Gian Pio Mattogno
PROMEMORIA PER PAPA LEONE XIV.
NOTA SUL PONTIFICATO DI LEONE XIII E GLI EBREI
Il card. Robert Francis Prevost, appena eletto nuovo papa, si è presa la grossa responsabilità di assumere il nome di Leone XIV.
In continuità ideale col suo grande predecessore Leone XIII?
Solo poche ore dopo l’elezione di Leone XIV al soglio pontificio, si fa sentire immancabile la voce della Sinagoga.
A preparare il terreno è il giornale ebraico “The Times of Israel” (Ben Sales, Leo XIV, first American Pope, studied under pioneer in Jewish-Catholic relations).
Il giornale ebraico ci informa che il futuro papa Leone XIV, quando frequentava il seminario a Chicago, studiò col rev. John Pawlikowski, «un pioniere nelle relazioni tra ebrei e cattolici».
Dopo più di quarant’anni dall’ordinazione sacerdotale di Prevost, Pawlikowski lo ricorda come un bravo e brillante studente «dalla mente aperta», e successivamente, nel contesto del Concilio Vaticano II (che inaugurò col documento Nostra Aetate una nuova èra nelle relazioni ebraico-cristiane) di nuovo come una persona molto aperta.
Il giornale ebraico aggiunge però che Prevost «non è stato una figura di spicco nel dialogo ebraico-cattolico, e non sembra aver pubblicamente fatto commenti su Israele o sulla guerra a Gaza», «scatenata – non si perita ovviamente di sottolineare il giornale ebraico – dall’attacco guidato da Hamas il 7 ottobre 2023», come se non ci fosse stato un 6 ottobre, un 5 ottobre, un 4 ottobre etc., cioè come se prima del 7 ottobre, per decenni, in quella terra martoriata non fosse mai accaduto assolutamente nulla!
Ad ogni modo, si premura di rimarcare il giornale ebraico, il fatto che Leone XIV abbia raggiunto la maggiore età durante il periodo del Concilio Vaticano II e che a Chicago, dove sono le sue radici, viva una grande comunità ebraica, induce il rabbino Noam Marans, direttore delle relazioni interreligiose e inter-gruppo, «ad essere ottimista (…) Un papa americano è di buon auspicio per il futuro delle relazioni tra cattolici ed ebrei».
Che tradotto significa: speriamo che il nuovo papa continui nella politica conciliare di compiacere i “fratelli maggiori” avviata dai suoi immediati predecessori, e non gli venga minimamente in mente di ispirarsi a Leone XIII.
Il rabbino Joshua Stanton, vicepresidente associato per le iniziative interreligiose e di inter-gruppo delle Federazioni Ebraiche del Nord America, s’è anch’egli affrettato ad affermare che tutti i papi desiderano la pace, ed ha chiosato: «Posso aggiungere che tutti i cattolici, gli ebrei, i rabbini vogliono la pace».
Gli ebrei e i rabbini, sì, … la “pax judaica”, quella che il popolo palestinese gode da decenni dopo essere stato derubato della propria terra e oppresso dall’entità pirata criminale sionista, la “pace” che essi vorrebbero imporre a tutto il mondo.
Ma forse le remore sul nuovo papa sono giustificate più che per via della sua successione temporale a Bergoglio, per la sua successione ideale a Leone XIII?
Chi era infatti papa Leone XIII?
Leone XIII fu un papa che, dopo circa un secolo di disorientamento, ricondusse la Chiesa al tomismo (Lettera enciclica Aeterni Patris, 1879).
Fu un papa anticomunista, ma anche antiliberale e critico delle devastazioni del capitalismo più sfrenato (Lettera enciclica Rerum novarum, 1891).
Fu un papa antimassone (Lettere encicliche: Humanum genus, 1884; Dall’alto dell’Apostolico Seggio, 1890; Inimica Vis, 1892; Custodi di quella Fede, 1892).
Fu un papa antigiudeo, che riguardo alla questione ebraica, non solo non si scostò dalla posizione tradizionale della Chiesa (Cfr. mons. Félix Vernet, La Chiesa e la polemica antigiudaica. Storia, storiografia e bibliografia dalle origini agli inizi del sec. XX, andreacarancini.it), ma fu anzi sotto il suo pontificato che sulla stampa cattolica, ed in particolare sulla rivista dei gesuiti “La Civiltà Cattolica”, venne condotta la battaglia più virulenta contro il giudaismo rabbinico-talmudico (Cfr. G.P. Mattogno, “La malefica azione della razza giudaica”. La polemica contro il Talmud nelle cronache e nelle corrispondenze de “La Civiltà Cattolica” 1880-1881, Effepi, Genova, 2019).
