Gian Pio Mattogno
PERLE TALMUDICHE.
NON SI SALVA LA VITA DI UN NON-EBREO DURANTE LO SHABBATH
Il Talmud stabilisce che salvare una vita umana (leggi: la vita di un ebreo) durante lo Shabbath prevale su qualunque altra norma che regola questa festività particolare, ma che è proibito salvare la vita di un non-ebreo.
I Saggi – apprendiamo dal trattato talmudico Yoma 84b – insegnano che chi si adopera a salvare la vita di un correligionario durante lo Shabbath è degno di lode e non viola la normativa del sabato.
Non ha bisogno di un tribunale e può agire di propria iniziativa.
Se ad esempio vede un bambino (ebreo) cadere in acqua, stende una rete da pesca e lo tira fuori, anche se così nella rete prende dei pesci, cosa che non è permessa, poiché di sabato è proibito pescare.
Se vede un bambino (ebreo) cadere in una fossa e non riesce ad uscire, scava una parte del terreno attorno al bordo della fossa per costruire un gradino e lo tira fuori, sebbene di sabato costruire il gradino è proibito.
Se vede che una porta è chiusa a chiave davanti ad un bambino (ebreo), e il bambino è spaventato e piange, sfonda la porta e lo tira fuori, anche se intende romperla in tavole da usare in seguito, cosa che è parimenti proibita.
Allo stesso modo, durante lo Shabbath è lecito spegnere un incendio ponendo davanti ad esso una barriera di vasi di metallo o di argilla piena d’acqua se qualcuno (ebreo) è in pericolo di vita, anche se lascia le braci che possono essere usate per cucinare dopo lo Shabbath.
In tutti questi casi non c’è bisogno di chiedere il permesso ad un tribunale, poiché il soccorritore deve affrettarsi ed agire immediatamente, in quanto una vita (leggi: la vita dell’ebreo) è potenzialmente in pericolo.
Ma se a rischiare la vita di sabato è un non-ebreo, allora non si viola lo Shabbath e il non-ebreo non va salvato.
Il Talmud insegna che si può violare il sabato per salvare una persona che è in pericolo di vita, anche se non è certo che si tratti di un ebreo, poiché, nel dubbio, va sempre privilegiata la salvezza dell’ebreo.
Se ad esempio un gruppo di persone composto da nove non-ebrei ed un solo ebreo camminano insieme, ed entrano in un cortile, e un edificio crolla, e una frana di pietre cade su di loro, e uno di loro rimane sotto le macerie, e non si sa se sia l’ebreo o uno dei non-ebrei, è permesso rimuovere le pietre e salvarlo, poiché vi è la possibilità che egli sia l’ebreo.
Vi è però un altro insegnamento, secondo cui, se un edificio crolla su un gruppo di persone composto da nove ebrei ed un solo non-ebreo, non è permesso violare lo Shabbath, e le pietre non vanno rimosse per salvare la persona rimasta sotto le macerie.
Ma solo apparentemente i due insegnamenti si contraddicono a vicenda.
Il primo caso infatti riguarda un gruppo di persone composto da nove non-ebrei ed un solo ebreo che camminano insieme, e le pietre cadono sull’intero gruppo, e dunque vi è una possibilità che sia l’ebreo ad essere rimasto sotto le macerie.
Il secondo caso invece riguarda un gruppo di persone che si sono separate e sono andate in direzioni diverse, ed è il non-ebreo ad essere rimasto sotto le macerie.
La regola generale stabilita dal Talmud è dunque la seguente:
non si viola lo Shabbath se si salva la vita di un ebreo;
si viola lo Shabbath se si salva la vita di un non-ebreo;
di conseguenza, se di sabato un non-ebreo è in pericolo di vita, l’ebreo non deve soccorrerlo, poiché così facendo commette un grave peccato, in quanto compie una profanazione per la quale la legge mosaica prevede addirittura la pena di morte (Es. 31,12-16).
Leave a comment