Felice Momigliano: La personalità di Gesù nel Talmud

Felice Momigliano 

LA PERSONALITÀ DI GESÙ NEL TALMUD 

 

Felice Momigliano, La personalità di Gesù nel Talmud, «Coenobium». Rivista internazionale di studi liberi, a. IV, N. 6, Novembre-Dicembre 1910, pp. 64-75.

 

Questo scritto di Felice Momigliano (1866-1924) ‒ tra i pochissimi in italiano sull’argomento ‒ riveste un certo interesse almeno per due diversi ordini di motivi.

In primo luogo, Momigliano, libero pensatore, socialista e mazziniano, era un ebreo, ancorché fautore di una sorta di “modernismo ebraico”, cioè di un ebraismo riformato e universalistico, ostile al legalismo tradizionale rabbinico-talmudico, ciò che lo pose in urto con gli ambienti dell’ebraismo istituzionale (i quali, sia detto tra parentesi, avevano tutte le ragioni del mondo, in quanto un ebraismo “riformato” e “universalistico” non è ebraismo).

A dispetto dei penosi tentativi di certa apologetica giudaica che, “per amore della pace”, si affatica a negare o a minimizzare l’anticristianesimo talmudico (ed in ciò si distinguono soprattutto gli ebrei nostrani), Momigliano riconosce apertamente la veridicità delle blasfemie contro Gesù, Maria e i cristiani presenti nel Talmud e nella letteratura rabbinica, e di conseguenza la legittimità delle accuse della Chiesa contro il giudaismo talmudico.

In secondo luogo, Momigliano fornisce alcuni decisivi strumenti ermeneutici per intendere appieno il vero senso dei passi talmudici relativi a Cristo e ai cristiani.

Ancora oggi vi è chi – degno epigono del primo grande mentitore giudeo della storia, il rabbino Yehiel di Parigi ‒ invocando le inverosimiglianze storiche e cronologiche che ricorrono nei testi in questione, sostiene che il Gesù del Talmud non è il Gesù dei cristiani, e che quindi il Talmud non contiene alcunché di ostile al cristianesimo.

Ma come giustamente rileva Momigliano, i rabbini talmudisti non hanno inteso fare opera di storia, ma hanno riadattato liberamente elementi evangelici della vita di Cristo alle proprie esigenze diffamatorie, cioè alle proprie preoccupazioni di presentare il fondatore del cristianesimo come un folle, un mago, un mistificatore, un eretico, apostata ed idolatra, che ha traviato Israele, e che per questo è stato giustiziato. Inoltre Momigliano osserva correttamente che è lo stesso Talmud ad attribuire agli ebrei la responsabilità (e il vanto) dell’esecuzione di Gesù.

Per le sue idee anticlericali, Momigliano fu attaccato duramente dalla stampa cattolica.

Quando Momigliano morì suicida nel 1924, sulla rivista «Vita e pensiero» il padre Agostino Gemelli pubblicò questo spietato necrologio:

«Un ebreo, professore di scuole medie, gran filosofo, grande socialista, Felice Momigliano, è morto suicida. I giornalisti senza spina dorsale hanno scritto necrologi piagnucolosi. Qualcuno ha accennato che era il Rettore dell’Università Mazziniana. Qualche altro ha ricordato che era un positivista in ritardo. Ma se insieme con il Positivismo, il Socialismo, il Libero Pensiero, e con il Momigliano morissero tutti i Giudei che continuano l’opera dei Giudei che hanno crocifisso Nostro Signore, non è vero che al mondo si starebbe meglio?  Sarebbe una liberazione, ancor più completa se, prima di morire, pentiti, chiedessero l’acqua del Battesimo»[1].

Se non altro per lo scritto qui riproposto (con qualche correzione), Felice Momigliano avrebbe meritato un giudizio ispirato ad altri sentimenti di cristiana pietà.

 

FELICE MOMIGLIANO: LA PERSONALITÀ DI GESÙ NEL TALMUD

 

In due numeri di quest’anno la rivista filosofica americana The Monist pubblicava un articolo di Bernardo Pick, che espone molto particolareggiatamente il modo con cui il Talmud considerava la personalità di Gesù. L’autore ha preso occasione, pel suo esame analitico, dalla nuova edizione dell’opera del professore Dalman di Lipsia che in un libro dal titolo Gesù Cristo nel Talmud[2] raccoglie tutti i passi sparsi nel Talmud e nel Midrash concernenti il fondatore del cristianesimo. A questa interessantissima antologia precede un accurato studio del Dott. H. Laible.