In occasione della morte di Leone XIII, avvenuta nel luglio 1903, “Il Corriere Israelitico” (anno XLII, 1903, p. 65) ebbe a scrivere un necrologio del papa.
Il giornale ebraico riconosceva che Leone XIII era «una mente illuminata, un’anima aperta a tutte le aspirazioni di libertà e progresso».
Nondimeno si chiedeva:
«È possibile quindi ammettere ch’Egli, individualmente, non abbia voluto comprenderci nella sua carità cristiana per gli uomini? È ammissibile ch’Egli non abbia esteso anche agli ebrei il suo ideale di fratellanza e di amore universale? Alcuni fatti e l’intervista avuta da M.me Séverine e da lei pubblicata nel “Figaro”, fanno vedere quale e quanta fosse la benevolenza ch’Egli accordava agli ebrei e come stimasse compito della Chiesa quello della dolcezza e della filantropia. Ma purtroppo – e i fatti sono a provarlo – altrettanto benevolo non fu il contegno delle popolazioni cattoliche verso gli ebrei.
«In questi venticinque anni di Papato di Leone XIII, l’antisemitismo crebbe in modo tale da destare spavento anche nel più ingenuo ottimista. La calunnia del sangue, nonostante tante pressioni mai ufficialmente smentita, fu quasi sempre l’arma di cui si servono i “leaders” antisemiti per suggestionare la folla e condurla ad atti come quelli di Zante e di Polna.
«E nemmeno gli stessi organi ufficiali o ufficiosi del Vaticano serbarono un indirizzo più benevolo verso di noi. La “Voce della Verità”, la “Civiltà cattolica” e l’“Osservatore Romano” non aiutarono certo alla lotta contro i pregiudizi religiosi e la fola degli omicidi rituali.
«Così passammo questo quarto di secolo sempre più peggiorando e nel timore di un avvenire ancora più fosco. Ed oggi siam giunti al punto, che dobbiamo chiuder gli occhi e abbandonarci alla corrente, come fa un annegato quando sa che non c’è più speranza di salvarsi».
Il giornale ebraico cercava di scaricare tutte le responsabilità dell’atteggiamento della Chiesa verso gli ebrei sulla popolazione cristiana e sugli organi di stampa cattolici.
In realtà, nell’intervista a Séverine sopra citata Leone XIII aveva detto altro.
Scrive David I. Kertzer:
«Nel corso dell’intervista, pubblicata il 3 agosto, Leone XIII sosteneva che la violenza diretta contro chiunque era contraria agli insegnamenti della Chiesa e insisteva sulla visione della Chiesa secondo la quale tutti, indipendentemente dalla loro provenienza, erano figli di Dio, essendo la loro anima fatta della stessa essenza.
«In generale si attenne alla visione tradizionale della Chiesa, sottolineando il ruolo dei papi nel proteggere gli ebrei e invitandoli ad accettare il battesimo e a convertirsi. Tuttavia, nell’avvertire di una nuova piaga che tormentava la società moderna e che aveva definito “il regno del denaro” e nell’insistere sulla necessità di doversi difendere da essa, il papa – senza nominare gli ebrei – aveva ribattuto su uno degli argomenti principali della campagna antisemitica dell’epoca» (D.I. Kertzer, I papi contro gli ebrei. Il ruolo del Vaticano nell’ascesa dell’antisemitismo moderno, Milano, 2002, p. 327).
Ora, passi la «fola degli omicidi rituali», ma tutto il repertorio dell’anticristianesimo rabbinico-talmudico? E quali erano questi presunti «pregiudizi religiosi»?
I cattolici dovevano «chiuder gli occhi» dinanzi alle blasfemie contro Gesù, Maria e i cristiani contenute nel Talmud e nella letteratura rabbinica, e rimare inerti di fronte alla “preponderanza giudaica”, come usava dire allora, nella società cristiana?
La stampa cattolica dell’epoca non faceva che esprimere in materia il pensiero ufficiale della Santa Sede, e quindi dello stesso pontefice Leone XIII.
