Gian Pio Mattogno
ANGLIA JUDAICA:
OLIVER CROMWELL E LE ORIGINI GIUDEO-PURITANE
DELL’IMPERIALISMO BRITANNICO
A partire dal XVII secolo gli interessi della casta dominante britannica e quelli del capitale giudaico si vennero fondendo sempre più intimamente.
(Cfr. ANGLIA JUDAICA: LA PRIMA IRRUZIONE DEGLI EBREI E DEL CAPITALE USURAIO GIUDAICO IN GRAN BRETAGNA, andreacarancini.it). Il processo di giudaizzazione della casta dominante britannica viene descritto, sulla scorta di una eccellente documentazione, in How Jewry turned England into a Plutocratic State, «World-Service», Special Number, 12.6.1940. Una versione in francese è apparsa nel numero speciale di «Le Cahier Jaune», n. 7, août 1942 (L’Angleterre et les Juifs) col titolo: Comment les Juifs ont fait de l’Angleterre un État ploutocratique. La rivista contiene tra l’altro articoli sulla dinastia anglo-giudaica dei Sassoon, sui Rothschild e su Winston Churchill. Di questo scritto esiste anche una versione italiana, parziale e non sempre impeccabile, dal titolo: Origini della plutocrazia britannica. L’asservimento dell’Inghilterra all’ebraismo, «L’Idea di Roma», giugno-luglio 1940, pp. 181-214).
La genesi di tale connubio risale all’età di Oliver Cromwell (1599-1655) e fu favorita da due particolari circostanze storiche: da un lato la riammissione degli ebrei in Gran Bretagna (dopo l’espulsione del 1290) sulla base di una petizione appoggiata da Cromwell e infine approvata da Carlo II nel 1649, e dall’altro la nascita e la diffusione dello spirito puritano, che ne costituì il brodo di coltura.
Come è stato osservato, la chiave per spiegare l’enigma di questo reciproco sentimento di affinità è lo stretto rapporto esistente tra il cristianesimo protestante britannico, ed in particolare il puritanesimo, e la religiosità ebraica.
(Wolf Meyer-Christian, L’alleanza anglo-giudaica. Lo sviluppo e l’azione del dominio capitalistico sul mondo, Roma, 1941, pp. 261-275; F. Cat. [Franco Catalano], Alle origini dell’alleanza anglo-giudaica, «La Difesa della Razza», n. 21, 1942, pp. 17-20, che riportiamo ampiamente. F. Cat. utilizza le ricerche di P. Aldag, Juden erobern England, Berlin, 1940, pp. 73-155, e di G. Schlichting, Die British-Israel-Bewegung, in «Forschungen zur Judenfrage», 1941, il lavoro di Werner Sombart sugli ebrei e la vita economica, nonché il volume dello stesso Meyer-Christian. Se il Franco Catalano autore di questo e di altri articoli sulla stessa rivista è il Franco Catalano, nato nel 1915, divenuto dopo la guerra docente e studioso (fieramente antifascista) di storia politica ed economica contemporanea, allora si deve dire che anche lui, al pari di altri suoi sodali, come Amintore Fanfani, Giovanni Spadolini, Giorgio Bocca, Eugenio Scalfari e compagnia cantando, è stato folgorato sulla via di Damasco dell’8 settembre).
Nonostante il decreto d’espulsione, all’epoca di Cromwell gli ebrei (più esattamente cripto-ebrei) cominciarono ad immigrare nell’isola in numero costante.
Sono noti i rapporti intimi che, già a partire dalla Riforma protestante, s’erano stabiliti fra giudaismo ed alcune sette cristiane, come pure la predilezione che si era allora manifestata per la lingua ebraica e gli studi giudaici.
Nell’Inghilterra del XVII secolo i puritani circondavano gli ebrei d’un culto quasi fanatico.
Come scrive Catalano, non soltanto le concezioni religiose di personaggi influenti come Cromwell si ispiravano al Vecchio Testamento, ma anche lo stesso Cromwell pensava ad una riconciliazione tra il Vecchio e il Nuovo Testamento, tra gli ebrei, popolo eletto da Dio, e la comunità religiosa anglo-puritana.
I “Levellers” (livellatori), che qualificavano sé stessi come “ebrei”, auspicavano che la legislazione inglese fosse basata interamente sulla Torah.
Gli ufficiali di Cromwell gli proposero di comporre il suo Consiglio di Stato di 70 membri seguendo l’esempio dei sinedri ebraici.
Fra i membri del Parlamento del 1653 si trovava il generale anabattista Thomas Harrison il quale, d’accordo col suo partito, preconizzava l’introduzione della legge mosaica in Inghilterra.