L’articolo di The Monist ci pare serio e fondato su buone fonti.

Grave lacuna ad ogni modo e non da sottacere, è quella di non aver accennato alla ricca letteratura sull’argomento e di non aver ricordato il classico lavoro del Mead Did Jesus live 100 b.C.? (London and Benares 1905) dove la leggenda talmudica e rabbinica intorno a Cristo è illustrata largamente e minutamente col sussidio di un’erudizione vastissima ed alla luce di rara genialità coordinatrice.

Siccome l’argomento è oltremodo interessante completerò lo studio del Pick con quello di altre fonti, per tracciare le linee principali della elaborazione leggendaria a cui andò soggetta la personalità del Cristo per opera dei Rabbini, gli zelanti custodi dell’ortodossia.

Com’è noto, Giuseppe Flavio nelle sue Antichità (XVIII, 3,3) accenna a Gesù; ma i critici sono concordi nell’ammettere che questo passaggio è un’interpolazione posteriore.

L’unica fonte ebraica[3] intorno a Cristo, a parte s’intende il Nuovo Testamento e i vangeli apocrifi, è dunque il Talmud.

Nel Talmud non è a stupire che sieno vivi e verdi gli odi contro coloro che hanno tradita l’antica fede.

Il rabbino Tarfon (Shabbath) chiama i Minim (Cristiani) traditori volontari, mentre gli infedeli peccano per ignoranza della retta via.

Una delle ragioni per cui il Talmud fu bruciato a Parigi nel 1242, si deve cercare nella diffamazione contro i Cristiani e i fondatori del Cristianesimo[4].

Nel 1631 un sinodo ebraico a Petvikail in Polonia, deliberava che si cancellassero dal Talmud tutti i passi riguardanti Gesù. Così fu fatto e gli accenni estratti furono conservati soltanto in opuscoli polemici degli stessi ebrei, raccolti nell’opera Toledoth Jeshu (Vita di Gesù) di origine medievale.

I Vangeli parlano delle accuse che gli ortodossi facevano a Cristo attribuendo i suoi miracoli a Beltzbù (Mat. X 25; Marc. 22). Gli apologisti Cristiani del I° secolo, che sono contemporanei all’epoca in cui il Talmud si veniva formando, riferiscono le acri polemiche fra Cristiani ed Ebrei.

Le parti della letteratura rabbinica che più c’interessano per queste ricerche sono: La Mishnà (legge orale), la Toseftà (supplemento alla Mishnà), la Ghemarà (commentario della Mishnà) e Midrashim che comprendono la letteratura omiletica e sono commenti delle varie parti della Bibbia; ma pel nostro studio è utile solo il Midrash-Koelet (Commento dell’Ecclesiaste).

Le tradizioni diffamatorie su Gesù continuano anche dopo la formazione del Talmud e proseguono per tutto il Medio Evo.

È posteriore al Talmud il curioso modo di designare Gesù con un’espressione che voleva dire: Sia cancellato il suo nome e la sua memoria, che era formata da parole ebraiche che avevano per iniziali le lettere di Jeshu: j – jimmach, sh – shemo, v’ – vezichrò. 

Nascita e parentado di Gesù 

     Riguardo alla nascita e al parentado di Gesù, nel Talmud Shabbath 104b discutendosi della proibizione di ogni genere di lavoro nel giorno di sabato, si ricorda che lui (Gesù) si faceva incisioni sulla pelle.

Evidentemente il caso riportato non prova nulla perché lui chiamato Ben Stada (figlio di Stada) è un folle, un reprobo. In questo passo Gesù ricorre anche sotto il nome di Ben Pandera[5]. La ragione di questa designazione non è ben chiarita; probabile che contenga un’intenzione di motteggio e di scherno.

Si fa pure menzione di Maria (Miriam) chiamata magdalà nashaia cioè pettinatrice di donne. In un altro passo del Talmud si sostiene che Gesù è figlio adulterino. La curiosa designazione di magdalà nashaia che contraddice a tutte le testimonianze dei Vangeli, sarebbe derivata dal fatto di avere gli Ebrei confuso assieme Maria di Magdala che visse ai tempi di Cristo e che si convertì alla dottrina di lui, con Maria di Nazaret; di qui Magdalà nashaia che in origine non voleva dire che la donna di Magdala.

