stabilite” dai processi farsa alla fine della guerra, in primo luogo, il processo di Cracovia contro l’ex comandante del campo Rudolf Höss e il processo di Varsavia contro altri membri della guarnigione del campo di Auschwitz. Questo resoconto semplificato è stato pubblicato in polacco e subito dopo anche in una traduzione tedesca. A tale scopo, il Museo di Auschwitz creò un proprio periodico in lingua tedesca chiamato Hefte von Auschwitz (vedere Czech 1959-1962, 1964a&b). Mentre la lingua tedesca era, di fatto, se non legalmente, bandita in tutte le aree sotto l’influenza polacca, e mentre parlare tedesco in Polonia nell’immediato dopoguerra poteva significare rovina e disastro per il trasgressore, in mezzo a tutta questa frenesia anti-tedesca scopriamo che il governo polacco in collaborazione con uno dei suoi musei pubblica un periodico in lingua tedesca. Come possiamo spiegarlo?
La pistola fumante indica chiaramente che questo progetto mira a influenzare in modo decisivo l’atteso processo di Auschwitz che si terrà presto nella Germania Ovest. E in effetti, leggendo gli atti del processo di Auschwitz, tenutosi a Francoforte, vi si possono trovare riferimenti agli Hefte von Auschwitz della Czech, e sono persino serviti come prova; infatti, la stessa Danuta Czech è comparsa come perito durante quel processo. Ma la cosa più importante è che si può presumere che la documentazione creata dalla Czech sia stata utilizzata per “istruire” i testimoni polacchi prima che si recassero all’ Ovest per testimoniare a Francoforte, assicurandosi che tutti fornissero una storia coerente, in linea con ciò che i funzionari del Museo di Auschwitz avevano ordinato essere “la verità”. Che questa massiccia manipolazione dei testimoni polacchi sia realmente avvenuta è stato rivelato durante il processo stesso, come ho riportato altrove (Rudolf 2019, p. 110).
La strategia che stava alla base era quella di forzare la magistratura della Germania occidentale ad accettare la versione propagandistica stalinista di ciò che accadde ad Auschwitz (e anche altrove durante altri processi successivi), stabilendo che era l’unica narrazione accettabile. Far sì che la magistratura della Germania occidentale confermasse la veridicità delle enormità proferite dagli storici polacchi (con il sostegno o anche solo per volere di molti storici ebrei, a dire il vero) avrebbe posto un gigantesco Marchio di Caino sulla Germania, un’ammissione di colpa di tale assurda enormità, cosicché tutto ciò che è accaduto alla Germania e alla popolazione tedesca alla fine della guerra e in seguito avrebbe potuto essere visto solo come la meritata punizione per crimini insondabili. Era la continuazione della guerra per mezzo della guerra psicologica. Era quella che i tedeschi chiamano “Raubsicherungspolitik” – letteralmente politica di salvaguardia della rapina, una politica progettata per assicurarsi il bottino della più grande rapina della storia di sempre, l’annessione della Germania Est alla Polonia e la pulizia etnica della sua popolazione tedesca.
Ha funzionato. Il processo di Auschwitz, tenutosi a Francoforte, si rivelò uno spartiacque nella storia tedesca. Dopo, seguì un diluvio di processi simili, che continuano ancora oggi contro geriatri vecchi di 100 anni, tutti seguendo lo stesso copione dei processi farsa stalinisti dell’immediato dopoguerra. Ha trasformato quella che un tempo era una fiera nazione tedesca in una nazione di creature senza spina dorsale autoflagellanti che concordano sul fatto che tutto ciò che è stato fatto loro durante e dopo la guerra – bombardamenti a tappeto, omicidi di massa di “forze nemiche disarmate”, deportazioni di massa in Siberia, pulizia etnica, carestie organizzate, smantellamento delle attrezzature industriali, furto dei suoi brevetti – era una giusta punizione per tutti i crimini presumibilmente commessi durante la guerra. In effetti, alcuni Tedeschi che odiano se stessi insistono sul fatto che l’unica espiazione che si addice al crimine dell'”Olocausto” della nazione tedesca è che i Tedeschi scompaiano per sempre dalla faccia della terra: “Germania, hai fatto abbastanza per l’umanità; Ora sparisci!” Di fronte ai (presunti) crimini di Hitler, l’ attuazione di qualsiasi politica volta alla conservazione della popolazione e della cultura autoctona tedesca è generalmente considerata del tutto impensabile. L’odierno crollo demografico della popolazione autoctona tedesca, che cesserà di esistere tra poche generazioni, ne è una logica conseguenza.