Nel 1649 fu proposto in Parlamento di sostituire il sabato alla domenica quale giorno festivo.
I vessilli dei puritani vittoriosi portavano l’iscrizione: “The Lion of Judah”.
Il periodo passato sotto il dominio degli Stuart (Carlo I fu decapitato nel 1649) venne chiamato “cattività d’Egitto”.
Ci furono inglesi che intrapresero viaggi per il continente allo scopo di avere colloqui e discussioni teologiche con rabbini, né mancarono dei puritani i quali nella loro esaltazione si convertirono al giudaismo.
Scrive Meyer-Christian che fra il cristianesimo inglese e la religione giudaica vi è uno stretto rapporto.
Il cristianesimo inglese, il puritanesimo, non è, malgrado le affinità delle forme, né cattolico, né evangelico-luterano. È un calvinismo che si è sviluppato a modo suo in terra inglese e che nei suoi esiti finali rappresenta più un giudaismo talmudico che non un cristianesimo protestante.
Lo scrittore ebreo Henrich Heine ebbe a definire il puritanesimo, non senza una vena di cinismo, “un giudaismo che mangia carne di maiale”. Ed in effetti, giudaismo e puritanesimo inglese sono religioni spiccatamente capitalistiche, che presentano come un comandamento divino la necessità di accumulare ricchezze e si fondano entrambe sull’idea di popolo eletto.
Il nucleo centrale della fede puritana è la dottrina di Calvino sulla predestinazione, secondo cui il sacrificio di Cristo non ha procurato al singolo uomo la grazia di Dio, in quanto lo stesso Dio già da tempo immemorabile ha fatto per tutto il tempo a venire una “scelta di grazia”, accogliendo così definitivamente e irrevocabilmente nel suo favore il singolo uomo, oppure ripudiandolo.
Questo dogma, che non si può non definire tremendo, affida fin dalla nascita ad ogni singolo uomo il suo proprio destino, senza guardare né alla vita, né alle opere.
Nella letteratura devota dei puritani riveste grande importanza il problema di come l’uomo possa riconoscere se egli è partecipe della grazia divina, se cioè appartiene alla schiera degli eletti che Dio ha predestinato alla beatitudine eterna malgrado i loro peccati.
Un sicuro segno visibile che l’uomo non appartiene alla schiera dei dannati, ma a quella degli eletti, è la corona di successi e di ricchezze frutto del lavoro benedetto da Dio, in altre parole il successo negli affari.
Sulla base di questa affinità elettiva tra giudaismo e puritanesimo, si diffuse sempre di più la convinzione che è lo stesso Dio a volere il dominio degli ebrei e degli inglesi, e da tale convinzione Cromwell seppe trarre delle deduzioni pratiche.
Cromwell intendeva trapiantare in Inghilterra l’alleanza di Dio con Israele per unire in un nodo indissolubile le aspirazioni giudaiche al dominio mondiale con le aspirazioni imperialistiche inglesi.
(Sull’eco nella Gran Bretagna dei sogni messianico-imperialistici coltivati da Israele nel XVII secolo cfr. UN CRIPTO-SIONISTA PURITANO NELL’INGHILTERRA DEL XVII SECOLO, andreacarancini.it).
Difatti a quell’epoca l’Inghilterra possedeva numerose basi nel mondo, ma non aveva né i capitali né le necessarie relazioni commerciali per l’intrapresa imperialistica.
Gli ebrei invece occupavano già una posizione finanziaria di prim’ordine nei traffici con l’Asia, le Indie e le Americhe, e dominavano nel commercio delle barre d’oro e d’argento, ed inoltre avevano grandi interessi nelle navigazioni di tutti i paesi.
Cromwell ebbe l’idea di attirare gli ebrei in Inghilterra per servirsi dei loro capitali e delle loro relazioni commerciali.
Così facendo pose le basi dell’imperialismo britannico, e gettò i semi dell’alleanza anglo-giudaica.
In breve tempo alcuni ebrei divennero ricchi e straricchi.
Tra di essi spiccava la figura di Abraham Israel (Antonio Fernandez Carvajal), pur affettando la fede cattolica, migrato nell’isola fra il 1630 e il 1635, cioè prima ancora della riammissione ufficiale promossa da Cromwell.
Con la propria flotta mercantile, Carvajal esercitò un ricco commercio verso il Levante, le Indie Orientali e occidentali e l’America del Sud, facendo introitare alla Corona circa 100.000 sterline d’argento l’anno.
Il Consiglio di Stato gli assegnò gran parte delle forniture di granaglie per l’esercito, e fino alla sua morte, avvenuta nel 1659, egli fu il vero finanziatore dello Stato inglese.
