Gian Pio Mattogno: I non ebrei sono animali in forma di uomo

Gian Pio Mattogno

I NON-EBREI SONO ANIMALI IN FORMA DI UOMO.

UN PASSAGGIO DEL MIDRASH TALPYOT TRADOTTO DA ISRAEL SHAMIR

Nel Talmud e nella letteratura rabbinica i non-ebrei (goyim, ummot haolam = popoli del mondo, gentili) sono indicati come idolatri empi, impuri e malvagi.

In più luoghi essi non sono considerati uomini, ma vengono assimilati alle bestie (G.P. Mattogno, La non-umanità dei gojim nel Talmud e nella letteratura rabbinica, Edizione all’insegna del Veltro, Parma, 2011).

Di fronte a questi e ad altri passi imbarazzanti riportati dalla letteratura antigiudaica, gli avvocati di Israele adottano una strategia difensiva tanto ben congegnata, quanto sterile.

In primo luogo affermano che le citazioni sono false.

Se si dimostra che sono autentiche, replicano che sono state «estrapolate dal contesto», e quindi ne è stato manipolato e falsato il vero senso.

Se si dimostra che il senso è proprio quello, rispondono che si tratta di opinioni di singoli rabbini, magari concepite a causa delle persecuzioni.

Se si dimostra che in realtà si tratta di giudizi e prescrizioni stabilite dalla normativa rabbinica (Halacha), e che le persecuzioni possono tutt’al più aver esacerbato un odio giudaico atavico, già connaturato all’essenza stessa della religione ebraica, obiettano che certe prescrizioni nei riguardi del non-ebreo non sono più valide al giorno d’oggi.

     Se infine si dimostra, documenti alla mano, che esse sono tuttora valide perché mai abrogate, allora tagliano corto, ammonendo gravemente che tutte queste polemiche antigiudaiche portano … ad Auschwitz!

Fra le citazioni ricorrenti nella letteratura antigiudaica vi è un passaggio del Midrash Talpiyot di Rabbi Eliyahu HaCohen di Izmir (Smirne) (1670-1729), autore di più di trenta opere, molte delle quali ancora inedite.

Il Midrash Talpiyot è una compilazione di glosse e commenti tratti da trecento opere e contenenti 926 (il valore numerico del termine Talpiyot) paragrafi in ordine alfabetico, la cui sola prima parte (da “alef” a “kaf”) fu pubblicata ad Amsterdam nel 1698 (Elijha Ben Solomon Abraham Ha-Kohen, «The Jewish Encyclopedia», vol. 5, p. 135). Nel tempo sono seguite altre edizioni.

Il padre I.B. Pranaitis riporta il testo ebraico dell’edizione di Varsavia 1875, che traduce così in latino:

«Creavit eos (Deus) in forma hominis ad honorem Israel; non enim creavit Akum (alio fine), quam ad ministrandum eis (Judaeis) die et nocte; neque requies eis dari potest unquam ab isto servitio eorum. Dedecet enim filium regis (Israelitam), ut ministrent ei bestiae in propria forma, sed bestiae in forma humana» (Fol. 255 d).

(Dio li creò in forma di uomini in onore d’Israele poiché i Cristiani non furono creati ad altro fine se non a quello di servire i Giudei giorno e notte né mai deve essere data loro requie che cessino da simile servizio. Sconviene al figlio del re (l’israelita) che lo servano bestie in quanto tali, ma è conveniente che lo servano bestie in forma umana)

(I.B. Pranaitis, Cristo e i cristiani nel Talmud. Edizione coi testi ebraici a fronte ed una Introduzione di Mario de’ Bagni. Traduzione di R.B., Milano-Roma, 1939, pp. 118-119. Il libro riporta il testo originale dell’opera di Pranaitis: Christianus in Talmude Judaeorum sive Rabbinicae Doctrinae de Christianis Secreta quae patere fecit I.B. Pranaitis, Petropoli, 1892, senza però la bibliografia. R.B. traduce erroneamente il termine Akum (un acronimo che significa adoratori delle stelle) con “Cristiani”, anche se esso, come ad esempio nello Shulhan Aruch, può indicare anche i cristiani).

La citazione di Pranaitis è stata utilizzata anche dalla polemica antigiudaica nazionalsocialista e compare ad es. in H.-G. Otto, Der Jude als Weltparasit, München, 1943.

Anche su questo passaggio si è scatenata la canea apologetica degli avvocati di Israele.

Ecco un censore giudeo che dice di aver trovato una copia in rete, di aver cercato la pagina 255 (caso mai doveva cercare il paragrafo 255!) e di non aver trovato nulla che assomigli solo lontanamente alla citazione menzionata, concludendo perentoriamente che «la citazione è completamente falsa» (Midrash Talpioth pag. 225 – L, antisemiticlies.com).

Ecco poi un altro censore giudeo il quale sottolinea raggiante che il Midrash Talpiyot non fa affatto parte del Talmud ‒ come se qualcuno mediamente informato potesse sostenere una sciocchezza del genere ‒ insinuando che la citazione è falsa, come pure sarebbe falsa un’altra citazione che recita: «Quando verrà il Messia, ogni ebreo avrà 2.800 schiavi».

