Vincenzo Vinciguerra: Gli avanzi della politica

GLI AVANZI DELLA POLITICA

Di Vincenzo Vinciguerra

Ad osservare quello che fanno al governo sorge spontaneamente una domanda: da dove arrivano questi “Fratelli d’Italia”?

La loro storia inizia nell’immediato dopoguerra, quando gli Alleati e i partiti politici tentano di ricostituire l’unità nazionale frantumata dalla guerra civile, iniziando dal settore più delicato della Nazione, le Forze armate.

L’operazione che porterà alla nascita del Movimento sociale italiano trae esempio dalla Francia dove, nel 1944, con l’obbiettivo di creare un ponte fra i militari che avevano aderito alla Repubblica di Vichy e quelli che si erano schierati con la “France libre” di De Gaulle, era stato fondato il Movimento sociale francese che aveva per simbolo la fiamma tricolore, con evidente richiamo a quella che arde perenne sul monumento ai caduti di tutte le guerre a Parigi, con i colori della bandiera nazionale.

La Democrazia cristiana, il Vaticano, la Confindustria, i servizi segreti americani prendono esempio da un modello francese e danno vita al Movimento sociale italiano, che nasce come movimento apartitico chiamato a dare il suo contributo alla pacificazione nazionale, in primis all’interno delle Forze armate.

Il Msi nasce, quindi, come gruppo politico al servizio dei dirigenti del nuovo Stato democratico e antifascista.

Questo ruolo non è, però, adeguato alle ambizioni degli esponenti missini che, dopo alcuni mesi, decidono di trasformarsi da movimento in partito politico, suscitando la reazione della Dc che, nel novembre del 1947, vara le prime norme contro la tentata ricostituzione del Pnf.

L’avvertimento della Dc non determina alcuna frattura con il Msi, che resterà al fianco del partito di De Gasperi con il quale, nella campagna elettorale del 1948, collaborerà perfino sul piano attivistico per favorirne il successo elettorale.

Del resto, gli esponenti del Msi non avevano alcuna intenzione di fare del loro partito un partito “neofascista”, disposto a portare avanti le idee e i valori del fascismo repubblicano, ma di rifarsi genericamente alla politica del Ventennio, quella plaudita dalle democrazie occidentali fino all’alleanza con la Germania nazista.

È il Fascismo del compromesso con la monarchia, con il potere clericale, con quello economico e finanziario: con quelle forze che provvederanno a liquidarlo il 25 luglio 1943.

I dirigenti del Msi non disattendono, però, le aspettative dei loro mentori: si trasformano difatti in partito politico, perché si rendono conto di avere un bacino elettorale di una certa consistenza, costituito da nostalgici del Ventennio e da buona parte dei reduci della Rsi, e per conseguire il loro scopo si calano sul volto la maschera degli eredi della Repubblica dell’onore.

Le reali finalità dei dirigenti missini le illustrerà, molti anni dopo, Giulio Caradonna, che ascriverà a merito del Msi quello di aver trasformato “i giovani giacobini della Rsi in uomini di destra”.

L’ignoranza della base missina non le permette di comprendere che sul piano ideologico destra e fascismo sono incompatibili, quindi rimane inerte dinanzi alla maschera che, però, alla fine si rivela controproducente.

Gli avversari politici del Msi, che ben conoscono il vero volto dei suoi dirigenti, utilizzano la sua maschera “fascista” per tenerlo ai margini dell’area governativa.

Per uscire da questa situazione, intervengono gli uomini di quel potente centro di potere che è stata la loggia P2.

Licio Gelli, con il consenso di Amintore Fanfani e Giulio Andreotti, utilizzando il senatore missino Mario Tedeschi, cerca di indurre Giorgio Almirante a gettare via la maschera e a mostrare il vero volto, suo e del partito, cioè a rinunciare ai richiami nostalgici, ai saluti romani, alle foto di Benito Mussolini all’interno delle federazioni, ai pellegrinaggi a Predappio e così via.

Solo in questo modo, secondo Fanfani, Andreotti, Gelli e Tedeschi, il Msi potrà divenire un “rispettabile” partito di destra e partecipare ad una maggioranza governativa.

Almirante, però, teme che un’operazione così spregiudicata possa provocare il tracollo elettorale del partito, quindi rifiuta. Gli rispondono provocando una scissione all’interno del partito e fondando Democrazia nazionale, destinata al più totale fallimento elettorale.

Le origini di “Fratelli d’Italia” si ritrovano, pertanto, in una operazione della loggia P2, appoggiata da Fanfani e da Andreotti.

A rilanciare la proposta respinta da Almirante al nuovo segretario del Msi-Dn [Movimento sociale italiano-Destra nazionale], Gianfranco Fini, è ancora la loggia P2, rappresentata da Silvio Berlusconi, già finanziatore di Democrazia nazionale.

Questa volta, Fini e la sua banda accettano.

Il piatto di lenticchie offerto da Berlusconi è generoso. I dirigenti missini vedono la possibilità concreta di uscire dalla baraccopoli politica nella quale sono sempre vissuti, per entrare nei palazzi del potere.

Fini e i suoi sciolgono il Msi-Dn e fondano Alleanza nazionale, precipitandosi a gettare nelle ortiche tutto il loro passato di eredi del fascismo – e di quello repubblicano in particolare.

Se il Msi aveva tradito il fascismo di cui si proclamava, per ragioni elettorali, continuatore, Fini e i suoi tradiscono il Msi e, con zelo, s’impegnano a coniugare il verbo rinnegare.

Fra i rinnegati – del fascismo, prima e del Msi, dopo – si distinguono Giorgia Meloni e Ignazio La Russa che, quando il loro capo, Gianfranco Fini cade in disgrazia, tradito dalle sue ambizioni, rinnegano anche lui e fondano “Fratelli d’Italia”.

Il resto lo conosciamo.

L’ottusa ed incapace sinistra (la possiamo chiamare ancora così?) si butta ai piedi di Mario Draghi, esponente dei poteri forti, mentre Meloni e soci si astengono, facendo credere agli italiani di essere coerenti, così che alla fine vengono premiati da un quarto dei votanti.

Ora, i figli di Licio Gelli e di Silvio Berlusconi sono al governo, da dove – questi specialisti del tradimento e dell’abiura – possono tradire l’Italia e gli italiani.

Opera, 12 maggio 2025

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