Se ci fossero decine di milioni di Polacchi in eccesso, ora potrebbero prendere il controllo del resto della Germania, e la Polonia potrebbe celebrare la sua vittoria finale sul suo vicino occidentale! L’unico problema è che non c’è un surplus di popolazione polacca. Infatti, con la diffusione della loro propaganda stalinista in tempo di guerra, i Polacchi avvelenarono il pozzo per tutte le popolazioni europee del mondo, compresa la loro. Nessuno di loro ha la capacità di attuare una politica di autoconservazione culturale ed etnica, perché chiunque voglia seguire una tale politica, viene chiamato nazista dai suoi oppositori, e questa è la fine… Quindi, la popolazione autoctona della Polonia sta subendo lo stesso crollo demografico della Germania; dell’Italia, della Grecia e della Spagna e, e, e…
Nell’era della pillola anticoncezionale, il collasso della popolazione e della civiltà è la vera grande sfida dell’Europa (e presto anche di altre aree del mondo). Mentre l’Europa è paralizzata dai postumi della propaganda bellica, milioni di immigrati, soprattutto dall’Africa e dal Medio Oriente, stanno lentamente ma inesorabilmente conquistando l’intero continente. Entro un secolo o giù di lì, il resto della popolazione europea attualmente autoctona sarà praticamente completamente sostituita dai nuovi immigrati, con alcuni dei vecchi abitanti che si incrociano con i nuovi arrivati, proprio come è successo ai Neanderthal. La storia dell’Europa si ripete, solo che questa volta, a differenza dei precedenti casi preistorici, conosciamo le ragioni di questo scambio di popolazione.
L’errata cronaca di Auschwitz da parte di Danuta Czech è una delle ragioni principali per cui gli Europei indigeni sono attualmente indifesi contro il collasso delle loro popolazioni, e quindi della loro cultura e forse anche della loro civiltà.
Sono tutte vittime di Danuta Czech. Grazie, Danuta!
In questo libro, Carlo Mattogno dimostra senza ombra di dubbio che la The Auschwitz Chronicle: 1939–1945 di Danuta Czech è esattamente ciò che ci si aspetta quando si conosce il suo ruolo nella storia: un resoconto pieno di molte affermazioni corrette su un campo che è stato un’ingiustizia fin dall’inizio, ma intriso di una grande quantità di menzogne propagandistiche create per servire l’agenda politica qui descritta.
Note finali
[1] | Blanke, Richard, Orphans of Versailles: Germans in Western Poland 1918-1939, Lexington 1993, pp. 64 sgg. |
[2] | Per i detagli si veda Müller, Otward, “Polish Population Losses during World War Two”, “The Revisionist” 1(2) (2003), pp. 151-156. |
[3] | Burg, Josef G., Schuld und Schicksal: Europas Juden zwischen Henkern und Heuchlern, Castle Hill Publishers, Uckfield, 2018, pp. 81f. |
[4] | In realtà, a metà degli anni ’80, quando l’Unione Sovietica era sull’orlo della bancarotta, Mikhail Gorbaciov si offrì di vendere la parte settentrionale della Prussia orientale, che era passata “sotto l’amministrazione sovietica” dopo la guerra, per un miliardo di marchi tedeschi alla Germania Ovest, ma Bonn rifiutò l’offerta. Considerando che questa enclave ora si trova come una spina russa putrescente in mezzo al territorio della NATO e dell’UE, immagino che Berlino la pensi diversamente su questo oggi, ma è improbabile che la Russia ripeta mai quell’offerta… |
Autore
Germar Rudolf è nato il 29 ottobre 1964 in Germania, a Limburg a. d. Lahn. Ha studiato chimica all’Università di Bonn, dove si è laureato nel 1989 come Dimplom-Chemiker, che negli Stati Uniti è paragonabile a un dottorato di ricerca. Dal 1990 al 1993 ha preparato una tesi di dottorato in tedesco presso l’Istituto Max Planck per la ricerca sullo stato solido, in collaborazione con l’Università di Stoccarda. Parallelamente e nel tempo libero, Rudolf ha preparato una perizia sulle questioni chimiche e tecniche delle presunte camere a gas di Auschwitz, The Rudolf Report (ora intitolato The Chemistry of Auschwitz), dove giunge alla conclusione che “le presunte strutture per lo sterminio di massa ad Auschwitz e Birkenau non erano adatte allo scopo come sostenuto”. Di conseguenza, negli anni successivi dovette subire dure misure di persecuzione. Si esiliò quindi in Gran Bretagna, dove fondò la piccola casa editrice revisionista Castle Hill Publishers. Quando, nel 1999, la Germania ne chiese alla Gran Bretagna l’estradizione, Rudolf fuggì negli Stati Uniti. Lì chiese asilo politico, ampliò la sua attività editoriale e nel 2004 sposò una cittadina statunitense. Nel 2005, gli Stati Uniti riconobbero la validità del matrimonio di Rudolf e pochi secondi dopo lo arrestarono e successivamente fu deportato in Germania, dove fu incarcerato per 44 mesi per i suoi scritti accademici. Alcuni degli scritti per i quali fu condannato erano stati pubblicati mentre Rudolf risiedeva negli Stati Uniti, dove le sue attività erano e sono perfettamente legali. Dal momento che non è un criminale secondo la legge degli Stati Uniti, nel 2011 è riuscito a immigrare definitivamente negli Stati Uniti, dove si è riunito alla moglie e alla figlia, cittadine statunitensi. Attualmente risiede nello Stato di New York.
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