Pare che Stada corrisponda a Maria. Il marito legittimo di Stada è detto Paphos figlio di Giuda. Nel Talmud si racconta che questo Paphos cacciò via di casa la sua donna infedele. Ma l’attribuzione di Paphos come marito di Maria è invenzione leggendaria, perché questo Paphos viveva un secolo dopo Cristo. Siccome si sapeva di un Paphos che aveva cacciato la moglie di casa perché infedele, l’elaborazione leggendaria senz’altro fece di Paphos il marito di Maria.

Il grande commentatore talmudico Rasci (m. nel 1105) chiosa il passo del Talmud Gittin 90a in questo verso:

Paphos ben Jehuda era il marito di Maria, la pettinatrice. Quando egli usciva di casa, la chiudeva dentro a chiave, acciocché nessuno potesse parlare con lei. E questo fu un partito poco conveniente, perché per tal ragione corse inimicizia fra i coniugi, ond’essa, per capriccio, ruppe la fede dovuta al marito.

Una leggenda di Maria

Nel Talmud Hagiga 4b leggiamo quanto segue:

Quando Rab Joseph venne a questo versetto: C’è chi è annullato senza essere giudicato (Prov. XIII, 23) egli pianse e disse: C’è veramente chi se ne va prima del tempo?

     L’Angelo della morte era con lui. L’Angelo disse al suo messaggero: Va’ e portami la pettinatrice. Egli gli portò Maria, la maestra dei fanciulli. E l’Angelo disse: Io ti chiesi Maria la pettinatrice. Rispose l’Angelo: Poiché mi hai portata costei rimanga essa nel numero dei defunti.

In questa narrazione noi abbiamo un mostruoso anacronismo. Rab Joseph, qui menzionato, nacque a Stili in Babilonia nell’anno 259 e morì nel 325. Rab Bibi fiorì nel IV secolo. Quest’ultimo non può né aver visto Maria né essere stato suo contemporaneo. Il commentario Talmudico Tosaphoth osserva:

L’Angelo della morte era con lui; egli informò di quanto già era accaduto, perché ciò che si riferiva a Maria la pettinatrice avvenne al tempo del secondo tempio, perché essa era la madre di “quel tal dei tali” (intendi Gesù) come è detto nel trattato Shabbath 104b.

Ma il Talmud dice chiaramente che Maria fu contemporanea di Rab Bibi.

Le note del Tosephoth nel Shabbath 104b cercano inutilmente di rimuovere l’anacronismo coll’asserire che c’erano due pettinatrici chiamate Maria; ma lo sforzo è vano, perché nulla si sa della seconda Maria.

Di più, non bisogna dimenticare che il Talmud, in relazione a Gesù, non ha nessun rispetto della cronologia; quanto più sono tarde le origini delle notizie intorno a Gesù, tanto più sono errate cronologicamente.

Il trattato post-talmudico Secondo Targum sul libro di Ester alloga Gesù fra gli antenati di Haman (il persecutore degli Ebrei in Persia secondo il Libro di Ester) un anacronismo che Levy nel suo dizionario Targumico cerca invano di giustificare.

Di fronte ad un tale inconcepibile errore, che cosa può rilevare l’errore storico riguardante Rab Bibi che si fa vivere nel tempo di Maria?

Di Gesù presunto figlio illegittimo 

È detto nella Mishnà Jebamoth (49a):

Simeone ben Azzai dice: Ho trovato in Gerusalemme un libro di genealogie, ed ivi è scritto che il “tal dei tali” (Gesù) è un ‘mamzer’ (bastardo) di una donna maritata, a conferma delle parole di Rabbi Jehoshuah.

Questo passo è ricavato dalla Mishnà e perciò appartiene al più antico strato del Talmud. Ben Azzai fioriva alla fine del primo e al principio del secondo secolo, e fu amico di Rabbi Akiba che era un accanito oppositore dei Cristiani. Poiché Ben Azzai riportò che egli aveva trovato un libro di genealogia in cui era affermato che il tal dei tali era di nascita spuria, è fuor di dubbio che si riferisce a Gesù.

L’argomento in questione era la definizione di mamzer, un predicato che gli Ebrei troppo volentieri attribuirono a Gesù. Che il passo citato si riferisce a Gesù è tra gli altri ammesso anche dal dotto ebraicista J. Derembourg (in Revue des Études Juives III, 293, N. 3).