La sua potenza e influenza finanziaria è comprovata anche dal fatto che nel 1650, durante la guerra di Spagna, con una legge speciale del Consiglio di Stato, furono escluse dalla confisca le merci da lui importate dalla penisola iberica.
Uno dei suoi affari principali consisteva inoltre nel vendere al Governo notizie politiche, militari ed economiche, che riceveva più celermente del Governo stesso dai suoi agenti commerciali.
Nei decenni immediatamente seguenti l’età di Cromwell, che ne aveva posto le fondamenta, proseguì la penetrazione del capitale ebraico nella società inglese.
Un altro ricco capitalista ebreo, Salomon Medina, fornitore e banchiere del Re e del Governo sotto Guglielmo III, divenne il più potente finanziere del paese ed anche per via dei suoi servigi di consigliere finanziario della Corona fu fatto nobile.
Sir Salomon Medina è il primo ebreo non battezzato elevato alla dignità nobiliare inglese. Egli seppe sfruttare questo suo nuovo status ed intraprese loschi affari col duca di Malborough, l’antenato di Winston Churchill.
Un altro grande magnate ebreo della finanza del XVII secolo fu Samson Abudiente, che assunse il nome di Samson Gideon, il quale mescolò i propri affari col credito statale della Gran Bretagna.
Gideon garantì e negoziò prestiti statali, si fece concedere monopoli, acquistò vasti latifondi e penetrò anch’egli nelle classi alte del paese. Nella sua scalata alle posizioni di prestigio in seno alla società inglese, fu appoggiato dal presidente dei ministri Robert Walpole, che aveva contratto con lui grossi debiti.
Gideon fu amico di molti esponenti delle classi più elevate e sposò una facoltosa donna inglese. Suo figlio contrasse matrimonio con la figlia del giudice supremo Sir John Eardley Wilmot e fu fatto barone di Eardley.
Un altro banchiere ebreo, Manasseh Lopez, si arricchì con le speculazioni, spargendo la falsa voce della morte della regina Anna. A causa del panico che questa notizia provocò, i valori inglesi di Stato precipitarono e Lopez si affrettò a farli comprare dai suoi agenti ricavandone un grosso profitto.
Per tre secoli lo spirito giudeo-puritano, ha plasmato l’essenza britannica (O. Rössler, Juden und Engländer, «Zeitschrift für Politik» 30 (1940), pp. 423-424).
Fin dalla sua epoca eroica sotto Cromwell, il “Leone di Giuda”, il puritanesimo agisce dunque formalmente sotto la bandiera del giudaismo, e non c’è da stupirsi che quest’uomo, che si richiamava continuamente agli eroi del Vecchio Testamento, abbia invocato la riammissione degli ebrei.
Che il puritanesimo abbia costituito il cavallo di Troia per l’infiltrazione dello spirito ebraico nello spirito britannico, e che Cromwell abbia segnato una svolta decisiva nel processo di giudaizzazione dell’Inghilterra ed abbia posto le basi dell’imperialismo anglo-giudaico, è un dato storicamente accertato.
«La creazione di un Impero coloniale, ‒ scrive Bernardini (John Toland, Ragioni per naturalizzare gli ebrei in Gran Bretagna e Irlanda (1714). A cura di Paolo Bernardini, Firenze, 1998, p. 39) ‒ la dottrina mercantilistica, e soprattutto le correnti millenaristiche della prima metà del Seicento, unite al periodo politicamente straordinario della reggenza di Cromwell, aprirono la strada alla riammissione».
Come è noto, nonostante il decreto d’espulsione, già prima dei cripto-ebrei erano riusciti ad entrare in Inghilterra a titolo personale (Cfr. Y. Dureau, Les immigrants juifs entrés en Angleterre sous Elisabeth Ire (1558-1603), «Seizième Siècle», n. 7, 2011, in particolare pp. 180 sgg.).
Bernardini, il quale utilizza anche la più recente letteratura scientifica in dissonanza con alcune vecchie interpretazioni, sottolinea come a favorire la riammissione sia stato innanzitutto un deciso rinascere di interesse nei confronti degli ebrei e dell’ebraismo nella prima metà del XVII secolo, che porterà Cromwell – influenzato nella sua politica filo-ebraica dalle dottrine chiliastiche diffuse in quel periodo ‒ alla convocazione della conferenza di Whitehall il 4 dicembre 1655 e, nonostante gli esiti negativi della medesima, e di propria iniziativa, alla concessione di alcuni diritti agli ebrei di Londra che da tempo s’erano stabiliti in segreto nella capitale.
