SOGNO E VERITÀ
Di Vincenzo Vinciguerra
Ho avuto modo di partecipare a degli incontri sulla “giustizia riparativa” all’interno del carcere di Opera, su invito di una splendida figura femminile che qui presta opera di volontariato, la signora Giovanna.
È stata un’esperienza di grande interesse che ho vissuto senza alcuna prevenzione.
Mi ha fatto piacere conoscere la signora Claudia Mazzucato, una delle più appassionate promotrici di questa forma di giustizia che intende favorire l’incontro fra colpevoli e vittime e familiari delle vittime per giungere ad una pacificazione degli animi.
Sarebbe, questa, la migliore e, forse, l’unica forma di rieducazione dei rei che, posti dinanzi a coloro che hanno subito la sofferenza procurata dalle loro azioni, eviterebbero in grande maggioranza di reiterare i precedenti reati.
Ho letto, con attenzione, il volume intitolato “Il libro dell’incontro”, a cura di Guido Bertagna, Adolfo Ceretti e Claudia Mazzucato, Il Saggiatore, Milano, 2015, dedicato al confronto fra alcune vittime e un certo numero di militanti politici, quasi tutti della sinistra armata.
Sul piano umano nulla da eccepire.
Se un certo numero di persone che hanno ucciso o concorso ad uccidere hanno deciso di chiedere perdono ai familiari delle loro vittime, se sincere, va ascritto a loro merito.
Ma, lavorare sulla coscienza dei singoli non basta per giungere ad una pacificazione nazionale, perché promotori e partecipanti alla iniziativa della “giustizia riparativa” partono dal presupposto che in questo Paese la responsabilità di una guerra civile ricada solo sui “terroristi”, “neri” o “rossi” che siano stati.
Non è così.
La linea divisoria fra il bene e il male, fra i “buoni” e i “cattivi” in Italia non si può tracciare, come dimostrano le innumerevoli prove raggiunte sul piano storico e giudiziario.
Manca nel programma di “giustizia riparativa” il richiamo alla responsabilità dello Stato e dei suoi alleati internazionali.
La motivazione prima della tragedia italiana è stata la necessità degli Stati Uniti di combattere il comunismo sovietico in tutto il mondo. La guerra condotta dagli Stati Uniti non è stata “fredda”, bensì “calda” in tutti i Continenti.
L’Italia, dove operava il più forte partito comunista occidentale, non poteva, di conseguenza, restare ai margini della battaglia anche perché l’inetta classe dirigente italiana non riusciva a frenare la costante avanzata elettorale del Pci che, se non fermata, avrebbe vanificato i patti di Yalta.
Il pericolo concreto rappresentato dalla possibile conquista della maggioranza relativa da parte del Pci doveva essere sventato ad ogni costo, perché un governo italiano guidato da un partito ritenuto la “quinta colonna sovietica” in Italia era inaccettabile per il mondo occidentale guidato dagli Stati Uniti.
In maniera inavvertita dall’opinione pubblica, a partire dal 1959, si sono create le premesse per scatenare in Italia una guerra non convenzionale, una guerra civile a bassa intensità affidata alle Forze Armate per mantenere il Paese in uno stato di tensione tale da consentire ai governi in carica di proclamare lo stato di emergenza, con la conseguente sospensione delle garanzie costituzionali in ogni momento e lo scioglimento per legge di tutte le organizzazioni estremiste e/o antinazionali compreso, quindi, il Partito comunista italiano.
L’Italia è stata trasformata in un campo di battaglia nel quale sono intervenuti, in accordo con quelli italiani, i servizi segreti dei maggiori Paesi occidentali e quelli israeliani.
Una guerra nel corso della quale è stata utilizzata l’arma dello stragismo contro la popolazione civile da parte di militanti politici che non erano “neri”, bensì agivano in nome e per conto dello Stato.
Se non ci sono verità sui tanti misteri italiani o ci sono verità parziali, circoscritte ad esecutori materiali e portatori di valigia, la colpa non è dei testimoni reticenti ma dello Stato i cui servizi segreti devono proteggere il loro operato e quello dei loro collaboratori.
Dinanzi alla documentata realtà di un potere politico che, ancora oggi, nega la verità o, addirittura, cerca di cancellare quella che è emersa nel tempo, la cautela dinanzi ad iniziative come quella della “giustizia riparativa” quando proposta a militanti politici è doverosa.
Il sospetto, difatti, è che, dopo aver creato la categoria dei pentiti giudiziari e quella dei pentiti politici (i dissociati), si tenti di formarne una terza, quella dei pentiti morali.
Sia ben chiaro che chi scrive non avrebbe nulla da eccepire sul pentimento morale di persone che hanno ucciso e che, sia pure tardivamente, avvertono il bisogno di rivolgersi ai familiari dei morti per chiedere il loro perdono.
Ognuno risponde alla propria coscienza, e se questa suggerisce il rammarico per il sangue versato non c’è alcuna condanna da esprimere, fermo restando che il pentimento sia sincero e non strumentale.
L’iniziativa, però, si propone anche un fine politico: ottenere la condanna del “terrorismo” ed il riconoscimento dei valori dello Stato democratico e delle istituzioni della Repubblica.
Su questo punto, sul fine politico, il dissenso di chi scrive è totale.
Da 41 anni scrivo una storia d’Italia che non ha mai trovato smentite sul piano giudiziario e storico. Per affermare questa verità mi sono assunto la responsabilità dell’attentato di Peteano, per mia scelta, trovandomi contro “tutti i poteri dello Stato”, come affermato in aula dal pubblico ministero, Gabriele Ferrari, che aveva già chiarito, nel corso della sua requisitoria, che a carico di chi scrive “c’erano indizi forse sufficienti per un mandato di cattura, mai per una condanna”, contro la quale lo scrivente non ha, per ovvia coerenza, fatto appello.
Non metto in dubbio l’onestà intellettuale, la sincerità, la passione con la quale la cattolicissima Claudia Mazzucato sogna il ravvedimento di quanti hanno ucciso nel corso di una guerra imposta agli italiani dallo Stato.
E questa verità sulle gravissime colpe dello Stato e della classe politica, nel passato e nel presente, fa risaltare una realtà contro la quale s’infrange il sogno di Claudia Mazzucato, alla quale va tutto il nostro rispetto. Lo merita.
Opera, 5 maggio 2025
Leave a comment