Discussione intorno al termine “bastardo” e presunta confessione della madre di Gesù.

Nel trattato Kallah 18b leggiamo quanto segue:

Uno svergognato è un bastardo, secondo Rabbi Eliezer; secondo Rabbi Jeshua un figlio di donna separata dal marito; e secondo Rabbi Akiba, un bastardo e figlio di donna separata dal marito. Un giorno gli Anziani stavano seduti presso la porta della città, e due fanciulli passarono di lì, uno col capo coperto, e l’altro scoperto. Di quello a capo scoperto Rabbi Eliezer disse: Ecco un bastardo! Rabbi Joshua disse: Un figlio nato di una donna separata dal marito. Rabbi Akiba disse: l’uno e l’altro. Allora i primi due gli dissero: Come ha potuto il tuo cuore spingerti all’audacia di contraddire le parole dei tuoi colleghi? Ed egli rispose: Io vi proverò quanto ho detto.

     Si levò e si recò dalla madre del fanciullo, e la trovò al mercato che vendeva legumi. Egli le disse: Figlia mia se tu mi dici la cosa che ti chiedo, io ti procurerò la vita eterna. Ed essa rispose: Giuratemelo! Rabbi Akiba pronunciò il giuramento colle labbra, mentre col cuore lo negava. Allora egli le disse: Dimmi, com’è nato questo tuo figlio? Ed ella rispose: Io mi trassi alla stanza nuziale nel tempo della mia separazione[6], quando mio marito stava lontano da me. Ma il mio paraninfo (vale a dire il migliore amico dello sposo) venne a me, ed io ebbi questo figlio.

     Così fu scoperto che il fanciullo era insieme bastardo e figlio di donna separata dal marito. E i saggi dissero: Grande è Rabbi Akiba, che in questo ha superato i suoi maestri, e soggiunsero: Benedetto il Signore di Israele che ha rivelato questo segreto a Rabbi Akiba ben Joseph.

Pare che anche questo episodio in cui Rabbi Akiba ha una parte così poco edificante si riferisca alla madre di Gesù.

Gesù e il suo maestro

Mentre il Nuovo Testamento non ci dice nulla intorno all’istruzione di Gesù da parte di un rabbino, il Talmud Sanhedrin 107b narra quanto segue:

I nostri Rabbini insegnavano: Sempre la vostra sinistra respinga, e la vostra destra inviti; non già come Elisha che respinse Gehazi con ambe le mani, e non come Rabbi Joshua che respinse Gesù con tutte e due le mani. Che fece Rabbi Joshua? Quando il re Jannai uccise i nostri Rabbini, Joshua e Gesù fuggirono in Egitto ad Alessandria. Quando la pace fu tornata Simone ben Shetach gli scrisse. Egli venne ad un albergo dove gli fecero molto onore. Egli disse: Come è bella questa Ascania. E Gesù disse: Rabbi, l’ostessa ha gli occhi piccoli. Egli rispose: Miserabile, a questo pensi? Egli mandò fuori 400 trombettieri e lo scomunicò.

     E Gesù venne a lui molte volte e gli disse: Ricevimi. Ma egli non faceva mostra di accorgersene. Un giorno Jeshua stava recitando il Shemang [Shema] (Ascolta, o Israele). Gesù gli compare dinanzi. Joshua, avendo in animo di riceverlo, gli fa un cenno. Gesù credette di essere respinto e se ne andò, eresse un idolo di argilla e lo adorò. Joshua gli disse: Così ho imparato da te che chiunque cade in peccato e induce la moltitudine al peccato non ha più adito al pentimento.

E il maestro, autore di questa tradizione aggiunse: Gesù il Nazareno praticò la magia, traviò e ingannò Israele.

L’identica narrazione, con lievi varianti, si legge nel Talmud [di Gerusalemme] Hagiga 77d; ma sia che si accetti l’una o l’altra lezione, ci troviamo di fronte anche qui ad uno di quei mirabolanti anacronismi per cui il Talmud è veramente unico, senza esempio.

Il fatto della strage del re Jannai è storico. Dopo la presa della fortezza di Bethome, il re Jannai (104-78 A.C.) fece crocifiggere 800 farisei, il che provocò la fuga dei superstiti in Siria e in Egitto. Tra i fuggiaschi si trovavano Joshua e Judah ben Tabbai.

Si può chiedere: Come mai il nome di Gesù venne introdotto in un fatto di tanto anteriore a lui?