Facendo sua la tesi di D. Katz, Philo-semitism and the Readmission of the Jews to England 1603-1655 (1982) in contrasto con quella tradizionale sostenuta da C. Roth nella sua classica storia degli ebrei d’Inghilterra, Bernardini scrive che non si trattò di una formale riammissione, favorita, secondo un mito consolidato, da Menasseh Ben Israel o dalla conferenza di Whitehall, ma di tutta una serie di piccole concessioni, grazie soprattutto alle petizioni dei cripto-giudaizzanti londinesi, ed alla propaganda filosemita del tempo (Cfr. A. Stern, Menasseh ben Israël, REJ 6 (1883), pp. 96-111; D. Lucci, Tendenze filosemite nella cultura inglese del Seicento, «La Rassegna Mensile di Israel» 68 (2002), pp. 19-42)).
Quale che sia la verità storica e storiografica, rimane il fatto che, come sottolinea lo stesso Bernardini, da questo momento l’afflusso degli ebrei in Inghilterra, pur non ufficialmente ammessi come nazione, sarà moderato, ma costante.
Così come rimane il fatto che verso la metà del XVII secolo Cromwell appare come una sorta di messia agli occhi degli ebrei.
Nella sua Histoire d’Olivier Cromwell (Paris, MDCXCI) l’abate Raguenet scrive che una deputazione delle sinagoghe d’Asia s’era recata in Inghilterra per informarsi se Cromwell fosse veramente il liberatore tanto atteso (pp. 290 sgg.).
Riprendendo tali informazioni, un cronista del “The London Evening Post”, Tuesday, November 20, 1753 (Cfr. Oliver Cromwell: King of the Jews, islam-radio.net) stilò forse il primo resoconto su queste convinzioni degli ebrei.
La reputazione di Cromwell, scrive, era cresciuta a tal punto che gli ebrei d’Asia decisero di inviare in Inghilterra, quale ambasciatore, il famoso Jacob ben Azahel (che portò con sé il rabbino della sinagoga di Praga David Ben Eliezer e il rabbino Menasseh Ben Israel di Amsterdam) per accertarsi, nascondendo il vero disegno del loro viaggio, se non fosse proprio il liberatore che aspettavano.
Cromwell li accolse molto gentilmente, anche in considerazione del fatto che sperava che il commercio, grazie ai mezzi economici degli ebrei, potesse diventare più fiorente in Inghilterra.
Poi si recarono nell’Huntingdonshire, dove erano nati i genitori di Cromwell, con l’intento di informarsi sulla sua nascita e di scoprire se nel suo lignaggio vi fosse sangue ebraico.
Nonostante tutte le precauzioni prese, il fatto si riseppe, la notizia arrivò fino a Londra e suscitò molte aspre proteste contro il Protettore, il quale se ne mostrò assai risentito, e in un’udienza molto solenne dichiarò loro che la repubblica e lui avevano fatto professione di adorare solo un Dio crocifisso, e li licenziò senza dare loro alcun diritto di replica.
Ma, conclude il cronista, «qualunque fossero gli artifici a cui Cromwell fece ricorso per convincere il popolo che lo zelo che aveva per la religione cristiana era stato la causa della sua rottura con gli ebrei, ciò non impedì al mondo intero di vedere che il suo risentimento era stato il suo unico motivo. Ciò appare chiaramente da un piccolo libello che circolava a quel tempo, intitolato Cromwell, il leone di Giuda».
Ed in effetti, messia o no, Cromwell si presentava come l’eroe degli ebrei, anche se il suo desiderio di vedere il loro ritorno in Inghilterra non era umanitario, ma bensì soprattutto teologico, ed anche se nella sua visione millenaristica la missione degli inglesi, nazione eletta, era di convertire gli ebrei, altro popolo eletto, al cristianesimo protestante (P. Lay, The strange tale of Oliver Cromwell’s unlikely partnership with a Jew, “The Jewish Chronicle”, May 19, 2023, thejc.com).
Poliakov (op. cit., pp. 214 sgg.) forse involontariamente mette in evidenza i tratti imperialistici della neonata alleanza anglo-giudaica, quando rammenta il passo compiuto da Menasseh Ben Israel presso Cromwell, ansioso di trovare un posto sicuro per il suo popolo, ma senza trascurare l’aspetto escatologico della questione.
Menasseh era convinto che le dieci tribù scomparse fossero da identificare nei pellirosse d’America e che quindi, per assicurare la fine dei tempi non restava che rendere completa la dispersione degli ebrei “da un capo all’altro della terra” (Deut., 28, 64), ossia far colonizzare loro “l’Angolo della terra”, l’estremità del mondo (Menasseh aveva esposto tali teorie nell’opera Spes Israelis, pubblicata ad Amsterdam nel 1650) (Cfr. I. Schorsch, From Messianism to Realpolitik: Menasseh Ben Israel and the Readmission of the Jews to England, «Proceeding of the American Academy for Jewish Research» 45 (1978), pp. 187-208).