Oggi, a dispetto degli auspici della Sinagoga, non è inopportuno ricordare un articolo apparso sulla “Civiltà Cattolica” nel 1910, sotto il pontificato di S. Pio X, che commemorava la morte di Karl Lueger, capo indiscusso del partito-cristiano sociale austriaco e borgomastro di Vienna, fautore di «una sorta di terza via corporativista fra liberalismo e marxismo, ispirata al Magistero di Leone XIII» (M.L. Sergio, Le “imperiose esigenze della conservazione sociale”. Il cattolicesimo politico in Austria e nel Tirolo nella corrispondenza della Segreteria di Stato vaticana (1904-1911), «Studi Germanici», n. 9, 2016, p. 294), verso cui Leone XIII nutrì una viva simpatia e al quale inviò la sua personale benedizione.
IL DOTT. CARLO LUEGER (“La Civiltà Cattolica”, a. 61°, vol. 2, fasc. 1435, 25 marzo 1910, pp. 65-69)
La morte del dott. Carl Lueger, borgomastro di Vienna, avvenuta il 10 marzo dopo lunga malattia aggravatasi dolorosamente in questi ultimi mesi, è l’avvenimento più importante del giorno nella storia della capitale austriaca e relativamente anche dell’impero austro-ungherese.
La larghissima ed affettuosa partecipazione del pubblico alto e basso di Vienna e delle province al corso della malattia e il grandioso funerale, veramente degno d’un imperatore, furono un’eloquente affermazione di quei sentimenti di stima, d’ammirazione e di riconoscenza, che l’illustre estinto seppe guadagnarsi in vent’anni di lotta e di lavoro indefesso per il pubblico bene non solo nella città natia, ma anche al di fuori.
Né il titolo di grande, applicato al merito del Lueger, che nel suo genere di attività fu anzi unico, deve sembrare esagerato, chi consideri, che il suo nome resterà nella storia glorioso per avere liberato Vienna dalla schiavitù economica e politica degli ebrei, come tre secoli fa il celebre Sobieski la liberò dall’assedio dei turchi.
Di fatto nella seconda metà del secolo decimonono, grazie all’emancipazione accordata nel ’48 agli ebrei, confermata nelle posteriori costituzioni politiche, Vienna era diventata a dirittura una nuova Gerusalemme giudaica, specialmente per gli Ebrei della Galizia e della Russia, calativi a stormi e affamati d’oro e di potenza.
Uno stato maggiore di milionari, ingrassati a spese dello Stato e del povero popolo che veniva succiato a sangue dalle loro usure colossali, innalzati per siffatti meriti al grado di cavalieri e baroni dell’impero, coll’aiuto d’un esercito di liberali intruppatisi al loro servizio, avevano conquistato trionfalmente le piazze, impadronendosi di tutto, della Borsa, del commercio, dell’industria, della stampa, dell’università, e di tutti i posti più importanti su su fino alla corte imperiale, e fino a spadroneggiare dispoticamente nel municipio, nella dieta provinciale, e nel parlamento.
Allora si videro votate e sancite le nuove leggi anticristiane, condannate come «abbominevoli» da Pio IX; allora venne stracciato il Concordato con la S. Sede, ed asservita la Chiesa al potere dello Stato, con un ritorno storico ai tempi di Giuseppe II.
In tali condizioni trovavasi la capitale della monarchia, quando comparve il dott. Lueger: un giovinotto, nato a Vienna nel 1844 da modestissima famiglia popolana, appena laureato in legge, ma dedito piuttosto che alle brighe del foro agli studi sociali nella nuova scuola piantata a Vienna nel 1875 dal benemerito barone Vogelsang, conforme ai principii dell’illustre vescovo mons. Ketteler.
Il caposcuola Vogelsang, fieramente avversato sulle prime dal partito conservatore dei nobili e signori feudali più potenti a corte, e per giunta da parecchi membri dell’alto clero, fu il vero maestro del Lueger, al quale additò la via da battere per atterrare il colosso giudaico-liberale dal piede di creta: l’assalto doveva essere portato sul campo economico, riunendo insieme tutti gli elementi cristiani, cattolici e non cattolici della capitale in uno sforzo comune.
Sorse allora il partito «antisemita», così denominato non già in senso religioso, ma dal suo scopo politico ed economico, una specie di arca di Noè, dove entrarono gli elementi più disparati, dai cattolici del principe Liechtenstein e di mons. Scheicher fino agli antisemiti più fanatici ed intransigenti dello Schneider e dello Schönerer pangermanista, uscito appresso dalla lega cristiano sociale per mettersi a capo del movimento anticattolico col motto «Los von Rom» [Liberi da Roma].