Considerando che i rabbini avevano un’idea confusa della cronologia dei tempi passati, noi possiamo forse trovare che questa leggenda nella sua forma babilonese è sorta pel desiderio di spiegare la relazione di Gesù con l’Egitto. Il legame potrebbe, forse, essere trovato nel fatto della fuga in Egitto per sfuggire la collera di un re. Ciò era noto nei riguardi di Joshua ben Perachiah; e il Vangelo ricorda un accidente analogo relativo a Gesù.

Altri particolari intorno a Gesù furono inventati dai rabbini per foggiare la vita del fondatore secondo le loro intenzioni. Quanto alla tardività della versione babilonese osserviamo che la Ghemarà attinge da una più antica fonte.

Gesù mago 

Mentre l’opera Toledoth Jeshu attribuisce il miracoloso potere di Gesù allo Shem (Tetragramma o nome ineffabile) che egli aveva rubato dal Tempio di Gerusalemme con uno strano stratagemma, il Talmud non fa cenno di tale furto, ma ricorda che Gesù imparò la magia in Egitto, dove aveva soggiornato durante la sua giovinezza.

I passi che si riferiscono al potere magico di Gesù sono i seguenti:

  1. Tosephtà Shabbath XII: Colui che di sabato incide lettere sul suo corpo, secondo Rabbi Eliezer è colpevole, e secondo i saggi non lo è. Rabbi Eliezer disse ai saggi: Ben Stada certamente imparò la magìa con tali scritti. Essi gli risposero: … struggeremo noi per un pazzo tutti gli uomini ragionevoli?
  2. Palest. Shabbath 135: Colui che si incide la pelle a modo di scrittura è colpevole, ma colui che si fa dei segni sulla pelle a modo di lettere è esente da pena. Rabbi Eliezer disse loro: Ma non ha ben Stada portato dall’Egitto in tal modo la conoscenza della magia? Ed essi gli risposero: Per causa di un pazzo non rovineremo una moltitudine di uomini ragionevoli.
  3. Shabbath 104b: È tradizione che rabbi Eliezer abbia detto ai saggi: Ben Stada non portò i segni della magia incisi sulla carne? Essi gli risposero: Egli era un pazzo, e un pazzo non fa legge.

È già stato mostrato sopra che Ben Stada dinota Gesù. Egli dunque, secondo il citato passo, avrebbe portato dall’Egitto, nascosti in una incisione delle sue carni, i segni magici.  L’accusa ch’egli fosse un mago è senza dubbio fondata sulla credenza ch’egli facesse molti miracoli, credenza confermata dal Vangelo[7]. Dire che egli avesse imparato la magia in Egitto, il gran centro delle magie, secondo il Talmud, è quanto dire che egli fosse un gran mago più potente degli altri.

Che con l’Egitto egli avesse in qualche modo da fare, abbiamo rilevato dal passo secondo cui Gesù è discepolo di Joshua ben Perachjah. In quanto al modo con cui egli avrebbe portato dall’Egitto la magia, una curiosa spiegazione è data da Rasci, il commentatore del Talmud. Egli dice che i sacerdoti egiziani frugavano chiunque partiva dall’Egitto per vedere se portasse qualche libro di magia con sé, acciocché l’arte magica non potesse essere introdotta in altri paesi. Siccome Gesù non poteva sottrarre alcuno scritto, l’avrebbe occultata nel modo descritto mediante il tatuaggio sulla pelle.

Gesù idolatra

Crescit eundo. Gesù non è solo un pazzo, ma anche un idolatra.

Nel Talmud Sanhedrin 103a, leggiamo: Nessun male ti accadrà, ciò che significa che mali sogni e fantasie torbide non ti molesteranno; e nessuna pestilenza si avvicinerà alla tua tenda, che vuol dire che non avrai figlio o discepolo il quale bruci il suo cibo pubblicamente come Jeshu Nazareno.

L’ultima frase si trova anche nel Talmud Berachoth 17b. L’autorità che cita questo passo è Rabbi Hisda, un babilonese che visse nell’anno 217-309 d.C. Esso lo cita in nome di Rabbi Jeremiah ben Abba, suo contemporaneo, e a quanto pare anche suo coetaneo. Quanto all’espressione bruciare il suo cibo in pubblico i lessicografi sono di differenti opinioni. Il Dalman afferma che l’espressione equivale ad abiura pubblica di tutto quanto non ha appreso. Il Laible crede invece che l’espressione suoni disprezzo per l’offerta in pubblico di sacrifici agli idoli.