Ma le motivazioni economiche erano tutt’altro che assenti.
Cromwell si dimostrò ben disposto verso questi disegni, poiché l’aiuto degli ebrei gli avrebbe consentito di abbattere la Spagna e toglierle le colonie.
«Sono ancora gli ebrei – afferma orgogliosamente Maurice Bloch in una conferenza che è tutta una sbrodolante apologia giudaica – che danno origine a quella Compagnia olandese delle Indie che un tempo tenne lo scettro del mare e la cui potenza eccitò la gelosia di Colbert e Cromwell».
La grande abilità commerciale degli ebrei, aggiunge, non era sfuggita all’«occhio chiaroveggente» di Cromwell, e mai il Protettore fu più loquente di quando invocò pubblicamente la riammissione degli ebrei. L’Inghilterra doveva agli ebrei buona parte della sua prosperità.
Verso la metà del XVIII secolo, allorché fu discussa nel Parlamento di Londra la questione dei diritti da accordare agli ebrei, una petizione di 200 principali personaggi della City segnalava i servigi resi dagli ebrei, popolo «of the greatest judgment and abilities» (M. Bloch, Les Juifs et la prospérité publique à travers l’histoire, conference, «Revue des Études Juives» 38 (1899), pp. XXVI, XVII-XXVIII).
Nel suo lavoro sulle origini dell’imperialismo britannico, Léon Hennebicq, Genèse de l’imperialisme Anglais, Paris-Bruxelles, 1913, pp. 118 sgg., sottolinea come, nel suo incontro con Cromwell, Menasseh lasci intravedere «la forza economica, le segrete intelligenze e la potenza monetaria che avrebbe apportato al mercato di Londra un afflusso di uomini di borsa».
Nessuno meglio di Cromwell poteva apprezzarne i vantaggi, per via dei servigi che gli avevano reso, dal 1643 al 1655, i cripto-ebrei stabilitisi a Londra.
Costoro furono per lui agenti preziosi, pieni d’ingegno e devoti.
«Jorge Mendès, de Rebello, Coronel Chacon, Domingo Vaes, Abraham Coen Gonzalès, Isaac Lopez Chillon, Domingo Francia, Antonio de Porto, Simon de Souza, Duarte de la Cerda, David da Costa, stabilitisi sulle rive del Tamigi, hanno amici, familiari e spie in tutte le comunità ebraiche del continente. Essi sono ovunque, alle Barbados, nel Suriname, nell’America del Nord.
«De Caceres è l’agente di Cromwell per la Giamaica e il Cile. Quale aiuto non gli fornisce un Abraham Israel Carvajal, armatore nelle Indie, sia orientali che occidentali, che traffica tanto nell’America del Sud quanto in Siria, e i cui figli furono i primi ebrei naturalizzati inglesi?
«Attraverso tutte queste innumerevoli intelligenze, è la diaspora tutt’intera al suo servizio! Per non parlare poi della loro potenza monetaria! Fin dal 1643, quando la Spagna ammassava denaro per la guerra, s’era rivelata a Cromwell tutta la loro utilità. I primi emigranti ebrei non apportarono meno di 1.500.000 lire di moneta liquida, un dodicesimo del commercio del Regno Unito. Carvajal da solo importava annualmente per 200.000 lire d’argento spagnolo.
«Essi trascinavano dietro di loro il traffico ispano-portoghese, il commercio del Levante e potenti interessi nella Banca di Amburgo come nelle compagnie olandesi delle Indie. Quale occasione speciale per la bilancia del commercio! È come se tutto ad un tratto la miniera d’oro portoghese e olandese inondasse le casse quasi vuote dell’Inghilterra».
Alla fine, scrive ancora Hennebicq, la missione di Menasseh può dirsi compiuta.
Gli Ashkenazim seguono i Sephardim: Jehuda Cohen, Lévy, di Amburgo, Aaron Hart di Breslau, mentre degli emissari di Loyola non si vede nemmeno l’ombra.
«L’imperialisme jésuitique a plié devant l’imperialisme juif».
È solo un caso che tra i firmatari della petizione di Menesseh Ben Israel a Cromwell (vedi fac-simile dell’autografo originale in Menasseh Ben Israel’s petition to Oliver Cromwell. Hidden Treasures. Celebriting Jewish Archives in Britain, celebratingjewisharchives.org) figuri anche il nome di quell’Abrahams Israel Carvajal (alias Antonio Fernandez Carvajal) che, proprio grazie alla riammissione e ai buoni uffici di Cromwell, riuscì ad accrescere i propri affari fino a diventare il finanziere del Commonwealth? (Cfr. L. Wolf, The First English Jew. Notes on Antonio Fernandez Carvajal, with some biographical documents, «Transactions (Jewish Historical Society of England)» 2 (1894-95), pp.14-46). Evidentemente il capitale ebraico, rivendicando il diritto alla propria “emancipazione”, aveva fatto bene i suoi conti!