Soltanto nel 1891 venne fatto al Lueger di stabilire l’unità del partito, allontanando gli elementi più eterogenei, e giovandosi della vigorosa azione parallela del gesuita padre Abel, apostolo di Vienna e promotore dei celebri pellegrinaggi d’uomini a Maria Zell e ad altri santuari, aiutato dal p. Freund redentorista, per dare un indirizzo religioso al movimento del partito cristiano sociale.
Allora il Lueger, ancora semplice deputato nel consiglio municipale e nel parlamento, ma efficacissimo oratore popolare d’un’eloquenza tribunizia irresistibile, adoperò un’attività prodigiosa, per attirare e collegare nel suo partito la piccola borghesia ed anche la classe operaia, con la scorta dell’enciclica «Rerum novarum», appena promulgata, di fronte al nuovo partito socialista che già raccoglieva nelle sue file dominate dagli ebrei la più parte degli operai.
Così dopo un ventennio di lotta gigante il Lueger veniva a capo di strappare di mano alla tirannide giudaico-liberale la cittadella del municipio viennese, insediandosi inoppugnabilmente nell’alta carica di borgomastro, la più alta fra le autorità autonome della capitale. Ma quanti ostacoli non ebbe egli ad affrontare e superare per ottenere la sanzione sovrana a questa nomina!
Già fino dal primo periodo di vita del nuovo partito, come fu accennato, il Lueger non era veduto di buon occhio dalla Corte, che l’avversava come rivoluzionario. Si aggiunsero poi le accuse di demagogo turbolento, ostile alla Casa Regnante, e perfino di libertino irreligioso ed immorale, sparse ad arte dai giudeo-liberali, inviperiti per la subita disfatta, ed accolte con troppo facile orecchio anche da più d’uno dei personaggi più autorevoli degli alti circoli ecclesiastici e politici più potenti a Corte.
Quindi avvenne che S.M. Francesco Giuseppe ricusò recisamente l’approvazione sovrana alla nomina dell’irrequieto tribuno, sollevato all’alto seggio di borgomastro della «grande Vienna» sugli scudi dei «piccoli uomini», come li chiamava il Lueger, dalla cittadinanza viennese.
E ci volle la spinta d’una nuova, rumorosa rielezione, per indurre il vecchio imperatore a recedere dalla sua prima sentenza, e confermare la elezione sì fortemente contrastata.
Senza dubbio, assai giovò a tale effetto l’intervento del nunzio apostolico mons. Agliardi, il quale fin dalle prime seppe intuire nel Lueger l’uomo predestinato a grandi cose e sempre lo difese e protesse, sia a Corte che presso la S. Sede, guadagnandogli la stima e la fiducia di Leone XIII e del Card. Rampolla.
Nella nuova carica di capo d’una città di due milioni d’abitanti il Lueger mantenne sempre intatto il suo carattere di buon popolano viennese, ottimista e spiritoso, raddoppiando la sua infaticabile operosità nell’amministrazione municipale senza smettere la sua opera di tribuno nei comizi e ritrovi pubblici d’ogni fatta, e senza arrestarsi di fronte alle difficoltà enormi suscitategli contro dalla cricca giudeo liberale che gli negò persino i prestiti di Borsa necessarii per attuare i suoi disegni nell’amministrazione municipale di Vienna.
Nonostante tutte le opposizioni, in pochi anni il Lueger, sempre imperterrito, riuscì a creare il «Gross Wien», congiungendo i sobborghi alla città propriamente detta, portando il bilancio annuale del nuovo grande Municipio fino all’importo di duecento milioni, rinnovando, si può dire, Vienna, come Augusto l’antica Roma, in maniera da renderla una delle più belle ed ammirevoli città d’Europa e del mondo, ricca di nuove scuole, di nuove chiese, di palazzi, di giardini, di acquedotti, di tramvie e di tutte le comodità richieste da moderno progresso cittadino.
Venuto a morte, il Lueger chiese e ricevette con viva fede i Sacramenti della Chiesa, e raccomandandosi alla Madonna, verso la quale professava gran devozione istillatagli fin da bambino dalla madre, morì rassegnato alla volontà di Dio, da quel buon credente che si era sempre serbato in mezzo a tutti i trambusti della sua vita cotanto operosa ed agitata.
I suoi funerali riuscirono un trionfo non più veduto, quale tacitamente eragli stato decretato dalla riconoscenza della città al suo liberatore e rinnovatore; sicché può dirsi senza esagerazione, che, se egli fosse stato un principe coronato, gli onori tributatigli non potevano riuscire più grandi (…)
Leave a comment