Che i cristiani nelle loro riunioni offrissero sacrifici agli idoli fu ferma credenza degli Ebrei antichi. Perciò, fu conchiuso che Gesù ne avesse dato l’esempio. Probabilmente questo fatto allude invece, all’abitudine di Gesù di predicare al popolo pubblicamente, il pubblico sarebbe appunto i poveri, i reietti, gli oppressi, i pubblicani, tutto, in una parola, il popolo impuro, col quale il discepolo di un Rabbi, secondo le idee talmudistiche non doveva avere a che fare. Ma qualunque sia il significato, certo è che Gesù fu agli occhi dei rabbini un eterodosso che corruppe e sedusse Israele.

I diritti di Gesù negati

Nel Talmud Taanit 65b Rabbi Abbahu dice:

Se un uomo ti dirà: Io sono Dio, egli mentisce; se dice: sono figlio dell’uomo, si pentirà; io salirò, egli dice, al cielo, ma non lo farà.

Questo passo si riferiva a Gesù, senza dubbio. Questo Rabbi Abbahu che visse in Cesarea alla fine del III o al principio del IV secolo, pare avesse grandi controversie cogli Ebrei cristiani. Per Abbahu chiunque si dice Dio e allo stesso tempo figlio di uomo, è un bugiardo.

Nuova testimonianza nel Midrash Pesikta Rabbati:

Se il figlio della meretrice ti dice: ci sono due Iddii, rispondigli col versetto: Io son quello del mare, io son quello del Sinai. Rabbi Hia bar Abba disse: Se il figlio della meretrice ti dirà: Ci sono due Iddii, rispondigli: Qui [Deut. 5,4] è scritto non “Iddii” ma il “Signore” ha parlato con te faccia a faccia.

Che Dio abbia un figlio, e che perciò vi sieno due dii, è ritenuto in questo passo come la predicazione del figlio della meretrice. Il riferimento a Gesù è chiaro.

Un’amplificazione del passo di Abbahu, si trova nel Midrash Jalkut, dove si legge che Rabbi Eliezer Harappar disse:

Dio diede forza alla voce di Balaam, tanto che si sentisse da un estremo all’altro del mondo, perché egli guardò e vide i popoli proni dinanzi al sole, alla luna, alle stelle, ai boschi, alle pietre, poi guardò ancora e vide che c’era un uomo figlio di una donna che si innalzava cercando di farsi Dio e di perdere il mondo intero. Perciò Iddio diede molta potenza alla voce affinché tutti i popoli del mondo l’udissero; e la voce fu di questo tenore: “Ponete mente di non smarrirvi dietro quell’uomo giacché è scritto: Dio non è un uomo che possa mentire; e se egli dice di essere Dio egli è bugiardo e v’ingannerà dicendo di partirsene e di tornare; lo dirà ma non lo farà. Considerate quanto è scritto: Ahimè chi vivrà quando egli si farà Dio?”

Balaam intendeva appunto di dire:

Chi potrà vivere ancora di una nazione che ascolti le parole di quell’uomo che si è fatto Dio?

Questo Rabbi Eliezer, a cui si attribuisce il riportato discorso, fu anteriore ad Abbahu, perché risulta che morì nel 260 d.C. L’allusione a Gesù è in questo passo ancora più chiara che nei brevi detti di Abbahu.

Balaam-Gesù

Somiglianza fra Balaam e Gesù. Ambedue considerati come individui e apostati; il primo avrebbe voluto indurre Israele a grave immoralità, il secondo lo ha guidato all’apostasia. Questo è il grave addebito fatto a Gesù: ch’egli praticò [la magia], ingannò e condusse a perdizione Israele.

Uno degli argomenti atti a sostenere la tesi sta nell’età di Balaam. Dice il Talmud babilonese trattato Sanhedrin:

Un eretico (cristiano) disse a Rabbi Hanina: Avete mai sentito che età avesse Balaam? Egli rispose: Non v’è nulla di scritto, ma dacché è detto che gli uomini sanguinari e ingannatori non vivranno la metà dei loro giorni, egli doveva avere 33 o 34 anni. E l’eretico: Tu parli bene. Io ho visto la cronaca di Balaam, in cui è detto che Balaam, lo zoppo, aveva 33 anni quando il padre lo uccise.