Non meno appropriate ci sembrano le osservazioni di Lionel Ifrah, L’Aigle d’Amsterdam. Menasseh ben Israël (1604-1657), Paris, 2001, pp. 143 sgg., che, come Hennebicq, delinea con precisione i principali aspetti economici, che non possono non essere definiti imperialistici, dell’alleanza anglo-giudaica al tempo di Cromwell, e la loro importanza per la storia dell’Inghilterra e del mondo.
Cromwell, scrive, in quanto uomo di Stato, aspirava innanzitutto a garantire al commercio del suo paese il primato in Europa, ciò che comportava una lotta senza tregua contro la concorrenza olandese e iberica. «L’emergere dell’Inghilterra imperialista, culla dell’industria e del commercio moderni, e di cui Cromwell fu uno dei principali artefici, è dovuto in gran parte al nuovo interesse che i puritani, assieme a tutti i non-conformisti, rivolsero all’intrapresa umana.
«La scoperta della perfetta compatibilità tra profitto e pietà, oltre all’esaltazione delle attività economiche come portatrici di benedizioni divine, impregnarono a lungo la vita spirituale e le idee sociali in Inghilterra e fecero ben presto di questo paese “l’atelier del mondo” e il centro del capitalismo».
Animato da questo spirito militante di conquista, Cromwell non solo non poteva ignorare il ruolo determinante giuocato dai mercanti ebrei nella rilevante crescita di centri come Livorno, Amburgo, e soprattutto Amsterdam, ma sapeva altresì benissimo che se costoro si fossero stabiliti coi loro capitali a Londra piuttosto che ad Amsterdam, ed avessero trasferito i loro affari nella capitale inglese, avrebbero contribuito senza alcun dubbio all’espansione economica della Gran Bretagna (Cfr. B. Coulton, Cromwell and the “readmission” of the Jews to England, 1656, «Cromwelliana», Journal of the Cromwell Association, 2001).
La politica coloniale di Cromwell, che mirava a rafforzare la presenza britannica nelle Antille ed a sviluppare gli scambi commerciali con queste isole dalle risorse così ambite, poteva essere facilitata dalla presenza di numerosi mercanti ebrei, spesso originari della comunità di Amsterdam, solidamente impiantati in questa parte del globo, dove agivano da veri pionieri dell’attività internazionale.
Testa di ponte verso le Antille era il Brasile, dove i mercanti ebrei di Amsterdam, favoriti dal giuoco delle relazioni familiari e personali, avevano subito occupato un posto preponderante nel commercio di questa nuova colonia olandese.
L’importanza del capitale giudaico per lo sviluppo della potenza finanziaria britannica può essere simboleggiata dalle figure di Antonio Fernandez Carvajal e Simon de Caceres.
Carvajal, portoghese di nascita, che s’era stabilito sulle rive del Tamigi, era vissuto a lungo nelle Canarie e si faceva passare per cattolico. Conobbe un’ascesa folgorante e ben presto divenne uno dei grandi nomi della City.
Alla testa della sua flotta che trasportava ogni genere di mercanzie, dalla polvere da sparo alle munizioni e ai lingotti d’oro, e che solcava mari e oceani fino al Levante e alle Antille, esercitava un commercio internazionale intensivo.
Durante la guerra civile, il Parlamento gli concesse la fornitura dei cereali e successivamente gli accordò ogni facilitazione per proseguire la sua attività. Fu naturalizzato nel 1655.
«Non solo aveva operato alla prosperità e alla crescita economica della Gran Bretagna, ma aveva contribuito ad assicurare la sicurezza del paese e la sua vittoria sui nemici».
Caceres, che s’era installato a Londra nel 1754 dopo essere vissuto alle Barbados e ad Amburgo, e che aveva importanti interessi e relazioni personali nelle Antille, fu utilizzato da Cromwell come un prezioso consigliere per gli affari coloniali.
Fu proprio Caceres a sottoporre a Cromwell, peraltro senza successo, un progetto di conquista del Cile che avrebbe assicurato alla Gran Bretagna il dominio dei Mari del Sud, e fu sempre lo stesso Caceres che si dichiarò disposto a prendere parte personalmente all’impresa, ponendosi alla testa della spedizione dei giovani della sua “nazione”.