Il nostro censore giudeo fa seguire la citazione dalla sua presunta fonte: Simeon Haddarsen fol. 560, e con finta ironia chiosa gongolante:

«Peccato che non esista alcuno scritto del genere né nel Talmud, né fuori di esso. È completamente falso, il che è triste, perché non vedevo l’ora di avere 2.800 schiavi! » (More Anti-Talmudic Rhetoric: A False Narrative, aronbengilad.blogspot.com).

Peccato che il povero imbecille non sappia che questo testo esiste davvero, e che si trova nel midrash medievale Pesikta Rabbati, piska 36!!

     Né poteva mancare la massoneria, che si limita a dire che questo non è un testo talmudico, insinuando però anch’essa che si tratti di un falso (Falsifiers of the Talmud, freemasonry.bcy.ca).

     La questione viene risolta definitivamente da Israel Shamir in un articolo dal titolo: Are Non-Jews Human? Reading a Midrash out of Midrash Talpiyot (unz.com), che riporta anche il testo originale ebraico della citazione.

Scrive Shamir che tutti i riferimenti relativi ai non-ebrei che si trovano nelle fonti giudaiche vengono sonoramente stroncati e confutati da tutta una pletora di siti ebraici che difendono con fermezza il Talmud e gli altri scritti rabbinici.

«I difensori della fede ebraica affermano che le citazioni hanno un significato completamente diverso, sono estrapolate dal contesto e la traduzione è comunque errata. Oppure, spesso, sostengono che siffatte citazioni non si trovano nel libro menzionato, o che addirittura il libro non si trova».

Una di queste citazioni riguarda appunto il Midrash Talpiyot, il quale afferma che i non-ebrei sono bestie in forma umana.

Dopo aver ricordato che in generale il midrash è un’indagine esegetica dei significati più reconditi nascosti in un testo normativo, Shamir osserva che il midrash in questione indaga il testo normativo costituito da un’espressione del Talmud pronunciata dal grande saggio R. Shimon Bar Yohai nel contesto di una discussione relativa all’impurità levitica causata da un cadavere in determinate condizioni.

Richiamandosi al versetto di Num. 19,14 riguardante l’impurità causata dal cadavere di un uomo (adam), R. Shimon Bar Yohai, che era un grande odiatore dei goyim, ne dedusse che solo gli ebrei sono chiamati uomini (adam), mentre i non-ebrei non sono chiamati uomini.

Questo fu l’inizio di una lunga disputa sul fatto che i non-ebrei debbano effettivamente essere considerati uomini oppure no.

L’espressione di R. Shimon Bar Yohai si trova in alcuni passi del Talmud (Yebamot 61a, Baba Mezia 114b, Keritot 6b), ma Rabbi HaCohen fa riferimento in modo particolare ad Aboda Zara tosafot 3a (le tosafot sono commentari medievali al testo talmudico), dove si afferma che, mentre nella Bibbia il termine adam (uomo) si riferisce unicamente all’ebreo (in realtà la Bibbia usa adam anche in riferimento ai non-ebrei), il termine ha-adam (con l’articolo determinativo ha = l’uomo) si riferisce all’essere umano in generale e include anche i non-ebrei, così come anche ben-adam (figlio di Adamo) si riferisce all’essere umano in generale.

A questo punto Rabbi HaCohen pone la domanda: cosa importa se la Bibbia usa il termine adam solo per gli ebrei, quando sappiamo che anche i non-ebrei sono uomini, in quanto hanno un aspetto identico agli ebrei?

E risponde svelando il più recondito significato del testo: in realtà i non-ebrei non sono uomini, ma bestie in forma di uomo per meglio servire gli ebrei. Hanno una forma umana per due ragioni diverse. In primo luogo, perché è più piacevole e rispettabile per un ebreo essere servito da una bestia in forma di uomo, piuttosto che da una bestia in forma di bestia; in secondo luogo, perché un non-ebreo può associarsi agli ebrei, mentre non potrebbe farlo se avesse una forma di bestia.

Solo gli ebrei sono uomini (adam), perché solo essi osservano le mitzvot (comandamenti divini), che li rendono ad immagine di Dio, mentre i non-ebrei non possono (e non devono) osservare le mitzvot (ad eccezione dei sette comandamenti noachidi dati a tutta l’umanità).

E questo è il testo del Midrash Talpiyot in questione:

«Aboda Zara tosafot 3a: Voi siete chiamati uomini (adam), i gentili non sono chiamati uomini (adam). L’Autore ha detto: In verità, cosa importa che [i gentili] non siano chiamati uomini (adam), se sono veramente uomini (adam), e non c’è differenza tra il loro aspetto e l’aspetto d’Israele? Tuttavia, impara il segreto in questione. È scritto [Ez. 1,26]: “In alto sul trono c’era una figura simile a quella di un uomo (adam) etc.” Scopriamo così che Dio è chiamato adam e ordinò 613 comandamenti a Israele. Questi comandamenti furono osservati da Dio prima ancora di essere donati a Israele, come dissero i nostri Saggi di benedetta memoria. E proprio perché osserviamo i comandamenti noi siamo chiamati uomini (adam), come era stato chiamato adam Dio stesso. Perciò scopriamo che il nome uomo (adam) che usiamo è una testimonianza che siamo simili a Dio, perché osserviamo i comandamenti come fa Lui.