Rabbi Hanina visse a Sepphoris e morì nel 232 d.C. Non c’è ragione apparente per cui un Cristiano dovesse chiedergli l’età di Gesù. Ma pare piuttosto che il Cristiano più che di chiedere informazioni avesse voglia di indagare se il rabbino sapeva qualcosa intorno a Gesù; tanto è vero che egli conferma la risposta con fatti che gli sono noti.

La “Cronaca di Balaam” probabilmente significa un vangelo, quantunque nessuno dei vangeli conosciuti dica esplicitamente che Gesù aveva 33 anni. Se però fu creduto che il suo ministerio durasse tre anni e che aveva presso ai 30 anni quando cominciò a predicare, il conto del Cristiano è giusto, e Rabbi Hanina doveva avere buoni motivi per attribuire tale età a Gesù, altrimenti non avrebbe citato un testo che si può applicare solo ad un uomo che abbia superati i 34 anni.

Quanto a Pinchas il ladro, o Pinchas jistaah, non si capisce perché sia stato chiamato così il valoroso guerriero che agli ordini di Mosè avrebbe mosso contro i Madianiti, ed ucciso col loro re Balaam; con ogni probabilità tal nome risulta da una corruzione di Ponzio Pilato.

Del processo di Gesù.

I passi della Mishnà Sanhedrin X,II, del Talmud di Gerusalemme o palestinese VII,16, e della babilonese Ghemarà Sanhedrin 67 analogamente, con poche varianti, mostrano, per quanto riguarda la condanna di Gesù (chiamato Ben Stada) che in un periodo antico era accreditata una tradizione la quale ammetteva che la condanna di Gesù era stata ottenuta con mezzi fraudolenti.

Renan nella sua “Vita di Gesù” opina che la narrazione del processo di Gesù del nuovo Testamento debba essere integrata dalle notizie talmudiche, ma Keim è del parere contrario.

Dal Vangelo derivano due testimonianze (Matt. XXVI, 60 – Marco 14,57). Il Vangelo parla di falsi testimoni, e questa è forse l’origine dell’asserzione del Talmud: che i testimoni fossero nascosti per trappolare l’accusato; così pure va a ricercare nel Vangelo, l’origine di altri particolari del racconto talmudico, il quale differisce solo in quanto dice che la condanna ebbe luogo a Lydda, e che Gesù fu appiccato la sera di Pasqua; il che dimostra come il Talmud abbia conservato solo un vago e confuso ricordo di Gesù, il cui nome era senza dubbio aborrito, come quello di un pericoloso eretico e mistificatore.

L’esecuzione di Gesù

Si legge nel Sanhedrin 43a:

È tradizione: nella sera di Pasqua fu appiccato Jeshu. E il banditore si presentò a lui per 40 giorni, gridando: Gesù Nazareno deve essere lapidato perché ha praticato la magia, ingannato e condotto a perdizione Israele. Se v’è qualcuno che conosca argomento in suo favore venga e parli. E non vi fu alcuno che volesse difenderlo. Ed essi lo appiccarono la sera di Pasqua. Ullà disse: Come si potrebbe supporre che Gesù il Nazareno, ribelle, avesse alcuno della sua parte? Egli fu un mistificatore, e il Misericordioso (Iddio) ha detto: Tu non lo salverai, né lo celerai. Ma la cosa era diversa per Gesù, giacché egli era vicino al regno.

In questo passo si dice che Gesù fu appiccato, mentre altrove è detto che fu lapidato: la verità è che fu prima lapidato, e che poi il suo corpo fu appeso su una croce.

Questo è chiaro nella Mishnà Sanhedrin:

Chi è lapidato è impiccato, come dice Rabbi Eliezer. I Saggi dicono: Nessuno è impiccato fuor che il bestemmiatore e colui che pratica una falsa religione.

Il cadavere fu attaccato a una croce oppure a un semplice palo, di cui un capo posava in terra, e l’altro contro un muro. I Vangeli naturalmente non parlano della lapidazione, e la tradizione è probabilmente una deduzione dal fatto che egli era stato appeso. La qual deduzione sarebbe ulteriormente rafforzata dall’applicazione del testo del Deut. XXI,23: Colui che è impiccato è maledetto da Dio. Il Talmud non sa nulla di una esecuzione di Gesù fatta dai Romani, ma la attribuisce tutta agli Ebrei.