D. Patinkin, Mercantilism and the Readmission of the Jews to England, «Jewish Social Studies» 8 (1946), pp. 161-178, tenta di ridimensionare le motivazioni economiche mercantilistiche nella riammissione degli ebrei, cui contrappone presunte motivazioni di carattere personale che sarebbero state decisive nella decisione presa da Cromwell.
Per contro Edgar Samuel (The readmission of the Jews to England in 1656, in the context of English economic policy, «Jewish Historical Studies» 31 (1988-1990), pp. 153-169), pur minimizzando il ruolo del capitale giudaico nello sviluppo del commercio inglese, inferiore a suo dire rispetto a quello dei mercanti ebrei di Amsterdam, alla fine deve ammettere che la riammissione faceva parte della politica mercantilistica del Commonwealth e che i mercanti ebrei contribuirono alla penetrazione dell’Inghilterra nel commercio coloniale portoghese e alla fioritura del commercio dei Caraibi tra la Giamaica e lo Spanish Main; «it was a decision which had beneficial consequences for English trade and prosperity, for the nature of English society and for the Jews of Europe» (pp. 167, 168).
Allo stesso modo vorrebbe minimizzare l’influenza economica degli ebrei nell’Inghilterra del 1700 Todd M. Endelman, L’activité économique des Juifs anglais, «Dix-huitième Siècle», n. 13, 1981, pp. 113-126, salvo poi sostenere, tra l’altro, che fin dai primi decenni del 1700 gli ebrei occupano un ruolo importante nel mercato dei titoli, dei fondi stranieri e delle azioni della Banca e delle Compagnie delle Indie e dei Mari del Sud, come agenti e mercanti di titoli.
Essi costituiscono «une minorité substantielle» fra gli azionisti della Banca d’Inghilterra e della Compagnia delle Indie per quasi tutto il secolo.
Samson Gideon, che accumulò un’enorme fortuna, era il mercante più importante della Compagnia.
Gli ebrei, aggiunge Endelman, occupano parimenti un posto importante nel commercio delle lettere di cambio straniere. Tra Londra e Amsterdam essi giuocano un ruolo «dominante» nell’invio e ricezione delle lettere di cambio, delle monete e dei lingotti d’argento e d’oro, e sono legati al commercio dei metalli preziosi.
Nondimeno, assicura Endelman, il contributo ebraico alla dinamica della vita finanziaria inglese dell’epoca non fu né molto importante, né in alcun modo decisivo, poiché gli ebrei non possedevano le enormi ricchezze e le amicizie politiche per giuocare un ruolo preminente nell’alta finanza ‒ affermazione questa per lo meno discutibile, anche alla luce delle alleanze anglo-giudaiche che si venivano consolidando proprio nel XVIII secolo.
Ma al di là dei dati puramente statistici sul peso economico degli ebrei invocati dall’autore, non doveva essere questa la percezione degli oppositori del “Jew Bill” del 1753, se è vero che, come rileva lo stesso Endelman, essi paventavano lo spettro del dominio ebraico se si fosse concesso loro il diritto di esercitare liberamente il commercio, sottintendendo con ciò che gli ebrei già allora esercitavano un potere economico temibile.
Endelman sottolinea peraltro come gli ebrei fossero anche tra gli azionisti della Banca d’Inghilterra, fondata nel 1694.
Riccardo Bachi (L’opera economica degli Ebrei nella fase di floridezza e in quella di decadenza dell’Olanda, «La Rassegna Mensile di Israel» 12 (1937), p.74), dopo aver rammentato che assai considerevoli furono i rapporti fra ebrei olandesi e inglesi, e che la loro attività economica esercitò una forte influenza su Cromwell, aggiunge che sembra che gli ebrei abbiano avuto una qualche parte sulla fondazione della Banca d’Inghilterra.
In effetti, non pochi furono i sottoscrittori ebrei delle azioni della Banca d’Inghilterra, il cui capitale depositato ammontava all’inizio a 1.500.000 sterline.
J.A. Giuseppi (Sephardi Jews and the early years of the Bank of England, «Transactions (Jewish Historical Society of England» 19 (1955-59)) riporta i nomi di numerosi azionisti ebrei con i rispettivi importi delle contribuzioni: Ferdinando Mendes, Peter Henriquez Junior, William Vega, Benjamin Levy, Moses Barrow, Salomon e Moses Medina, e molti altri ancora.
Stephen Goodson (The Hidden Origins of the Bank of England, «The Barnes Review», September-October 2012. Trad it.: Le origini segrete della Banca d’Inghilterra, rinascita.eu) sottolinea come quell’atto costitutivo della Banca d’Inghilterra abbia rappresentato la nascita ufficiale del debito pubblico.
Il suo fondatore, il mercante e finanziere scozzese William Paterson, ebbe a vantarsi che «questa banca avrebbe il beneficio dell’interesse sul denaro creato dal nulla».