«Non così i gentili. I gentili non sono chiamati uomini (adam), e questa è una testimonianza che essi sono separati e lontani da Dio, e la testimonianza che il nome del Creatore, cioè adam, non è su di loro. Essi sono bestie (behemoth, plur. di behema) in forma di uomo (adam). Tutte le loro vie ed azioni sono le vie e le azioni delle bestie, poiché tutto ciò che non è la via di Dio è chiamato azione bestiale. E colui che li ha creati, Dio, li ha creati in forma di uomo (adam), come Israele, perché Egli è pieno di grazia e benevolenza. Se essi desiderano rimanere uniti a Israele, possono rimanerci, mentre non potrebbero farlo se fossero creati in forma di bestia.

«E altrove ho scritto che Dio li creò in forma di uomo (adam) per mostrare rispetto verso Israele, in quanto i gentili non furono creati se non per servire Israele giorno e notte, senza sosta, e (poiché) non è rispettoso per il figlio di un re essere servito da una bestia in forma di bestia, a servirlo dovrebbe essere una bestia in forma di uomo (adam)».

Nelle annotazioni Shamir sottolinea che per designare il non-ebreo Rabbi HaCohen usa significativamente il termine behama, che significa precisamente bestia nel senso di animale domestico, in contrapposizione all’animale selvatico, cioè bestia sotto il controllo dell’uomo.

Nulla di nuovo sotto il sole.

Quella del Midrash Talpiyot non è un’esternazione estemporanea, frutto di chissà quali persecuzioni antisemitiche.

No. Rabbi HaCohen di Smirne non fa che compendiare tutta una tradizione rabbinica relativa alla non-umanità dei non-ebrei.

A dispetto di tutti i professionisti della menzogna che si affaticano a negarlo, da Rabbi Yehiel di Parigi ad oggi, passando per il filosofo Hermann Cohen e i suoi congeneri e sodali, da sempre gli “eletti” di Jahvè considerano i non-ebrei non uomini, ma bestie in forma di uomo.

 

One Comment
    • Giusto Bresciani
    • 1 Maggio 2025

    Consapevole di camminare sulle uova anzi su un terreno minato, oso chiedere:
    come mai non esiste una parola per designare l’esclusione che gli ebrei praticano verso
    i non ebrei? Esclusione, separatismo, isolazionismo, differenzialismo, sciovinismo,
    nazionalismo, etnocentrismo, xenofobia, autosegregazione sono al cuore dell’identità
    ebraica; lo sono da migliaia di anni, esplicitamente sanciti dalla religione di questo popolo che si ritiene, per diritto divino, superiore a tutti gli altri popoli, e che coltiva la purezza del proprio sangue attraverso l’endogamia, e che avversa con tutte le fibre del corpo e dell’anima la contaminazione che l’esogamia farebbe invece irrompere nelle proprie vene.
    È inspiegabile quest’assenza nel nostro dizionario di una parola appropriata
    identificante lo spirito di esclusione che anima gli ebrei nei confronti dei non ebrei.
    Spirito di esclusione (“distinzione e divisione” lo chiama Benedetto Croce) che è
    dettato da un senso di superiorità di storia, di valori, di destino, di cultura, di
    genealogia, di identità, di sangue nei nostri confronti. Ripeto il concetto: non esiste un
    vocabolo ad hoc che identifichi l’isolazionismo, il separatismo, lo sciovinismo, l’etnocentrismo, l’esclusione che gli ebrei, in maggioranza, coltivano come sentimentoe come pratica di vita verso gli altri – noialtri, gentili o goyim – esclusione che è l’essenza stessa della loro religione.
    La studiosa francese Katell Berthelot, autentica autorità in fatto di ebrei e di antisemitismo, in particolare nel periodo precristiano, si è soffermata sull’accusa di “misantropia” che veniva rivolta agli ebrei nei tempi antichi. Un’accusa non balzana, poiché basata sull’asocialità degli ebrei, attestata in particolare dal loro rifiuto di “spezzare il pane” con gli altri, ossia di sedersi a tavola con loro. Ma da quei tempi il termine misantropia non viene piu’ usato nei confronti degli ebrei. Il vocabolario continua pertanto ad essere occupato dal termine antisemitismo, termine recente ma fatto valere retroattivamente, addirittura per un paio di millenni, mentre il contrapposto termine misantropia, usato un tempo nei loro confronti, è misteriosamente scomparso un paio di millenni or sono.
    È cruciale, secondo me, rendersi conto di questo condizionamento logico che noi
    subiamo attraverso la manipolazione del vocabolario. Ma su questo tema è pericoloso
    soffermarsi, pena, appunto, la paralizzante accusa di antisemitismo.

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