Il significato dell’annuncio dell’araldo, fatto 40 giorni prima della morte di Gesù, è di difficile interpretazione. L’araldo è naturalmente immaginario, il numero 40 può avere origine dal Vangelo. La frase che Gesù era «vicino al regno» sarebbe interpretata come riferentesi alle autorità romane, ciò che spiega l’esitazione di Ponzio Pilato nel mandarlo a morte. Noi preferiamo credere ch’essa si riferisca alla supposta discendenza di Gesù da Davide, come suggerisce il defunto Prof. Delitzsch nel suo «Jesus und Hillel» quando dice: «Maria è pure chiamata nel Talmud figlia di Eli, e Gesù appartenente alla casa reale di David».

Concludendo: Le notizie che derivano dal Talmud sono scarse e di poco rilievo, e non aggiungono nulla alla storia del Gesù dei Vangeli. In generale, quantunque non in particolare, esse servono a confermare la tradizione cristiana col dare una chiara per quanto ostile conferma all’esistenza di Gesù, che qualcuno volle mettere in dubbio.

Ma se la tradizione talmudica di Gesù non ha valore per la storia del cristianesimo, essa mostra l’attitudine del giudaismo ortodosso rappresentato dai suoi capi, riguardo a Gesù.

Egli è il mistificatore, il mago, l’apostata, il peccatore d’Israele; la sua nascita fu oscurata dalla vergogna, la sua morte fu considerata come la naturale esecuzione di un pericoloso criminale.

L’elaborazione successiva della leggenda cresciuta al clima procelloso e torbido del Medio Evo più fosco, rincrudisce ed inasprisce le tinte e il Cristo ebraico si confonde con l’anticristo cristiano.

Occorreva che il giudaismo per intendere Gesù e la sua religione si spogliasse della veste rabbinica.

Non il Talmud, ma il Nuovo Testamento, è la vera fonte della storia di Gesù.  

 

[1] Da Wikipedia (https://it.wikipedia.org/wiki/Felice_Momigliano) apprendiamo che “L’intervento del Gemelli creò sconcerto e non solo tra i suoi lettori, tanto che l’autore, quattro mesi dopo, nella medesima rivista, riconobbe il suo errore, e volle precisare che il suo scritto «non fu ispirato da odio antisemitico […] ogni giorno, come deve fare ogni buon cristiano, prego per la conversione degli ebrei»”.

[2] La prima edizione del Dalman è del 1891. Il titolo primo è: Jesus Christus in Talmud mit einen Anhange: Die talmudische Texte mitgeteilt von Lic. Dr. Gustaf Dalman, Berlin; in Schriften des Institutum Judaicum in Berlin, N. 10.

[3] Sull’interpolazione del passo abbiamo fra l’altre la testimonianza indiretta di Origene (III sec. d.C.) nell’opera Contra Celsum (1, 47), il quale afferma che Giuseppe non credeva in nessun modo che Gesù fosse il Cristo. Il passo di Giuseppe, invece, sostiene categoricamente che Gesù era il Cristo. Vedasi sull’argomento: Müller (G.A.), Christus bei Josephus Flavius, Innsbrück, 1895; Reinach, Revue des études juives, XXXV, 1, 18.

[4] Il primo rogo, chiamiamolo così … officiale dei libri ebrei divampò nel 1233 sulla piazza di Montpellier, per istigazione di un ebreo fanatico antimaimonista che indusse i Domenicani ed i Francescani ad ardere le opere di Maimonide. Nello stesso anno, a Parigi, erano abbruciati circa 12 mila volumi del Talmud. Il Pick, cadendo in errore, pone la data del rogo di Parigi nel 1242, mentre sappiamo che l’auto da di circa 18 mila volumi avvenne il 17 giugno 1244. V. Popper, The Censorship of Hebrew Books, New York, 1899, p. 101.

[5] Intorno alla designazione di Ben Stada scrisse una memoria il prof. Chajes al Congresso Internazionale di Scienze storiche a Roma nel 1903, che non m’è riuscito d’aver sott’occhio.

[6] Periodo d’impurità durante il quale secondo la legge mosaica era vietato l’amplesso.

[7] Nelle polemiche fra Cristiani ed Ebrei nei primi secoli, ricorre molto spesso l’accusa di magia contro Gesù e contro i suoi discepoli. S. Gerolamo ne fa cenno con le parole: Magunt vocant et Judaei dominum meum (Epist. IV ad Ascellam).

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