Sulla genesi e lo sviluppo della Banca d’Inghilterra, associazione privata che non risponde verso il popolo, ma solo verso i propri azionisti, e sui suoi enormi profitti, sulla City come strumento di potenza britannica e internazionale, sui traffici finanziari del capitalismo ebraico rappresentato, oltre che dai Rothschild, anche dai Sassoon, dai Montefiore, dai Mond, dagli Oppenheimer, dai Cassel e sui legami del capitalismo ebraico con la casta dominante inglese cfr. Antonio Zischka, Le alleanze dell’Inghilterra, Roma, 1941 (in particolare cap. VIII: L’aiuto del capitalismo mondiale, pp. 177-198).
Fu l’educazione puritana a familiarizzare Cromwell con gli ebrei.
Intrisi di spirito giudaico, alcuni puritani, scrive Poliakov (op. cit. pp. 213-214), «traendone le estreme conseguenze, si fanno Ebrei e si circoncidono; altri invocano con discorsi e con scritti il ritorno degli Ebrei. Soprattutto le sette millenariste, così numerose e attive, manifestavano per la questione un interesse quanto mai evidente, perché la conversione degli Ebrei era la condizione necessaria per il ritorno di Cristo, e per convertirli bisognava pur chiamarli. Quando al grido di “Alle vostre tende, Israele!”, la borghesia puritana rovescia la monarchia, e nel 1649 porta Cromwell al potere, la questione della riammissione ufficiale si pone in materia più concreta, tanto più che a Londra si era di nuovo costituita una piccola colonia marrana che renderà al governo molteplici servizi finanziari e anche politici».
Georges Batault (Le problème juif, Paris, 1921, pp. 156-202. Trad. parziale dell’opera: G. Batault, Aspetti della questione giudaica, Padova, 1984, pp. 81-110) ha scritto pagine penetranti su giudaismo e puritanesimo, di cui riassumiamo solo qualche passaggio significativo.
Batault esordisce con la constatazione di fondamentale importanza che per studiare il problema ebraico nel suo complesso ed averne una comprensione totale, non è sufficiente analizzare il giudaismo propriamente detto nelle sue manifestazioni storiche.
Difatti, l’influenza obiettiva del giudaismo si esercita e manifesta anche senza che gli ebrei stessi debbano intervenire esplicitamente e immediatamente. E questo è proprio il caso del puritanesimo. I puritani sono fanatici giudaizzanti che si attengono alle dottrine e alle pratiche dell’Antico Testamento, divenuto per loro la fonte unica della vita religiosa, civile e politica.
Battezzano i figli coi nomi dei patriarchi e dei guerrieri israeliti, trasformano la domenica nello shabbath ebraico, regolano tutti i minimi aspetti della vita secondo i canoni simili a quelli dei farisei e in qualsiasi occasione impiegano le immagini e lo stile della Sacra Scrittura.
Come gli ebrei, i puritani si considerano il popolo eletto da Dio per eseguirne la volontà, anche con mezzi violenti.
Non stupisce dunque che i puritani facciano di tutto per attirare il popolo dell’Antico Testamento, della cui futura conversione sono assolutamente convinti, nella comunità cristiana di Dio che vogliono costruire in Inghilterra.
Naturalmente, aggiungiamo noi, gli ebrei non avevano la minima intenzione di convertirsi al cristianesimo, né erano minimamente interessati al “ritorno di Cristo”, che invece odiavano e disprezzavano fin dentro le midolla, e si limitarono a sfruttare abilmente l’appoggio di Cromwell e dei puritani alla loro causa allo scopo di penetrare nel tessuto sociale inglese.
Cromwell e il puritanesimo furono, appunto, il loro cavallo di Troia.
Ed infatti non solo la comunità ebraica britannica non risentì della fine dell’esperienza cromwelliana, ma con la Restaurazione la troviamo più organizzata e potente di prima.
Essa non ha temuto di porsi al servizio della causa reale, e la sua potenza finanziaria si è accresciuta, come mostrano anche i libri dell’Alderman Backwell già ricordati (Cfr. L. Wolf, Status of the Jews in England after the Re-Settlement, «Transactions (Jewish Historical Society of England)» 4 (1899-1901), pp. 177-193; Id., The Jewry of the Restoration. 1660-1664, ivi, 5 (1902-1905), pp. 5-33).
Moolto interessante!
Andrebbe riletto subito dopo il giudizio che degli Americani/Puritani dava John Kleeves nel suo”UN PAESE PERICOLOSO”
https://archive.org/details/20210314_20210314_1906/John%20Kleeves%20-%20Un%20Paese%20Pericoloso/mode/1up